martedì 25 agosto 2009

Analisi transazionale e sottobosco culturale.

Parte II°

Di norma uno se la prende col peccato e non con il peccatore. Almeno così dovrebbe sempre essere.

Perciò procederò con la stessa regola etica.

Simone non è tra i miei amici, né tra i miei conoscenti o lettori. Sul mio blog, e sul mio articolo da lui citato, ci è arrivato “pilotato”. Difatti non è negli aderenti al gruppo; e non ha neppure la capacità conoscitiva di comprendere certi passaggi.

Nel gruppo c’è però Andrea, il quale, guarda caso, pur essendo su posizioni politiche e culturali diametralmente opposte a Simone, è suo amico: amico in Facebook; perciò per modo di dire. Diciamo: in modo telematico … soffuso.

Poi vi è il “tipo” che usò lo pseudonimo di “Amelia” e che con Andrea ha molti “interessi” in comune.

I tre (forse ho sbagliato il conto?) soggetti usano una terminologia e un modo procedurale di scrivere assai contiguo, perciò con analogie interessanti per uno studioso ed esperto: sono una miniera di dati e l’emblema della nostra società.

Eppure procedono su vie sghembe, mettendo in parallelo solo il linguaggio e il modo di interferire; quindi non di ragionare, ma solo di attaccare invece che saper controbattere.

Usano come istintiva difesa al mancato ragionamento progettuale il mentalismo di provenienza e il settarismo del colpire la controparte.

Tutti e tre sono vittime del mentalismo, perciò di quella visione della realtà che fa vedere le cose attraverso la mentalità e il modo di intenderla del vertice religioso o culturale/politico a cui soggiacciono: cattolicesimo integralista e leghismo popolano. Vedono nella “dirigenza” dei totem inattaccabili e … perfetti.

Nozionisti e sotto acculturati combaciano nella confusione della terminologia dei lemmi, confondendo l’intelligenza con tutto il resto, scambiandola con sapere, nozionismo, cultura e istruzione.

Sono un frutto della nostra società degradata, vittime essi stessi di chi li ha prodotti: virgulti incolti che cercano affannosamente e paradossalmente una loro entità sociale, trovandola alcuni nel credo religioso, altri nello spot politico propagandistico.

Sono incapaci di leggere e di comprendere (discutere fattivamente) una critica al loro operato o al loro scabro pensiero.

Sono soggetti che sembrano pragmatici, ma solo in quel falso pragmatismo della “o la và o la spacca” che esclude l’analisi e l’uso della ragione dal procedimento intellettivo: un procedere a casaccio e allo sbando.

Molti docenti universitari sottolineano come assai spesso troppi laureandi siano carenti, oggi, nella titolarità del linguaggio e non siano in grado di padroneggiare la scrittura, di parlare linearmente, di pensare e di progettare un discorso.

Si rinchiudono in una semiotica primordiale composta di gesti e luoghi comuni, di poche parole e priva di cultura profonda e radicata nelle proprie origini locali e nazionali.

Il carente uso della punteggiatura (orale e scritta) non è solo il loro punto debole, ma è per lo più l’indice che li raggruppa in categorie più o meno omogenee e spesso, nonostante l’apparente amicizia telematica, antitetiche; indica la confusione o l’assenza della capacità di ragionare e la trasversalità di singoli interessi.

Sono prodotti imberbi di una società che ha smarrito il suo fine esistenziale e che vaga a casaccio tra l’integralismo grezzo (non compreso) e il qualunquismo sociale.

Sono accomunati da un interesse istintivo primordiale: l’esigenza dell’apparire senza essere.

Ecco perché, invece di porre il ragionamento sulla logica dell’obiezione al discorso altrui, i soggetti citati attaccano la persona (controparte) in modo rozzo e pedissequo, ponendo la replica sull’offesa gratuita e su soggettive interpretazioni di fatti, immagini, o pensieri, fuori da ogni realtà e ragione. Prendono forza dalla legge della giungla e del branco.

Sono assolutamente incapaci di accettare una critica e di saperla valorizzare nel loro Io procedurale, perciò di crescita cosciente del proprio essere persona e cittadino.

Vi è in molti un’incapacità di analisi che trae le sue origini profonde da insegnamenti mancati, o errati, provenienti sia dalla Chiesa, sia dalla scuola, sia dalla famiglia.

Questi tre pilastri sociali hanno perso gran parte del loro compito educativo per molteplici e svariate cause che sarebbe troppo lungo, ora, analizzare.

Sta di fatto che la grave crisi e la recessione, che hanno colpito la società occidentale e non solo, traggono le loro radici profonde da quell’impoverimento continuo, etico e comportamentale, che nei decenni passati i pilastri sociali non hanno saputo dare, lasciando ai media il compito di proporre ed idealizzare una società dove tutto è facile, idilliaco e permesso. Uno stereotipo falsato tra la dicotomia della realtà e della speranza.

Il modello/mito proposto dai media, specie dai canali televisivi, pone in risalto non chi arriva ad un traguardo sociale e personale con il lavoro, la capacità operativa e l’abnegazione, bensì chi usa la furbizia o il caso (fortuna) per essere primo tra gli altri nell’apparire, nel potersi divertire e nello sprecare in spese superflue e inutili.

La vita si riduce a consumismo sfrenato, ad edonismo e a ricercare il facile guadagno/successo ad ogni costo e nel piacere personale anche a scapito degli altri.

Vi sono programmi televisivi ideati per rimbambire le persone, così come sul piano pseudo culturale primeggiano programmi dediti a giochi a premi, a lotterie, a gare di più o meno “famosi” idioti e a risse mediatiche spesso e volentieri non solo sportive, ma anche politiche.

Il soggetto spettatore si allinea e si impersona nel soggetto mito di turno, proprio come in politica, anche ad alti livelli, titolati onorevoli seguono l’onda senza una ragione programmata.

Seguo spesso per analisi dei politici e pure ne conosco. E molto spesso mi meraviglio, data la loro cultura, che alcuni siano a certi livelli o che, cosa assai peggiore, abbiano occupato e occupino posti di rilievo strategico per molto tempo.

Ciò è loro permesso da un semplice fattore: l’errata conoscenza (positiva e negativa) che l’elettore ha di loro; la conclamazione mediatica li fa apparire ciò che umanamente non sono.

E se tanto dà tanto è ovvio che poi la politica proceda a casaccio, non producendo programmi completi e alternativi agli altri partiti, ma rincorrendo il semplice fatto attuale: si fa del qualunquismo o, ben che vada, del relativismo personalista.

Sento, spesso, rinomati politici innalzare la bandiera di noti politici del passato che nella storia patria hanno fatto il loro tempo e creato danni considerevoli. E li indicano come loro “maestri” a cui richiamarsi!

La politica va analizzata nel lungo corso in base ai risultati che poi arreca nella società e non in base alla notorietà pubblica del momento.

Ma, chi se lo ricorda se mezze cartucce della storia vengono additate come insigni statisti? Eppure basta provare a seguire certa gente per averne la certezza assoluta.

Perché, come affermavo tempo fa, essere esponente politico è un conto e essere uno Statista un altro. Lo Statista vero ha sempre la maiuscola; e questi si contano sulle dita di una mano in ogni secolo.

Simone cita dei blog “famosi”, dove afferma testualmente, per istruirmi ed aggiornarmi: “ti informo che i veri blog vedi i piu famosi e interessanti …” e “loro pubblicano tutto e di piu tutto quello che i vari utenti gli mandano nel bene e nel male …”; e confonde il famoso con il noto e il modaiolo.

Peccato che siano web qualunquisti dove si cavalca l’onda per polarizzare la massa e non per proporre linee correttive per la società. Difatti vi si pubblica di “tutto e di piu”, comprese tutte le demenze di questo mondo atte a ingrassare l’ignoranza dei “polli” che si cibano, golosi, dei vermi … intellettuali.

Perché oggi i partiti qualunquisti e populisti ottengono voti più degli altri? Perché operano spesso sul relativismo personalista, perciò individualista, che coglie l’esigenza momentanea e urgente dell’individuo, dimenticando le altre e le … future.

Raccolgono voti di protesta!

Ad un conoscente politico tempo fa confutavo alcune sue affermazioni pubbliche relative all’immigrazione clandestina, evidenziando che non è sufficiente contestare l’operato governativo, ma bisogna soprattutto avere un programma alternativo in grado di risolvere il problema, giusto o sbagliato che sia. Però bisogna averlo se non si vuole fare del solo qualunquismo e populismo, o sterile polemica.

Non si può programmare, discutere, confrontare o migliorare un progetto che non c’è!

La scuola oggi è frantumata in mille rivoli e non si può pretendere che l’eccellenza alberghi in ogni paese dove si fissa una sede universitaria.

Politica e sindacalismo han fatto della scuola (e pure di tutto lo statalismo) una cassa di occupazione (in tutti i sensi) e di compensazione sociale. E l’han fatto fiancheggiando e appoggiando i noti politici che oggi richiamano come loro “padri e maestri”.

I danni sono sotto gli occhi di tutti e il risultato – i tre soggetti d’esempio del nostro discorso – ne sono il frutto degenere; ma pure la cultura e la capacità politica di alcuni esponenti attuali è emblematica in tal senso.

Questo è il grande scandalo del nostro tempo!

Qual è il trait d’union che lega la base alla dirigenza politica o religiosa? Il percepire l’esigenza di un problema in un determinato modo senza per questo saperlo risolvere.

Seguo la Lega dal suo sorgere e sempre ho stigmatizzato l’inesistente caratura culturale. Difatti i dirigenti attuali di spicco, quelli di lungo corso, pur dopo 3 lustri di esperienza politica sono ancora grezzi nell’affrontare le vere problematiche che sono sul tappeto[1].

Per ovviare a questo problema e per darsi una parvenza culturale cercarono di affiancarsi a Miglio e al suo Gruppo di Milano; ma l’idillio, per incapacità oggettiva di percepire la cultura, e con questa le problematiche reali, naufragò ben presto. Difatti non basta ascoltare per comprendere; ma bisogna avere anche una base culturale per recepire.

Ciò che impararono bene fu di radicarsi sulle problematiche locali, specie tra il popolo, perciò tra i meno acculturati.

La conseguenza pratica fu che dietro all’integralismo territoriale di facciata si celavano esigenze sociali disparate che non potevano essere affrontate in modo trasversale. Perciò nacque l’esigenza di scaricare i mali nazionali dell’imperfezione del sistema politico su spot propagandistici semplici e populisti.

I cattolici oggi sono in minoranza e allo sbando ideologico: senza un partito, frantumati in mille rivoli, senza un’ideologia e senza una cultura specifica.

In questi ultimi giorni mi sono “goduto” alcune superficiali annotazioni sull’ultima Enciclica papale, che non porta alcun contributo pratico alla società.

È, però, osannata dai più al pari del discorso di Obama al Cairo: puri idealismi senza un peculiare programma pragmatico.

E a farli chi troviamo? Un populista della politica (sceso già sotto la media di consenso) e un religioso ancorato al relativismo personalista fenomenologico. Dubito che con il proclamare dei soli principi etici si possano risolvere i problemi sociali e mondiali.

Eppure entrambi i testi possono essere considerati una conclamazione astratta di principi etici universali. Tant’è che veri analisti, anche se pochi, lo hanno rimarcato quale massimo punto debole (errato) filosofico.

E chi attrae una simile conclamazione? Chi non è in grado di analizzare e di programmare perfettamente una realtà sociale. Perciò chi si avvale di miti e di simboli per sperare in un mondo migliore.

Carlo Maria Martini non è tenero verso la Chiesa e critica pure un’importante enciclica paolina (Humanae Vitae).

Se lo facessero altri verrebbero tacciati di arroganza e di presunzione, specie dall’integralismo cattolico; e personalmente lo posso testimoniare.

Ma essendo un personaggio che sa costruire e non solo ideologizzare non può essere tacciato di supponenza considerata la sua grande caratura e carisma.

Alcuni mi hanno fatto notare che con il porporato ho in comune la critica costruttiva e il procedimento progettuale, oltre al modo logico e ferreo di procedere nella tematica e nella programmazione del discorso. Si dice che siamo molto in sintonia e sempre propositivi nell’analisi, nei contenuti e nei fini.

Ma, al di là di queste tenui considerazioni, val la pena considerare che la critica propositiva non intacca il concetto analizzato, religioso o politico, ma lo arricchisce di altre possibili varianti che meritano di essere prese in considerazione.

Un papa è Papa nelle sue funzioni religiose, come lo è una carica istituzionale civilmente; ma non per questo possono aver sempre ragione ed essere il limite intellettuale oltre il quale non si può mai andare, specie se fuori delle funzioni istituzionali loro proprie. Perciò il loro pensiero, come quello di chiunque altro, è sempre perfettibile, discutibile, analizzabile e da recepire con la ragione dell’intendere, del condividere o del dissociarsi in modo propositivo.

Siamo tutti uomini che possono sbagliare!

Alcune aziende hanno, in questi ultimi anni, sottoposto i loro manager a corsi di analisi transazionale, anche se relativamente ai compiti manageriali: i risultati sono stati molto incoraggianti sia umanamente che finanziariamente.

Forse, a simili corsi, bisognerebbe indirizzare anche i politici e, perché no, pure i religiosi. Vedo, infatti, molto integralismo, populismo e qualunquismo in molti, che si ripercuote a cascata sui vari seguaci a discapito della società tutta.

Il sottobosco culturale, proprio e dei seguaci, viene spesso considerato un tabù che è meglio non affrontare, perché ciò implicherebbe l’elevare culturalmente il Popolo, perciò l’avere meno seguito e più analisi critica sul proprio operato e pensiero: crollerebbe il mito avvicinandolo alla realtà.

Data la complessità della tematica affrontata mi trovo costretto a prolungare oltre il discorso; perciò ad aggiungere in futuro una terza parte che concluda il tutto.




[1] - Basti dire che a ferragosto (e sempre dalla stessa località) ricompaiono puntuali come il cucù, da 17 anni, le solite sparate sull’inno, sulla bandiera e su altre simili amenità da spot pubblicitario. E la stampa, sempre, a amplificare ogni volta il solito discorso con tanto di commentatori politici, sociologi, esperti …