martedì 28 aprile 2020

Lettera aperta a un sindaco di paese.


Oggi, venne in visita da me Sesac; e mi consegnò questo racconto che pubblico, come sempre, assai volentieri.

Tratta, come consuetudine, della vita degli animali della foresta e dei fatti di un tempo che fu.
Ogni accostamento del racconto a eventuali simili fatti della realtà è puramente casuale.

                            Sam Cardell

Tratto da “i Dialoghi” di Sesac

                                                 Lettera aperta a un sindaco di paese.

La primavera era tornata inondando di fiori orti, campi e giardini. Pure la carnosa bergenia aveva già impreziosito coi suo grappoli rosa la piccola aiola della corte.
Un  infido virus, venuto da lontano, serpeggiava dall’inverno per le vie sempre più deserte del borgo.
Lemme lemme s’era insediato anche tra i vecchi muri screpolati del centro storico, reso ancora più deserto non solo dalla penuria di abitanti, ma soprattutto dal timore del contagio.
Talora, durante la giornata, i lugubri rintocchi cadenzati delle campane a morto della pieve rompevano il silenzio che regnava ovunque, annunciando che qualcun altro se n’era andato.
Capitava, allora, che una finestra si aprisse e che un’altra, poco discosta e della casa vicina, facesse altrettanto, mostrando l’effigie di due stagionate timorose comari che, da lungi, si chiedevano vicendevolmente: chi el?
Per la verità il nuovo defunto era già stato sottratto ai suoi da tempo dai nuovi monatti, strappato agli affetti più cari all’insorgere della malattia. Portato spesso lontano in qualche lazzaretto che restava blindato a tutti. Messo intubato in terapia intensiva e in coma farmacologico in pratica era già come se fosse morto, considerato che da quei tristi luoghi di sofferenza dopo lunghi giorni di calvario erano più quelli che ne uscivano in una bara che quelli che si salvavano.
I parenti angosciati temevano che il telefono di casa squillasse per annunciare il tragico trapasso, sobbalzando al trillo più innocente, magari di qualche parente o amico che bramava ottenere una speranzosa notizia.
Solo dopo molti giorni dalla dipartita le ceneri del povero disgraziato, soprattutto anziano, venivano riconsegnate ai suoi cari in una piccola anonima urna, per essere subito tumulate nel cimitero del borgo senza alcuna cerimonia e pubblico saluto. Anche le pievi, infatti, erano state sigillate al culto.
Alcuni parenti di Leone se n’erano già iti, così come diversi conoscenti ed amici.
Pure l’Osvi - il dottore, come lo chiamavano tutti per via della sua professione – se n’era andato in silenzio, quasi alla chetichella. Grato a Dio per averlo tolto dalla Geenna e liberato da quelle spoglie mortali che lo avevano incatenato da tempo in un letto di dolore. Dipartito per patologie pregresse, avrebbero detto i cianciatori.
Tra i molti anche l’amico pittore lo aveva seguito, abbandonando in modo frettoloso e imprevisto pennelli e impasti, portando seco solo la folta barba selvaggia ormai incanutita dal tempo, oltre che dalla candida farina.

Leone da molto tempo stava seguendo l’evolversi del virus, da quando era comparso là, molto lontano, dove sorge il sole. Non si fidava, infatti, di quelli che lui chiamava con benevola ironia “i soliti idioti”, intenti più che altro ad occupare poltrone senza saper spesso, ahimè, nulla fare.
Così soleva dire. Forse perché nella sua vita ne aveva conosciuti troppi di questa ‘brava’ gente, fenomenali in ciance e carenti in opere. Non di piccolo cabotaggio, ovviamente.
Riteneva, considerato l’andazzo e l’andirivieni continuo senza alcuna prevenzione da quel luogo infetto, che il bubbone prima o poi sarebbe esploso pure da noi. Infatti, non ebbe torto.
Perciò, mentre il virus era ancora lontano, aveva provveduto a blindare la casa a tutti, compresi i parenti stretti, per proteggere non tanto sé, che non temeva affatto la morte, ma l’anziana centenaria Madame dal possibile contagio.
Pure Billyno aveva percepito la gravità della situazione e usciva malvolentieri; e solo brevemente nella corte.
Leone, inoltre, s’era studiato le varie patologie pandemiche e le possibili cure, perché riteneva che il miglior medico esistente è colui che sa curare perfettamente sé stesso.

Or avvenne che nel barbaro ma opulento Land di Ermengarda vi fosse l'urgente necessità di nuove strutture ricettive e alcuni amici lo contattarono per ottenere la sua disponibilità.
Leone rispose che non lo poteva fare materialmente, ma che da lungi, in smart-working gratuito, avrebbe potuto dare il suo contributo. Pretendeva solo la riservatezza assoluta, in quanto la mano sx non deve sapere cosa fa la sua dx. (Mt 6,3-4)
Così avvenne e la macchina organizzativa iniziò a progettare, senza fermarsi neppure quando uno dei soliti idioti disse che no, non si poteva fare perché non c’era il personale, facendo perdere settimane preziose.
Lavorò sodo, con un andirivieni telematico di dati che lo portò a consumare in traffico più di 100 Gbs in un solo mese.
Poco prima che tutto fosse finito, dopo aver provveduto a mettere in sicurezza Madame, fece pure con i colleghi del team un sopralluogo materiale per gli ultimi dettagli. Fu soddisfatto del lavoro svolto.

In quelle settimane, pur lavorando ugualmente, non era stato molto bene e l’intenso lavoro l’aveva prostrato. Si sentiva stanco e aveva, pure, trascurato molte delle sue cose, compreso l’orto. Perciò, con molta cautela, iniziò a lavorarci, potando alberi da frutto, togliendo l’erba che aveva invaso tutto e  facendo le prime vangate.
Fu così che dopo averci lavorato un po’ e sentendosi stanco, decise ch’era l’ora, per quel giorno, di piantare il chiodo  e di riposare.
Scese dall’orto e vide che nella cassetta della posta v’era il giornale. Togliendolo vi trovò pure un foglio con l’intestazione del comune, senza busta e ripiegato in tre parti, a lui direttamente intestato.
Guardò sommariamente e senza approfondire disse a Billyno che gli trottava accanto:
Sai chi sono questi Billyno? I furbi del villaggio di Asterix e Obelix. Vedremo di dare poi una risposta appropriata pure a loro.
Ecco l’inizio: Gentile Cittadino. Dimmi, Billyno, il sostantivo ti ricorda qualcosa?
Billyno alzò il suo bel musetto, sgranò meravigliato gli occhioni neri, drizzò le orecchie per l’intensità dello sforzo intellettivo e dopo alcuni istanti rispose sicuro: Marat, Danton e Robespierre!
Bravo, gli disse Leone, dandogli un buffetto sulle guance.

La missiva diceva testualmente:

Oggetto: Mancato ritiro della fornitura 2020 dei sacchi per l’immondizia

Gentile Cittadino,
da un controllo effettuato dai competenti Uffici comunali risulta cha la S.V. non ha ancora provveduto al ritiro della fornitura contingentata dei sacchi da utilizzare nel corrente anno per la raccolta dei rifiuti.

Nell’invitarLa a provvedere quanto prima al ritiro, Le ricordo che l’inosservanza delle norme inerenti la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti domestici e/o industriali integra un illecito amministrativo e, nei casi più gravi, anche la responsabilità penale.

Infine, Le chiedo cortesemente di specificare per iscritto, con comunicazione da inviare al sopra intestato Comune entro e non oltre 30 giorni dal ricevimento della presente, i motivi per i quali non ha ancora ritirato la fornitura in oggetto e le modalità con cui, nel frattempo, ha smaltito i rifiuti.

In mancanza di quanto sopra, l’Amministrazione Comunale sarà costretta, suo malgrado, ad aprire un’attività istruttoria per le verifiche del caso, con conseguente irrorazione di sanzioni qualora dovessero ravvisarsi irregolarità  e/o violazioni delle vigenti norme in materia.

Certo della Sua collaborazione, porgo distinti saluti.

Il Sindaco

Leone aveva diverse cose molto più importanti da fare che dall’interessarsi delle baruffe ciosote. Perciò accantonò il foglio, tanto inutile quanto assurdo sia nella richiesta che nel contenuto.
Perché, in base alla comunicazione avuta, per l’Amministrazione era prioritario ritirare i sacchi contingentati della spazzatura che lo smaltimento corretto dei rifiuti. Quest’ultimo passava in secondo piano. Se avevi ritirato i sacchi tu eri già beato in … paradiso! E nessuno avrebbe avuto nulla da ridire.

Aveva sempre pensato che la politica fosse compartecipazione, perciò quella sinergia diretta tra cittadino e amministratore che fa funzionare bene la società.
Spesso, invece, accadeva che gli amministratori intendessero per democrazia il suffragio elettivo diretto, dimenticando poi tutto il resto. Amministrando spesso con grida manzoniane, come se comandassero un popolo beota di zulù.
L’istruire il cittadino e l’essere istruito da questo, in modo vicendevole per comprendere perfettamente istanze e necessità della macchina amministrativa e farla funzionare al meglio, non era nelle priorità dell’amministratore, intento per lo più a seguire il suo istinto di capobranco, che tutto può e che tutto vuole.
Perché l’amministrare, nei secoli, era diventato via via un modo non di servire la comunità, ma di praticare il potere. Questo era bramato pure dai cattolici, che si incensavano da sé con la frase sia di Paolo VI che del Vaticano Secondo, per i quali la politica è l’atto più nobile della carità cristiana (Apostolicam actuositatem). Carità solo, però, se ben … retribuita!
Considerato ciò, pensò che una semplice risposta non sarebbe servita a dare un segnale forte di discontinuità operativa. Ci voleva qualcosa di dettagliato e di prorompente, capace di scuotere la fallace sicurezza dell’amministratore; un j’accuse informale che lo facesse riflettere. Possibilmente farcito con alcuni inserti subliminali.

Dopo diversi giorni riprese il foglio in mano, si armò di carta e penna e così scrisse.

Gentile Sindaco di questo paese,
Lei conoscerà sicuramente il detto primum vivere, deinde philosophari, sia nel suo intrinseco significato letterale che in quello lato. Che sarebbe: visti i fatti, ragioniamoci sopra.
Premetto che non la conosco e che, se mi capitasse di incontrarla, non saprei neppure chi lei sia. Credo - presumibilmente, anche se non ne sono certo - che la stessa cosa possa valere per lei nei miei riguardi. Ne consegue che possiamo essere considerati dei ‘numeri’ di un’organizzazione sociale.
So di occuparle in questa lettura del tempo prezioso; pur se, è bene specificare, che pure io ne ho già impegnato nel leggere la sua missiva e nel redigere, civicamente, questa risposta. Che, spero, le sia completa ed esaustiva, risolutiva a ogni suo quesito.
L’occasione mi è favorevole sia per risalire in cattedra ancora una volta, sia per riprendere carta, penna e calamaio in mano, sia per scrivere un nuovo articolo pubblico sulla questione. Quindi è molto probabile che, quando lei leggerà queste righe, molte persone ne siano già a conoscenza; perché l’invio di questa lettera tramite Pec – per cui dovrà essere protocollata e restare agli atti – sarà contestuale alla pubblicazione dell’articolo stesso.

A essere sincero la sua missiva mi ha un po’ meravigliato, non tanto per la motivazione che l’ha generata, ma per il modo – corretto nella forma, ma vessatorio e intimidatorio nel contenuto – con cui è stata redatta. Almeno l’ho intesa, da analista e da cittadino, così.
Ovviamente, al suo posto, mi sarei ben guardato di inviare un tal testo sulla problematica in oggetto, con tal esposizione più adatta a un podestà che a un sindaco. Non perché i podestà abbiano avuto un ruolo negativo, ma perché prodotti da una forma di potere discutibile, dove dietro il formale amministrare spesso era celata la protervia e la iattanza del potere. Non a caso tale lemma è l’esatto anagramma di un altro sostantivo, più antico e dal quale deriva, non molto rassicurante.
Purtroppo talora, come si sa, la politica è un’ecolalia ridondante del passato.
Non l’ha redatta lei, ma un solerte impiegato? Tutto è possibile, anche se il solo firmarla equivale a farla propria.

Vede, la sua adespota missiva (firmata, con intestazione comunale e senza data, in foglio ripiegato in tre parti, senza busta e quindi alla mercé di qualsiasi eventuale curioso pur se personale) l’avrei potuta benissimo cestinare e ignorare senza alcuna conseguenza, per il semplice motivo che, pur se eventualmente da voi protocollata, visto il contenuto e le richieste (impositive) fattemi non mi è stata fatta pervenire né tramite R/R o Pec, né dal messo comunale che ne abbia raccolta la firma di avvenuta consegna.
In sostanza il suo essere ‘carta straccia’ è nobilitata dallo scrivente, che dichiara civilmente e cortesemente di averla vista, di averla letta e di darne risposta.
Premesso tutto ciò, passiamo al contenuto.

Essendo magnanimo (eufemismo) le dirò che il suo invito (categorico e imperativo) a specificare per iscritto entro e non oltre 30 giorni (sintatticamente: basta ‘non oltre’) le modalità, da me praticate, di smaltimento rifiuti, lo voglio considerare benevolmente come un sondaggio a campione per eventualmente praticare migliorie o consigli agli utenti sulla raccolta differenziata.
Aggiungo, inoltre, che non ho ritirato la fornitura contingentata per il semplice fatto che non faccio il collezionista dei sacchi della spazzatura, avendone ancora parecchi di riserva degli anni scorsi. Come non li devo immagazzinare per poi rivenderli. Sono, infatti, solito acquistare e procurarmi solo ciò che mi serve.
E, vedendo gli altri sacchi nel punto di raccolta in piazza, mi pare proprio che siano perfettamente uguali a quelli dello scorso anno e che sto utilizzando. Accetto, in proposito, sue correzioni di merito se in errore.
Perciò, considerato che vivo da solo con una centenaria, ben si capisce che usando (non riempiendo) un sacchetto il mese ne ho a iosa per non so quanto tempo. In compenso pago centinaia di euro per conferire meno di mezzo quintale di differenziata l’anno. Per la serie: quanto costa al quintale la spazzatura?
Inoltre se è obbligatorio conferire i rifiuti in appositi e specifici sacchi o contenitori – come da regolamento – non mi consta che, avendone in abbondanza di scorta, sia obbligatorio ritirarne di nuovi se gli stessi sono identici a quelli dell’anno prima. Per che farne? Semplice: inserire i rotoli in eccesso in un apposito sacco della spazzatura!
Però, al giorno d’oggi e visto l’andazzo politico, non mi meraviglierei affatto se questo vostro comune avesse deliberato sui sacchetti anche in tal senso. Oppure se ogni anno, sempre con apposita delibera, si decidesse che i sacchi precedenti non siano più validi all’uso.
Ne consegue che, con assai meno sicumera, bastava dire che è tassativamente obbligatorio ritirarli per non infrangere la legge. Oppure che i sacchi sono stati cambiati con delibera e che gli altri non sono più validi.
Dopotutto siamo in un mondo consumistico, dove il produrre è commisurato non alle necessità, ma assai spesso solo e unicamente al business, perciò al produrre per guadagnare e spendere. E ciò vale anche per tutte quelle miriadi di compartecipate pubbliche che più che dare un servizio specifico sono diventate – puta caso – uno stipendificio, dove piazzare di norma gli amici degli amici, preferibilmente a livello dirigenziale. Così va il mondo, caro sindaco.
E non importa neppure se queste aziende diventano poi dei pozzi di San Patrizio, capaci di ingoiare per il loro mantenimento cifre mostruose e spaventose dai bilanci dei comuni e, con conseguenza diretta, dalle tasche dei cittadini.

Relativamente allo smaltimento rifiuti da me praticato, elucubrerò su ogni aspetto dei singoli rifiuti.

Rifiuti corporali.

Una volta vi era il cesso nella corte (lei forse no, ma se chiede ai suoi genitori e nonni lo sapranno) dove si facevano i propri bisogni corporali e dove il mattino si conferiva ciò che nella notte, per comodità, era stato messo nel pitale. Il cesso aveva una fossa detta pozzo nero, maleodorante specie in estate, che di solito in primavera era svuotata. I liquami da lì prelevati, preferibilmente in giornata piovosa, erano conferiti come letame o negli orti o nei campi. Non c’erano, infatti, le condotte fognarie oggi esistenti.
Oggi ogni abitazione è dotata di bagno e di acqua corrente. Ne consegue che i rifiuti corporali si depositino nel water e che poi, tramite lo sciacquone, siano riversati nella fossa biologica – dove esistente – oppure direttamente nelle condotte fognarie.
La mia abitazione già da molti decenni è dotata di servizi igienici e di fossa biologica. Il tutto collegato alla rete fognaria pubblica.

Diverso è il discorso se si è fuori a praticare sport o tempo libero.
In passato – prima della malattia e alla doverosa assistenza alla centenaria – ho praticato, oltre ad altro, per decenni l’alpinismo ad alti livelli, sia sulle Alpi sia extra. E pure allora, se era necessario effettuare il proprio bisognino, ebbi la massima cura di allontanarmi dal sentiero, o via battuta, e di riversare in luogo idoneo e appartato. Indi coprivo con terriccio, con sassi o con neve i miei bisogni.
Non solo: avendo guidato spesso dei gruppi avevo cura, sempre, di raccomandare a tutti di fare altrettanto, se notavo che ciò non avveniva.

Frazione umida.

Da decenni coltivo nel tempo libero l’orto; ne consegue che tutte le frattaglie e gli scarti siano posti in una ciotola e ogni giorno portati nell’orto dietro casa in apposita buca per farne humus.
Ho pure cura di risciacquare ogni volta la ciotola.

Frazione secca.

È depositata in un secchio e quando ve n’è sufficienza per farne un sacchetto si versa nell’apposito sacco che, dopo essere stato chiuso, è posto nella convenzionale area pubblica destinata alla raccolta.
Come già accennato ciò avviene circa una volta il mese.

Carta e cartone.

Ogni giorno mi giunge per posta il giornale e periodicamente alcune riviste. Come pure si è inondati da vario materiale pubblicitario che non guardo neppure mai.
Vi sono pure i tetrapak per alimenti, che dopo averli debitamente risciacquati e scolati ho il vezzo di comprimere e di riporre in apposita cassetta.
Molto saltuariamente, quando la cassetta è piena e nel giorno stabilito, la deposito in fondo alla stradina privata di accesso alla mia proprietà, dove gli incaricati la raccolgono.
Ho pure cura di non metterla in caso di pioggia, per non farla infradiciare.

Vetro e lattine.

I vasetti e le bottiglie per alimenti li pongo – sempre dopo averli ben risciacquati e scolati – in un secchio in plastica da 30 l.
La stessa cosa faccio per le lattine degli alimenti, che, pulite e asciutte, sono sistemate in un altro secchio.
Quando uno dei secchi ne contiene una certa quantità si pone, nel giorno stabilito, sulla mia proprietà nello stesso posto dove in altri giorni si deposita pure la carta.

Plastica.

Analogo è il discorso per la plastica, sia questa derivante da contenitori di alimenti o di imballaggi vari. Sempre pulita è accantonata; infine riposta nell’apposito sacco solo il giorno del programmato ritiro. Sempre compressa per evitare inutili volumi per il trasporto.

Materiale ingombrante.

In tutti questi anni mi è capitato di dover smaltire solo due volte del materiale ingombrante, che dopo aver caricato in auto ho portato alla piazzola ecologica comunale; e depositato perfettamente dove gli addetti mi hanno indicato.
Erano: un piccolo elettrodomestico e un materasso usurato.


Lei si potrebbe chiedere perché mai abbia cura di pulire ogni oggetto da conferire nella differenziata prima di riporlo.
Le risponderò pure su questo: per doveroso senso civico. Per non generare batteri e, come minima conseguenza diretta, sgradevoli maleodoranze sia nel cortile coperto dove ho cura di riporli prima di conferirli, sia durante il trasporto e l’accatastamento ante distruzione o riciclaggio.

Affronto ora la mia considerazione personale sull’ultimo suo ‘sibillino’ paragrafo.
Vede, io ritengo che lei possa fare tutto quello che ritiene opportuno per verificare la veridicità di quanto ho dichiarato, sia facendomi visita di persona, sia mandando dei suoi incaricati.
Perché, in sostanza, il cittadino che si sente perfettamente e civicamente ligio alle regole civili, più che ai freddi regolamenti, non ha nulla da temere da eventuali controlli. Gli fanno, semplicemente, un baffo!
Semmai ha tutto da guadagnare e magari qualcosa pure da … insegnare.
Per paradosso specifico che non mi aspetto per questo una medaglia o d’essere per ciò nominato Cavaliere o Commendatore della Repubblica. Sono allergico alle onorificenze e, quando mi furono assegnate, le ho sempre rispedite al mittente; non solo in patria.
Mi basta e avanza essere in pace con la mia coscienza e con l’essere cittadino non di questo ‘suo’ paese, ma apolide del mondo. Infatti, pur avendo sempre mantenuto la stessa residenza, per il maggior tempo della mia esistenza sono stato per lo più altrove.
La mia  casa, pur nella sua modestia, è sempre stata aperta a tutti quelli che per varie ragioni l’hanno voluta visitare: sia per fare quattro chiacchiere, sia per avere delle informazioni, sia per chiedere un parere, sia per ottenere, eventualmente, qualche aiuto. È aperta anche a tutte le possibili ispezioni di questo mondo, nel rispetto della legge in materia.

Mi permetta, infine, un piccolo quesito sulle sue attività istruttorie. Ben più importante, a mio parere, dell’indagare sul mancato ritiro dei sacchi dell’immondizia.
Ne ha poi aperta una sul pasticciaccio Imu per verificare chi ne siano i responsabili? Perché, pur tralasciando il riferimento agli innumerevoli casi che si sono verificati in questo comune, la mia famiglia è stata invitata con tanto di penale, interessi e sopratassa a versare ciò che già da molto aveva correttamente e nei termini di legge versato.
Pure allora, gentile Sindaco, dovetti recuperare dall’archivio elettronico le quietanze degli F24 incriminati, indi recarmi in comune per sentirmi dire dalla responsabile, dopo oltre due ore di paziente fila, che sì, a lei risultava tutto perfettamente e puntualmente pagato. Che poi mi sarebbe giunta una comunicazione relativa alla cancellazione della somma erroneamente richiesta. Comunicazione finora mai pervenuta.
Sa, non vorrei che tra altri anni ce ne giungesse un’altra sempre relativa allo stesso caso, con somme e penali aggiuntive. Se, nel frattempo, non sarò già passato a miglior vita.
Vede, chi ha sbagliato è stato sicuramente retribuito. Il cittadino è stato solo … mazziato e … demonizzato.
Ma così va il mondo. Nella pubblica amministrazione il colpevole è spesso sconosciuto e, come in questo caso specifico, è stato individuato nel ‘sistema informatico’. Che, è bene precisare, non emette nuove cartelle esattoriali se qualcuno non gli dà l’apposito comando; anche perché è una macchina con intelligenza artificiale alla quale risulta e risultava che l’imposta era stata perfettamente evasa. Non ha vuoti amnesici!
Il tutto detto da chi ha iniziato ad usare i sistemi informatici già negli anni settanta frequentando il Politecnico.
La tempistica sulla questione, pur entro i canonici cinque anni massimi prescritti dalla legge  (N.d.R.: come saprà K. Habsburg definì la legge umana il frutto dell’incapacità e dell’imbecillità umana nell’agire) mi lascia basito, considerato che il Comune non naviga nell’oro.
Ne consegue che gli opportuni controlli si sarebbero dovuti espletare molto prima. Come pure, se l’errore di calcolo è stato fatto o da un professionista o dal comune stesso, non è ammissibile che dopo anni sia richiesto in conguaglio al cittadino che ha versato quanto richiestogli. Sarebbe come a dire che, acquistato un prodotto, dopo cinque anni il venditore richiede un supplemento, perché ha sbagliato a conteggiare … il prezzo. Non so se ha ben compreso la sequenza logica del philosophari nei sillogismi.

Potrei aggiungere molte altre cose; ma non voglio abusare del suo prezioso tempo d’amministratore, pur se retribuito dal cittadino. Diciamo che ha ben altro da fare che leggere le mie considerazioni e precisazioni.
Chiudo, pertanto, salutandola cordialmente.
Nella speranza di non averle causato una diaclasi … interiore.


Leone firmò la lettera e dopo averla convertita in Pdf la spedì per via telematica.



Sesac