martedì 11 novembre 2008

Analisi delle prospettive sulla recessione.

Già diverso tempo fa degli amici mi avevano sollecitato a comporre un articolo sui due candidati alla presidenza U.S.A.

Non lo feci mai per un solido e pratico motivo: non sarebbe stato importante chi avrebbe vinto, ma la crisi che stava avanzando e attanagliando il globo.

Un uomo, per quanto sapiente, non potrebbe mai affrontarla da solo con l’obbiettivo di poterla risolvere, tanto è complessa, insidiosa e dalle ramificazioni che incrociano molteplici tematiche sociali e internazionali.

Personalmente credo che questa grande crisi sia il frutto della degenerazione pratica delle teorie keynesiane, abusate e dilatate nei decenni con ulteriori derivazioni finanziarie, tese ad ottenere con poco sforzo dei risultati pratici e immediati per arricchirsi con poca fatica.

Diversamente non si spiegherebbero certi arricchimenti miracolosi di altrettanti parvenu nel mondo dell’alta finanza.

I nostri vecchi dicevano che il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi; appunto: le regole architettate ad arte per ottenere evidenti risultati a scapito della comunità (popolo), chiamata poi, come ora avviene, a risanare con sacrifici i danni prodotti da intriganti speculatori.

Soros, ad esempio, fece la sua fortuna speculando senza alcun rischio (aveva allora poco) sulla Lira italiana, che dei noti personaggi, ancora viventi, si intestardirono a difendere, bruciando in 20 giorni un immenso patrimonio. Il risultato fu che si dovette, comunque, svalutare.

La manovra di primo intervento, da 700 ml di $ varata da Bush, fu approvata, preventivamente, anche dai due candidati alla presidenza; e presidente vecchio e nuovo si sono subito incontrati per analizzare insieme la situazione, onde non perdere tempo prezioso data la gravità della situazione.

La General Motors, una delle aziende più importanti del globo, sarà sul lastrico (fallita) senza un intervento statale e molte altre importanti aziende sono vicine al collasso economico e finanziario. Se questa salta sono pure a rischio molti fondi pensione, perciò pure il reddito di chi è già in quiescenza e di chi ci andrà in futuro.

Perciò, se tali colossi, con i titolati manager che hanno, non sono riusciti a prevedere ed a arginare la situazione, significa che anche per l’Amministrazione della maggiore potenza militare ed economica del pianeta il compito sarà estremamente arduo.

Non un solo uomo, pertanto, ma un intero staff di validi esperti.

Perciò, che l’uno o l’altro diventasse presidente, era in pratica ininfluente!

Il debito statale americano è di per sé già rilevante. Se si aggiunge l’attuale manovra da 700 ml, per salvare il salvabile, e se si calcola che non era prevista, si può immaginare dove il debito annuale venga spinto.

Operare in una simile situazione non sarà pertanto agevole: oserei dire quasi drammatico.

Gli States, affermano molti economisti, hanno bisogno urgente di infrastrutture nuove, oltre a rinnovarne altre ormai obsolete; pertanto una coraggiosa spesa pubblica destinata a questi investimenti può, si sostiene, essere il motore di ripresa per vincere la recessione.

All’inizio dell’era Bush la Fed abbassò il TUS per rilanciare produzione e consumi, ottenendo parziali risultati interessanti nel breve periodo, che però si sono rivelati deleteri oggi, innescando con i subprime l’inizio del crollo finanziario. Val la pena ricordare che i subprime sono stati solo la scintilla iniziale; ma che, comunque, nel breve ciò sarebbe successo ugualmente.

Il disavanzo annuale era già calcolato su 400 ml, che aggiunti agli attuali fanno una bella sommetta. Ovviamente non è finita, perché la cifra stanziata dall’Amministrazione Bush si è subito rivelata insufficiente e necessitante almeno del doppio. Se, poi, si innestano a catena pure le industrie allora il quadro non è molto edificante.

La speranza di tutti è che la virulenza infettiva abbia raggiunto il culmine; ma, personalmente, non ne sarei troppo sicuro.

Veltroni e il PD inneggiano ad Obama, ma se la sua attenzione principale è quella, appena manifestata, di sostenere il ceto medio, allora mi domando dove andrà a finire il ceto popolare (povero). In pratica è teso alla difesa della propria dirigenza partitica democratica (ceto medio), anche se nella propaganda ha attratto verso di sé pure il ceto debole.

Il PD, in effetti, non ha, dopo la batosta elettorale subita, più il senso della misura, né, a mio parere, un obbiettivo comprensibile e prioritario da raggiungere se si è fossilizzato sulla vittoria di Obama e sulla difesa della scuola, impugnando nelle piazze il D.L. 137 sulla scuola di base. Perché, se perde di vista la realtà politica, è ovvio che difenda solo la sua esistenza e non gli interessi della nazione.

Difatti, nell’esultanza della vittoria altrui, si è dimenticato cosa sia, in effetti, la “democrazia” e il cooperare uniti dopo le elezioni per il bene di tutta la comunità; cosa che democratici e repubblicani hanno subito realizzato dopo l’annuncio dei risultati elettorali.

Evidentemente l’origine ideologica marxista non è stata ancora spurgata nel Dna dirigenziale, rendendo pratico il detto[1] goliardico di alcuni intellettuali.

Un ulteriore disavanzo statale è giustificabile solo se la priorità è quella di scongiurare la recessione economica.

Tuttavia ciò pone in essere gravi rischi di inflazione, che possono solo essere compensati, nella competitività, dal fatto che pure l’Europa dovrà allentare la disciplina di rigore sui bilanci nazionali, essendo in recessione pure essa.

La BCE ha appena abbassato il TUS di 1/2 punto[2], portandolo al 3,25%. E l’€, dopo essere passato da 1,29 a 1,31 sul $ in solo mezz’ora, ha poi subito una flessione immediata a 1,28 nonostante le ulteriori notizie negative di macroeconomia proveniente dagli U.S.A. e indicanti una recessione più nera del previsto.

La BOE[3] aveva invece abbassato il TUS di 1,5 punto (il triplo) e la sterlina si è rivalutata sull’€. Perciò i flussi finanziari in atto non hanno premiato la redditività monetaria, ma l’impegno dimostrato a contenere l’inflazione.

Ciò dimostra che, nonostante l’attuale TUS della FED all’1%, i capitali stanno migrando (ritornando) verso gli States; per il semplice motivo che la possibilità di solidi investimenti federali prospetta una redditività a medio lungo termine assai più redditizia che in Europa.

Le economie mondiali, inoltre, non sono in piena occupazione dei fattori produttivi e neppure le emergenti godono buona salute, venendo a mancare loro, di fatto, il mercato naturale occidentale di sbocco per la drastica riduzione dei consumi.

L’indice Crb[4] indica in un anno il crollo dei Future del 57%, evidenziando di fatto che il boom produttivo si è arrestato e che la speranza che le economie emergenti fossero immuni alla crisi finanziaria e recessiva era solo un’ottimistica utopia.

Gli investimenti lasciano dunque i paesi a rischio per tornare alla base, dove la democrazia reale può produrre un contrasto di efficienza maggiore alla recessione, riducendo il pericolo sul capitale stesso.

Che politica intenderà adottare il nuovo inquilino della Casa Bianca? E quando questa diventerà operativa (efficace), considerato che si insedierà solo il 20 gennaio e che ci vorranno alcuni mesi per architettare un’efficace terapia di contrasto, prendendo atto anche della collaborazione fattiva attuale tra Bush e Obama?

L’esigenza della nuova Amministrazione non potrà che prescindere dal riportare il $ al centro del sistema monetario mondiale e di rafforzarne, di conseguenza, il valore e la stabilità.

Ciò si potrà ottenere in diversi modi, che però hanno tutti la loro controindicazione:

a) Aumentare la pressione fiscale può essere un freno sia ai consumi che agli investimenti, e potrà ingenerare nel consumatore e nell’investitore un’idiosincrasia inconscia alla spesa e all’investimento.

b) Puntare solo sul disavanzo pubblico per finanziare gli investimenti strutturali porterà inevitabilmente all’esplosione del debito pubblico, azzerando a lungo termine i benefici che si potranno ottenere a breve sui redditi e sull’occupazione. Ciò aumenterà, di conseguenza, anche il disavanzo commerciale, innescando una debolezza sul dollaro e possibili turbolenze speculative.

c) Ridurre drasticamente le spese militari, ritirando le truppe dai teatri bellici, implicherà l’abdicare al ruolo egemone politico e militare, dando fiato sia al terrorismo che alle pretese nucleari di paesi dittatoriali.

Ovviamente tutto ciò lo si può ottenere operando su più fronti, ma non si potrà prescindere dalla riscrittura delle regole finanziarie etiche e procedurali, eliminando di fatto tutti quegli strumenti che innescano la speculazione: i Derivati e i suoi assimilati.

Per attirare capitali sugli investimenti bisogna prospettarne una realistica remunerazione; ma per fare ciò vi è la necessità di governare la globalizzazione.

Ridurre le spese militari senza rischio significa la variazione sostanziale di politica estera e di porre in atto le opportune alleanze per contrastare il terrorismo. Ciò vorrebbe dire potenziare (riavvicinare) i rapporti con l’Europa, dandole importanza politica e addossandole parte delle spese per la difesa.

La stessa cosa vale per i paesi emergenti in espansione (asiatici) o per quelle potenze decadute (ex Russia) o nascenti (Iran in primis) che vorrebbero entrare, o rientrare, da protagoniste sullo scacchiere mondiale: instaurare, perciò, rapporti pacifici e costruttivi.

Da quanto visto, sia in campagna elettorale sia nel primo discorso ufficiale, non mi pare che Obama vada in questa direzione politica internazionale.

I Democratici, nella storia, si sono dimostrati in pratica più guerrafondai dei Repubblicani, anche se le statistiche sono relative.

Però se l’Iran proseguirà nel suo programma nucleare Obama che farà? Starà a guardare? E il ritirarsi dall’Iraq, come in campagna elettorale prospettato, ma poi attualmente rinnegato, non vuol forse dire lasciare che l’Iran si appropri del dominio della regione con ulteriore problematica sulla materia prima energetica e sul terrorismo?

Il tessere pacifici è costruttivi rapporti diplomatici non è realistico praticarlo in tempi brevi e la crisi recessiva e finanziaria non può aspettare.

Perciò attendiamoci tempi lunghi anche perché l’idillio populista elettorale di Obama è atteso ora alla prova dei fatti: non tanto in lui, ma nello staff che sta mettendo a punto.

La crisi sarà lunga e avrà bisogno di tutte le possibili sinergie internazionali, tanto politiche quanto finanziarie.

E chi pensa che tra un anno sarà tutto superato credo che rimarrà deluso; forse si comincerà a vedere la luce in fondo al tunnel se saremo fortunati.

Ma, probabilmente, gli ottimisti sono proprio quelli che non hanno visto oltre il loro naso e che fino a un mese fa credevano ancora che l’Asino d’oro di Apuleio potesse volare in eterno, contro natura e contro la forza di gravità.

Difatti il su e giù delle Borse mondiali dimostra che non esiste un nesso logico economico, ma solo un imponente flusso speculativo che non ha alcuna intenzione di arrestarsi, anche in presenza di una situazione drammatica che consiglierebbe molta prudenza.

Mi auguro di sbagliare e che Obama possa dimostrare lo spessore (e quell’imprimatur popolare da taumaturgo) che ora ha solo conclamato, perché un conto e il promettere ed un conto è il fare.

Però, da un uomo che non dice la verità sul suo insignificante passato, se non solo quando le prove diventano schiaccianti, c’è solo da aspettarsi il salto della quaglia per soddisfare i propri interessi personali; ed alcuni naturali dubbi sul suo spessore possono nascere di conseguenza.

Non vorrei, insomma che cambiasse solo l’inquilino della Casa Bianca, ma non la sostanza dei fatti.

E per raggiungere la “sostanza” operativa bisogna riscrivere tutte le regole etiche e morali, e non solo quelle inerenti alla finanza globalizzata selvaggia: bisogna riscrivere il modo esistenziale di molta classe dirigente.

Ridistribuire il reddito non è una priorità, bensì un atto sociale di giustizia; e non lo si fa aiutando principalmente il ceto medio che ti ha portato alla presidenza, con buona pace dell’esultanza di tutto il PD.

La stessa cosa vale anche per i nostri politici nostrani, sia nella maggioranza, sia nell’opposizione. Il popolo attende democrazia e non il solo interesse di parte e il vociare continuo tra petulanti risse.

Bene a fatto Cossiga a rispondere alla Bruni sulla sua declamata gioia di non essere più italiana: anche noi, con il “picconatore”, siamo estremamente felici che non sia più dei nostri.

Certa gente, diciamola tutta, è meglio non averla tra i piedi!




[1] - Se a un secolo dalla morte si effettua ad un marxista l’esame del Dna, nell’ellisse genetica compariranno solo miliardi di cellule a forma di falce e martello.

[2] - Il commento che ho sentito maggiormente in giro è: “Ma Trichet è matto?”.

[3] - Bank of England

[4] - Materie prime, il cui indice è sceso da 310 a 255.

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