giovedì 26 febbraio 2009

Una situazione ingarbugliata dove latitano le idee.

Obama, nel suo primo discorso all’Unione, “arringa” l’America da bravo oratore quale è, cercando di infondere fiducia e sicurezza ai suoi concittadini.

Non avendo molte cartucce in canna non trova di meglio che rievocare il “bad Bush”, reo di tutti i danni economici e sociali degli States e del … pianeta.

Ovviamente i commentatori smaliziati fanno rilevare che ha elencato i problemi sul tappeto, ma se n’è guardato bene di proporre dettagliate soluzioni, cosa che un presidente dovrebbe fare nell’impugnare una situazione difficile.

Ma, tra una dissociazione e una fuga dei vari addetti, o papabili, dell’Amministrazione, la sua governance pone un quesito inquietante: sarà l’uomo giusto a risollevare la nazione, oppure un presidente a cui abbisogneranno molti mesi per comprendere il problema, considerato pure che può usufruire dell’aiuto dei migliori cervelli del paese?

Nel frattempo Israele affronta una situazione politica fluttuante con o senza l’appoggio americano.

Ponendo il problema da altra angolazione si potrebbe affermare che farà la sua politica indipendente, giacché la lobby ebraica americana è in grado di mettere in seria difficoltà la politica economica e internazionale del presidente U.S.A., perciò di influenzarla.

Ben Bernanke, dal canto suo, non condivide la fiducia verbale del “suo” presidente e in pratica opta per una politica monetaria della Fed un po’ diversa, quasi in contrasto con le parole e gli intenti di Obama.

La crisi, afferma, sarà ancora lunga e ci vorranno3/4 anni per uscirne se il 2010 non indicherà chiari cenni di ripresa.

Considerato che ad oggi non si sono ancora intesi appieno i guasti complessivi del sistema, è ovvio dedurne che la situazione non è affatto rosea e che, prima di affrontarla positivamente, bisognerà comprenderla nei particolari.

Le Borse, nel frattempo, sono nelle mani di grandi operatori istituzionali, che le fanno salire e scendere a loro piacere, svincolando il loro corso sia dai fondamentali che dai macroeconomici.

Diversamente non si spiegherebbe perché un giorno un titolo sale del 10% (o giù di lì) e il giorno dopo debba scendere per circa la stessa percentuale.

Sembra, ma è una mia personale impressione, che i grandi gruppi finanziari stiano procedendo ad una guerra sorda tra loro, cercando con il continuo depauperamento dei titoli di affossare la consistenza del patrimonio, e di conseguenza della possibilità operativa del “concorrente”.

La globalizzazione delle fusioni e delle acquisizioni sembra passata in secondo piano e si combatte una vera guerra economica distruggendo il capitale avversario.

Tutto ciò indica solo una preoccupante ipotesi, che, se si riuscisse a dimostrarla, porterebbe ad un’unica deleteria realtà: l’oligarchia plutocratica intende restringere il campo concorrenziale e impadronirsi del sistema economico globale, svincolandolo sia dagli stati che dalle banche centrali.

Abbiamo:

a) che l’importo complessivo dei Derivati è circa il 1300% del Pil mondiale;

b) che la trattazione dei Future sul petrolio raggiunge, talora, l’importo di 1,5 miliardi di barili al giorno, contro una produzione attuale di circa 80 milioni di barili;

c) che i titoli tossici sono per lo più dovuti all’uso indiscriminato dei Derivati;

d) che le aziende finanziarie hanno cercato di produrre valore aggiunto con beni fittizi (derivati) e non materiali;

e) che tutti gli Stati hanno imponenti debiti pubblici e che ne dovranno fare molti altri per cercare di contrastare la recessione attuale.

Traendone le conclusioni si può tranquillamente affermare che la ricchezza creata artificiosamente sulla (degenerazione) delle teorie keynesiane ha accumulato debiti imponenti che nessuno è in grado di quantificare e perciò di contrastare. Non era, perciò, ricchezza, ma una povertà ammantata da opulenza.

Siamo all’eccesso economico per antonomasia: il prodromo inevitabile del crollo di un sistema finanziario rettosi sull’effimero e sullo spreco di risorse, destinato inevitabilmente a sbriciolarsi ed ad essere sostituito da uno diverso, con regole chiare che rendano il capitale al servizio della persona e non teso a schiavizzarla.

Diversamente sarà la fine e il potere economico, quindi pure politico, si rannicchierà nelle mani di pochissimi.

Da noi sono passati i Tremonti bond e alcune banche, che prima dichiaravano che stavano benissimo così, si sono affrettate a prenotarne già 9 mld di € nonostante il tasso non sia dei migliori tra il 7,5% e l’8,5%.

Guarda caso sono proprio quelle[1] che hanno crediti in sofferenza con l’Est europeo o che hanno cercato di ricapitalizzare[2] in questo periodo, riuscendoci solo in parte.

Questi bond, che verranno sottoscritti dal Tesoro, dovrebbero essere indirizzati a potenziare la “patrimonializzazione” degli istituti di credito, onde poter immettere liquidità nel sistema sostenendo le PMI, perciò l’ossatura portante e flessibile dell’impianto economico italiano: il nocciolo dell’economia reale.

E questo sarebbe un bene!

Tuttavia, considerato che le banche non fanno beneficienza[3], è ovvio rilevare che, se applicheranno una maggiorazione aggiuntiva, la liquidità necessaria sarà sì sul mercato, ma a tassi decisamente alti e penalizzanti per le imprese.

A sua volta il Tesoro emetterà sul mercato titoli di Stato per pari importo, onde avere la copertura necessaria, ovviamente a tassi inferiori e pensando di lucrare sulla differenza tra i due tassi obbligazionari.

Perciò per tentare di smuovere l’economia si creeranno due bond distinti concatenati che, inevitabilmente, aggraveranno il debito pubblico con la formula della finanza creativa tra attività e passività che si equivalgono: un marchingegno contabile (cartolarizzazione) teso ad azzerare il debito contabile, ma non nella realtà. In pratica vi saranno altri tre debiti: banche, stato e imprese.

La situazione è comunque grave e molte imprese sopravvivono alla chiusura solo grazie alla CIG.

Il problema conseguente è per quanto questa situazione si possa protrarre nel tempo, perché, se fosse per altri 2/3 anni, pare impensabile che con la drastica riduzione della produzione, e il conseguente crollo delle entrate, il sistema sociale possa reggere simultaneamente su più fronti: welfare sociale di massa con CIG, stipendi e pensioni, sostegno alle imprese e alle famiglie, e lancio di imponenti opere pubbliche costose tendenti a smuovere l’economia.

Si giungerebbe facilmente ad una situazione di inflazione galoppante di tipo sudamericano e verso il default.

Nel frattempo alcune imprese vengono declassate nel rating internazionale, tanto che il titolo Fiat è classato, nella pratica, come un titolo tossico.

E ovunque, in Europa, la situazione è analoga.

Serve, perciò, un nuovo modello economico; ma per farlo oltre alle idee ci vuole coraggio politico, specie se questo striderà con l’interesse di potenti lobby finanziarie.

Innanzitutto le Borse dovrebbero avere delle commissioni[4] sulle operazioni acquisto/vendita di molto superiori alle attuali (diciamo a due cifre), onde azzerare la speculazione giornaliera e sistematica.

In secondo luogo l’uso dei Derivati dovrebbe essere drasticamente ridotto e proibito, incanalando l’economia nel binario del sistema finanziario reale.

Infine restringere la possibilità di utilizzare i Future sulle materie prime ai soli operatori del settore e stabilizzare i cambi con il solo rapporto tra Banche centrali.

Solo in questo modo la finanza riacquisterà il suo compito di sostegno al sistema produttivo, e questo si riapproprierà del suo ruolo fondamentale di produrre valore aggiunto.

E lo Stato potrà sviluppare, allora, quella funzione politica di guida all’economia che gli è sfuggita da tempo di mano, ponendola di fatto alla mercé della speculazione.

Oggi la nostra politica sembra frastornata da alcune problematiche sociali, non avvedendoci che, se il sistema crolla, tutto andrà nel caos.

Ben vengano pure leggi ad hoc per regolamentare il fine vita o altre simili questioni; però si tenga presente che il credente la vede in un modo e l’agnostico in un altro. E nessuno può imporre alla controparte i propri principi e valori esistenziali.

Solo la maggioranza democratica può stabilire le sue regole; e queste valgono finché poi non vi siano altre maggioranze che decidano di cambiarle nuovamente.

Perciò sono problemi importanti sì, ma di lana caprina e unicamente contingenti.

Perché di questo passo si andrà a finire che si regolamenterà pure il suicidio, cioè quando uno può decidere di porre fine alla sua vita.

E, considerando la nuova tecnologia biologica sempre più raffinata con l’uso di staminali in grado di riprodurre organi di ricambio, va da sé che in teoria la vita possa diventare “eterna” e che uno possa decidere di viverla solo per un determinato lasso di tempo.

Quello che serve, oltre all’attenzione all’economia, essendo basilare per la vita individuale, è il far crescere la coscienza individuale del cittadino con sani valori imperniati sul rispetto reciproco e sulla solidarietà sociale vicendevole.

Diversamente l’economia sarà intesa solo come una semplice prerogativa di pochi che la istituzionalizzeranno come essente a sé stante. E in questo caso sarà funzionale a sé stessa, inglobando come oggetti pure gli oligarchi che la manovrano.

È un po’ ciò che è già avvenuto con il Debito pubblico e con i Derivati, che sono sfuggiti ai loro creatori, trascinando nel baratro tutti.

Ora il Bilancio statale è prioritario alla persona, come i titoli tossici lo sono per la società.

Il liberarsi da questi laccioli che imprigionano aziende e persone non è facile, perché troppi interessi sono in ballo; ma se non si avrà il coraggio di tornare all’essenza di Persona e di ribadirne la supremazia sull’economia, correlandola direttamente ai principi e doveri sociali, allora forse si uscirà provvisoriamente dalla crisi, ma si otterrà il pratico risultato che tra non molto se ne avrà una peggiore.

Non vi è nulla di facile a questo mondo, neppure nell’espletare le semplici mansioni quotidiane. Serve impegno, dedizione, capacità e fatica.

Non vi è ricchezza a scapito dell’altro, perché è eticamente classabile come furto: e i Derivati e la speculazione sono rapine legalizzate.

Tutti si stanno muovendo per delle Costituenti e pure Obama propone la sua personale e nazionale. Ma le Costituenti le fanno le persone; e se queste sono Oggetti di un ingranaggio, anziché Soggetti tesi a realizzarle, la battaglia è persa in partenza.

È ciò che è successo a Veltroni che ha sfruttato la demagogia per ottenere consenso. Il suo tentativo è degno d’ammirazione, ma, forse, avrebbe ottenuto risultati diversi se si fosse liberato di quei personaggi che da anni “infestano” da politici di professione la scena nazionale.

Tuttavia era un figlio di un sistema culturale determinato, perciò era ovvio che così sarebbe finito. Diversamente non si sarebbe accasato all’IDV.

Il cittadino, oggi, è oberato da molte necessità e vaga ondivago fluttuando tra tendenze opposte, nella ricerca disperata di una sua dignità esistenziale. Guarda ormai alla sostanza individuale, più che a quella sociale.

E il perdere il proprio faro di riferimento (l’ideologia, compresi principi e valori) lo pone alla ricerca di via alternative che possono sembrare scorciatoie; perciò assistiamo a cambi di schieramento repentini che sono più sbandamenti di gruppo che vere alternative sociali.

Dai dati ufficiali risulta che la lotteria di capodanno ha venduto ben 18 milioni di tagliandi, mentre i vari gratta e vinci ne hanno piazzati ben, udite, udite, 2,5 miliardi di pezzi in un anno.

Ciò che significa? Che la maggioranza dei cittadini cerca la fortuna quale risoluzione alle proprie problematiche, magari affidando il magro reddito alla sorte più che a una decorosa esistenza.

Vige l’apparenza sulla realtà e la cieca aspettativa della fortuna; ma quando ciò avviene la speranza nel diritto e il dovere del rispetto sono svaniti da tempo nella mente dell’individuo.

Ed allora pure le elezioni diventano una lotteria: il tentare col voto la fortuna!

E se lo Stato continuerà ad alimentare, lucrandoci, questi falsi e deleteri concetti di valori esistenziali, è ovvio che le virtù vere saranno cancellate e che nessuna Costituzione, o Costituente, né alcun vertice istituzionale, sarà in grado di modificarne l’assetto.

I Derivati, infatti, non sono lo stesso escamotage esistenziale in campo economico?

Se ne deduce che uno Stato deve avere il rigore morale alla base del suo operare, onde essere guida al cittadino.

Se ciò non avviene e lo Stato è il primo a “truffare” il debole ed ad essere generoso col furbo, allora ci si può domandare quali alternative rimangano al “suddito” cittadino se non lo sperare nella dea bendata e nel cercare di “arrangiarsi”.

L’immagine dei Miserabili di Hugo, che stavano in piedi sostenendosi l’un l’altro, pone l’antitesi reale di un mondo eticamente truffaldino, dove i soggetti interessati si sostengono cercando di fregarsi l’un l’altro e dove il più furbo, il più scaltro e il più forte ha la prevalenza su tutti.

Questa è però la legge della giungla, quella tuttora esistente nel sistema finanziario globalizzato e in parte attiva anche nel rapporto tra stato e cittadino, perciò pure in politica.




[1] - Unicredit, Intesa S. Paolo, MPS e Banco Popolare per ora.

[2] - In proposito si fa rilevare che l’aumento di Unicredit è stato sottoscritto nei tempi canonici solo per lo 0,48% e che la Cariverona si è rifiutata, all’ultimo momento, di sottoscrivere la propria quota obbligazionaria pari a ben 500 milioni di €.

[3] - Si usa il condizionale non essendo ancora completamente chiaro il meccanismo che regolamenterà questi flussi.

[4] - Tali commissioni dovrebbero essere classificate in due modi diversi: a) come ora nel caso l’investitore tenda ad investire, perciò a mantenere l’acquisto per almeno 24 mesi; b) del 15% (ipoteticamente) per chi intende acquistare e vendere in breve tempo senza alcun vincolo temporale.

In tale modo si contrasterebbe la speculazione e si potenzierebbe l’investimento stabilizzando i titoli ai fondamentali economici.

domenica 15 febbraio 2009

Please, ricreazione finita!

La grande recessione del ’29 si abbatté come un flagello per quasi tre lunghi anni sull’umanità. Era, comunque, una recessione causata da surplus di eccedenza di prodotti alimentari.

Allora l’economia era prettamente agricola e quella industriale era ancora marginale.

In crisi il settore agricolo/alimentare, la Borsa di New York crollò nell’esplosione della bolla speculativa rialzista.

Si optò nel rintanarsi su sé stessi, perciò nel protezionismo. In verità più che un protezionismo era un’autarchia: il procedere con le proprie forze.

Ciò portò inevitabilmente al rafforzamento delle identità nazionali e, nei paesi con democrazia debole e con debiti ingenti per le guerre affrontate (e perse), ad un populismo rivoluzionario consequenziale. Il colonialismo, infatti, che cosa fu se non un modo di recepire ricchezza a basso costo nell’esaltare la “potenza” nazionale?

La recessione fu il prodromo di una nuova identità e si ebbero i vari fascismi: in Russia, come precursore dei tempi, il comunismo, in Germania il nazismo, in Italia e Spagna il fascismo, in Francia una democrazia debole, malata e in sostanziale dissidio (guerra fredda) civile.

Si salvarono solo la democrazia confederale U.S.A. e l’Inghilterra, grazie alla loro antica tradizione democratica e culturale e alla grande disponibilità di materie prime.

Lo scontro ideologico, e pure economico per il controllo delle materie prime, portò inevitabilmente ad una lotta politica tra nazioni che sugli investimenti keynesiani, perciò sulla giustificazione economica del debito pubblico per rilanciare l’economia, avevano fatto tutte affidamento.

Ciò portò inevitabilmente alla seconda guerra mondiale.

Se sostituiamo i prodotti agricoli del ’29 ai prodotti finanziari odierni otteniamo l’identico risultato.

Non solo! Nel mondo occidentale vi è una “confederazione” amorfa di ben 27 stati senza amalgama, con sostanziali diversità economiche, ideologiche, etniche e culturali, che hanno aggiunto, ai già loro eccessivi sprechi e debiti interni, pure una costosa struttura sovranazionale: l’Europa confederale! La quale è il frutto d’una nuova dirigenza aristocratica fondata sull’oligarchia e sulla plutocrazia, usufruendo della tecnocrazia.

Se si aggiunge la libera circolazione delle persone si addiviene all’incapacità totale del controllo sia della microcriminalità esponenziale, sia di quella ramificata e strutturata, sia della migrazione sistematica di capitali favorita dalla rete informatica e dai mercati mobiliari tra loro connessi.

In Italia si avevano nel secolo scorso: Stato e Comuni, poi le Province, poi le Regioni, poi i vari Comprensori locali … e chi più ne ha più ne metta.

Sicché per creare occupazione si è optato per la via più facile: generare organismi pubblici destinati ad assorbire manodopera (clientelare) e produrre poltrone lautamente retribuite. Il tutto creando debito e sprecando risorse.

Il colpo di grazia l’hanno pure prodotto i Comuni, aggregandosi tra loro nella costituzione di Municipalizzate (S.p.A.); che sono poi sfuggite, nel loro crescere ed acquisirsi/fondersi, al controllo dei soci fondatori spesso per un basilare principio operativo: i dirigenti da società a capitale pubblico le hanno trasformate in aziende private con lucida (interessata) chirurgia finanziaria.

I Comuni sono diventati col tempo soci di minoranza, perciò incapaci sia di ripianare le perdite avute (ove esistenti) sia di immettere nuovi capitali (per assoluta carenza di liquidità), essendo dovuti ricorrere ad indebitamento finanziario esterno e a nuovi soci privati.

Risultato: debiti creati, obiettivi falliti, costi aumentati e … beni alienati.

I tassi erano l’arma impropria convenzionale per controllare l’economia; una volta, ora non più!

Difatti la loro discesa non ha prodotto alcun risultato pratico nel fronteggiare la crisi, se non quello di consentire alle aziende indebitate di ridurre i costi finanziari.

L’esperienza giapponese degli anni ’90 a tassi zero non insegnò nulla.

La BCE[1], con l’avvento di Trichet, ha cercato di “controllare” (eufemismo) l’inflazione alzando i tassi progressivamente; mentre alcuni governi, come quello Prodi, aumentavano le tasse per non ridurre populisticamente le spese (e gli sprechi). Ma l’inflazione non era reale, bensì subordinata ai Future delle materie prime, perciò non dipendente dal processo industriale/commerciale; era dovuta alla speculazione e alla politica.

Il risultato è stato un’incentivazione governativa e silenziosa alle aziende ad emigrare in lidi maggiormente redditizi, perciò a perseguire una “sradicalizzazione[2]” sostanziale del territorio.

Poi, a danno arrecato, i tassi sono scesi e chi aumentò l’imposizione reclama ora politiche di sostegno all’economia.

Basti pensare a “Ciacera[3] e al suo continuo sproloquiare in proposito senza alcun costrutto e linea economica seria, dopo l’ottimo risultato conseguito (si fa per dire) come amministratore di lungo corso.

I governanti puntano più o meno quasi tutti ad un’economia sociale di sostegno alle imprese, perciò al mantenimento dello status quo attuale.

Non condivido questa semplicistica politica finanziaria per diversi motivi:

a) La costituzione di una o più “bad bank” per spurgare il mercato dai titoli tossici è eticamente amorale, specie se l’ingentissimo importo di tali titoli verrà addossato alla comunità intera anziché a chi per anni ha speculato nello spregio totale delle regole.

b) Il sostegno alle aziende sull’orlo del collasso finanziario è un bene, però se parificato a nuove regole di controllo e di gestione delle stesse. Diversamente sarà un buco nell’acqua: uno spreco di risorse.

c) L’economia e la finanza attuale hanno bisogno di un nuovo progetto esistenziale proprio, quindi di nuove regole e, soprattutto, di nuovi uomini capaci di interpretarle e farle proprie.

La crisi vera comincia proprio ora e siamo solo agli albori. Vorrei essere smentito dai fatti, ma credo che andrà ben oltre il prossimo anno e per un semplice motivo: è globale e non ancora in piena virulenza!

Pure i politici ora cominciano a rendersene conto e temono, Obama in testa, di non poterla contrastare, anche perché sono impreparati ad affrontarla e non la sanno quantificare.

Ritengo che sarà minimo di durata uguale, se non più lunga, della recessione del ’29. E quella durò 11 trimestri prima di mostrare una nuova alba.

Se ne uscirà solo con un nuovo modello di società che preveda:

1) Un nuovo impianto industriale ramificato e radicalizzato sui vari territori nazionali pur senza essere protezionistico: il distretto industriale che fa “sistema” col cittadino.

2) Nuove regole economiche e finanziarie sia nella gestione delle grandi aziende, sia delle multinazionali, sia dei bilanci e delle spese statali, basando tutto su un’economia sostenibile.

3) Una Borsa che sia un luogo per investire e non per speculare, basando il suo incedere sui fondamentali e sui dati macroeconomici.

4) Una politica dei salari che operi una redistribuzione del reddito da lavoro (non da capitale) con un rapporto dirigenza/base teso ad eliminare le enormi disuguaglianze sociali.

5) Un nuovo assetto sociale aggregato su interessi che facciano riferimento ai valori, specie quelli relativi alla priorità di ogni regola economica da subordinare all’essenza di persona.

6) Il pianificare una crescita sostenibile (lenta ed omogenea) basata sul rispetto del sociale e della vera democrazia.

7) Il tornare a bilanci nazionali ( e degli enti statali) sani abbandonando le politiche keynesiane.

La politica nostrana degli ultimi decenni è stata deleteria e preparatoria alla crisi attuale.

Se non si vorrà uscirne provvisoriamente, per poi ritrovarsi tra poco con un’altra ben maggiore, bisognerà eliminare le storture del passato in ogni campo.

Che serve? Il bipolarismo, o il leaderismo o il consociativismo dei governi di centrosinistra?

Serve una democrazia matura dove tutti tendono a costruire nel rispetto delle regole: chi ha la maggioranza governa e chi è all’opposizione si prepara per farlo. Servono, pure, nuove regole, perciò una nuova Costituzione moderna ed adatta ai tempi.

In questi giorni si è discusso molto di attriti tra poteri dello stato anche se tali attriti proprio non ho visto. Al massimo ho notato l’incapacità (con tutto il rispetto delle istituzioni) di saper leggere la realtà nello scorrere[4] del tempo.

Perché quando si sancisce (tipo ex cathedra) che la magistratura può sostituirsi al legiferare e stabilire nel dettaglio come una persona debba finire i suoi giorni, comprendo solo, nella mia grande ignoranza di semplice cittadino, che si sono invertiti i ruoli.

E non entro nel merito del conflitto di competenze tra i vari organi dello Stato, ma sottolineo solo che la Costituzione attuale dà il potere al Capo dello stato di concedere la “grazia” al “condannato”. E se ciò non avviene la responsabilità cade solo sulla coscienza degli interessati, tanto nel bene che nel male, specie se un’apposita legge è in dirittura d’arrivo col consenso di un’ampia maggioranza trasversale parlamentare che va ben oltre gli opposti schieramenti politici.

Decidere se sia bene o male non è semplice, specie se la cultura di partenza è relazionata ad una determinata ideologia; come non lo è stabilire che una costituzione sia immodificabile e immutabile. Tutto va rapportato ai tempi!

Il problema morale è cavalcato da tutti e da alcuni in particolare.

Personalmente ritengo che come è oggi concepito sia un falso problema.

Quello vero è il non fare della politica una professione, perciò una fonte di guadagno, perché in questo modo il concetto di bene comune, quindi di dedizione alla causa, va correlato alla continuità del solo interesse individuale o lobbistico.

Esiste poi il problema del concetto di capitale che va riportato alla persona e non alla sola finanza ed economia.

Troppi industriali e finanzieri, oltre che i politici, lo intendono come valore a sé stante a cui relazionare il comportamento dell’individuo; ma in questo modo l’oggetto diventa soggetto: un soggetto totalmente astratto e asservente.

Chi oggi riuscirà a concepire esattamente il valore del problema morale sarà il governante del futuro; ovviamente pure se saprà comunicarlo al popolo.

Perché, in sostanza, tale problema coinvolge ogni stadio della vita sociale: il cittadino, la religione, l’ideologia, la cultura, il lavoro, l’economia, la scuola e la politica. E tutto non può che prescindere da un passaggio necessario: il proporlo come valore inalienabile e non negoziabile.

Non si possono creare regole nuove e farle rispettare senza che queste siano basate su un valore morale condiviso da tutti.

E la Democrazia si basa proprio su questo: il concepire un Valore e il rispettarlo sempre.

E se ciò avverrà non vi saranno attriti più o meno artificiosi tra vertici istituzionali, né tra quelli politici e sociali, ma solo il prodigarsi per costruire tutti insieme, nel rispetto reciproco, una società coesa e compatta pur nella diversità di veduta.

Diversamente si avrà chi, essendo al vertice, percepirà centinaia o miglia di volte di più di chi sta alla base, magari occupando solo una poltrona e non avendo mai lavorato in vita sua.

La sperequazione sociale da dove nasce e dove è annidata?

Per saperlo basta guardare il reddito da lavoro (non di capitale) di alcuni e confrontarlo con quello di un operaio o di un pensionato; e forse cominciando dal politico[5] di professione.

La questione morale si basa sull’uguaglianza tra i cittadini/persona, parificandoli non solo sulle parole “vane”[6] contenute nelle varie costituzioni.

Perché la Legge sarà uguale per tutti; ma se lo è solo come principio di base e non operativo allora ad un problema si accumulano altri problemi.

Si parla della necessità di nuove costituenti e la base ne avverte l’esigenza maggiore.

Il vertice forse assai meno, anche perché il modificare certi assetti pregiudicherà determinati privilegi.

E così si spiegano benissimo tanto la crisi economica/finanziaria quanto quella politica/istituzionale: sono il frutto di una società che ha travalicato il valore morale, sostituendolo con l’interesse individuale.

Di conseguenza pure i fatti di questi giorni, pur essendo poco economici, sono emblematici di come vanno le cose: Pilato regna!

E per Pilato intendo tutti quelli che poi si autoassolvono lavandosi le mani: nella chiesa, nella politica, nelle istituzioni e nella società.

Salvo poi fare il coccodrillo ed addossare ad altri la responsabilità, imitando Caifa e stracciandosi le vesti.

Giova ricordare, tuttavia, che per un politico (e per tutti) la priorità è quella di operare a tempo debito, onde evitare che i problemi esplodano creando ingenti danni.

Oggi è esplosa la recessione, la crisi finanziaria (selvaggia) globalizzata, il contrasto sociale muro contro muro tra le varie forse politiche. Ora pare sia esplosa pure … l’eutanasia/fine vita e sta esplodendo l’economia reale e l’occupazione.

Politici e cittadini: vi sembra poco?

Basta dietrologia; abbiamo bisogno di ben altro.

Su, che la ricreazione è finita!

Si torni tutti al lavoro prima che la situazione precipiti maggiormente in un baratro senza fine.




[1] - Altra struttura sovrannazionale in vena di nuova grandeur per gli sfarzosi palazzi che intende costruire come nuova sede.

[2] - Lemma forzato improprio, ma discorsivamente intuitivo: sradicamento.

[3] - Pseudonimo di un politico. Viene dalla voce dialettale: chiacchierare a vuoto perché si ha la lingua.

[4] - Vale per la prevenzione delle problematiche insorgenti, perciò il risolverle prima che queste si incancreniscano, delegando a pochissimi la risoluzione del problema. Basti pensare da quanto la problematica di questi giorni serpeggia nella nostra società.

[5] - Ovviamente non solo per il compenso parlamentare.

[6] - Perché teoricamente solo sulla carta.

venerdì 6 febbraio 2009

Una risposta dovuta.

Una lettrice mi ha chiesto “… perché non citi mai per nome il padre e la figlia?” nel mio articolo Il Silenzio del meditare..

Per diversi motivi; tra cui, se vogliamo, ci possiamo mettere pure il perché l’abbia postato nella categoria “Psicologia/Simbiologia”.

Non è stato un caso!

Teoricamente avrei potuto metterlo benissimo in “Articoli filosofici/sociali”, oppure in “Notizie e politica”.

La Simbiologia si interessa, infatti, dei meandri del comportamento umano, della crescita culturale in un determinato modo, delle conseguenze che causa/effetto producono nel metodo di procedere di ogni persona e in gruppi abbastanza omogenei di persone.

E, ovviamente, ciò non avviene solo per il comportamento o il tipo di ragionamento ideologico, ma pure per le abitudini, le tendenze e, volendo, perfino per l’arte e l’architettura.

Volendo fare un esempio pratico citerei il Manierismo, inglobandolo perfettamente nel “suo” periodo come conseguenza inevitabile artistica di un popolo.

Ecco perché nell’articolo affermavo “Non mi pongo il problema se i soggetti interessati siano credenti o agnostici, di dx o di sx, perché ciò sarebbe un falso problema.”; e non intendevo solo il padre e la figlia, ma anche tutti quelli che razzolano cinicamente in questa tragica realtà.

Il mio meditare non era espressamente per quella figlia e quel padre, ma per tutti quei casi analoghi esistenti oggi in Italia.

Quanti sono? Credo più di un migliaio.

Ovviamente non tutti si battono per l’eutanasia, o come la si voglia chiamare; però alcuni casi estremi, come l’attuale, esistono.

E questo non sarà né il primo, né l’ultimo, sia che si proceda a legiferare sul testamento biologico/fine vita, sia che si attenda ancora.

Si è messo in moto un’istanza (vera o sbagliata) di voler decidere totalmente su come gestire il proprio individualismo; ed è il frutto di una società che procede per gruppi disomogenei, composti a loro volta da singoli, appartati nel loro interesse specifico.

Questi fatti sono l’espressione (oltre che figliastri) di una società decadente, come lo furono le battaglie “ideologiche” sull’aborto e il divorzio; proprio come lo fu il Manierismo per l’arte di un popolo in un preciso periodo storico.

Infatti, la nostra società ama dividersi su false battaglie ideologiche di conquista, piuttosto che investire saggiamente sulla formazione dell’individuo/cittadino o, per la Chiesa, nella Persona/credente.

Quanti cattolici divorziano e abortiscono?

Non credo che chi lo fa sia solo agnostico. Personalmente ne conosco a centinaia!

Vi è, perciò, un grave problema formativo di fondo che la “politica” e anche la “religione”[1] non sanno affrontare se non nel “legalizzare”.

Abbiamo un sacco di clandestini e di disoccupati nostrani? Regolarizziamo.

Abbiamo un sacco di drogati? Liberalizziamo.

Abbiamo le carceri piene e non sappiamo più dove metterli? Facciamo l’indulto.

Abbiamo gente in coma o malati terminali? Legiferiamo sull’eutanasia o sul testamento biologico.

E tornando indietro nel tempo: abbiamo coppie che si sono unite a casaccio e non riescono a stare congiunte, oppure non vogliono avere altri figli? Bene: concediamo il divorzio e l’aborto.

E il popolo “democratico”, plaudente, … ratifica prima nella pratica e poi nella sostanza referendaria.

Ed è ciò che è avviene anche ora.

Quanto costa investire nella formazione della Persona in modo che sappia agire e decidere con ponderatezza e perfetta socialità senza fare imperdonabili errori? Molto meno che permettere i guasti macroscopici di questa nostra società; ma ci vuole impegno, preparazione e capacità.

Ma la democrazia, purtroppo, quando è imperfetta, o posticcia solo nel nome, crea danni incalcolabili che poi ricadono sulle spalle di tutti indistintamente.

La grave recessione in atto per il fallimento della finanza creativa e della speculazione selvaggia la stiamo vivendo sulla nostra pelle. E chi sorge in tali periodi all’orizzonte come salvatore della patria? Il populista!

E questi chi è? Il figlio della cultura e di quel liberismo precedente che l’ha educato e fatto crescere sotto falsi egoistici valori: nel promettere facilmente quel che gli altri bramano sentirsi dire, anche se poi moltissimo non lo si potrà mantenere.

Un amico lettore afferma “Concordo pienamente sul primato della coscienza. Il problema in questi tempi di chiasso è trovare il tempo ed il luogo per saper interrogare la propria retta coscienza e discernere la giusta risposta”.

Ovviamente il discorso è maggiormente complesso perché la coscienza si crea con la formazione culturale approfondita e continua, perciò capace di resistere e di interpretare perfettamente anche tra il clamore populista.

E un altro amico, maggiormente attento e culturalmente avanzato, mi esprime una sostanziale consonanza, percependo esattamente il discorso con queste poche parole:

“… nel comprendere aiuti a capire. Indichi pure la via da seguire quando affermi: …”.

Questo caso è diventata una battaglia ideologica dove i vari attori si intestardiscono ognuno sulle loro posizioni.

E il padre è la prima vittima di questa guerra di “civiltà”, mentre la figlia è il “sacrificio” perfetto da immolare sull’altare del perbenismo individuale avanzante.

Ecco perché la “pietas” latina, non necessariamente cristiana, mi impedisce di nominare i loro nomi. Ho immenso rispetto della tragedia che accomuna padre e figlia!

Oggi ho sentito gli intendimenti di alcuni politici e di alcune parti e mi vergogno, come cittadino, del cinismo attuato.

Il caso, non la persona, viene trattato come mezzo e fine per le proprie idee, sia a dx, sia a sx come al centro.

Poi, guardando bene, si scorgono, dietro le parole e gli atti di rito, l’assoluta indifferenza, pure anche in alto, della tragedia che coinvolge chi sta trapassando.

E, se si guarda maggiormente nella vita privata di questi marginali attori della strumentalizzazione, si scopre che già più volte hanno calpestato i valori che pretendono di difendere su opposti schieramenti ideologici, magari sotto l’etichetta della laicità statale.

Non credo che i Valori siano patrimonio della dx o della sx, né del credente o dell’agnostico.

I Valori, quelli veri, sono universali, appunto perché debbono essere percepiti totalmente nella loro importanza e grandezza.

La Vita, in sostanza, è vita sia per il cristiano che per il laico e tutti la issano come bandiera di civiltà.

Il problema non è quello di percepirla nella coscienza, bensì quello di sapere che se è impregnata di egoismo, egocentrismo ed individualismo la vita non è più un valore, ma solo un oggetto inutile del vivere civile.

Ecco perché diventa un semplice “usa e getta” in base alla produttività individuale.

Personalmente ho citato due mie dolorose esperienze personali; ma al lettore attento non sarà sfuggito che la decisione assunta, pur nei due modi attuativi antitetici, era perfettamente lineare e specifica all’essenza vera della Vita.

Un ringraziamento a tutti quelli che, pubblicamente o privatamente, mi fanno pervenire le loro considerazioni di merito.




[1] - Intese non come parti di Stato e Chiesa, bensì come movimento sociale.

giovedì 5 febbraio 2009

Una favola attuale.

Se in una società i rapporti fossero semplici, pure i rimedi in caso di bisogno sarebbero semplici.

Purtroppo così non è, caro Sesto. Ma non rispondo solo a te, ma a tutti quelli che mi han fatto avere le loro riflessioni per Un progetto strutturale nell'economia nazionale: il distretto industriale. .

L’esprimere un pensiero non è mai una cavolata, ma solo il dovere e il diritto di un cittadino.

Troppe cose non funzionano e solo per un semplice particolare: l’egoismo di alcuni che annienta la socialità.

Vi racconterò una piccola favola indicativa di come vanno e andarono le cose, anche se non tratta da Esopo:

Proprio agli inizi del secolo scorso due bravi artigiani, con il pallino della meccanica, si misero in testa, in una grande città, di dedicarsi alla neonata automobile. Erano talmente bravi che ci riuscirono ed ebbero pure alcuni ordini.

Si erano associati, ma non avevano fondi.

Ne chiesero, ma nessuna banca gliene dette.

Nel loro piccolo bugigattolo riuscirono comunque anche ad assumere un paio di operai e continuarono il lavoro.

Di loro si avvide un politico interessato alla novità che propose loro di ingrandirsi. Loro gli dissero della loro impossibilità e lui, in cambio di una piccola partecipazione, promise di aiutarli.

Gli fece avere piccoli finanziamenti e pure una piccola commessa di prova per l’esercito di allora, che intendeva meccanizzarsi, in modo che si potessero ingrandire.

Dopo un po’ gli fece saltare le commesse avute e i finanziamenti e i due artigiani andarono verso il fallimento.

Sicché con pochi spiccioli si ritrovò proprietario; e i proprietari semplici operai.

Le commesse per l’esercito tornarono d’incanto e pure i finanziamenti. L’azienda decollò verso … l’industria, anche se come fornitrice del Regio Esercito e per la borghesia.

Passò il tempo e … le due guerre mondiali in una crescita esponenziale.

Il politico si arricchì ulteriormente e i due bravi artigiani rimasero … operai.

Dopo il secondo conflitto mondiale l’industria decollò nella rinascita ricostruttiva e si dedicò per lo più all’uso civile.

I vecchi se n’erano andati e il principino erede non era ancora pronto a reggere il timone.

Aveva altro da fare: fare il bellimbusto facendo le corna e, a forza di farle, diventando cornuto.

A forza di “correre” un giorno ebbe un grave incidente, mentre era con una nipote di un politico importante, e ci rimise … qualcosa.

L’azienda, intanto, era stata proiettata nel firmamento industriale da un bravissimo ingegnere.

Il principino, diventato reuccio spocchioso, decise ch’era l’ora di mettere (secondo lui) la testa a partito. Perciò, per fare a modo suo, cacciò l’ingegnere e si insediò alla plancia di comando, mentre dei parenti entravano in politica schierandosi in diverse formazioni.

Poi vennero: la crisi, i contributi, la rinascita con altri bravi manager e ingegneri (poi liquidati), le regalie di … stato e pure un seggio (honoris causa) al …

Vennero pure le tragedie e infine la …

I meriti, ovviamente, furono tutti del reuccio e gli oneri del … popolo.

Gli eredi non è che stiano facendo molto di meglio, ma così … va il mondo: piove sempre sul … bagnato!

Ovviamente questa è per lo più non la storia di un’industria o di un industriale, ma, ahimè, è spesso la storia di molte industrie ed industriali.

Sicché con tali presupposti è facile comprendere che l’oro fa cantar l’orbo, specie se questo vuole associarsi con gli “orbi” che l’hanno preceduto.

Non nella luce della socialità e dell’etica, beninteso, ma nelle tenebre degli … affari poco morali.

Mi pare d’aver già detto abbastanza.

Grazie a tutti per l’attenzione.