martedì 26 marzo 2013

Bersani: il fallimento di un’utopia.


Il lavoro di Bersani penso sia destinato a fallire.
Per saperlo bisognerà aspettare solo altre 48 ore. Poi, quasi sicuramente, Napolitano cercherà un’alternativa a questo tentativo pleonastico, perché tale proprio dall’incarico già era. Infatti, non può neppure sciogliere nuovamente le Camere, essendo nel semestre bianco.
In verità il Presidente più che dare un incarico diretto esplorativo doveva procedere in altro modo; magari con un incarico esplorativo istituzionale, onde individuare la personalità adatta a formare un nuovo esecutivo.
Sicuramente avrà avuto le sue buone ragioni.

Incrociai Bersani per la prima volta circa 2 decenni fa, in Veneto ad un’inaugurazione. Al di là della cultura che mi differenzia da lui lo ritenni una bonaria persona, sicuramente rispettabile, ma con poca visuale davanti a sé. Un uomo dal classico slang popolare da Casa del popolo provinciale.
La sua attività (carriera) politica è il percorso di chi la pensa a suo modo e per quello se ne va senza badare ad altri.
Non è un uomo di dialogo, né di costruzione. È un uomo di scontro e barricate, pur con l’etichetta di “democratico”.
È avvenuto ciò alle Primarie, è avvenuto in campagna elettorale, avviene ora come Premier incaricato. Non cerca le alternative possibili, ma segue solo la sua. Ha il paraocchi … organico.
La sua carriera raggiunge l’apice in questo ultimo periodo, quando conquista la Segreteria del Pd. La ottiene più per l’inesistenza di vere menti grigie nel partito che per carisma proprio.
Le 2 eminenze – D’Alema e Veltroni – s’erano tirati da parte per ragioni di opportunità politica e proprie, lasciando sguarnito il partito.
L’esperienza Franceschini (lanciato da Veltroni) aveva reso palese che il partito era stato affidato nelle mani di un ragazzo, tanto che i risultati furono fallimentari. Per cui le varie correnti pensarono a Bersani, forse più come atto transitorio che come vero leader.

Il Pd, infatti, è un partito arlecchino. Dentro ci sono i vecchi esponenti del Pc – tra cui Bersani – e ex Dc,  oltre ad altri agglomerati della Sx. È il frutto del valido progetto di Veltroni di creare un bipolarismo reale, basato su 2 forze vere, moderne e d’ispirazione democratica, in grado di alternarsi eventualmente al comando. La sconfitta elettorale subita portò l’allora segretario a dimettersi, affossando così un progetto estremamente valido. E il partito non ebbe il tempo di trasformarsi totalmente.
Da allora il Pd ha vivacchiato, ma mai puntato veramente a formulare nuove idee.
L’avvento di Renzi ha smosso l’apatia latente di un partito votato all’opposizione, creando perciò nuove correnti e divisioni e scompaginando la statica gerarchia organica propria dei partiti di derivazione comunista.
In questo substrato culturale di scarsa levatura, dalle primarie per la Segreteria è sorto l’astro di Bersani, peraltro culturalmente assai spento. Astro che si è riconfermato alle Primarie per la candidatura a Premier.

Dopo la sconfitta/vittoria elettorale - assai risicata per una manciata di voti soltanto - Bersani ha reclamato per sé il diritto a condurre le consultazioni per la formazione di un nuovo governo, mettendo perciò in difficoltà Napolitano. Lo ha fatto però non capendo che la campagna elettorale era alle spalle e che per governare bisogna cercare ampie convergenze. Non ha il senso né della tattica, né dell’opportunità, neppure in un momento difficile e straordinario come l’attuale.
Non si capisce Bersani, tuttavia, se non si entra nell’ottica del classico uomo di scontro e non di confronto.
Per cui, odiando Berlusconi e il Pdl, ha voluto puntare solo su Grillo. Costui non è sceso a patti e perciò Bersani ha conquistato la presidenza di Camera e Senato, aggrovigliando ancor di più e senza saperlo la matassa.

Le possibilità numeriche per formare un governo non sono molte[1]; le probabilità reali ancor meno. Queste sono addirittura inesistenti se basate sul progetto irremovibile di Bersani di procedere con un monocolore programmatico basato su 8 punti, senza una maggioranza precostituita. Ragione per cui Napolitano gli ha “dovuto” affidare solo un incarico esplorativo.
Che poi un segretario di partito, e incaricato premier, debba consultare le parti sociali per capire la drammaticità del Paese è emblematico del distacco totale, suo, dalla realtà.

In sintesi:
Il piano A di Bersani prevede Grillo, ma questi non ci sta in alcun modo e per nessuna ragione. Capisce che le diversità ideologiche e programmatiche sono enormi e che l’unirsi con il Pd sarebbe come rinnegare tutta la campagna elettorale fatta. Basti citare solo il referendum popolare su Ue e €.
Come piano B invita ora la Lista civica; ma questa è stata boicottata da lui per la presidenza di Monti al Senato. Forse i numeri – con la benevolenza sistematica dell’opposizione – potrebbero anche esserci in pratica, ma non nella realtà. Sarebbe comunque una maggioranza precaria come l’Ulivo di Prodi.
La compagine di Italia Futura (Montezemolo) è stata boicottata dallo stesso Monti per i capigruppo, per cui  dichiara esplicitamente che è disponibile ad appoggiare l’eventuale governo solo se nella compagine ci sarà anche il Pdl. Che però Bersani non vuole.
Il piano C – che Bersani esclude categoricamente, ma ben visto da buona parte del Pd e proposto da Berlusconi – ipotizza un governo di unità nazionale Pd/Pdl, con eventuale aggiunta di Monti, per fare pochi punti programmatici necessari prima di tornare al voto. Perciò un esecutivo a tempo.
Sarebbe il più logico e razionale; ma pare che la razionalità non appartenga a Bersani. Lui ama solo … l’utopia.

Bersani, a meno di stravolgimenti improvvisi, è costretto a fallire, anche se il partito per ora è lacerato sulla tattica, ma sostanzialmente unito intorno al suo tentativo. Fallirà se persisterà nella sua testardaggine. Rischiando di far implodere il partito.
Dopo la sua probabile rinuncia al mandato bisognerà vedere cosa accadrà e se il nuovo incaricato riuscirà a formare un governo, almeno a tempo minimo, per poter eleggere il Presidente della Repubblica. Causa sine qua non si potrà procedere a nuove elezioni.
In verità Bersani potrebbe tentare, con l’appoggio di alcuni elettori grillini o montiani, di ottenere anche un Presidente della Repubblica d’area Pd, anche senza avere un governo.
Ciò, però, sarebbe forse catastrofico per la pace sociale e acutizzerebbe maggiormente la crisi dell’economia reale sotto il sicuro attacco speculativo dei Mercati, già velatamente in atto.



[1] - Per approfondimenti vedere anche: Politica in evoluzione o in dissoluzione?

lunedì 25 marzo 2013

L’Ue alla canna del gas.


Che l’Ue e l’ fossero mal costruiti e poggiassero le proprie fondamenta sulla sabbia e non sulla roccia era da tempo risaputo.
Che la dirigenza Ue – oligarchica e autoreferenziale – fosse incapace di gestire la crisi e che procedesse con il minimo indispensabile per non far saltare tutto, badando più all’interesse del Mercato che a costruire una vera e solida federazione, è storia di questo ultimo lustro.
Sicché, prima la Grecia ed ora la piccola Cipro, devono essere considerati i capri espiatori di un sistema che non regge.
Nessuno, proprio nessuno, ha pensato di regolamentare il Mercato, codificandone le regole in modo tale che divenisse luogo di investimento e non di speculazione. E, strano caso, proprio i Mercati che hanno beneficiato con le banche di ogni aiuto e beneficio possibile, saranno quelli che affosseranno definitivamente l’Ue e le nazioni.

All’operazione Cipro il mercato ha creduto pochissimo. Ben presto oggi ha ripiegato, per poi invertire la tendenza e sprofondare dopo un fuocherello di paglia iniziale.
Capifila di questo crollo sono perlopiù i mercati di quei paesi che subiranno a breve la stessa sorte, nonostante le smentite ufficiali di rito, subito però rimbeccate da altre fonti semiufficiali: Italia, Spagna e Grecia. Il FitseMib ha ceduto il 2,5% e i titoli finanziari hanno perso intorno al 5%.
La verità è che questa dirigenza Ue – peraltro non eletta da alcuno, se non dall’autoreferenzialità del giro oligarchico – non sa più a che santo votarsi. Per cui anche il Fiscal compact è fallito ancor prima di iniziare, seppellito dall’insipienza programmatica.

La crisi cipriota non è dovuta allo stato, ma, come in Irlanda, alle banche dell’isola mediterranea.
Hanno una dimensione superiore di 7 volte al Pil isolano e, come le altre banche del vecchio continente, si sono dilettate in speculazioni azzardate con i soldi non propri – azionisti e capitale sociale -, ma con quelli dei depositi di C/C.
Più che ai singoli dirigenti la colpa è sia del sistema politico che glielo ha concesso, sia dei mancati controlli che le Banche centrali nazionali e la Bce stessa non hanno mai attuato.
La Bce, peraltro, è stata assai più attenta a ridurre alla fame i cittadini di alcuni paesi che nel vigilare; magari imponendo governi prediletti autoreferenziali per fini propri.
E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Le banche cipriote hanno più della metà dei depositi di C/C intestati a cittadini o enti russi[1]. Per cui, essendo considerevoli, costoro si vedranno decurtare il loro capitale tra il 30% e il 40% tra prelievo forzoso e perdita secca per la ristrutturazione. Prelievo che – è bene sottolinearlo – oggi non è ancora definibile se come investimento in Titoli sovrani a rendere o come prelievo secco a perdere.
Facile, in entrambi i casi, prevedere che i capitali lasceranno facilmente l’isola appena possibile per salvare il salvabile.
Ciò non avverrà solo a Cipro, ma anche nelle altre nazioni sospettate di subire a breve la stessa sorte.
Sicché a conti fatti, nonostante i 17 mld messi in campo – 7 di prelievo e 10 dall’Ue – il conto finale sarà comunque in perdita di quasi altrettanto importo. Perciò le banche avranno altri importanti problemi di liquidità.

Il Presidente cipriota - Nicos Anestasiades -  nell’estenuante trattativa domenicale si è visto rifiutare quasi tutte le proposte messe sul tavolo, onde preservare i piccoli risparmiatori locali che dal piano iniziale Ue erano penalizzati.
Perciò alla fine ha proposto pure le sue dimissioni immediate se potevano essere utili a sbloccare la trattativa. È, comunque, riuscito a salvare per ora dalla mannaia i Fondi pensione, senza i quali gli anziani sarebbero stati ridotti alla fame.
Infine si è addivenuti ad un accordo necessario in prossimità dell’apertura dei Mercati per non far sprofondare tutto nella dissoluzione. Quindi: problema solo rinviato e non risolto, visto l’esito degli indici odierni.

Nessuno, ovviamente, ha pensato a bloccare la speculazione con ogni mezzo, anche se le armi esistono e sono da decenni ampiamente conosciute.
Su questo scenario poco edificante e per nulla rassicurante si innesta la crisi politica italiana, con un Premier incaricato in esplorazione che non si sa quale esito e quale via prenderà.
Per cui, se l’estromissione della piccola Cipro dall’€ avrebbe affossato mercati e l’Ue stessa, immaginiamoci ciò che accadrà se l’Italia non saprà costruire un governo e precipiterà – ma lo è già stato oggi nel finale di seduta – sotto i colpi della speculazione.
Facile perciò prevedere che l’Ue andrà tutta in dissoluzione.

Per cui: incrociamo le dita e speriamo che lo Spirito Santo illumini, dopo i conclavisti, anche i governanti Ue.
In modo che facciano presto e imbocchino la via giusta.



[1] - Per approfondimenti vedere anche: Cipro, l’Ue e il probabile domani.

venerdì 22 marzo 2013

L’ultimo pasticcio del Governo Monti per conto Terzi.


Tutta la vicenda dei 2 marò ha dei connotati tali da far pensare che coloro che l’hanno gestita, dall’inizio fino ad ora, siano stati degli sprovveduti.
Comunque la si guardi è come un pasticcio indigesto, apparentemente agrodolce, ma del tutto nauseabondo e confezionato dal peggior cuoco di questo mondo.
Ovviamente i Ministeri interessati al caso sono più d’uno. In ordine: Presidenza del Consiglio, Ministero degli Esteri, Ministero di Grazia e Giustizia e Ministero della Difesa.
Ciò indipendentemente della colpevolezza vera o presunta dei 2 militari, che hanno ucciso dei pescatori indiani scambiandoli (?) per pirati.
Pirati, gridati subito come tali al mondo e addossando colpe all’India che ne avrà pure di gravi, ma non in questo caso.

Chi conosce bene la prassi, la politica e la diplomazia sa che certe cose non succedono mai per caso, salvo poi addossare il tutto a dei capri espiatori. In questo caso i 2 marò.
Perché è ovvio che Latorre e Girone sono le ultime due pedine della storia, anche se, in effetti, gli “ubbidienti” esecutori – più o meno volontari – di tutta la vicenda, compreso il loro attuale ritorno in India.
Convocati da Monti per la drammatica notizia, benché militari, potevano, in base alla Costituzione Italiana, rispondere: “No, grazie. Se la vicenda le sta tanto a cuore ci vada lei al posto nostro!
Per cui personalmente sarei stato il primo a capirli e ad approvare la loro decisione. E pure gli Italiani.

Le coperture diplomatiche di chi opera nei servizi speciali e nell’esercito italiano sono da sempre inesistenti, specie quando si opera fuori dai confini nazionali.
Chi ci va ci va a suo rischio e pericolo, secondo il detto diplomatico qui lo dico e qui lo nego. Non importa se pagato bene o male.
Se si confronta la copertura data con quella ad esempio offerta da Usa e Russia ai propri uomini siamo proprio agli antipodi.
Basti pensare a fatti ben più gravi, come al Cermis o a Abu Omar, le cui sentenze, per i cittadini statunitensi coinvolti, sono solo parole al vento o scritte sul bagnasciuga battuto dall’alta marea.

Quando avvenne l’incidente la nave era in acque internazionali.
È prassi consolidata che il comandante informi immediatamente l’armatore e i militari il loro comando. Dati i mezzi oggi a disposizione  tutto ciò avviene in tempo reale. Armatore e comando comunicano immediatamente con i ministeri interessati e questi con la Presidenza del Consiglio.
Da qui vengono subito impartite le disposizioni operative, sia che si sia trattato di un vero attacco di pirati, sia che vi sia stato un tragico incidente per qualsivoglia ragione. Anche se, oggettivamente, i pirati operano e attaccano in modo ben diverso.
Le forze indiane sono lontane e non potrebbero neppure intervenire in acque internazionali senza creare un casus belli. Né in zona hanno mezzi militari atti a costringere la nave a entrare in un porto indiano per gli accertamenti del caso.
Perciò: chi ha dato ordini e disposizioni in modo che la nave, invece di proseguire il suo cammino, dirigesse la prua verso la costa indiana? Sicuramente né il comandante né i 2 marò. E neppure l’armatore che è tra i danneggiati economicamente per il sequestro del mercantile.
E questo è il primo ingrediente del … pasticcio. Un fatto d’una gravità tale per cui i responsabili  andrebbero … processati.

Tutti sanno poi come si dipana la storia, considerato che l’India ha una giurisdizione anglosassone e non latina.
Il nostro Premier deve far visita in India; e là fa pubbliche dichiarazioni di ottimismo. Questione risolta? No. Il bello deve ancora venire.
La magistratura indiana non solo interroga i 2 militari e compie rilievi e prove balistiche sulle armi in dotazione, ma procede pure all’arresto dei due accusandoli di omicidio.
Terzi tuona a vuoto come una grancassa, ma il risultato non cambia.

Passa quasi un anno, durante il quale la Corte del Kerala si destreggia con continui rinvii sulla decisione relativa alla giurisdizione. Ciò che si ottiene nel frattempo sono gli arresti domiciliari dopo alcuni mesi.  La diplomazia italiana latita e non ottiene alcun risultato pratico, indice di una grande considerazione internazionale, mentre l’Ue si chiama fuori.
Verso Natale si chiede per i due indagati un permesso alla Corte indiana per una licenza di 2 settimane, che viene concessa previa cauzione e giuramento dello stesso ambasciatore Mancini, che in pratica si offre a garanzia dei 2 indagati.
Un ambasciatore ha l’immunità diplomatica secondo la Convenzione di Vienna; ma se si offre sua sponte a garanzia degli indagati è ovvio che ciò significhi rinunciare alla stessa immunità nel caso gli stessi non tornassero.
Tutto fila comunque liscio e i 2 marò tornano in India alla scadenza del permesso.
L’occasione delle elezioni politiche porta un’altra richiesta, questa volta per la durata di un mese. La stessa Corte la concede alle stesse condizioni, ad eccezione della cauzione.
E qua avviene il pasticcio del Governo Italiano.
Dopo alcuni giorni, infatti, dichiara ufficialmente che i 2 marò non torneranno in India. I marò e i familiari tirano un sospiro di sollievo, ma non è … finita.

La prima osservazione, visto che per gli italiani all’estero vi è la possibilità di votare comunque, è la scusa che viene chiesta per ottenere la licenza. La seconda l’ampiezza del permesso. La terza, che se ne deduce, è che sia una mossa di antefatto per tenerli in patria.
Ovviamente in India non ci stanno; e la polemica divampa coinvolgendo lo stesso ambasciatore, al quale in pratica viene negata la possibilità di poter lasciare l’India.
Gli indiani non sono idioti e sanno benissimo che un nuovo ambasciatore non sarebbe perseguibile, per il semplice fatto che il giuramento di ostaggio in garanzia è individuale. Perciò le relazioni si aggrovigliano anche nei rapporti commerciali a partire da Finmeccanica, per coinvolgere poi l’intero interscambio.
La Farnesina cerca di barcamenarsi; ma è ovvio che fare il ministro è un conto, fare l’ambasciatore è tutt’altro. Proprio come lo è fare il Premier di un grande Paese o il professore alla Bocconi.

Si arriva alla scadenza della licenza, prima che scattino le ritorsioni indiane.
E il Governo Italiano, che ha prodotto il pasticcio, che fa? Il coniglio … tremebondo. Convoca i 2 marò e in pratica ordina loro, come militari, di volare subito in India. Per contentino li fanno accompagnare dal sottosegretario.
Costoro, con la morte nel cuore dei familiari, fanno il grande errore di “ubbidire”.
Presidente del Consiglio e titolare della Farnesina si arrampicano sugli specchi, dichiarando a tutto il mondo che inviano i marò in India perché le assicurazioni ottenute cambiano le carte in tavola.
Quali? L’assicurazione della diplomazia indiana che, se vi sarà una condanna, i 2 militari non avranno la pena di morte.
Magari però – possiamo aggiungere – il carcere a vita.
Perciò, secondo logica, i governanti attuali italiani ammettono senza dirlo che i 2 marò sono rei di omicidio colposo, magari anche preterintenzionale alla … rambo.
Non per nulla la magistratura militare li ha incriminati per questo, anche se, si afferma, per un atto dovuto.

Indipendentemente dalle eventuali colpe i 2 marò sono vittime designate, capri espiatori di un ingranaggio più grande di loro.
Primo perché sono stati mandati a proteggere una nave commerciale senza – è una mia opinione – una preparazione operativa, psicologica e professionale adeguata per simili evenienze.
Secondo perché sono stati proditoriamente consegnati, di fatto, alla giurisdizione delle autorità indiane invece d’essere tenuti sotto di quella italiana, facendo allontanare subito la nave e facendoli rientrare immediatamente in patria per l’indagine del caso, sostituendoli con altri.
Terzo perché hanno prima ottenuto dichiarazioni ufficiali – fatte pure al mondo –, per essere abbandonati (traditi) poi l’ultimo giorno al loro triste destino.

Le questioni economiche di interscambio commerciale hanno avuto il sopravvento su quello giuridico; mentre un governo Azzeccagarbugli, per lo più ora dimissionario, ha abdicato al Diritto per perseguire l’interesse di importanti gruppi industriali e finanziari.
Vedremo se il prossimo Governo saprà fare meglio, rimediando alla figura barbina fatta davanti a tutto il mondo, anche se c’è poco da sperarci.
Perché un conto è conclamare ai quattro venti che si è riconquistata la credibilità internazionale, un altro averla realmente.
Tra il dire e il fare ci sta di mezzo il mare. Quello in cui è avvenuto il fattaccio e quello di guai in cui hanno fatto “annegare” i 2 marò, insignificanti pedine per uno stato, ma preziose per le loro famiglie.

martedì 19 marzo 2013

Cipro sarà la Stalingrado di Frau Merkel?


Poco fa il Parlamento cipriota ha detto “No!” all’imposizione Ue sul prelievo forzoso  sui C/C, dando un segnale molto forte sia all’oligarchia Ue che a tutti gli altri paesi in sofferenza.
Mentre i parlamentari stavano discutendo animatamente sull’opportunità di votare sì o no a tale provvedimento, da Berlino si è alzata minacciosa la voce di Frau Merkel: o il voto favorevole e niente aiuti.
Questa, purtroppo, è la “democrazia merkelliana”.
La Merkel già in molte altre situazioni analoghe era intervenuta pesantemente nelle questioni di voto nazionale di altri Stati per fare del terrorismo psicologico, grosso modo sempre con lo stesso tenore: o così o niente.
Era successo per la Grecia più volte, per il Portogallo, per la Spagna e anche per l’Italia, dopo che il “fidato” Monti s’era insediato con un poco ortodosso stravolgimento democratico a Palazzo Chigi.
Ma spesso, chi troppo vuole alla fine nulla stringe. Per cui alla Merkel è arrivato il primo No secco.

È probabile che le Borse Ue, dopo la giornata odierna di sofferenza, domani subiscano il contraccolpo, anche perché queste manovre, ammantate dalla pelosa carità degli aiuti, sono perlopiù a favore del Mercato, specie di quello speculativo.
Tuttavia non credo che la questione sia chiusa, considerato che oggi – a cominciare dalla Germania, per bocca del suo potente ministro Wolfgang Schäuble – tutti si sono affrettati a negare la paternità di tale provvedimento, nel classico gioco dello scaricabarile riassumibile in:
È stata l’Eurogruppo[1]  - No, è stata la Germania! - No, è stato il Fmi! – Noi no. Lo ha voluto la Bce!
Comunque sia andata, con il suo sollecito e inopportuno intervento a voto quasi in corso la Merkel ha fatto capire, nonostante le smentite di rito, di chi sia stata, in effetti, la paternità.
La piccola Cipro – novello Davide biblico – ha saputo sfidare in campo aperto la Merkel – Golia biblico anche nella … stazza -.
In pratica ha risposto: Meglio fallire che morire!
L’Argentina a suo tempo fece default, ma tuttavia sta ancora in piedi; e – oserei dire – in una situazione economica molto migliore di quella attuale della Grecia.

Cipro, comunque, anche se avesse avallato i dettami Ue non sarebbe stato salvo. Avrebbe sì ricevuto i 10 mld di aiuti Ue, ma molto probabilmente i russi avrebbero prelevato a breve tutti i loro depositi liquidi, perciò oltre 30 mld.
A conti fatti e per tale ipotesi, tra prelievo forzoso e aiuti Ue ci sarebbe minimo un disavanzo finale di almeno 15 mld.
Sotto il no cipriota potrebbero anche starci delle assicurazioni di Putin su un eventuale consistente sostegno in caso di rottura delle trattative con l’Ue, perciò di default. Va, infatti, detto che i russi potrebbero benissimo “comprarsi” la piccola repubblica.
La diplomazia Ue, pertanto, ha sbagliato conti e oste. E se non vorrà vedere l’ rotolare tra la polvere delle rovine, per il crollo della posticcia Unione, dovrà drasticamente cambiare antifona.
Se saranno costretti a tornare alla Sterlina cipriota, per estromissione dall’€, è molto probabile che i ciprioti siano il laboratorio involontario della volontà teutonica, a suo tempo già prevista dal noto – e sempre negato – Piano B, col quale la Germania intenderebbe estromettere tutti gli altri da un unico € per avere il proprio, quindi per tornare ad una moneta forte come il Marco di un tempo.

Ciò che molti non sanno è che l’€ fu voluto e imposto alla Germania dall’ex presidente francese Mitterrand quando crollò il Muro di Berlino (1989) e la Germania si annesse, di fatto, quella dell’Est.
La Francia era in pratica paritetica alla Germania, sia in economia che in popolazione. Il nuovo assetto tedesco cambiava sostanzialmente gli equilibri ed un Marco troppo forte avrebbe stritolato il Franco. Perciò dette il suo beneplacito all’unificazione tedesca solo dopo che la Germania accettò la richiesta francese di rinunciare al Marco per una moneta comune: appunto l’€.
Il resto è storia dei nostri giorni.

L’eventuale rottura dell’€ porterebbe tuttavia a nuovi assetti europei geopolitici, difficilmente quantificabili ora. Per fare che ciò avvenisse in sicurezza abbisognerebbero risorse ingenti che nessuno Stato dell’Unione oggi ha. Neppure la Germania.
Tuttavia tutti hanno capito che i soldi comunitari dei vari Esm sborsati per il salvataggio della Grecia non sono mai andati al popolo greco, ma alle banche franco-tedesche che in precedenza avevano fatto incetta di Titoli sovrani ellenici, sia per gli alti tassi offerti, sia per la speculazione praticata.
Uno tra i maggiori sostenitori di questa realtà è l’italiano Giulio Tremonti, ex Presidente Ecofin, che per anni ricoprì tale ruolo. Perciò una voce sicuramente qualificata e competente.

La politica mediterranea è in forte e rapida evoluzione.
Cipro ha detto no agli aiuti Ue per salvaguardare la propria autonomia.
La Grecia è in continua fibrillazione e alla prossima (vicina) imposizione è prevedibile che possa seguire la stessa strada. Italia e Spagna sono ad un bivio forzato sia per le imposizioni tedesche che hanno fatto crollare il Pil, sia perché anche per loro è ormai inevitabile il balzello di un simile prelievo. Il Fiscal compact incombe su qualsiasi governo futuro e presente.
Relativamente all’Italia è utile citare una dichiarazione ufficiale di oggi di un importante funzionario finanziario. Joerg Kraemer, capo economista della tedesca Commerzbank, così si è espresso:
Il provvedimento che Nicosia sta discutendo non solo non è disdicevole: è anche replicabile, in un Paese come l'Italia dove la ricchezza privata in rapporto al Pil è superiore a quella tedesca.”.
Poi, per non essere frainteso o preso per matto, cita un apposito e recente studio della Bce, nel quale si rileva che il risparmio privato in Italia è al 173% del Pil, mentre nella florida locomotiva tedesca è solo al 124% del prodotto interno lordo.
Tutta questa ingente massa di liquidità e di ricchezza è ovvio che faccia gola alla speculazione finanziaria e a tutti i suoi addetti.
A contraltare, e per evitare possibili disguidi, si è subito mosso Jeroen Dijsselbloem, presidente dell'Eurogruppo, con questa dichiarazione:
Non c'è alcuna necessità di un prelievo straordinario sugli assets degli altri paesi, anche se una simile misura è inevitabile per Cipro.
Però ai politici Ue ormai non ci crede più nessuno.
Sicuramente la dirigenza Ue tenterà di ricucire lo strappo con Cipro, modificando le pretenziose richieste. Sempre che la Germania non si metta di traverso. In tal caso la fine dell’€ e dell’Ue saranno vicini.

Ciò che ha comunque insegnato (dimostrato) la piccola Cipro sarà di sprone per tutti coloro che d’ora in avanti si troveranno in simili avversità.
L’Europa è una confederazione di stati paritetici. Che in democrazia cercano il miglior compromesso possibile per salvaguardare gli interessi di tutti, senza alcuna subalternità.
Perciò è probabile che lo smacco dato dal Parlamento cipriota alla Merkel sia, di fatto, la Stalingrado della sua egemonia politica, sia in Ue che in Germania.
A meno che voglia forzare a tutti la mano e rompere ciò che in 2 decenni si è costruito con tanta fatica e sacrifici, anche se in malo modo.
Politici e oligarchi sono avvisati; e pure tutti i servi della finanza speculativa che finora hanno imperversato nei governi con manovre capestro.
Il Popolo intende difendere la propria autonomia e Libertà, come la piccola Cipro ha insegnato.



[1] - Si legge nel comunicato stampa diffuso dal presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem: “L'attuazione delle riforme previste dalla bozza di programma - messo a punto dall'Eurogruppo sabato scorso - è la miglior garanzia per un futuro più prospero per Cipro e i suoi cittadini, attraverso un settore finanziario vitale, finanze pubbliche solide e una crescita economica.