sabato 28 gennaio 2012

Crisi finita? Aspettiamo a dirlo; la fluttuazione dei mercati lo nega.


In ambito Ue ogni giorno ne sentiamo una; e sempre in dichiarazioni ufficiali. Ormai la solfa dura da un lustro, cioè da quando nell’estate 2007 sono comparse le prime avvisaglie di default negli States.


Pure allora si diceva al popolo che la nostra situazione era protetta perché: le nostre banche erano sicure, la nostra situazione era diversa, la nostra economia poteva reggere all’urto, … e chi più ne ha, più ne metta.


Poi si sa come andò … a finire.



La scorsa settimana le dichiarazioni erano particolarmente preoccupate; in questa, alcune addirittura ottimistiche.


Si è forse voltato pagina ed è iniziata la risalita? Non credo, se non nelle intenzioni propagandistiche di alcuni governanti che, non sapendo più a che santo votarsi, cercano di calmare il popolo, specie dopo averlo ben castrato (aizzato a scioperare) nelle tasche e nell’economia reale con un’austerità punitiva.


Fitch, ieri ha ribassato il rating italiano di 2 posizioni, in pratica seguendo l’esempio (analisi tecnica) di S & P.


Alcuni gridano al complotto internazionale, altri – chi di dovere – afferma di guardare a questo giudizio con composta impassibilità. Ovvio, tanto … ha le tasche ben piene, anche se ha sempre venduto fumo negli occhi a tutti. Provare a chiedere al alcuni suoi … colleghi.


La Borsa di Milano ha visto i bancari recuperare forti posizioni, con rimonte importanti che seguono però ribassi ancor più consistenti. Come sempre, dopo un certo affossamento, chi comanda il mercato decide che è l’ora di pascere i buoi, perciò di incamerare guadagni dopo aver fatto schizzare all’insù le quotazioni. Ciò, ovviamente, vale anche per i Titoli sovrani, perché diversamente a situazione inalterata non si spiegherebbero certe forti fluttuazioni, neppure con consistenti interventi a sostegno della Bce.



Le colpe in sé non sono solo dei governanti, ma di tutta una classe politica che li sostiene e che li “tiene” al governo.


L’Italia sarebbe dovuta andare eventualmente ad elezioni anticipate; ma, per un gioco di pressioni politiche internazionali e per una certa cocciuta “ostinazione” costituzionale, ora abbiamo ciò che ci siamo … voluti. In pratica ciò che il Parlamento sostiene, ma che il cittadino – quello che scende in piazza – non vorrebbe proprio: uno strappo procedurale … violento.


Intendiamoci, liberalizzazioni e semplificazioni sono sempre ben accette; solo però se non rimangono inapplicate.


Emblematiche di tale situazione sono le nuove procedure on line, già a suo tempo promosse da Brunetta, che però sono rimaste lettera morta perché molti (impiegati) non sanno usare la linea telematica e molti altri – gli uffici statali – non sono tecnicamente preparati per darvi seguito.


Sicché con i tecnici professori si naviga bene nell’empireo intellettivo (nella teoria), ma si razzola male nell’applicazione effettiva (nella realtà), spesso aggiungendo confusione a quella già di per sé esistente.


Tutto ciò nonostante siano in grado di sapere chi – e come - hanno istruito in lunghi anni di docenza accademica.



Dire che siamo in una condizione altamente drammatica è poco: siamo in piena recessione, ulteriormente incentivata da un aumento sconsiderato dell’imposizione fiscale. Siamo in una situazione che vediamo tragica, ma che, pur con notevole ottimismo, non siamo in grado di quantificare nell’immediato e nel medio futuro come eventualmente positiva.


I vertici Ue si susseguono a ritmo intenso e periodico, risolvendosi però nella pratica ad un nulla di fatto, atto solo a peggiorare la situazione con un puritanesimo austero.


Ora si vorrà rilanciare lo sviluppo. Quale non si sa, se quello che c’era è stato distrutto da manovre impositive il cui unico risultato è stato quello di rovinare tutto ciò che ancora funzionava bene o male: industria, commercio, artigianato, agricoltura e trasporti.


Non si è ancora capito che l’alta finanza ha assunto in economia il ruolo di guida, usurpando l’essenza dell’economia reale produttiva che è la sola in grado di garantire sviluppo e ricchezza.


Sicché il capitale ora sta distruggendo tutta l’economia e gli stati, per poi, non avendo più nulla su cui avventarsi, dilaniare la ricchezza di sé stesso. Ed allora sarà l’apocalisse totale e globale.



L’indice Dow Jones ha toccato di nuovo nei giorni scorsi la resistenza di 12.750, che in un anno per ben 3 volte non è riuscito a superare, invertendo perciò la rotta nelle ultime 2 sedute con lievi ribassi.


Il FitseMib ha tastato a sua volta la resistenza posta a 16.000/16.500, non riuscendo per ora a vincerla. Se si considera che questa resistenza sia stata raggiunta soprattutto grazie all’exploit dei titoli finanziari (bancari) – predominanti nel paniere - nelle sedute di questa settimana, ben si capisce che il settore industriale è stato indotto al traino dei corsi in modo marginale.


In Italia chi è stato “premiato” – per ora – dalla cura Monti è stato proprio il settore finanziario, ulteriormente favorito dalla liquidità immessa nel sistema bancario dalla Bce a tasso stracciato e fuori della logica di mercato.


Nonostante ciò l’Eba prevede che le banche debbano sopportare una forte ricapitalizzazione a breve, anche se molte hanno optato per una falsa ricapitalizzazione dovuta a partite di giro su bonds o su eventuali cessioni di assets non strategici, nella convinzione che un ricorso al mercato avrebbe ulteriormente affossato il titolo.


Le quotazioni dei finanziari sono notevolmente cresciute con medie comprese tra il +30% e il +60%. Anomalo risulta l’andamento di Unicredit, prima più che dimezzato e poi in forte recupero per la contingenza del mercato, proprio in seguito all’aumento di capitale in atto.


Ovviamente questo forte recupero non può reggere a lungo, proprio perché la situazione di mercato non è cambiata; semmai è peggiorata.



All’orizzonte prossimo immediato vi è la situazione greca e portoghese del Debito Sovrano, ormai totalmente croniche e ingestibili, che la dirigenza Ue non ha mai saputo risolvere con rimedi efficaci da quando le difficoltà sono iniziate, provvedendo solo con tamponi tardivi a sorreggere la situazione drammatica.


Sta di fatto che altre draconiane manovre impositive (tasse e tagli al welfare) non si possono più fare in molte nazioni, perché già hanno rovinato l’economia esistente con le precedenti e a ben poco ci si potrebbe attaccare. Se si facessero si assisterebbe a sollevamenti di massa, i cui germi sono già ben visibili con gli attuali e sempre più frequenti scioperi, blocchi e manifestazioni.


Nazioni come Grecia, Portogallo, Spagna, Italia, Ungheria … – pur con gravità diverse -, sono ormai al tracollo finanziario, specie se il differenziale anziché stabilizzarsi continuasse a crescere.


Puntare ad una crescita immediata di queste sarà arduo, soprattutto perché se la disoccupazione rimane stabile è per lo più perché vi sono ancora in essere degli ammortizzatori sociali. E senza salari non vi può essere consumo, perciò neppure sviluppo dovuto al mercato interno. Perciò rimarrà alta la disoccupazione già in essere.


Il sistema industriale o è stato invogliato ad emigrare, oppure è stato quasi smantellato da imposizioni, leggi e leggine. Rilanciarlo potrebbe essere possibile, anche se bisognerà fare i conti con la mentalità di quegli imprenditori che han deciso di lasciare perché non più redditizio.


Bisognerebbe aver però già in mente una nuova mentalità di fare impresa e sviluppo radicati sul territorio. Ciò che non si è mai promosso e neppure abbozzato.



Pensare che in tale situazione le cose vadano meglio non è un fatto di utopia mentale, ma di ottuso realismo politico.


Tutto ciò ci riporta ai continui e periodici declassamenti del rating che le società abilitate eseguono con meticolosa precisione su grandi aziende e nazioni.


Il mercato mobiliare può scontare come già in essere alcuni di questi, perciò quasi ignorarli; tuttavia non può fare altro che flettere nel tempo l’indice di capitalizzazione per la situazione che da anni continua a peggiorare. Se lo fa il politico – l’ignorare - specie con dichiarazioni ufficiali, allora è indice di assoluta ottusità e noncuranza mentale, pur se costui è prevalentemente “tecnico”.



Troppa ricchezza si è bruciata con manovre tardive o improprie, con errate valutazioni politiche e di spettanza costituzionale, con noncuranza operativa celata dietro il rigorismo puritano e farisaico.


Parlando poco fa con un religioso amico ci chiedevamo quale sarebbe stata la sorte del malcapitato viandante se il samaritano fosse stato uno dei politici attuali, protestante o cattolico indifferentemente. Sicuramente sarebbe morto, denudato e marcito in mezzo alla strada.



La crisi non è risolta e pure gli U.S.A. hanno segnali altalenanti di macroeconomia. Se la Fed interrompesse le sue continue e imponenti iniezioni di liquidità nel sistema, pure gli States sarebbero votati al disastro immediato. Il fatto che con queste per ora reggano è già un buon segno, anche perché possono importare beni dai paesi in crisi, dando loro se non altro ossigeno.


Un indice della situazione generale globalizzata viene dal Pil della Cina e dell’India, fortemente ridimensionati rispetto ai precedenti dal crollo delle esportazioni verso i paesi occidentali, destinatari classici dei loro prodotti a basso costo. Crollo non compensato dall’incremento del consumo interno.



La crisi sarà ancora lunga, imprevedibile nei suoi scenari e difficile da gestire, oltre che da risolvere, specie con la mentalità degli attuali politici.


Nuove idee e progettazioni sociali hanno tuttavia bisogno di una lunga incubazione, perché coinvolgono uno stato culturale e ideologico/politico che non può essere prodotto su vasta scala dall’oggi al domani. Deve prima avere tecnici e politici già preparati a ciò.


Le idee ci sono, ma gli attuali politici e governanti non sono in grado di recepirle soprattutto intellettualmente.



I mercati mobiliari continueranno perciò la loro fluttuazione ad elastico e tenderanno a salire decisamente solo quando la situazione Ue darà ampi segni positivi di ripresa. Segni che per ora tutti gli indici di macroeconomia negano: occupazione, indice di capitalizzazione, consumi, uso impianti industriali, differenziali, finanziamenti, sviluppo, liquidità, impresa, Debito sovrano, commercio, e … Pil.


Perciò debbono essere intesi come eufemistici e interessati tutti quei discorsi ottimistici che certi politici e governanti vogliono propinare pubblicamente alla pubblica opinione.


sabato 21 gennaio 2012

La pacchianeria italiana - e non solo - dall'A alla Z.



I fatti di questi ultimi giorni dimostrano che nella cronaca si rincorre il plateale e in politica il diversivo compensativo.


In entrambi i casi, anche se i soggetti interessati hanno un’istruzione superiore alla media, il fatto in sé stesso diventa o un mezzo di successo o un fine. Manipolando (studiando) questi in modo analitico si ottiene uno spaccato simbiologico di quanta Cultura reale – perciò non nozionismo - ci sia in una nazione.


Pur senza entrare nel merito delle vere questioni – che non sono di mia competenza non avendone i veri dati – mi voglio occupare del linguaggio e dell’atteggiamento posto comunemente in essere in alcune circostanze.



Come si sa la Concordia ha fatto naufragio sugli scogli dell’isola del Giglio.


Vi è stato sicuramente un errore umano che, oltre a creare morti, ha necessariamente poi coinvolto anche responsabilità di terzi: equipaggio, passeggeri, armatore, soccorritori e … media e magistratura.


Quando un fatto avviene, questo innesta sempre delle reazioni che in alcuni possono essere positive e in altri negative. Chi vive l’evento deve comunque padroneggiarlo, in modo da ridurne al minimo gli effetti negativi. Vi sono sempre alternative possibili; ma più errori si fanno tanto più queste si riducono.


Questa mia convinzione la traggo dalla mia esperienza vissuta, non solo in alta quota dove il pericolo è sempre costante e reale, ma pure in situazioni operative particolari di comando che mi hanno visto soggetto primario nei decenni scorsi. Sempre con preparazione, con analisi, con pianificazione plurima e con attenzione ho vissuto mai da vittima sacrificale gli eventi, neppure quelli che non potevano dipendere dalla mia azione e volontà.


Nella vita vi sono sempre più scelte possibili, seguendo una delle quali si attiva un particolare circuito operativo.



In primis mi vorrei interessare della telefonata intercorsa tra la capitaneria di porto e il comandante della Concordia, emblematica di un certo modo di fare oggi, imperante e paradigmatico di una cultura che dire volgare sarebbe poca cosa.


Premetto che ho sentito più volte a voce il testo, oltre che averne analizzato con calma il contenuto.


Chi prende (dovrebbe prendere) in mano la situazione – perciò la capitaneria di porto – dovrebbe in primis vivere l’evento in modo asettico. Infatti, come dico spesso, se il medico viene coinvolto nel pathos del paziente, costui sarà inevitabilmente morto.


Paradossalmente chi è maggiormente calmo è proprio il comandante che ha commesso l’errore; infatti, manifesta una correttezza di linguaggio che sta sempre nei confini del giusto rapporto di dialogo: ascolta, lascia sbollire la furia della controparte, sopporta gli insulti senza mai replicare e … fa ovviamente di testa sua, magari sbagliando ma in piena libertà d’azione.


Quello della capitaneria, invece, segue un copione tutto suo particolare, dove la responsabilità del comando lo porta a reiterare il deus ex machina della situazione, perciò l’eroe che tutto redime e tutto salva. In effetti, non salva né gli altri né se stesso, dando solo una dimostrazione di volgarità procedurale, di incapacità di prendere in mano la situazione e di impartire comandi efficaci: la controparte, infatti, non seguirà le sue perentorie … intimidazioni.


Ovviamente il soggetto non conoscerà né la psicologia dell’analisi transazionale – perciò la giusta comunicazione imperniata sul mutuo consenso – né quella dell’educazione vocale, tanto più se – come afferma – sta registrando la comunicazione … per poi divulgarla pubblicamente ai posteri per sua “somma e postuma laude”.


Il suo monologo – chiamarlo dialogo sarebbe improprio non considerando egli la controparte un soggetto operativo ma solo un “proprio” oggetto – evidenzia un crescendo agitato del volume vocale, che dalla concitazione iniziale va al furore e alla protervia impositiva, che diventa infine iattanza pur tra pari grado, condito da eccessi volgari che potrebbe benissimo risparmiarsi, non avendo nulla a che fare, questi, con la vera situazione. Infatti, sono ininfluenti allo stato delle cose, non potendo né migliorare, né peggiorare la situazione. Sono solo sistemi trogloditi da look culturale cafonal.


Un piccolo accenno in questo caso va pure ai media che, riprendendo la comunicazione e traducendola, si sbizzarriscono in epiteti offensivi, sinonimi chiari, in effetti, solo della loro … immensa educazione, volgarità e cultura, a spregio di una realtà che non sono ancora in grado di poter correttamente valutare. Più il contenuto è grasso, perciò volgare o blasfemo, tanto più oggi fa audience.


Un capitolo a parte dovrebbe essere riservato alla preparazione e alla competenza che dovrebbe essere stata data – perciò che dovrebbero possedere - a persone che rivestono importanti ruoli dirigenziali, ma che nella maggioranza dei casi – come in questo frangente – appare proprio … inesistente.


Per comandare bisogna essere capaci e non fruire solo delle nozioni professionali tecniche, pure se basilari e importanti. Il saperlo fare significa anche prendere atto della situazione esistente, dello stato d’animo e delle capacità momentanee della controparte, delle variabili che in loco possono manifestarsi, essendo ben diverse da quelle di un caldo e ovattato ufficio.


Chi comanda, in sostanza, deve essere fermo e deciso, ma sempre chiaro, calmo e disposto a comprendere le difficoltà. L’alterarsi porta solo confusione, perché arreca concitazione in sé e in chi dovrebbe ricevere e poi rendere pratici gli ordini. Bisogna che tra comandante e esecutore vi sia una stessa linea d’azione comprensiva e partecipata. Chi impartisce l’ordine non deve criminalizzare né l’errante, né il peccatore; deve fare gruppo con lui.


Il contenuto e il testo del dialogo parlano però da soli, facendo diventare, il tutto, il volo in picchiata del falco rapace di gloria sulla vittima designata.



Un discorso parallelo e diverso può essere applicato alle recenti liberalizzazioni governative, non tanto in quanto tali, quanto per il contesto che le accompagna.


Il parto è stato sicuramente laborioso, perciò indice di continui nuovi assetti strategici che coinvolgono una preparazione adeguata anche nei tanto decantati tecnici. I tecnici, tuttavia, non sempre sono necessariamente uomini, perciò in certi casi solo … macchine nozionistiche.


Emblematica al riguardo è la conferenza stampa seguitane, su cui vale un attimo … attardarsi.



Prendiamo prima in esame la manovra precedente, onde vedere chi più ha colpito.


Il salasso è venuto da un notevole aumento delle accise sui carburanti, dall’Iva e sulla prima casa, interessando quindi beni e prodotti primari di largo consumo, colpendo perciò chi meno ha. I benestanti, infatti, possono sopportare benissimo e con poca fatica (non sacrificio) un tale costo aggiuntivo e hanno per lo più professioni che fanno ricadere gli ulteriori costi sulla parcella (prodotto, fattura) finale.


In base al contesto del discorso nella conferenza stampa, le liberalizzazioni dovrebbero portare molti risparmi al contribuente e rilanciare di un (assai fantasioso) 11% il Pil nazionale. Se così fosse grazie al “miracolo Monti” quest’anno sopravanzeremo la … Cina.


In effetti, i tanto decantati risparmi – se mai ci saranno, essendo per ora solo nelle buone … intenzioni – chi vedrebbero coinvolti? Sicuramente non il popolo che poco ha a che fare con certi servizi fuori dalle sue disponibilità economiche e di bilancio, se non in casi eccezionali, perciò molto limitatamente.


Gli operai molto raramente prendono taxi, si rivolgono ad avvocati, a notai o a professionisti in generale, che comunque non per l’abolizione del minimale si faranno pagare di meno. In compenso, non essendo più soggetti ad un massimale, potranno eventualmente farsi pagare di più in base alla legge di mercato che se vuoi il meglio lo devi pure profumatamente pagare.


In pratica gli eventuali benefici andranno a favore di quelle categorie che sono state “meno” vessate dalla manovra precedente.


La riduzione delle tariffe professionali non segue dei D.L. governativi, ma si basa su ben altro: su una cultura personale e sociale che metta le competenze al servizio degli altri con il minor costo possibile.


Ciò significa che i nostri tecnici attuali, chiamati a ricoprire incarichi ministeriali, in barba al loro essere eventualmente ligi e osservanti cattolici hanno finora occupato ruoli altamente retribuiti, proprio in spregio a quella riduzione dei costi che ora vorrebbero favorire. In pratica sono in controsenso esistenziale e comportamentale, oltre che … culturale.


Come poi la crescita dell’economia di una nazione possa essere rilanciata da simili provvedimenti è tutto un mistero, che solo il grande sapere di un insigne cattedratico può capire (?).



Una piccola e interessante parentesi la vorrei dedicare alla possibilità di formare – per gli under 35 – nuove s.r.l. con il capitale minimale di € 1.


La cosa non solo mi lascia scettico, ma mi fa presagire che questo escamotage verrà usato anche dai soliti bidoni che, usufruendo di prestanome creeranno aziende ad hoc per infinocchiare eventuali possibili creditori.


Per formare una s.r.l. ci vorrà sempre un atto notarile. Sicché o il notaio, in ossequio alla liberalizzazione delle tariffe, si farà pagare solo 1 €, oppure la società sarà già in profondo … rosso, anche non considerando le varie imposte di registrazione e di iscrizione alla C.C.I.A.A.


Un mistero rimane poi quella del ricorso al credito per queste società che, non avendo nulla, quasi sicuramente riceveranno … nulla, anche se oneste e con ottime idee e intenzioni.



La politica economica di una nazione non la si fa con dei palliativi fumogeni, ma con ben altre formule, specie in un contesto difficile e quasi tragico finanziariamente come il nostro attuale.


Perché se non metteremo prontamente mano a quelle “reali” e indilazionabili riforme delle regole di mercato e dei mercati mobiliari stessi, allora ci trastulleremo con balocchi tecnici fino a quando saremo sprofondati definitivamente in un disastro annunciato. I danni sono venuti da lì; e proprio lì bisogna rimediare per poter ripartire; e da subito!


Suvvia, Monti, da un professore tanto decantato ci si aspetta molto di più e non solo … quisquilie dialettiche del suo personale intendere in eclatanti conferenze o trasmissioni televisive; magari condite da “calde” battute in inglese, stile cafonal, davanti a prestigiose assemblee estere.


Poi ben vengano anche le liberalizzazioni, che male alla nazione non fanno di sicuro. Diversamente avranno solo il ruolo di cortina fumogena, atta a far ignorare al popolo la vera realtà e necessità degli eventi: un diversivo dolciastro utile non a far prendere la medicina, bensì il … veleno.



Sui media compare sempre più frequentemente la voce di titolati economisti – italiani ed esteri -, spesso anche cattedratici, che, oltre a proporre continuamente importanti linee operative, sottolineano il proprio dissenso all’attuale incedere governativo.


Un buon professore non solo sa insegnare, ma pure sa ascoltare ed aggiornarsi dove è carente.


Forse, però, questo Governo legge solo il suo libro, incapace di ascoltare o di leggerne altri.



Faccio questa aggiunta citando questo detto popolare, fattomi pervenire ora da un amico dopo aver letto questo post, che ben si coniuga con la situazione e con l’articolo attuale.


Dice sinteticamente:



Chi sa fa, chi non sa insegna; e chi non sa fare ad insegnare fa il professore universitario!



Mi pare assai pertinente, specie se fattami pervenire da un docente. Speriamo che chi sa fare proprio nulla, non finisca poi a …


Ovviamente è solo una battuta, che non intende essere offensiva verso alcuno.



domenica 15 gennaio 2012

L'anno dei laghi alpini.


Andare in montagna non significa raggiungere sempre una cima. Nella mia vita errabonda di altura ho incrociato moltissime persone che, come obbiettivo, puntavano solo a dei piccoli specchi lacustri, magari con pargoli al seguito e con famiglia al completo.


Ne ho incrociate alcune addirittura patriarcali, dove si spaziava dal nonno fino al bisnipote, magari accucciato nel seggiolino paterno posto sulle spalle come uno zaino.



I lago alpino difficilmente è molto vasto, anche se ve ne sono alcuni. È, però, sempre un punto di riferimento importante, sia per l’alpinista che per il pastore o mandriano.


Le sue sponde concedono quasi sempre piccoli pianori dove bivaccare, distendersi, giocare e prendere il sole. Le sue acque, che a seconda della conformazione geologica cambiano colore, concedono non solo refrigerio, ma pure la possibilità di abbeveraggio, essendo difficilmente inquinate.



La tipologia dei laghi alpini è molto varia, proprio come la quota a cui li si può trovare. Talora capita anche di vederne alcuni con nevai o ghiacciai penetranti a mo’ di ariete nel loro specchio; ma, anche se raramente, se ne può trovare alcuni posti proprio in mezzo ad un ghiacciaio, che noi alpinisti chiamiamo di norma lago fantasma. Quest’anno, infatti, lo si vede, il prossimo anno non esiste più. Sono le stramberie della natura in lento ma costante movimento ed evoluzione.


Tra i laghi fantasma vi sono anche quelli che si possono adocchiare, pur sempre nello stesso posto, molto raramente. Sono per lo più in alta quota e magari compaiono pochi giorni all’anno – o solo a distanza di anni - alla vista del viandante alpino, perché il caldo ha fatto scomparire il nevaio che li copre quasi perennemente.



Di norma sono un punto di riferimento anche per gli animali selvatici. In certi periodi alcuni hanno le loro rive ricoperte di fiori coloratissimi, profumati e variopinti; se stanno morendo o se sono già defunti, nei mesi estivi il loro acquitrinoso specchio si riempie di simpatici batuffoli bianchi, ondeggianti leggiadramente all’aura improvvisa. Gli esperti affermano che, in tale caso, il lago è morto almeno da oltre un secolo.


Hanno forme svariate che lasciano spazio alla nostra fantasia di fantasticare sulla loro origine.



Per quest’anno ho deciso di dedicare a loro la bacheca mensile, iniziando proprio da un lago fantasma che, come tale, su quel ghiacciaio vidi solo una volta.


Quest’anno, perciò, punterò i miei passi di ormai appagato alpinista su loro, capaci di darmi ristoro, sensazioni, rumori … antichi di fruscii e ricordi, talora anche di … decenni fa.


Sicuramente nello sceglierne uno ogni mese, ne dovrò tralasciare altri. I laghi alpini, infatti, sono di norma assai più numerosi delle vette che li sovrastano.



Buona visione a tutti, magari sognando ad occhi aperti.



sabato 14 gennaio 2012

Lettera aperta ad un esimio ... "Professore".




Ogni tanto mi vengono idee strambe; perciò analizzo l’incedere di certe … celebrità.


Questa volta, nonostante i roboanti proclami – per la verità conclamati più da lei che dai suoi “sudditi” – mi voglio interessare proprio di Lei.


Lei, ovviamente, non mi leggerà, perciò non potrà perdonare l’ardire di uno dei tanti “imbelli sconosciuti” di questo mondo, mancando in questo modo l’opportunità di acquisire … ulteriori meriti cristiani in Paradiso, vista la sua ostentata e sbandierata fervenza religiosa.


Mi vorrà perdonare l’uso di un lemma del sec. XIV; ma, sono … fatto all’antica.


Ovviamente non ho tutte le sue “medaglie”. Tuttavia non la invidio, in ogni senso; ma, per essere esplicito, neppure la ammiro! Sono felicissimo e fiero di essere assai diverso in tutto da quello che lei è, rappresenta e appare; anche cristianamente.



Il governo precedente in poco tempo, tra finanziaria e correttive, ha effettuato manovre per quasi 150 mld di €, che Lei ha poi fatte proprie nella sua dichiarazione programmatica.


Lei, invece, ne ha fatta una (assai discutibile nella sostanza) di 20 mld, chiamandola con il pomposo nome di Salva Italia.


Mi scusi l’ardire, ma non ho ben capito cosa abbia salvato con quella cifra, e se il salvataggio vero non ci sia stato grazie al governo precedente, vista la sostanziale diversità di cifre in gioco.


Poi ha lanciato la fase 2, indicandola sempre con una colorita espressione: Cresci Italia.


Perdoni la mia audacia, ma visto l’andamento dello spread sul Bund da quando lei è arrivato, la continua flessione degli indici di mercato e, ora, il declassamento di S & P a BBB+, nonostante tutto il suo encomiabile impegno e sapere, non vorrei che il suo prossimo incedere producesse un’altra colorita e finale espressione, riassumibile in … Fallisci Italia.


Diciamola tutta, Professore: il mercato non crede punto in lei, né ne suoi provvedimenti fatti o in cantiere.



Ovviamente non sono tra coloro che stravedono per lei, perciò tra la bulgara totalità dei suoi sudditi, viste le sue parole alla Merkel. La quale, se prima magari rideva per il suo predecessore non essendo nel suo feeling, ora mi è parsa addirittura stralunata – me lo lasci dire – per le riforme strutturali che lei sta mettendo in atto.


Forse lei corre più di tutti in Europa, tanto che neppure la florida Germania riesce a starle dietro, tanto nei fatti quanto nell’apprendere le … sue lezioni. Forse, anche per questo, ha ancora la … tripla A.


In Parlamento, nella dichiarazione di voto, un parlamentare che la sostiene l’ha invitata a scendere dal trono e a mischiarsi con tutti nella responsabilità nazionale, taggando il suo ripetitivo Noi e Voi molto indicativo. Difatti il suo gregge ha già avuto una brillante defezione di oltre 60 voti.


La mia impressione è che lei e il suo gruppo viviate un po’ su quell’Olimpo ovattato, classista, salottiero, borghese e benestante, che vede solo dall’alto dei monti com’è la vera realtà della pianura.


Personalmente ho concatenato molte cime e salito quasi tutte le principali vette alpine – e non solo quelle; mi perdoni l’immodesta ostentazione sportiva -, per cui le posso dire (insegnare) con precisione che ciò che si vede da lassù è molto diverso da quello che in verità esiste … quaggiù.



Lei predica sobrietà a tutti, dimenticando che la maggioranza di quei tutti non vivono con il reddito da lei percepito, anche se fosse solo quello da senatore. Molti con meno di 1.000 € al mese, per cui la sobrietà sanno già de molti anni cosa sia, identificandola con la sopravvivenza composta e decorosa.


Perciò, ora, via con quelle importanti riforme strutturali che mai nessuno ha saputo o voluto fare, non sapendole neppure … immaginare.


Per cui tra non molto, potendo acquistare il giornale ovunque, invece di pagare riceveremo. E se prenderemo un taxi saremo gratificati con un compenso monetario per averlo solo montato. I negozi rimarranno aperti 24 h al giorno, per la gioia dei nottambuli, e le farmacie si espanderanno ovunque riducendo miracolosamente non solo le spese, ma pure gli … ammalati. Diventeremo, grazie a lei, il paese di Bengodi.


Forse lei, esimio professore, poco frequenta i borghi alpini. Diversamente avrebbe notato che le varie imposizioni amministrative li hanno defraudati di ogni primario esercizio e servizio, costringendoli allo spopolamento progressivo e riducendoli a fantasmi … diroccati. Ovviamente saranno stati tutti … evasori.



Però, a fronte di cotante rivoluzionarie riforme, lei ha cominciato bene: pesanti accise sui carburanti, aumento dell’Iva (già prima la più alta in assoluto nei maggiori paesi Ue), tassa sulla prima casa (Imu; con forte revisione degli estimi catastali che azzereranno il bonus), aumento dei contributi e delle tasse locali.


Sicché, indicandolo le proiezioni Istat, la sua manovra avrà un costo annuale di circa 1.500 € per famiglia, che equivalgono allo stipendio medio di un mese, atto a ridurre ulteriormente tutti i consumi. Se non sarà fame vera, sarà … carestia, perciò sicura recessione.


Ovviamente, considerati gli emolumenti suoi e dei suoi tecnici, anche se tale importo fosse moltiplicato per 4, l’esborso sarebbe irrisorio. Non così per il comune mortale.



Non ci ha però ancora spiegato perché, per recuperare quei 20 mld che le servivano – per pagare il costo maggiore dovuto al differenziale –, lei non abbia venduto sul mercato almeno 1/5 delle circa 2.500 tonnellate d’oro depositate nelle sagrestie di Palazzo Koch, recuperandone un importo maggiore visto la quotazione attuale del metallo giallo.


Ovviamente un esperto e docente di economia valutaria, come lei, mi potrebbe dire che sono riserve preziose – per quando? -, perciò quasi intoccabili se non in un momento drammatico. Però, allora, mi dovrebbe spiegare perché il Regno Unito (Inghilterra) ne possieda solo 1/8 del nostro e la Spagna 1/9.



Ora pare che vogliate mettere mano anche all’Art. 18, onde favorire, secondo lei, l’accesso al lavoro, e rilanciare, con quelle riforme strutturali, sue, già in cantiere, il Pil nazionale.


Forse, nel nozionismo che tanto ha insegnato, non ha saputo ancora cogliere che tra teoria e pratica vi è una sostanziale differenza e che spesso la sola teoria del tecnicismo è un normale fatto di lana caprina, atta solo a rendere reale il serpente che si mangia la coda.


Voi, oggi, state pontificando su formule dialettiche inutili. Infatti: le aziende chiudono, i posti di lavoro si riducono, il commercio crolla, il benessere si esaurisce, le tasse aumentano e la povertà dilaga.


Tutto oggi in economia è connesso; per cui parlare di rilancio della produzione è un fatto puramente teorico se l’imposizione fiscale fa fuggire altrove i capitali e disincentiva chi rimane a investire. Investire per cosa? Forse per essere additati a tutti come … ladri ed evasori, pur se onesti e pieni di amor di patria?


Riformiamo pure tutti i contratti possibili e immaginabili; ma se non vi è reddito non c’è consumo, se non vi è consumo non c’è produzione e, infine, se non c’è produzione non vi è neppure occupazione e … reddito.


Forse anche per questo la Merkel ufficialmente era meravigliata del suo sapere innovativo, ma nella realtà stralunata.


Io credo che lei stia innestando involontariamente una gravissima turbolenza sociale, in una polveriera che sta già per esplodere per conto suo.


Mi rimane un mistero come le vere riforme necessarie non siano state attuate in ambito comunitario nel periodo (10 anni) in cui lei era commissario europeo. Forse non erano … necessarie come ora.



La crisi viene dal mercato, perciò da oltre oceano. Da là provengono spesso gli ingenti attacchi settoriali che affossano determinati titoli dei mercati mobiliari Ue, compresa Francoforte. Poi, ovviamente, pure noi ci abbiamo messo molto del nostro.


Strano a dirsi lei è stato, fino a poco fa, International Advisor (retribuito) di una tra le più importanti banche del globo; forse quella che, a detta di molti esperti, comanda il mercato a suo piacimento: la Goldman Sachs.


Intendiamoci, fare il consulente non è un reato, né deplorevole. Può essere un titolo di riconoscimento, oltre che di ottimo reddito, per la capacità individuale.


Di sicuro c’è che per farlo bisogna essere in sintonia con i programmi del colosso, perché diversamente scelgono altri; perciò abbracciare quel neoliberismo globalizzato utile alla finanza speculativa e d’assalto.


I danni che il mercato speculativo ha creato sono noti; i rimedi sono stati più volte elencati. Tuttavia nelle sue dichiarazioni programmatiche di ciò non si è neppure accennato.


Ora spunta la tassa sulle transazioni finanziarie, come se fosse la panacea di ogni male. Si dimentica che il capital gain è già tassato alla fonte operativa.


Un bravo maestro mi potrebbe insegnare che un freno non risolve un problema, se questo non è estirpato alla fonte; un bravo professore, invece, mi potrebbe additare il rimedio necessario e risolutore.


E il rimedio è: la revisione delle regole di mercato, il divieto di trattare sul mercato un prodotto improprio finanziario e rischioso, il togliere dai listini tutto lo spam che gira come una patata esplosiva bollente, il riservare ai soli operatori istituzionali la trattazione delle materie prime, il vincolare i titoli sovrani a dei contratti che rispettino i termini fissati tra emittente e sottoscrittore. In pratica rendere il mercato un luogo di investimento e non di pura speculazione.



Operare perché le banche non falliscano è un dovere istituzionale; il favorirle, creandogli con ammantate giustificazioni moralistiche degli introiti supplementari e graditi, è un po’ più deplorevole.


Con la prossima manovra tutti, forse, saremo costretti ad usare per legge la moneta elettronica anche per prendere il caffè, ingrassando i loro bilanci. I pensionati non saranno più derubati dopo aver riscosso la pensione; però, magari, non avendo sott’occhio il contante, si ritroveranno prima del tempo con la carta svuotata dalla pensione. Ma lei, forte in economia, forse ignora l’analisi transazionale.


Personalmente, caro Professore, pur non essendo – per mia fortuna – stato suo allievo, tanti suoi provvedimenti li ritengo inutili, quando non addirittura dannosi. Il brutto è che non sono solo ma in nutrita e – credo – qualificata compagnia, nonostante le sue dichiarazioni ufficiali di plauso per … sé stesso.


Ovviamente non sono un tecnico, ma uno che tira la carretta ogni giorno come un comune mortale. E chi viaggia molto so che dovrà spendere per il trasporto molto più di prima. Dove andranno quei costi? Sul prodotto finale, ovviamente.


In economia mi adatto solo a fare di conto, proprio per arrivare a fine mese: un mese sempre più … lungo a finire.



Avrei ancora molto da dire, ma sarebbe inutile. Spero solo che un giorno non ci venga a dire che, nonostante i suoi pregevoli sforzi intellettuali e di governo uniti ai nostri sacrifici, non si sia riusciti a … farcela.


In quel caso non so come si andrà a finire: né per noi, né per lei.


Forse ho dimenticato di citarla per nome: tranquillo, non è una dimenticanza, ma un semplice … piacere.


Mi conceda almeno questa … soddisfazione.







domenica 8 gennaio 2012

I Beccamorti.

Sesac, oggi, venne a farmi una visita veloce per consegnarmi questo secondo racconto che pubblico assai volentieri.


È la prosecuzione del precedente[1], anche se la tematica sviluppata parla della grave situazione della foresta e delle vicissitudini degli animali.



Sam Cardell


Tratto da “i Dialoghi” di Sesac


I Beccamorti.



Bipperino viaggiò ancora assai: scese nelle valli e risalì valichi, per imboccare infine, in quota, una carrareccia che dava su una dorsale poderosa.


Poco più in alto, tra il sole incastonato in un carico cobalto, faceva bella mostra di sé l’immacolato manto della prima neve, il cui riverbero infastidiva gli occhi, quasi accecandoli.


La carrareccia proseguiva a lungo in piano tra alcuni radi e panciuti cespugli di ginepro, carichi di bacche verdi e bluastre, posti qua e là come i cani maremmani a guardia in altura. Poi, dove la dorsale si impenna, Bipperino attaccò deciso la salita puntando dritto verso la neve poco sopra. Trovò un bivio e svoltò sicuro a dx, immettendosi in una lieve discesa tra vasti pascoli alpini.


Lassù il terreno era ghiacciato e procedette con prudenza; mentre ai lati candide chiazze di neve coprivano in parte grandi zolle di erica, pronta a mostrare tra non molto la miriade dei suoi piccoli e variopinti fiori.


Da lassù lo sguardo spaziava ovunque fino alla lontana piana, in parte nascosta da ben tre dorsali parallele. Pure i laghi si intravedevano lontani e soli a tratti, ora apparentemente piccoli e dello stesso colore, mentre più a nord scorreva, con ampie anse, il grande fiume che si getta nel freddo mare.


Superò una costiera, poi un’altra e infine ci ritrovammo su uno spiazzo. Rallentò quasi impaurito dal vuoto che la carente visuale faceva presagire; ma era una falsa impressione.


Puntò con calma e sicurezza il muso verso il basso e … vedemmo la grande cascina sotto di noi a circa 500 metri, posta in mezzo ad un ampio ballatoio, sostenuto a sud da un’imponente bastionata rocciosa. Molto più a valle vaste foreste nerastre d’aghifoglie ammantavano monti e colli, imbacuccati nel capo con una berretta bianca di lana.


Una grossa libellula stava sonnecchiando al sole laggiù, accanto alla cascina, forse stanca per il lungo volo a cui i suoi ospiti l’avevano costretta.


Ad una curva trovammo dei gorilla imbacuccati. Scrutarono Bipperino, lo riconobbero subito e ci fecero cenno di passare. Pochi metri ancora e … si fermò accanto alla libellula.


Dall’alto non si vedeva, ma laggiù, celato dietro l’angolo della grande, bella e accogliente cascina, trovammo pure il possente Terra ad attenderci, felice di rivedere l’amico Bipperino.


Proprio cascina non sembrava, piena di comignoli com’era che parevano tanti svettanti e fiabeschi campanili: era una nobile e imponente magione, tanto appariscente da lontano quanto accogliente da vicino, capace di alloggiare comodamente anche più di cento ospiti.



Scendemmo; e capimmo che la temperatura era rigida nonostante il sole raggiante. Si stava comunque bene perché l’aria era secca, anche se era opportuno non abusare troppo dello stare all’aperto.


Una coppia di cani fox terrier ci corsero festanti incontro, bianchi nel mantello, marroni e neri nella testa, uscendo da una porta laterale della cascina. Forse cercavano l’amico Billy, ignorando la sua recente scomparsa. Perciò capii che oltre a Leone vi doveva essere pure Lyestar, Walchiria discendente da un potente e antico casato, amico di Leone da lunga data.


Seppi poi che la bella cascina era di sua proprietà e per l’occasione l’aveva messa a disposizione degli ospiti.



… Entrammo nella grande sala dove trovammo Leone intento a preparare la polenta taragna nel vano cucina, mentre le donne dell’avvenente Lyestar si dedicavano alla pasta e allo stufato, sotto la direzione di MaryAnne la valente cuoca.


La sala era ben illuminata da grandi finestre a doppia camera di compensazione, poste solo a sud e a ovest, dalle quali penetrava il gagliardo sole. Si snodava quasi serpeggiante a mo’ di greca. L’estremità ad ovest immetteva nella cucina, parte integrante estrema della sala; quella intermedia, invece, nella ben fornita biblioteca.


Sulla parete est della sala campeggiava un grande crocefisso che mi parve di larice. A metà parete, poco sotto, un grande poster di Leone, ritratto nel suo sport giovanile preferito e, più sotto ancora, un monitor ultrapiatto di grandi dimensioni.


Al centro un’enorme tavola ovale, lucida, massiccia e finemente intarsiata, in grado di ospitare comodamente almeno 30 persone, già apparecchiata e fornita di svariate bevande onde appagare il gusto di ogni ospite; era sormontata da 2 pregevoli lampadari dell’800, forniti ognuno da innumerevoli bocce di cristallo finemente cesellate in oro.


All’angolo sud/est un bell’albero natalizio già addobbato di pino azzurro d’Austria, per l’occasione travasato in un enorme e artistico vaso bronzeo, era abbellito sotto i suoi possenti rami da un piccolo abete bianco e da alcuni succhioni di agrifoglio stracarichi di rosse bacche. Annunciava agli ospiti la sacra festività vicina.


Il soffitto era ricoperto da pregevoli cassonetti in legno intarsiato, dorati in modo alternato, opera di valenti artisti del passato; taluni riproducenti animali, altri facce umane e alcuni forme geometriche.


Alla parete nord antichi e preziosi quadri fiamminghi ornavano la grande stanza che, al suo primo snodo della greca, aveva una grande stube cilindrica a più settori, posta quasi al centro e ricoperta di preziose maioliche colorate. Il tubo dei fumi era di fusione e artistico, ricoperto da mitiche figure di fauni, ninfe e dei nordici.


In mezzo a questi antichi quadri ve n’era uno recente – provvisoriamente in trasferta e opera del fiammingo Goeringhen -, che rappresentava un filosofo moderno caro a Lyestar. Lo si distingueva perfettamente dagli altri non tanto dallo stile, quanto dalla cornice che faceva un tutt’uno con il quadro stesso.



Tra gli ospiti ebbi il piacere di rivedere tra gli altri il riservato e sempre aggiornato Larco - in compagnia di Red -, Gitré, Malaparte, Kurt, Bianco, Maximilian - valente uccello migratore e conduttore di libellule - e Hans; tutti animali che di rado avevo visto insieme a Leone. Perciò ne dedussi che l’evento dovesse essere eccezionale, data la loro importanza sociale.


Brillava l’assenza degli abituali amici, quelli che ogni settimana erano soliti passare un po’ di tempo con lui a conversare. Tuttavia si era assai lontani dai patri lidi e poco avrebbero potuto dare, oltre al folclore, alla selezionata compagnia.


Trovai pure facce nuove, che comunque mi salutarono calorosamente quando Leone mi presentò loro. Li conoscevo per i media e per notorietà, ma mai li avevo incrociati di persona.



Castagne, che non aveva nulla a che spartire nel nome con quella frazione montana situata sui primi contrafforti dei Lessini, era un politico con la faccia un po’ ispida e occhialini alla moda da spiritato, seguace di Lama. Dal potere era passato all’opposizione per le manovre sotterranee del Nano del Tirolo e, a lungo, era stato con Bausia in un posto chiave. Lo collegai a Leone per il defunto Becchime.


Trovai pure Profitto, altro politico e seguace di Bausia, pure lui nella precedente compagine anche se con un ruolo minore, profondo conoscitore della realtà e felice conversatore. Se per causa di partito Castagne aveva negato la fiducia a Becca, Profitto lo aveva fatto invece a titolo personale, non condividendo affatto le nuove impostazioni di partito. Mentre Gitré e altri se n’erano stati assenti … appositamente.


Conobbi pure Scalogno, insigne cattedratico ed economista, assai vicino a Malaparte come concezione e critico pubblicamente con le direttive di Becca. Era tuttavia in dissenso con la sua Spada, che stravedeva per Becca rischiando assai la faccia e - come disse poi Larco – anche la pelle. Costei aveva seguito il taurino Passero, che oltre a lei s’era tirato dietro pure Olezzo nella nuova esperienza; tutti e 3 erano compagni di ventura in alcuni Consigli d’amministrazione dì importanti finanziarie della Foresta. Sicché molti animali malignavano, ironicamente, dicendo che nella compagine vi erano 2 clan: quello dei taurini e quello dei mediolani, che insieme formavano la compagine dei Beccamorti.


Se Becca, infatti, era tanto tetro e con il ghigno da conte Ugolino da ispirare poca fiducia, tutti insieme, visto le loro facce e le loro prime mosse, parevano quegli animali necrofori che alla carogna strappano anche le ultime once di carne, non seppellendola neppure perché la pietà costa e la situazione imponeva di tirare la cinghia. Quella dei comuni animali, ovviamente, e non la loro, grassi com’erano di lauti compensi.



Becca - ormai da tutti soprannominato Beccamorti - non rideva mai, non sapendo neppure come e perché si facesse. Al massimo faceva un lugubre ghigno. Era un gatto … grigio nell’aspetto, assai pieno di sé stesso, che traeva la sua sociale insipienza umana dal fariseismo druido, atteggiandosi sempre, nella realtà sociale, a Giove Olimpo. Riteneva in sé d’essere l’unico eletto e perfetto … gatto di questo mondo; era solito canticchiare spesso “Come me non c’è nessuno” davanti allo specchio magico del reame.


Il divino toscano s’era ispirato sicuramente a lui nel comporre il XXXIII canto dell’Inferno – La bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator, forbendola a’ capelli del capo ch’elli avea di retro guasto -.


Infatti, si mormorava che lui fosse la metempsicosi del Conte Ugolino. Il quale, se un tempo rosicchiava il cranio di un arcivescovo, ora, per l’appetito, s’era messo addirittura a rosicchiare quelli del popolo, conscio del fatto dell’aver vissuto per diversi decenni alla Battona, importante e rinomata scuola della Foresta dove i benestanti figli di papà confluivano per apprendere come prostituirsi alla finanza globalizzata d’assalto. Alcuni lo chiamavano pure “la battona del Bolschoi” – per la sua eminente cultura -, per il fatto che nel fendere l’aria si inclinava sempre all’indietro, come una leggiadra ballerina, per la fatica di vincere la resistenza aerodinamica. Molti, infatti, giuravano che non fosse mai riuscito in vita sua a piegare la spina dorsale in avanti perché l’aveva … di puro cristallo di Boemia.


Era uno dei tanti privilegiati della foresta. Il rustico Gini avrebbe detto “nato col culo nel burro e la schiena nella bambagia”, mentre il colorito Era avrebbe aggiunto “pensa d’essere l’unico munito tanto di cervello quanto di pisello”.


Infatti, per discutibili intrallazzi paterni era stato esentato per cagionevole salute pure dal militare.


La sua carriera era stata tutta all’ombra della grande finanza, compresi i 2 lustri che lo avevano visto ad Eustachia.


Era assai legato ad una tra le più importanti banche della Foresta, che tutti chiamavano l’Uomo dai sacchi d’oro, tant’è che era solito darne uno all’anno anche a Becca per i suoi servigi.


Ovviamente non si avvaleva solo di lui, ma pure di Tetù e Grisù, perché i tre stavano da tempo nel suo cono d’ombra, assi intercambiabili per ogni necessità.



Quasi tutti i Lands di Eustachia erano da tempo in crisi, anche se pure quello dei Bisonti non stava meglio di loro.


Tutti volevano porre rimedio al tracollo vicino; ma per quanto ci provassero erano capaci solo di peggiorare la situazione e di ingrandire il proprio debito. Perciò il futuro si profilava sempre più drammatico.


In Itachia, come si sa, da tempo imperava Bausia, dalle Walchirie vi era Patatona e dai Galli vi era il Bullo slavo. Se uno voleva procedere in un determinato modo, l’altro provvedeva subito a stopparlo. Più di tutti in ciò si distingueva Patatona, sicura del fatto che non andava a cavallo e che perciò non poteva essere disarcionata. Non vi era cavallo al mondo, infatti, capace di … reggerla.


L’Uomo dai sacchi d’oro aveva già preparato i suoi piani; perciò pensava di volgere la situazione a suo favore onde moltiplicare il suo metallo prezioso. Probabilmente Patatona, avendo visto alcuni devastanti attacchi di costui al suo regno, considerò più opportuno copiare in parte le sue strategie per un’eventuale sinergia. Perciò cominciò a fare pressioni sul Nano del Tirolo onde disarcionare Bausia e sostituirlo con un animale fidato, quindi servizievole ai loro intenti.



Costui, il Nano del Tirolo, proprio nano non era, anche se valeva come il 2 di coppe in briscola. Vantava una discendenza regale, anche se adulterina. Il padre, infatti, non avendo molto da fare come giovane principe, amava essere dilettato ovunque con auto americane di un certo tipo, che i dirigenti locali non gli facevano mancare.


Sicché un giorno, avendo perso il controllo della retro, come spesso gli capitava non essendo forte in retromarcia, avvenne … l’incidente.


Era, il Nano, una volpe un po’ spelacchiata per l’età e il cervello. Il profeta Fedro l’aveva vaticinata benissimo, anzitempo, mentr’era intenta a cercare di cogliere dell’uva.


Tempo addietro, essendo rappresentante nella Dieta di Roncaglia, s’era distinto assai nel fare in modo industriale la cresta ai suoi viaggi, in modo da racimolare un po’ di sostanze, non parendogli congrue quelle che già aveva.


La tv di Patatona aveva fatto un’inchiesta su ciò, rendendola pubblica in una trasmissione e cercando d’intervistarlo onde avere la sua giustificazione su ciò. Lui, in modo ineffabile, aveva dichiarato che doveva spiegazioni – se del caso – solo ai suoi elettori itachesi e non ad un media d’un altro Land. Aveva, infatti, il Dna zeppo degli attrezzi del fabbro e del mietitore, innamorato com’era … di queste professioni.



… Si pranzò affabilmente conversando.


Leone era capotavola ad Ovest, mentre Lyestar lo era ad est. Gli ospiti si posizionarono casualmente. Sicché avvenne che Leone avesse accanto Gitré e Malaparte a dx, con Profitto e Castagne a sx; Scalogno, invece, non potendolo vedere la sua Spada, era orgogliosamente alla dx di Lyestar e vicino a Bianco, dirimpettai di Maximilian, che … vigilava, e di Larco. Io, Sesac, ero posizionato a mezza tavola, insieme a tutti gli altri.


Mentre le donne sparecchiavano, Larco - su invito di Leone - cominciò ad snocciolare a tutti il suo sapere, usufruendo dell’aiuto di Clio – fidata segretaria di Leone – per mostrare dati e immagini sul grande monitor ch’era alla parete.


Per farci intendere la realtà cominciò con i nuovi Eustacchi – moneta ufficiale di Eustachia – che Patatona e i suoi stavano preparando con poco segreto da tempo, marchiandoli con il fondente neutrale Schwyz a sud e con il cloruro di potassio walchiria delle Pai a nord. Tutto ciò perché, essendo più larga che lunga nella cervice, aveva una visione politica molto ristretta, assai impregnata di acrazia per la federazione e di autoritarismo egemone per il proprio Land.



Così Larco parlò.



Bausia era inviso a Patatona. Perciò costei fece pressioni sul Nano - la volpe -, in modo di sostituirlo con Becca –il gatto -, pensando in questo modo che i due potessero ripetere la formidabile coppia del Gambero Rosso, l’uno cieco e l’altro zoppo per il troppo … studiare. Entrambi, infatti, essendo animali taumaturgici e … divini, dovevano convincere gli itachiani a seppellire i loro risparmi nel Land dei Barbagianni, posto al centro di Eustachia dove regnava da poco Grisù, in un terreno prodigioso detto il Campo dei Miracoli.


Per farlo usarono lo spread onde creare apprensione. Ma essendo per loro cosa impossibile usufruirono per ciò dei servigi dell’Uomo dai sacchi d’oro che, per la verità, li manipolava a loro insaputa da molto tempo, come se fossero marionette. Il bisonte, non avendo una visione ristretta come loro, già da tempo si era attrezzato all’uopo, imperando sul mercato ovunque.


In Itachia vi erano dei principi che odiavano Bausia; tra questi si distinguevano per totale idiozia manifesta Sanmarzano e Bordello. Perciò, su sollecitazione del Nano, digerirono pure Becca, che in un colpo solo tolse loro l’agognata poltrona da sotto il deretano.


L’Uomo dai sacchi d’oro, essendo un bisonte, ben si ricordava di Honest John e di Gideon. Perciò per imporre il gatto Becca, parco di parole e ottuso, lo affiancò alla volpe Nano, parlatore di professione e venditore di fumo.


Sicché, con l’ausilio di Patatona, interessata ad assumere da capace e avvenente attrice il ruolo di Stromboli, detto Mangiafuoco, si misero all’opera. Personaggio per lei ch’era … perfetto.


L’Uomo dai sacchi d’oro attaccò lo spread, mentre il Nano cominciò a vaticinare a Cuma, sua patria natale, onde preparare gli eventi. Bausia un po’ resistette, ma poi ci cascò e ruzzolò; il Nano lo aiutò a rialzarsi, gli prese la mela, che mangiò rendendogli il torsolo, e l’abbecedario per darlo a Becca. Il resto lo fece … Patatona.



Larco tacque e … Gitré annuì, avendo vissuto in prima persona gli eventi. Scalogno aggrottò le ciglia con la bocca aperta, quasi incredulo, mentre Castagne cercò di arricciarsi gli ispidi peli, guardando interrogativamente Profitto.


Malaparte si grattò la nuca disadorna, da bravo itachiano; mentre Bianco, non sapendo che fare, bevve un sorso di Pinot bianco del Reno.


Leone, apolide qual’era, li osservava divertito e interessato, come se stesse procedendo con uno studio di simbiologia su cotanti soggetti.


Lyestar prese al balzo l’occasione per far portare il caffè, compreso il milk atto a diluire a Leone la bollente bevanda.




Si discusse a lungo, pacatamente e sapientemente, e ognuno degli ospiti disse la sua, porgendo il proprio pregevole contributo al sapere di tutti.


Perciò il sole volgeva, ora, molto a ovest, inarcando il suo lucente carro verso l’orizzonte, tra un rosso fuoco che pareva divorarlo.


Prese, infine, la parola Leone, mentre MaryAnne si accingeva a servire il the sotto i due lampadari che illuminavano la grande sala, atti a sostituire il sole che si spegneva velocemente sull’orizzonte dei galli.



Siamo qua, graditi ospiti, quasi in terra ostile e lontani da occhi e orecchi indiscreti. Il luogo incantevole, l’ospitalità calorosa e gli eventi sono la nostra giustificazione, oltre che la nostra ponderata scelta. Non siamo animali di un solo Land!


Qua ci riunisce il nostro amor di patria per una terra nuova e più vasta, che non abbiamo né voluto, né condiviso, in una tanto insana e oligofrenica coagulazione. Tornare indietro costerebbe a tutti più di quanto si potesse immaginare, in un disastro che nessuna mente, per quanto eccelsa, potrebbe ora quantificare. Ben sappiamo, perciò, chi dobbiamo ringraziare, pur senza alcun rancore.



Non temiamo, comunque, il disastro generale; perché in tutti noi vi sono quelle capacità in grado di farci risorgere. Però siamo preoccupati per tutti quelli che sono assai meno protetti e che già soffrono assai. L’aiuto filantropico o caritatevole di tutti noi, già in atto e in modo assai riservato da tempo, in un tale ipotetico e realistico disastro sarebbe solo una goccia in mezzo all’oceano della necistà assoluta.


Beccamorti non è un idiota e la nostra discussione lo ha posto bene in risalto. È, tuttavia, un nozionista incapace, nel suo rude e complesso pensare, di andare oltre ciò che già sa. In pratica è uno statalista classista che non sa concepire altro che la casta in cui vive, totalmente ignaro delle difficoltà del popolo tutto. Se così non fosse, infatti, non avrebbe prodotto una manovra tanto demenziale con un appellativo tanto pomposo.


Lui si crede un massiccio himalaiano, mentre in realtà non è altro che una piccola protuberanza.


Potrebbe però essere migliore di ciò che è, proprio come Gitré ha dimostrato dopo averci sbattuto inizialmente il naso. Perciò, non potendo fare altro, … speriamo … di potercela fare.


Con la condiscendenza della volpe ha già impiccato gli itachiani ad una quercia, onde prelevargli gli ultimi zecchini d’oro; per seminarli, indi, nel giardino di Grisù, per il diletto di Patatona che li vorrebbe tanto innaffiare.


Noi tutti possiamo poco divisi, molto di più uniti. Dalla nostra abbiamo operatività, sapere, collegamenti e capacità di ideare una società della foresta nuova, svincolata dal capitalismo d’assalto globalizzato, che ha prodotto questi guasti avviandoci verso il tracollo globale.


Siamo consci delle difficoltà, ma fiduciosi nel futuro.



Ciò che i nostri re, e ministri, non intendono – e che anzi servono nella loro nefandezza istituzionale – è il servilismo al mercato, come se questo non lo si potesse riformulare al servizio di tutti.


Proprio quel mercato che con Bausia indicava uno spread sui 200 e che ora si è più che raddoppiato; e che, tra breve, potrà anche triplicarsi, per puntare subito a quadruplicarsi. Sarà, allora, uno dei segni dell’apocalisse della disgregazione totale.


Il mercato non crede a Beccamorti, proprio come a lui non crede nessuno dei suoi sudditi. Gli indici di riferimento, innalzandosi da una parte nello spread e flettendo continuamente dall’altra nell’indice di capitalizzazione, ci condannano.


Solo lui crede in sé stesso, tronfio com’è del suo nozionismo neoliberista: novello dio, tornato sulla terra per salvarci. Forse ritiene solo di crederci, avendo oltre al suo l’appoggio dell’Uomo dai sacchi d’oro.


Non si può più procedere così!



La nostra speranza futura è il nostro impegno, supportato dalle nostre conoscenze e dalle nostre giuste previsioni stilate tempo fa.


Abbiamo bisogno di una nuova società sia a livello civile che economico/finanziario. Una società diversa e non fondata sul solo profitto, dove il Pil non sia l’unico parametro di riferimento da rincorrere ad ogni costo.


Una società non cresce solo con la ricchezza monetaria, ma basando le proprie radici e fondamenta su una cultura diversa in grado di distribuire armoniosamente la ricchezza disponibile. Se non vi è una partecipazione globale di tutti, partecipativa e distributiva, si persegue solo l’accumulo individuale, perciò il solo capitalismo globalizzato: il dio business.


Nel nostro piccolo tutti noi abbiamo già sperimentato ciò: chi con l’opera, chi con le idee e l’impegno, chi con il proprio lavoro, chi con le proprie sostanze e chi con la propria imprenditoria. Abbiamo creato un piccolo circuito virtuale che funziona e che è in grado di dare sostegno, fiducia e sicurezza nel futuro a chi è molto meno fortunato o capace di noi.


Siamo coscienti e capaci di donarci agli altri! Ci sentiamo Popolo della foresta: uguali, pur se dissimili, a tutti gli altri nostri fratelli animali.


Dobbiamo batterci in modo che queste idee si radichino nella nostra società.



Prima abbiamo indicato delle strategie variabili, contingenti alle future evoluzioni politiche e sociali, comprese quelle eventualmente traumatiche e - speriamo di no – pure violente.


Siamo in un momento grave, pregnante di nebulose incognite.


Gli animali della Foresta sono stufi di tutti e non hanno più fiducia in nessuno, neppure dei vari gatti e volpi che infestano ogni Land. È probabile che pacificamente col voto, o con ribellioni di massa, li mandino tra poco in … contumacia. Però i sostituti potrebbero essere anche peggiori di chi li ha preceduti.


L’antipolitica e l’avversione alla casta sono palpabili ovunque, sia dove vi è crisi, sia dove vi è ancora un certo benessere. E in questo pessimistico caso il popolo non sarà più in grado di riconoscere l’amico dal nemico; perciò pure … noi.



MaryAnne aveva già servito il the; per cui Leone tacque.



… Era già buio; e Lyestar ci pregò di visionare ognuno la stanza assegnataci per la notte, prima di passare alla cena.


Non potevo però fermarmi e fuori tutto era ormai un blocco di ghiaccio. Perciò salutai tutti.


L’esperto Maximilian mise perciò in azione la libellula e …, con un perfetto volo, mi depositò fuori dell’uscio di casa.




Sesac