lunedì 17 novembre 2008

Trilussa in economia e nella povertà.

I dati Istat vanno sempre presi con le molle: quelle termoisolanti, altrimenti ci si scotta.

Un esempio pratico lo si può fare con il metodo con cui si stabilisce la povertà: l’importo venale mensile effettuato sul consumo, circa poco meno di 500 € a testa.

Benché ciò possa essere emblematico in rapporto allo stato di povertà, non è corretto usarlo per definire la povertà. Più confacente sarebbe usare il reddito conseguito; ma ciò non avviene.

Perché? Perché la nostra ideologia sociale ed esistenziale è basata sul consumismo: se spendi sei ricco, se non spendi sei povero.

Sicché il risparmio privato viene, di riflesso, catalogato come indice di povertà, non essendo destinato al consumo.

L’Istat (chi la maneggia) non si sognerà mai di dire che siamo un Paese povero che vive assai al di sopra delle proprie possibilità.

Ma ciò è abbastanza ovvio: il Pil lo si calcola sulle spese totali e non sulla ricchezza “reale”.

Pure il Debito pubblico lo si calcola in rapporto al Pil e, guarda caso, lo scorso anno è cresciuto ancora del 2,8%, in barba al conclamato succulento extragettito “prodiano”. Nessuno si è mai chiesto a che percentuali saremmo se fosse calcolato o sul reddito reale o sul risparmio?

In economia, però, dovrebbe essere il contrario; perché l’economia sana, onde poter produrre ricchezza, dovrebbe avere almeno i conti in pareggio. Ciò non avviene; ed allora il possibile guadagno (reddito reale) è bruciato o dagli interessi sul debito o sulle troppe spese: utili e meno … utili (superflue o di spreco).

Teoricamente posso guadagnare 10.000 € mensili ed accantonarne 9.600 per il risparmio: perciò sono povero; però se vado a farmi il “mutuo ferie” in banca e devo rendere 500 € mensili per un anno, superando la fatidica cifra sono ricco, anche se poi mangio per tutto l’anno “pane e pesciolini”.

Tutti gli Stati occidentali hanno un Debito pubblico e uno famigliare che supera il Pil nazionale; in alcuni casi anche più del doppio dello stesso Pil. Perciò così non va!

Ora che si vuol fare per rilanciare l’economia? Semplice: “investire”[1] facendo altri debiti nel settore pubblico e spingendo il consumismo nel privato.

Un esempio emblematico lo si ha nel settore automobilistico in diverse regioni: si vieta per mezzo anno circa la circolazione degli automezzi Euro 0 e 1 (tra poco pure i 2) per costringere il privato ad investire ed a cambiare auto.

Osservazione semplice: se quel veicolo è ancora in circolazione è perché ha percorso pochi km, diversamente sarebbe già consunto e non più idoneo a circolare. Ciò significa che ha, in sostanza, inquinato poco e, dato il limitato uso, inquina tutt’oggi poco.

Però se si ha un Euro 4 e si percorrono 100.000 km annui, allora si inquina ufficialmente poco: sic!

L’indice di emissione di C02 è veritiero, ma viene usato a sproposito come i dati Istat.

Portando il discorso al paradosso sarebbe come il proporre di “rottamare” tutti i pensionati, perché sono solo un costo (pensione/inquinamento) e consumano (spendono/investono) poco. Provenendo da tempi grami sono oculati nei consumi, perciò scialacquano meno degli altri, anche perché le pensioni di un tempo sono state bruciate dall’inflazione e dall’avvento dell’€.

Detto e fatto: quanti ne possiamo eliminare (rottamare) oltre i 65 anni? E quanto risparmieremmo in spesa sociale (pensioni) allora?

Il problema può nascere con chi sostituirli; ma qua c’è solo l’imbarazzo della scelta: tanti extracomunitari, comunitari e clandestini. Poi, però, che ne faremmo delle badanti …?

L’economia non è semplice e non lo è neppure l’interpretazione dei dati Istat.

Di sicuro è che vi sono troppi debiti in giro, tanto pubblici quanto privati; e non è un caso che vi sia una crisi recessiva mondiale in atto, innescata da una paurosa crisi finanziaria.

Ciò non è successo per caso ed è dovuto ad errate speculazioni che hanno creato il crack: speculazioni per troppe spese e per troppi sprechi, perciò per troppi debiti. In sostanza: la finanza creativa!

Tutto ciò, per eccesso di sillogismo logico, ci porta alla conclusione che tali spese, pur se deleterie, hanno però innalzato i consumi, perciò ci hanno fatto uscire dalla povertà e proiettato nella ricchezza.

È un po’ come avviene in religione, dove le preghiere e le comunioni sono soppesate quale indice dell’essere praticante, perciò un buon fedele.

Questo che c’entra? Mi pare ovvio: certi atteggiamenti sono il frutto di certe dottrine e anche nel mondo cattolico le buone parole si sprecano pure in economia. Poi, nei fatti, le cose vanno diversamente e la dottrina, non avendo un profondo costrutto, non riesce a produrre un pensiero e un programma economico completo: tante piccole orazioni (interventi economici) slegate dalla salvezza (contesto sociale).

Sicché se un pollo viene mangiato, e l’Istat lo divide tra due persone, appare che entrambe sono sazie; però se lo si calcola nel consumo (ricchezza) individuale e solo uno se l’è sbafato, allora chi l’ha mangiato è il ricco e l’altro il povero.

Ovviamente non importa nulla se il primo lo ha preso a debito, perché questo è un investimento atto a muovere l’economia! Come non lo è se l’altro non l’ha mangiato perché era già sazio e il pollo gli sarebbe stato dannoso alla salute e al portafoglio.

O no?




[1] - Parola magica tesa a risolvere ogni problematica economica.

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