lunedì 21 marzo 2011

Il nucleare dell'uranio e quello umano.

I cataclismi naturali che hanno investito il Giappone non hanno messo in rilievo la pericolosità delle centrali nucleari, ma solo di alcune di queste qualora venissero sottoposte ad eventi analoghi.

Ciò era già prevedibile, oltre che scontato.

Vale sottolineare che tali eventi apocalittici non possono verificarsi ovunque, né con continuità, ma solo in determinate zone del mondo.

Le centrali nucleari, tuttavia, possono essere soggette anche ad analoghe, nelle conseguenze, azioni terroristiche o ad attacchi di singoli stati in caso di guerra.

Che il farlo sia delinquenziale per tutta l’umanità è un altro discorso; ma che ciò possa avvenire può essere considerata una probabilità reale più o meno remota.

Le centrali nucleari, come tutto a questo mondo, sono sempre e ulteriormente migliorabili. Perciò partendo dalle prime si è cercato di aggiungere tutte quelle migliorie tecniche e necessarie a renderle non solo più sicure, ma anche più redditizie e potenti, meno inquinanti nelle scorie e pure più economiche nei costi complessivi.

Se oggi esiste un problema è che quelle più vecchiotte, perciò di seconda generazione, non possono reggere con sicurezza sismi di magnitudo oltre il . Più che non reggerli possono evidenziare delle lacune in grado di innescare problematiche particolari, proprio come quelle prodottesi a Fukushima.

In Giappone, ma pure altrove, esistono ancora delle centrali analoghe, che però nonostante il sisma abbia superato i non hanno subito lo stesso iter di inconvenienti.

La fissione nucleare, usata nelle centrali atomiche, venne sperimentata da Enrico Fermi nel 1934. E benché la scienza ora faccia passi da gigante è ovvio che sia abbastanza recente.

La prima centrale sperimentale con un reattore nucleare viene costruita ad Arco nell’Idaho con una potenza iniziale di 100kW e inizia la produzione sperimentale il 20/12/1951. Quattro anni dopo, nel 1955, il reattore subisce un incidente tecnico, subendo la parziale fusione del nocciolo.

Altre sperimentali ne seguono, ma la prima commerciale entra in funzione nel 1956 a Sellafield in Inghilterra con una potenza di 50 MW, in seguito aumentata a 200.

Ora le ultime centrali di recente costruzione possono raggiungere anche i 150 GW di potenza.

Gli incidenti relativi a queste centrali atomiche son circoscritti a pochissimi casi, di cui i più gravi sono quello di Tree Mile Island (1979) e Chernobyl (1986).

L’esperienza acquisita portò a migliorie e a standard elevati di sicurezza sulle centrali già esistenti, progettate per produrre per almeno 3 decenni. E con un revamping anche oltre.

Attualmente gli studi sulle centrali di IV generazione (VHTR) prevedono una vita produttiva di circa 6 decenni; e oltre a generare elettricità sarebbero in grado di produrre anche idrogeno per uso commerciale, perciò anche per le auto non inquinanti del futuro ad emissione zero, frenate ora nella produzione a catena dagli attuali costi che l’idrogeno comporterebbe.

Attualmente nel mondo la ricerca si sviluppa su due linee principali, classificabili in tecnologia termica e in tecnologia veloce.

La crisi del petrolio del 1973 portò alcune nazioni a puntare soprattutto sul nucleare. Perciò la Francia ora produce con le centrali atomiche circa l’80% del suo fabbisogno e il Giappone il 30%.

L’Italia è perciò attualmente accerchiata da centrali nucleari pur non avendone alcuna sul proprio territorio per il referendum (abrogativo) del 1987; mentre, in base ad una scelta energetica governativa del 2008, dovrebbe, entro il 2013, iniziare a costruirne di nuove.

Va comunque sottolineato che una primaria azienda italiana ha propri impianti nucleari poco oltre il confine, e da uno di questi immette energia nella rete nazionale.

Energia prodotta dal nucleare viene importata pure da altre nazioni confinanti per la nostra cronica carenza d’energia.

Attualmente il nucleare, pur ponendo alla massa emotive sensazioni di remoti terrori, è non solo la via più economica, ma anche la più sicura e meno inquinante, a parte l’eolico e il fotovoltaico che comunque questo lo producono alla fonte e la cui resa investito/prodotto non vale per ora, a mio parere, il lume della candela. In pratica sono sistemi utili per determinate zone.

Basti pensare che, come citavo in un precedente articolo (Una politica, un’economia, una democrazia e una libertà assai labili.), investendo la stessa cifra sul nucleare, anziché sull’energia alternativa e rinnovabile, si coprirebbe circa il 50% del fabbisogno nazionale invece di un ipotetico, da programma, 2% entro il 2020.

Chi oggi cavalca l’emozione della paura del nucleare, soprattutto a fini politici di parte anziché nazionali, lo fa sulla base del populismo, del qualunquismo e dell’opportunismo.

Un politico realista, infatti, può si cavalcare l’antinucleare per convinzioni proprie, ma dovrebbe pure proporre strategie alternative per lo sviluppo della nazione. Alternative energetiche che, è bene sottolinearlo, oggi non esistono.

A meno che si voglia che si torni tutti a zappare materialmente i campi e ad usufruire del solo lume delle candele per il semplice fatto che questo modo è il meno rischioso e meno inquinante tra tutti quelli oggi disponibili.

Affermare che l’Italia deve puntare sul nucleare, perché tanto siamo accerchiati da centrali atomiche comunque, non è una buona ragione discorsiva.

E non lo è neppure il dire, come ha affermato ultimamente un politico in modo idiota, che l’unico nucleare sicuro è quello di non farlo.

A costui, forse in demenza senile e di cultura logica assai scarsa, si potrebbe obbiettare che allora non si dovrebbero costruire case perché possono crollare sulla testa dei propri utilizzatori per cause varie, oppure non fare impianti in queste a gas per cucinare e per riscaldare considerato che ogni tanto vi sono degli scoppi che creano danni e vittime, oppure non usare auto, treno, nave o aereo per spostarsi perché l’uso di questi mezzi ha creato, crea e creerà ancora, molte vittime nella storia umana.

Come si sa, però, alcuni procedono nel ragionamento ancora alla modalità logica discorsiva del primo homo sapiens, quando l’uomo emetteva solo informi suoni vocali.

Analizzando i dati ufficiali prodotti dalla IEA è innegabile che, come casistica e morti create dalla loro nascita, le centrali nucleari appaiano in percentuale molto meno deleterie di un comune mezzo di trasporto pubblico attuale, attestandosi nella casistica in maniera infinitesimale rispetto alle citazioni precedenti. Perciò sono estremamente sicure quelle di ultima generazione, anche se ciò non può escludere in assoluto un incidente.

L’evoluzione dell’uomo e della scienza, tuttavia, impongono una ricerca continua di accorgimenti e progetti sempre più sicuri e funzionali, oltre a ricercare per il futuro altre vie energetiche maggiormente idonee per costi, produttività e sicurezza.

E gli incidenti più o meno voluti devono servire a perfezionare sempre la sicurezza là dove si palesassero delle lacune.

Il mondo islamico ha avuto in questo ultimo ventennio un bum demografico impressionante. Perciò le popolazioni arabo/islamiche sono cresciute in media in tale periodo di circa il 30%.

I petroldollari hanno portato la scolarizzazione di massa; ma, essendo in mano a pochi, non sono stati in grado di creare benessere a tutti. Perciò i benestanti sono rimasti pochi e gli indigenti quasi tutti gli altri, divaricando la forbice tra gli uni e gli altri.

La tecnologia ha reso inoltre disponibile la comunicazione globalizzata e la scolarizzazione di massa ne ha facilitato la diffusione.

La comunicazione globalizzata, però, non è al servizio del popolo, ma dei grandi gruppi finanziari che la usano anche per condizionare abitudini, consumi, consuetudini e per imporre formule di vita sociale che non sono importabili ovunque. È un singolare e fenomenale mezzo di potere.

Ovviamente le nazioni occidentali fanno la parte del leone, anche perché con il loro finto benessere (basato sullo sperpero e sul debito privato e sovrano) mostrato dai media, attraggono l’interesse dell’indigente massa giovanile islamico/araba, che ci vede come un possibile Eldorado.

La democrazia è imperfetta anche nel mondo occidentale e non è, in assoluto, il modo migliore per governare dovendo mediare tra opposte idee ed esigenze e, basandosi sul voto universale, ponendo il sapiente al pari dell’analfabeta.

Perciò non si avrà mai la scelta migliore, ma quella mediocre possibile tra diverse tendenze.

Il referendum italiano del 1987 sul nucleare ne è, a proposito, l’esempio migliore di scelta inopportuna e dannosa per lo sviluppo e gli interessi della nazione. Per antonomasia è la negazione stessa del valore della democrazia, perciò della sua manipolazione.

Gli occidentali, specie il mondo anglosassone, prima con il colonialismo e poi con l’imperialismo finanziario, hanno portato ovunque il loro modo di vivere. E con questo pure i grandi difetti del mondo occidentale.

Ultimamente, usufruendo del battage mediatico sulle masse occidentali, hanno tentato di esportare e di giustificare altrove i loro modelli di governo, specie là dove questi non solo non possono attecchire, ma dove sono estremamente dannosi.

La guerra in Iraq, e in parte pure quella in Afganistan, hanno mostrato col senno di poi la fallibilità volontaria dell’inganno mediatico, volto a dare valore etico ad interessi privati di singole nazioni e dei loro grandi apparati finanziari giuridici senz’anima e senza volto..

Questa è storia passata!

Ora si sta ripetendo lo stesso copione nel Maghreb.

E ciò avverrà fino a quando il mondo sarà guidato dai soliti tre bulli di quartiere con la faccia da duri, che nella loro vita pubblica e privata ne hanno già combinate assai.

L’Onu, pur con un terzo di astensioni importanti, ha decretato per imperio franco/anglo/americano la no fly zone sulla Libia; ma, prima ancora che i capi di stato Ue e la Nato convenissero il da farsi, i caccia francesi stavano già bombardando. E forse per puro caso la Francia fu la prima e unica nazione a riconoscere i pochi ribelli come veri rappresentanti di tutto il popolo libico.

La no fly zone, in realtà, sarebbe il divieto di intraprendere voli militari in quella nazione e la comunità internazionale dovrebbe vigilare in modo che ciò non avvenisse.

I caccia della coalizione autorizzata dall’Onu dovrebbero perciò attaccare i caccia libici che si levassero in volo per impedire bombardamenti civili, ammesso che ciò fosse già avvenuto come da giorni declamato dai media.

L’assurdità logica è che nessuno a questo mondo, neppure un pazzo, userebbe aerei da combattimento per bombardare dei manifestanti civili. Sarebbe un controsenso assurdo.

L’attacco di queste ore, tuttavia, non parla di duelli aerei, ma di attacchi continui con cacciabombardieri e con missili lanciati da aerei e da navi su obbiettivi militari e civili, che nulla hanno a che fare con la no fly zone. Attacchi in cui ora si distinguono francesi ed americani, anche se altre nazioni sembrano smaniose di intervenire.

E, forse, non per puro caso la Francia è la nazione della terra che può benissimo fare a meno del petrolio per produrre energia e per i suoi bisogni industriali. Perciò di fregarsene se il prezzo di questo sale alle stelle, traendone dal conseguente forte aumento energetico degli innegabili benefici commerciali rispetto alla concorrenza.

La Lega araba, coinvolta per l’assenso all’operazione forzatamente e non con la totalità dei suoi aderenti, ha levato il suo grido di disapprovazione contro attacchi che nulla hanno a che fare con la no fly zone, mettendolo bene in chiaro con una dichiarazione ufficiale inequivocabile del suo Segretario generale poche ore fa.

Ciò non fermerà tuttavia la volontà di guerra delle nazioni partecipanti, che sotto questo velo hanno e nutrono ben altri interessi.

Pure dei governanti italiani di spicco, ahimè, si sono premurati di giustificare questa operazione, mettendo bene in chiaro la loro voglia di menare le mani a fini … umanitari e di giustizia, nonostante il Trattato di amicizia stipulato con il Governo di Gheddafi non molto tempo fa; ma, come si sa, e la storia patria insegna, l’Italia è maestra nel voltagabbana di trattati e alleanze.

Il ragionamento non può mai essere pro o contro qualcuno; ma ciò vale anche quando certi trattati si stipulano liberamente per opportunità, più o meno manifeste, che vanno oltre il concetto di amicizia tra i popoli.

Gli interventi militari occidentali non sono avvenuti ovunque si manifestassero similari situazioni, ma in ben precise zone geografiche della terra; basti pensare al Darfur in Sudan, dove una guerra sanguinosa e civile prospera da anni.

Molte altre nazioni non hanno trovato nel mondo occidentale gli stessi interessi … di libertà, per ovvi mancanti interessi specifici.

La menzogna mediatica ha giustificato la guerra in Iraq, dove i morti creati dall’annientamento militare del regime sono ben superiori a quelli probabilmente prodotti dal lungo governo di Saddam, senza contare quelli che si assommeranno in futuro per l’instabilità generata.

In Somalia le cose sono come prima, se non peggio di prima, anche se l’Etiopia ha poi fatto una guerra per procura, come tempo addietro l’aveva fatta Saddam contro l’Iran.

In Afganistan sta andando pure peggio, visto che si sta cercando una via di “fuga” onorevole per non ripetere un altro Vietnam. Ed è lampante che l’Afganistan tornerà quello di prima.

L’avvento di Obama ha, a mio parere, peggiorato la situazione della politica internazionale degli States, tanto ondivaga e incerta da non avere una meta visibile oltre quella populistica, se non l’immagine di una donna elegante e ricca che se ne va a fare rappresentanza ideologica.

Sono un occidentale e italiano di nascita.

Nel mondo non sono mai stato accettato come tale, ma come un cittadino apolide che si sentiva a casa sua ovunque, rispettando gli usi, la cultura, le leggi e la volontà altrui: un cittadino del mondo!

Non apprezzo, né condivido, l’attuale politica interventista occidentale sulla Libia e neppure quella italiana, anche se conclamata ai massimi vertici istituzionali, specie se si vuole giustificare a tutti costi un mandato Onu che tale non è in sostanza.

Credo nell’autodeterminazione dei popoli e nella possibilità di dirimere, al limite, anche con le armi le loro questioni interne, se una minoranza vuole imporre alla maggioranza la propria faziosità. I governi dittatoriali cadono prima o poi, quando la maggioranza del popolo volte le spalle al dittatore di turno, perché con la violenza ed il terrore si governa poco tempo.

Non credo alle bombe e ai missili intelligenti voluti a tutti costi, perché creano vittime in spregio al diritto che si vuole difendere.

Ho conoscenti e lettori qualificati in molti paesi quasi ovunque: arabi, islamici, americani, asiatici, occidentali, mitteleuropei, latinoamericani e … italiani; ma non sono amico di questi governanti che vogliono mostrare i muscoli.

Conosco in parte il mondo arabo e la sua cultura e so che la democrazia è impossibile come viene vista da noi, sia perché l’ideologia religiosa è molto diversa, sia perché il concetto di reciprocità viene laggiù nella pratica disconosciuto.

Diversamente vi sarebbe l’uguaglianza tra sessi, non vi sarebbe il totem al comando ovunque ma governi elettoralmente democratici; e vi sarebbe il riconoscimento giuridico dei figli minori come persona e non come proprietà.

Il mondo islamico è un mondo ancora ideologicamente arcaico in cammino, per diverse ragioni che ora sarebbe troppo lungo elencare; un mondo a cui il battage mediatico globalizzato cerca di inculcare il consumismo legandolo al benessere esistenziale.

Un mondo che per enormi interessi (taciuti) forse è utile destabilizzare.

Nel globo vi sono molti problemi e quello nucleare dovuto alla centrale di Fukushima può apparire il più vistoso, anche se meno importante. Nella peggiore delle ipotesi il danno sarebbe solo locale, come lo fu per Chernobyl il cui incidente fu, almeno sino ad ora, molto più complesso e devastante.

La crisi finanziaria, grazie al salvataggio di importanti società da parte dei rispettivi stati, non ha risolto la crisi, né ha affrontato la radicale revisione dei mercati mobiliari, purgandoli da quegli elementi spuri che portarono l’economia mondiale quasi al tracollo generale.

Paradossalmente le società finanziare che hanno creato il dissesto, grazie ai salvataggi statali, hanno raddoppiato la loro grandezza ed importanza sui mercati globalizzati, vincolando ai propri interessi i singoli stati, quasi trainandoli ai loro voleri.

Sono tornate tutte alle loro grandi speculazioni, creando un pericolo ben più imponente e grave del precedente, perché se ciò accadrà gli stati non potranno più fare nulla, dissanguati dai debiti sovrani come sono.

E pure gli stati che ora sono economicamente in espansione saranno trascinati nel baratro.

Gli occidentali sono in decadenza ideologica, etica, politica e militare; tuttavia i loro governanti operano sullo scacchiere internazionale come se fossero il punto di riferimento dell’universo secondo un’ideologia basata ancora sulla scolastica.

L’Onu, per ancestrali diritti privilegiati di veto, è ancora nelle mani di poche nazioni, anche se i tempi sono cambiati assai; e, guarda caso, sono quelle stesse nazioni che prima impongono una risoluzione secondo i loro voleri, per poi interpretarla e declamarla secondo i loro interessi. Nazioni in decadenza!

La Libia è un piccolo paese, tanto piccolo nonostante la sua estensione da essere insignificante. Non lo è, tuttavia, per gli immensi giacimenti di idrocarburi che la rendono la più appetibile del Maghreb.

Il suo esercito è numericamente minimo e ha un arsenale scarso, datato di oltre 2 decenni, che non giustifica i mezzi tecnologici e il dispiegamento di forze messe in campo dagli occidentali.

Tuttavia, per quanto possa sembrare assurdo, per spodestare il rais si dovrà effettuare un intervento terrestre, come lo fu a suo tempo in Iraq.

I cieli, infatti, possono dare una supremazia dell’aria, ma non quella del territorio e delle persone.

Le guerre precedenti, sempre volute dalle stesse nazioni, non hanno prodotto alcunché, né instaurato nei paesi interessati la democrazia occidentale.

Hanno fallito nel loro dichiarato intento per un motivo unico: la finalità era ufficialmente quella, ma in sostanza tutta un’altra. Diversamente non si sarebbe basata sulla menzogna come la storia ha poi dimostrato.

Per assurdo, strano a dirsi, la menzogna fu prodotta da governi ufficialmente democratici; e forse si sta perpetuando ancora nel tempo appunto perché sono ancora gli stessi.

Ci si chiede chi sarà il prossimo bersaglio di questa politica interventista: la Siria o l’Arabia Saudita?

E dietro questa politica quali interessi si nascondono? Per saperlo bisognerebbe chiederlo alle varie cancellerie, oppure alle grandi multinazionali che condizionano con i loro immensi bilanci le politiche nazionali.

L’uranio può sembrare un grande pericolo, ma il vero pericolo sono le grandi società finanziarie globalizzate che divorano reddito a tutti per arricchirsi sempre più e che possono con i loro sporchi giochi far saltare tutto il banco.

Le radiazioni dovute ad un’ipotetica esplosione dei reattori di Fukushima possono essere localizzate geograficamente, ma non ovunque.

La destabilizzazione mediatica del mondo islamico non si sa se produrrà la rabbia dei popoli ipotizzata dalla Populorum progressio, ma di certo i tamburi di guerra occidentali non promettono nulla di buono.

Oggi vi sono molte radiazioni; in ordine di importanza crescente: nucleari, culturali, mediatiche e finanziarie. Quest’ultima è in grado di spargere i suoi malefici effetti “radioattivi” e mortali in tutto il mondo, servendosi delle precedenti.

È probabile che il persistere degli attacchi aerei, specie se protratti nel tempo, possa innescare una reazione di avversione agli occidentali nelle popolazioni islamiche, come già avvenuto per gli interventi precedenti in altre aeree geografiche.

La crisi del ’29 sfociò in una lunga guerra mondiale che produsse oltre 60 mln di morti.

Poi vi fu la ricostruzione e una nuova società che passò da un’economia rurale quasi autarchica a quella industriale consumistica.

Ora, il mondo occidentale in crisi e in decadenza, quale società intende costruire considerato che non ha la volontà politica di eliminare le cause dei danni che la speculazione finanziaria può creare sui mercati? E con quali mezzi vuole arrivarci?

Credo che il problema sia poco chiaro pure ai governanti, per quanto pragmatici possano essere.

domenica 13 marzo 2011

Una politica, un'economia, una democrazia e una libertà assai labili.

Gli avvenimenti di questi giorni, anche in seno Ue, hanno palesato e nello stesso tempo confermato le solite incongruenze dell’Unione dei popoli d’Europa, dove non solo non esistono delle direttive politiche e economiche condivise, ma che queste non sono neppure abbozzate.

Le sollevazioni più o meno manovrate del Maghreb hanno dimostrato che non ovunque si può avere successo, specie se alcuni Paesi sono più amici (per business) di altri nello scacchiere internazionale.

Ironizzando sul significato del termine geografico si potrebbe dire che il tramonto non è uniforme ovunque.

Delle manifestazioni popolari islamiche non si parla quasi più; e la giornata della collera lanciata e proclamata da tempo via Internet in Arabia Saudita per l’11 marzo non ha visto muovere la coda neppure al … gatto del re.

Perciò molto peggio dei piccoli e timidi assembramenti di piazza avvenuti in precedenza in Iran e in Cina: non è proprio stata neppure abbozzata.

I padroni del vapore (governanti arabi) saranno pure tutti oltre i 75 anni; tuttavia alle cancellerie internazionali oggi un nuovo punto critico sarebbe problematico da gestire, non solo per la repressione che comporterebbe politicamente, quanto per le conseguenze economiche sulle materie prime.

L’Arabia Saudita, infatti, sta ora sostenendo il mercato del petrolio con le sue immense riserve, perciò calmierando il prezzo oltre a sopperire alla mancata produzione libica. Destabilizzarla ora sarebbe un suicidio globalizzato.

Il petrolio è salito e se si stabilizzasse intorno ai 120 $ al barile le deboli e malferme economie occidentali ripiomberebbero in una recessione ben più grave di quella finora vissuta.

Perciò la rivoluzione dei gelsomini è sfiorita, perché diversamente sarebbero guai seri per tutti: per gli occidentali che vedrebbero lo spettro dell’implosione economica dei loro debiti sovrani e per le finanziarie islamiche che hanno investito quasi in toto i loro proventi nell’economia occidentale.

Forse solo per questo i moti popolari e rivoluzionari più o meno pacifici del mondo islamico sono scemati?

Il sospetto è … assai forte.

La diplomazia internazionale, in barba all’autodeterminazione dei popoli, ha già deciso che Gheddafi (essendo inviso a quasi tutti) se ne debba andare; tuttavia non ha previsto come, considerato che si pensava che la sollevazione di una parte di popolo fosse sufficiente.

Se si aggiunge che alcune intempestive dichiarazioni, su una sua probabile incriminazione alla Corte dell’Aja per crimini umanitari, hanno chiuso la porta a possibili trattative su un esilio di immunità garantito, ben si capisce che si è fatto precipitare la crisi in un buco nero.

Perciò dopo le ventilate pressioni mediatiche su un intervento diretto, sulla no fly zone e su sanzioni economiche, ora, per scalzarlo, si dovrà operare con un intervento armato diretto, essendo impensabile che la minoranza della popolazione libica, pur se appoggiata e foraggiata da altri, possa farcela contro la maggioranza della popolazione (tribù) ancora fedele al rais.

Però l’Iraq, l’Afganistan e altri scenari di guerra similari, inducono molti paesi alla cautela e a fare solo, per ora, la voce grossa.

Alcuni esponenti bombaroli si lanciano in avanscoperta, badando bene a non esporsi troppo: minacciato bombardamento mirato sì, intervento diretto … nì.

Ma i bombardamenti per avere successo dovrebbero essere estesi e a tappeto; sicché dall’ipotetica ragione si passerebbe al torto marcio perché si coinvolgerebbe la popolazione.

Ciò non risolverebbe il problema, perché pur privo di aviazione, gli insorti non avrebbero vita facile contro Gheddafi; e in seguito dovrebbero gestire il potere contro la probabile guerriglia.

Un piccolo pensiero, pur essendo tempi diversi, vola alla guerra d’Algeria; perché ipotizzandola ai nostri giorni sarebbe interessante vedere chi, per favorirla, intenderebbe bombardare la Francia.

Forse … Sarkosy?

Quante altre nazioni si dovrebbero oggi bombardare per difendere una libertà e una democrazia che altri non intendono come noi?

Si cercano disperatamente via alternative che all’orizzonte non esistono.

Ovviamente un intervento diretto dell’Occidente sul campo di battaglia, pur con il battage mediatico favorito pure dall’assenso della Lega Araba e dall’Onu, sarebbe inviso al mondo islamico che già ha mal digerito similari interventi precedenti altrove, oltre che agli stessi occidentali che troppe vittime hanno già lasciato e lasciano altrove.

Sarebbe pure difficile da spiegare all’opinione pubblica perché un governo finora pacifico (quando non ritenuto amico) nel rapporto di scambio commerciale e politico sia diventato all’improvviso dispotico e da eliminare.

Alcuni governi arabi (Siria in primis), inoltre, mettendo già le mani avanti per un futuro prossimo che potrebbe vederli vittime predestinate di analoghe situazioni, cominciano ad essere, nella loro Realpolitik, vicini al rais libico.

Gli insorti, perciò, non avranno vita facile e se non si procederà diversamente saranno come Pisacane: eran 300, eran giovani e forti e sono morti.

Le compagnie di rating continuano a declassare i debiti sovrani di Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna, unitamente ai fondi sovrani e a primari istituti finanziari di singoli paesi.

Ciò significa che la crisi è ben lungi dall’essere superata e che con questa si convive tuttora.

La Bce (Trichet), inoltre, considerato che il prezzo del barile sale, teme l’inflazione e a breve progetta di aumentare i tassi, dimenticando i danni strutturali che l’aumento precedente ha creato e polverizzando la già stanca (debole) economia occidentale. Non per nulla l’Euribor ha già iniziato a salire.

Aumentarli non è solo aggiungere altri rilevanti oneri finanziari alle aziende già in sofferenza, che però comunque reggono a fatica attualmente il mercato, ma significa pure gravare di imponenti ulteriori tasse i bilanci nazionali, perché l’innalzamento del tasso avrà una conseguenza immediata sugli interessi pagati sui titoli: maggior tasso, più spese, più tagli e più oneri per bilanciare il rapporto debito/Pil. E, anche, più inflazione e disoccupazione!

Ed in una congiuntura economica estremamente debole significherà togliere grandi risorse agli investimenti, necessari sia per la ristrutturazione industriale, sia per lo welfare, sia per il rilancio dell’economia.

In Italia si sta investendo oltre 20 mld di € sull’energia alternativa e rinnovabile (fotovoltaico, eolico …).

Però si prevede di coprire solo circa il 2% del fabbisogno nazionale per il 2020. Un risultato più che deludente e fallimentare per la cifra investita.

Con la stessa somma impiegata nel nucleare si coprirebbe invece oltre il 50% del fabbisogno nazionale.

Il terremoto giapponese, in attesa di ulteriori dati scientifici precisi, ha evidenziato il rischio del nucleare; tuttavia va detto che da noi una tale potenza distruttiva sarebbe impossibile da raggiungere, considerato che gli esperti lo indicano come 30 mila volte superiore a quello casereccio (in confronto) che ha colpito l’Aquila.

Impossibile perché la potenza che possono sviluppare le faglie mediterranee ha una probabilità inesistente di raggiungere una tale magnitudo.

L’economia ha bisogno di energia a basso costo, ma da anni si sta procedendo nel senso opposto. Basti pensare che da più di 2 decenni non abbiamo un piano energetico nazionale, distrutto al suo sorgere dallo strumentale e fazioso referendum sul nucleare.

La crisi libica, essendo l’Italia dipendente per un terzo negli idrocarburi da quel paese, se si protrarrà in una guerra civile porrà a medio termine seri problemi all’industria e all’economia nazionale.

Tuttavia, anche se sarà breve e se si concludesse con la permanenza (vittoria) di Gheddafi, porrà grosse complicazioni di costi perché è più che naturale che il rais libico rimetta in discussione tutti gli accordi sottoscritti con l’Europa dopo essere stato scaricato da questa.

Il terremoto non crea mai vittime umane; le creano invece le case che crollano sulle persone o lo tsunami che ne segue, perché l’uomo costruisce spesso per comodità e convenienza in zone che possono subire ingenti conseguenze da questi cataclismi.

Pure la democrazia e la libertà dei popoli non crea morti, ma li porta seco la degenerazione che la libertà e la democrazia producono.

Nella cultura islamica non è apprezzato il concetto di reciprocità, senza il quale la democrazia e la libertà non possono sussistere.

Il regime tunisino e egiziano han lasciato posto ad altro; ma gli scontri sociali, culturali e religiosi invece di sopirsi tendono ad incentivarsi ogni giorno di più.

Pure gli sbarchi di immigrati maghrebini sono ripresi; e ciò significa che la libertà e la democrazia declamata dai media occidentali non solo non sono state in grado di renderli inutili, ma che l’assenza di un governo forte li ha incentivati.

Le imperfette democrazie occidentali non hanno ancora creato l’antivirus necessario ad evitare gravi tensioni interne: crisi politiche, economiche e sociali; perciò non trovano di meglio che esportarle esternamente proprio là dove una cultura diversa necessita di un “regime democratico” che faccia da totem per risolvere i tabù.

In campo finanziario si abusa spesso dei tassi in situazioni eccezionali come l’attuale, fidando nel fatto che questi sono utili a calmierare costi e consumi in un periodo normale.

Il problema è generalizzato specie se la Bce e la Fed hanno immesso enormi quantità di mld di € e di $ per sostenere banche e titoli sovrani, disdegnando però la rifondazione dei mercati mobiliari per purgarli dalla speculazione globalizzata selvaggia, dai derivati, dai titoli tossici e dalla contrattazione impropria sulle materie prime.

Serve un nuovo modo di fare impresa e di investire, fondato sul suo radicarsi nel territorio e su uno sviluppo ecosostenibile.

La crisi del ’29 sfociò in una sanguinosa guerra mondiale. Le avvisaglie attuali non inducono a molto ottimismo.

Forse sarà una guerra diversa dalle precedenti: una guerra che porterà con sé, facendole implodere, le degenerazioni dei debiti sovrani, spinti ormai ad una linea di non ritorno nella ricerca ossessiva di un possibile benessere solo economico fondato sul consumismo sfrenato.