mercoledì 29 agosto 2012

Il pozzo di San Patrizio: le accise.

Sesac, oggi, venne a farmi visita, dopo una sua breve vacanza.  Mi consegnò questo racconto che pubblico assai volentieri.
Come alcuni amici sanno, da un po’ di tempo, anche se ancor per poco, sono in silenzio stampa sabbatico per ragioni mie personali.
Questo racconto, che ospito volentieri, è solo un piacevole intermezzo … agostano.

Sam Cardell
Tratto da “i Dialoghi” di Sesac

Il pozzo di San Patrizio: le accise.


La Foresta stava disseccando per il troppo caldo; e quasi tutti gli alberi secolari, che avevano formato per molti decenni il tessuto economico e industriale arboreo, perdevano le loro foglie come se si fosse in autunno inoltrato.
Pareva che una variazione climatica eccezionale stesse distruggendo tutto in Eustachia.
La canicola della crisi colpiva latifoglie e aghifoglie e non vi era isola felice in alcun Land, compresi quelli che potevano vantare nel loro territorio un humus ancora fertile e umido. Quasi ovunque tutto era secco e bruciacchiato e gli animali pativano fame e sete, specie quelli posti nei Lands bagnati dai mari dell’Ellade.
Il Land di Itachia era attorniato da questi mari; e al nord alcuni violenti temporali ne attutivano talora la calura, non preservandolo comunque dal cocente sole del Becca, che disseccava ogni risorsa con tutta la sua squadra solare di Beccamorti[1].
La situazione degli animali era tragica e anche le carogne venivano spolpate fino all’osso.
Demoni, imperatori romani e personaggi mitologici si alternavano a … impoverire la natura.

Becca, tuttavia, non si dava pensiero alcuno della situazione degli animali, dovendo rendere conto solo a chi là in alto lo aveva voluto senza alcun consenso plebiscitario: era il frutto degenerato dell’oligarchia globalizzata, intento unicamente a professare ottimismo.
Nella sua accecante sapienza credeva d’essere Amon-ra, capace di salvare e riscaldare il cuore d’ogni animale. Pur tuttavia non era nato ad Eliopoli, bensì in quella contrada selvaggia ed ostrogota, posta quasi ai piedi dei monti e denominata Saveer. Infatti, là tutti presumevano solo di … saperla, ma nulla di più, essendo ancor peggio dei bauscia.
Becca, più che dare la vita, portava fame, carestia e penitenza ovunque.
Molti, all’inizio, avevano creduto in lui come nel Messia, per via della sua sbandierata e pubblicizzata fervenza druida. Tuttavia, costui, con il druidismo vero aveva poco a che fare, non essendo né un catacombale, né uno che con molto disinteresse  personale mettesse in comune le proprie sostanze. Essendo un conte … teneva tutto per sé nel suo maniero … intellettualoide … montano.
Lui badava al sodo. Per cui – onde ingraziarsi i propri mentori – procedeva come un dittatore rovinando tutto il tessuto sociale del proprio Land, con la plateale e mediatica giustificazione che stava redimendo Itachia e il mondo intero; con la sola variante che crocifiggeva gli altri invece di immolare sé stesso.

Chiamato a risolvere il problema dello spread non s’era però accorto che questo era manovrato proprio da chi lo aveva voluto. Per cui non capiva bene, nel suo baluginare mentale, dove potesse trovare una via d’uscita onorevole al proprio … immenso sapere. Perciò si arrabattava a ragionar di conto e di passere, non tanto sull’economia valutaria – sua materia prediletta – bensì solo su quella fiscale, passando alla storia come il tassator … scortese. In mente aveva pure la lampadina di tassare gli … uccelli, onde ridurre drasticamente la disoccupazione.
Leone – come molti altri non ultimi arrivati - lo riteneva poco più di un idiota arrivista: uno da sempre dedito, da tempo immemorabile, alle alchimie teoriche delle formulette della Battona. In pratica un saputo pollo, munito di pedigree e sapientemente accolturato (coltivato) in batteria.

Leone non aveva impicci tra i piedi; perché la leonessa - veloce più di lappa che di piede –, partitasi per i caldi e infuocati patri lidi, non c’era.
Per sfuggire alla canicola – io, Sesac - accettai, durante una visita, l’invito di Leone a seguirlo al fresco, nel nord di Eustachia, per un breve periodo di relax.
Perciò, all’ora fissata, mi premurai d’essere puntuale al luogo di ritrovo, dove il possente Terra mi raccolse allo … spaccato e dolce suono cadenzato tirolese del cucù.
Terra era molto fresco dentro e per mitigare il viaggio aveva azionato il climatizzatore. Per cui la cocente canicola faceva un baffo sia a noi, sia ai suoi oltre 250 scalpitanti puledri, smaniosi di raggiungere l’agognato ristoro della schwarzer Wald.
Leone, da ottimo cocchiere qual era, li dirigeva accarezzandoli con vellutate briglie, or sollecitandoli ad uscire con uno scatto secco dalla truppa impantanata degli improvvidi vacanzieri, or richiamandoli a mitigar la spontanea velocissima corsa.
Valicammo monti e frontiere, solcammo valli, guadammo fiumi e superammo grandi villaggi, per giungere infine, verso sera, a destinazione nel cuore del Land di Patatona, amabilmente intrattenuti da Leone su dei temi economici e politici della Foresta. Tuttavia, pur brillante nella parola, pareva nell’occasione carente di quella verve vocale che gli era naturale.

Era sera e ci si sedette a tavola nel grande e splendido salone del maniero di Lyestar.
Non si era in molti; ma tra gli altri vi trovai Gitré, Kurt, Larco, Hans e tutto l’entourage al completo della nostra filantropica padrona di casa. I quali, dopo aver servito i commensali, si accomodarono per la cena alla nostra grande tavola, come Leone prediligeva vedere.
Come in precedenza lui era a capotavola a ovest e Lyestar a est.
Pure lassù faceva caldo; ma la frescura della foresta saliva a mitigare assai le infuocate folate che riuscivano, con audacia, a superare l’imponente sbarramento alpino.

Fu … mattino di una splendida, calda, soleggiata e serena giornata di un cielo cobalto.
E Leone – come sua consuetudine – decise di compiere una cavalcata solitaria sui monti vicini, onde controllare se dopo 2 anni inattivi le sue articolazioni si fossero arrugginite.
La forma fisica latitava essendo reduce anche di 2 interventi chirurgici.
A tavola – la sera prima – lo vidi confabulare assai con il luminare Kurt tra uno scartabellar di carte, riuscendo ad intendere che altri interventi erano per lui alle porte. Ciononostante era sereno e non si dava cura alcuna degli inevitabili possibili acciacchi dell’età.

Se ne partì con il fidato Terra - che poi lo avrebbe atteso alle bocche del Passa - prendendo con sé solo l’affezionato Billy, nuovo piccolo quadrupede che aveva ereditato il nome dal suo precedente cagnetto scomparso.
Il nuovo Billy – detto pure affabilmente Billyno dalla leonessa per la sua piccola taglia – sotto la sapiente guida di Leone stava provando a diventare un alpinista vero, da solo cane di lecca qual era. Aveva già fatto importanti progressi che, ovviamente, erano solo i primi passi dell’abbecedario alpino.
Con pelliccia candida e folta, amabile al tatto come la seta, con orecchie ritte tra il nocciola e l’arancio sbiadito, con visetto vispo e da monello impenitente e un po’ ruffiano che sapeva farsi amabilmente coccolare, socievole e affettuoso con tutti, Billy aveva subito fraternizzato con i 2 fox terrier di Lyestar, approfittando della prima occasione per saltare in grembo alla sorpresa padrona di casa, onde mostrare ai nuovi titolati compagni come … ci sapesse fare pur essendo un trovatello bastardino, che la sorte aveva premiato accasandolo alla corte di … Leone.

Leone aveva scelto di salire il Gőlem, un monte imponente ma non difficile, con una dorsale immensa e ondulata che sovrastava un grande lago: il Besino.
Appena partito Leone, Larco, già accordatosi con Maximilian, si mise ad armeggiare attorno alla libellula con la sua sofisticata strumentazione di guerra, piazzando la preziosa attrezzatura parte all’interno e parte all’esterno.
Montò un monitor da 21” sulla plancia della libellula, di cui solo più avanti ne capii l’utilità e la funzione. Mentre sotto il ventre fissò degli strumenti che parevano sensori.
Leone se n’era andato con una sofisticata fascia sul torace, che Kurt gli aveva sistemato personalmente sotto la tuta alpina prima della partenza.
Si calcolò che Leone fosse già da un po’ in marcia con Billy. Perciò, su invito di Maximilian, mi accomodai dietro di lui sulla libellula insieme a Kurt e Lyestar, mentre davanti si piazzò Larco per padroneggiare la sua preziosa attrezzatura.
Fu così che con poco impegno e con estremo interesse e piacere mi scalai un … monte senza alcuna fatica.
Mancava all’avventura il sedentario Gitré, intento, nella fornita biblioteca del maniero, a scartabellar testi rari e a consultare dati.

La libellula si alzò perpendicolare in volo con un leggero e quasi impercettibile fruscio d’ali. Poi puntò a sud quasi in picchiata sulla cembraia, sottostante il baluardo della nostra provvisoria turrita dimora.
La sorvolò a lungo finché giunse sull’abetaia. Valicò indi alcune creste di monti, attraversò un’altra valle con fiume e puntò decisa verso le bocche del Passa, sfiorando curati pascoli alpini in aromatica fienagione. Per un attimo intravedemmo anche la foce del fiume che si buttava nel Besino.
Come se sapesse dove Terra sostava, lo individuò rapidamente in un’ampia radura di secolari e imponenti faggi, inframmezzati ad alti abeti.
Eccolo! – disse Larco, mostrandocelo sul monitor della plancia e ingrandendo l’immagine con un semplice tocco - Ora vediamo se troviamo anche Leone e Billy.
Alcune decine di metri sotto di noi la foresta era fitta e il folto fogliame dei faggi celava un ampio sentiero che s’inerpicava sulla costa boscosa, occulto all’occhio ma visibile sul monitor.
La ricerca fu laboriosa e non semplice, mentre la libellula disegnava ampi cerchi nel cielo cobalto sopra i faggi, già fagocitati dai cocenti raggi del sole.
Di Leone e Billy, però, nessuna … traccia.
Sbucammo infine su un crinale, dove tra uno spiazzo erboso ci apparve un grazioso rifugio, la cui corte, piena di gitanti, godeva della frescura di 2 imponenti faggi.
E fu qua che Larco cominciò ad avere 2 dubbi … alternativi: o l’attrezzatura faceva cilecca, oppure Leone ci aveva giocati, prendendo altra via e puntando sul monte Lapòt, opposto al Gőlem.

Leone, invece, era stato più veloce del previsto e già s’inerpicava a nostra insaputa tra i tornanti dell’assolato e irto sentiero che portava verso l’aerea cresta.
Infatti, in uno degli ampi giri di perlustrazione, un bip-bip insistente attrasse la pronta attenzione di Larco, che, armeggiando con il dito sulla periferia del monitor, ce lo mostrò in primo piano mentre stava fotografando una piccola grotta votiva posta oltre metà salita.
Maximilian diresse la libellula verso quel punto, come attratto da una calamita e, in un batter d’ali, fummo sopra di lui.
Per nulla sorpreso Leone ci salutò con la mano e si rimise in cammino seguito dal prode Billy, intento nell’occasione a puntare, diffidente e timoroso, un nutrito gruppo di grosse capre biancastre.

Superammo la cresta quasi a raso per poi tuffarci sopra il grande e attraente specchio cobalto intenso del Besino, posto quasi 2 mila metri sotto di noi.
Era un’afosa giornata dove le nubi latitavano ovunque. Solo l’umidità ascensionale del lago velava leggermente la vista dei monti e delle valli che parevano, dall’alto, confluire tutte sul lago.
La libellula, leggiadra e silenziosa, volteggiò su di esso, sorvolando il promontorio che a sudest si spingeva nel bacino lacustre, per poi portarsi sulle 2 piccole e graziose isole poste rispettivamente all’opposto della grande isola che, come un Gulliver sbucato dall’abisso, si ergeva maestosa e montuosa sul lago con, al fianco, 2 minuscoli lillipuziani.
La abbandonammo per puntare alla cresta nordovest del monte, giungendo in contemporanea di Leone che sbucò sul colletto di accesso.
Larco ingrandì l’immagine sul monitor e vedemmo bene il suo viso rilucente di sudore per il caldo intenso. Dietro di lui Billy cominciava ad arrancare, imitando in parte la caterva d’escursionisti che Leone saltava come se fossero tanti malfermi birilli.
Sul crinale Leone accelerò visibilmente l’andatura, mettendo alla frusta il prode Billy, mentre una brezza ristoratrice gli detergeva il volto, divenendo più gagliarda man mano che s’innalzava.
Kurt chiese a Larco di collegare il monitor al pettorale, onde analizzare i dati trasmessi da questo.
Stupefacente – sentenziò Kurt dopo attenta analisi – per come, con la mente, riesca a ridurre il battito, nonostante l’incremento dello sforzo e l’accelerazione che imprime.
Immediata fu la considerazione spontanea di Maximilian: Doveva vederlo a 7 mila metri quando si caricò dello zaino mio e di Lyestar per portarcelo fino al campo 3 posto 500 metri più in alto. E noi non riuscimmo, neppure senza peso alcuno, a tenere il suo passo!
Leone procedette con sicuro e veloce passo sull’aereo crinale, raggiungendo prima l’anticima, poi la cima del monte, per poi proseguire in saliscendi sulla possente dorsale che portava a sudest verso il lontano mausoleo, che i cittadini di quel Land avevano dedicato, riconoscenti, ad un loro valente concittadino e pontefice.
Maximilian ordinò alla libellula di posarsi dolcemente in uno spiazzo accanto all’artistico e monumentale edificio, proprio mentre Leone si accingeva a deporre lo zaino, onde trarne la ciotola d’acqua ed il cibo per rigenerare lo stremato Billy.
Ripartimmo salutando Leone, che intendeva calarsi in val Trump per poi, con ampio giro, recuperare Terra alle bocche del Passa.
Un pranzo speciale ci attendeva, anche se ritardato per aspettare Leone.
Si festeggiava il genetliaco del giorno prima di Gitré e l’onomastico del giorno di Leone.
A MaryAnne non parve vero di beccare 2 … piccioni con una sola fava.

Giunse per il pranzo d’auguri anche Mas, un teutonico apolide che usava tranquillamente tanto la penna quanto la lingua.
Uomo libero e sapiente sapeva trattare varie discipline e con Leone aveva molti interessi in comune. Talora componeva articoli anche per importanti quotidiani stranieri. Era, insomma, una testa d’uovo che però non prediligeva lo Jet set della mondanità sociale.
Appresi che ultimamente era come in letargo in un volontario periodo sabbatico, perché discretamente invitato dall’amico Scalogno, in forma riservata e parallela, a … tacere per non indebolire la popolarità di … certa politica, a cui non aveva risparmiato una serrata critica analitica.
Mas aveva un alto senso della democrazia; e, pur non condividendo l’utilità della motivazione portatagli, accettò di buon grado di tacere per un paio di mesi, considerato pure che aveva ben altro da fare in quel periodo che d’interessarsi con la penna a dei perfetti incapaci per ribadire cose trite e ritrite.
A pranzo finito, Gitré, fresco reduce da una serie di apprezzate conferenze economiche in una nota località dolomitica, ci aggiornò sui suoi studi, da cui traeva la convinzione che ogni manovra del Becca fosse deleteria al Land di Itachia. Infatti, con dati e risultati alla mano e ragionamento prolisso, smontò tutte le congetture ottimistiche del Becca.
Leone lo seguiva divertito, ogni tanto stuzzicandolo dove … il dente duole.
Larco chiese a Gitré se non fosse l’ora di rompere gli indugi, considerato che ormai Bausia era inaffidabile in coscienza ed in intelletto.
Al che Gitré rispose serioso, senza scomporsi e non mostrando le carte: Ho già passato il Rubicone!
Si rivolse infine a Leone, invitandolo ad essere con lui della partita.
Leone sogghignò beffardo, si alzò portandosi ad una delle finestre e, osservando il panorama, così rispose:

Già vedo tutti gli animali acclamarmi re, anche se non ho moltiplicato né pani, né pesci. Già in precedenza vi fu chi ebbe l’intenzione di tentarmi, offrendomi il regno e la Papania. Né l’uno né l’altra mi interessarono, proprio come la tua richiesta mi lascia solo … divertito.
Siamo quasi in vetta ad un monte, ma non sul pinnacolo del tempio. Per cui non puoi tentarmi in … vanità.
A te cosa serve? Dei pari grado, dei comprimari, dei seguaci o un … top-notch? Non credo d’essere adatto al tuo fine, anche perché il tuo non coincide con il mio. Diversamente quand’eri in sella non ti saresti adattato a seguire l’onda, anche se ti do merito di aver fatto molto più di tanti altri. Non sei stato, comunque, tanto sagace e deciso da imporre ai re di Eustachia ciò che si dovesse fare: bloccare e regolamentare ferramente il mercato, da dove le disgrazie sono nate e da cui ora arrivano i danni maggiori.

Fece una pausa, si girò, tornò al suo posto e continuò.

Sono perfettamente cosciente dei problemi, anche insormontabili, che ti trovavi davanti. Tuttavia ciò non ti assolve del non aver fatto ciò che era necessario e prioritario per il bene della foresta.
Ora la situazione è incancrenita, nonostante il Becca professi ottimismo e dichiari che vede la fine della crisi.
Tuttavia non infinocchia alcuno, neppure i ferventi druidi pollastri, intenti a godersi il sole del convegno agostano sulla spiaggia marina. Tant’è che a lui, a Passero e alla Spada hanno risposto che “vogliono sperare almeno che le loro parole siano sincere”.

Siamo ad un punto topico, il cui evolversi non sarà privo di dolore. Ciononostante, perché la situazione migliori, ci vorrà ancor tempo, finché non si capirà che non si può procedere ostaggi del mercato.
Che ti riprometti entrando direttamente nell’agone con un tuo movimento? Di poter raggiungere una maggioranza tale da poter poi fare ciò che abbisogni senza intoppo alcuno? Illuso!
Guardati dagli uomini che ti verranno appresso, perché da questi voltagabbana e riciclati sorgeranno le tue difficoltà maggiori. Guardati dai possibili alleati, perché questi lottano solo per conservare la loro privilegiata posizione. Guardati pure dagli avversari, perché per lo più sono una manica di inetti patentati e organici. Guardati pure dagli elettori, perché seguono il richiamo della pancia e non quello dell’intelletto.

Fuori - osservandole prima dalla finestra - vi stanno le mucche di Gini al pascolo d’altura. Se ben guardate ve n’è una, pregna, adagiata con una pancia enorme, che a ore partorirà, probabilmente più di un vitellino.
Osservatela bene; e in lei vedrete l’immagine riflessa del Becca, nel cui ventre sta solo il pozzo senza fondo di S. Patrizio della sua sapienza, capace di generare accise sui carburanti ad ogni piè sospinto. È il solo metodo – pur dannoso – che conosca per stare a galla e ripianare economicamente tutti i suoi errori, facendoli ovviamente pagare a tutti! Fino a quando ci riesca non si sa.
Si continua a parlare di riforme necessarie, sia in Itachia che in Eustachia. Avete forse sentito qualcuno elencarle distintamente con nome e cognome in modo che tutti sappiano perfettamente quali siano?
Diciamolo chiaramente: chi regna non ha la minima idea di come uscire dal buco nero in cui ci ha con ignavia cacciati.
Ora si vuole rilanciare produzione, economia e Pil. Lo si vuole fare dopo averli immolati sull’altare del miope rigorismo penitenziale.
Come? Forse con i miracoli dell’Onnipotente, accondiscendente alle fervide e costanti preghiere del Becca.

Perché mai, Gitré, dovrei giocarmi i miei ultimi giorni in un simile guazzabuglio, rovinandomi l’animo e il fegato contemporaneamente?
Suvvia, lascia che mi dedichi a cose più importanti e più appaganti, ora che la mia criniera comincia ad ingrigirsi e a diventare spelacchiata.
Non sono più il leone di una volta; e il mio ruggito, capace di incutere timore in ogni angolo della foresta, è ora solo un flebile suono che pure io non saprei distinguere nel tumulto politico odierno.

Tacque e prese in mano il coltello, onde dividere in più parti la torta per offrirne un pezzo ad ogni commensale.
Prese con la sua sx la mano dx di Gitré, la pose sopra la sua dx e insieme tagliarono l’artistico dolce, opera di MaryAnne, tra lo spontaneo applauso festoso che tutti noi facemmo ai due illustri festeggiati.
Da fuori giunse un muggito di dolore: era la mucca pregna che iniziava il travaglio del parto di 2 splendidi vitellini, assistita da Gini.
MaryAnne aggiunse subito un piatto e un bicchiere in tavola, dove Leone adagiò la golosa porzione per Gini e Gitré vi versò del vino.
La vacca si disbrigò velocemente, proprio come il Becca fa continuamente con le accise.
Per cui il rude Gini ebbe l’opportunità di sedersi poco dopo – previa rinfrescata – insieme a tutti noi, intonando uno dei suoi canti antichi, con voce sicura e potente nonostante l’età.

Sesac