martedì 28 ottobre 2008

I miei passi solitari in cresta.

Un amico mi scrive, su uno dei miei ultimi articoli:

Ciao caro Sam, questa tua riflessione è stimolantissima e la condivido pienamente.
Però non so quanti, nell’attuale Italia, sono in grado di leggere più di 10 righe di un pensiero articolato.
Lo so purtroppo per esperienza.
Io ho provato a tagliare il più possibile le mie riflessioni e, magari, ad esprimerle in più blog.
Mi rendo conto che tagliare è uno sforzo tremendo, sentiamo che perdiamo qualcosa, che il nostro pensiero non è completo... ma mi sono chiesto: è meglio che il pensiero espresso soddisfi me stesso o è meglio che gli altri lo leggano?
Buona giornata.

Credo che il problema, così posto, sia un falso problema.

Vorrei partire dall’ultima domanda “è meglio che il pensiero espresso soddisfi me stesso o è meglio che gli altri lo leggano?”.

In verità quando lavoro (e lo scrivere lo è!) lo faccio sempre con gioia e con piacere, perché ritengo che ciò non sia un mio divertimento, magari narcisistico, e neppure un dovere; ma, come afferma Kärl Häbsburg, sia solo il voldere[1]: il volere (desiderare e perseguire) il dovere, perciò l’essere Persona consapevole nell’interezza del concetto.

Io faccio il mio dando ciò che mi è possibile alla comunità (e pure a me stesso), che a sua volta deve dare il suo. Se non lo fa il problema non è più mio, ma altrui.

Purtroppo noi veniamo da una cultura degenerata (in senso positivo) che eticamente ha imposto il dovere (sopportazione morale) come imperativo categorico sociale; e la Chiesa per secoli ci ha messo del suo e ultimamente … pure.

Si parla, oggi, di papa teologo; ma, sinceramente, dopo Paolo VI non ne ho più visti di tali; e forse sarà, a questo mondo, la mia sola tesi in questo senso, con tutto il rispetto dei successori.

In sostanza vedo solo dei “praticanti”[2] di concetti filosofici fenomenologici datati e non la creazione (sviluppo) di nuove teorie adatte ai tempi: ci si ancora al passato come se il tempo si fosse fermato.

Perciò succede che le problematiche diventino stantie e si incancreniscano avvitandosi su sé stesse.

Il rapporto con la scienza, la morale sul sesso, la problematica relativa al celibato dei preti, l’etica nell’economia[3], la concezione dell’amarsi[4] tra coniugi … e il rapporto tra nazioni e religioni sono alcuni esempi significativi che non sono stati risolti con il solo riaffermare i concetti precedenti: sono tutt’oggi sul tappeto in una società amorfa in movimento, non tanto nella realtà esistenzialista sociale, ma per lo più come sviluppo concettivo e risolutivo dei vari problemi.

Manca uno specifico concetto analitico e procedurale logico, che amalgami tutto in modo uniforme.

E non li si risolverà mai (i problemi) se non si creeranno dei canali privilegiati di dialogo, onde sviluppare e far comprendere appieno le ragioni di tale settoriale disposizione etica/morale.

Le problematiche sul tappeto le si risolve solo nella condivisione simultanea sia dell’autorità che le emette che della parte che le deve applicare; diversamente si viaggia su canali contrapposti destinati solo ad allontanare le parti e le leggi (civili o morali) assumono unicamente l’aspetto delle “grida” manzoniane che tutti vedono affisse, ma che nessuno legge: ognuno va per i cavoli suoi.

La stessa cosa vale in campo sociale, quindi politico.

Ecco perché le chiese si svuotano continuamente e i partiti disseccano le loro radici nel territorio (gente)!

Non ho mai tagliato il “mio” pensiero, ma l’ho sempre ulteriormente sviluppato per farmi comprendere meglio.

Probabilmente è vero quanto l’amico afferma “Però non so quanti, nell’attuale Italia, sono in grado di leggere più di 10 righe di un pensiero articolato.”; però questo è un problema di cultura, perciò di preparazione e di abitudine al colloquio (e il leggere lo è) che coinvolge nella responsabilità formativa paritetica tanto la chiesa, quanto lo stato (scuola).

Ovvio che il fermarsi a discutere con certe persone sia tempo perso, perché l’articolare non appartiene al loro modo di sviluppare il proprio essere Uomo. Sono incapaci di pensare, di ragionare e poi comprendere: non hanno avuto un’appropriata formazione e quella dettata dai media è assai carente.

Il pensiero è come un’equazione e se noi lo scindiamo in più parti che ne otteniamo? Non più un discorso completo teso a sviluppare (risolvere) una problematica ed a farla comprendere, bensì un insieme di pensierini sconnessi che hanno bisogno di ulteriore capacità intellettiva (inesistente) per essere nuovamente assemblati in un discorso completo: il destinatario non ne sarà mai capace!

Di che abbiamo bisogno? Di input sparpagliati o di un ragionamento completo e condiviso?

Diverso è il discorso se si usano gli inserti subliminali per stimolare il pensiero ed indirizzare la massa verso un certo modo di essere; ma il pensiero a pezzi difficilmente può essere un inserto se slegato dal contesto reale di un ragionamento articolato.

Quando mi è stato proposto di formattare un nuovo blog, sul quale inserire o un nuovo filone o la copia degli articoli pubblicati su quello sorgente, ho analizzato con attenzione il problema sollevatomi ed ho deciso che, per ora, era assai più utile creare un doppione maggiormente pratico e semplice, nell’operatività, al visitatore, piuttosto che uno nuovo.

[5], il sorgente, come continuazione del lavoro iniziato, che si snoda seconda un certo ordine programmatico, quasi come un libro diviso in molteplici capitoli; qua[6] un accesso più semplice e diretto pur con l’identico contenuto.

In pratica ho anticipato, nella modalità operativa, l’interrogativo dell’amico lettore, senza tagliare alcunché, ma solo seguendo un determinato specifico programma attento agli avvenimenti e alle problematiche.

Chi da circa un anno mi segue con attenzione (ma pure il nuovo lettore che voglia rivedersi il percorso fatto) avrà trovato una certa continuità discorsiva, tesa non solo ad analizzare la problematica trattata in essere, ma pure il proporre, al contempo stesso, delle ipotesi risolutive (anche se incomplete e personali): mai una critica fine a sé stessa, ma sempre propositiva.

Ho inserito la foto della Cresta di Rochefort con la didascalia “I miei passi solitari in cresta”, appunto per sottolineare la difficoltà del percorso e la complessità delle tematiche che oggi affliggono la nostra società.

Entrambi (foto e didascalia) sono un inserto subliminale stimolante che genera inconsciamente un “seguito”.

Cartesio disse: Cogito, ergo sum!

Il problema dell’uomo comune di oggi è che non pensa affatto, ma segue con l’istinto i suoi bisogni primari e secondari. Ciò porta, inevitabilmente, alla manipolazione dell’uomo comune, deviandolo, per interessi politici o commerciali, verso le aspettative (programmi) di alcuni. Perciò non ci si meravigli se anziché essere concepito come Persona viene trattato da oggetto!

Siamo in una società consumistica e perciò non c’è di meglio che pascolare il cittadino con il “prodotto” usa e getta.

Nella didascalia ho inserito due aggettivi significativi: miei e solitari. E posso confermare che le tracce lasciate su quella cresta erano solo mie; non per nulla è stata percorsa[7] da pochissimi scalatori tra il Dente del Gigante e le tre vette della Grandes Jorasses.

Una lettrice mi ha chiesto se questa era una sfida intellettuale lanciata nell’iperspazio telematico.

Ho risposto che nelle mie intenzioni proprio non lo è; al contrario è solo un invito ad effettuare un determinato percorso che non può essere solo ripetitivo, ma veramente personale: diversamente non si raggiunge alcun risultato pratico e sarebbe solo emulativo.

La cresta è impegnativa e la foto non rende completamente giustizia alla realtà: un solo sbaglio e si vola … via.

Perciò serve concentrazione, preparazione, volontà e convinzione nelle proprie possibilità.

Sviluppare un pensiero complesso non è semplice, specie se si vogliono raggiungere determinati risultati atti ad armonizzare il tutto.

Oggi lo vediamo chiaramente pure in politica, dove si procede spesso con progetti isolati, quasi meri pragmatici tentativi slegati dal contesto complessivo. E la situazione sociale attuale ne è il frutto inequivocabile.

Ovviamente ciò significa che i nostri rappresentanti (non tutti) hanno una preparazione sommaria per effettuare il loro compito e non per nulla siamo nell’era del bipartitismo e del “biliderismo”[8]: ci si schiera e si seguono le direttive del leader, o del partito, come tanti intellettuali organici, con la differenza che di intellettuali veri ce ne sono pochi nei palazzi del potere.

Una delle dottrine di Keynes maggiormente seguita è quella che risponde al postulato: lavori pubblici uguale a rilancio dell’economia e dei consumi.

Keynes, però, la concepì in un determinato contesto sociale e non credo che, se ci fosse ancora, approverebbe l’enormità del debito pubblico che ogni stato ha collezionato, specie se si è giunti al risultato attuale.

Similmente, nel Trattato sulla moneta, elucubrò sull’uso opportuno delle imposte e della leva sui tassi (il TUS) per controllare l’inflazione e di riflesso i consumi.

Perciò l’applicare una teoria datata in un contesto storico diverso è sempre rischioso.

Poco fa Trichet ha annunciato che nella prossima riunione della BCE si taglierà ulteriormente il TUS[9] onde dare ossigeno all’economia ed alle imprese.

Rivado, perciò, con piacere a mesi fa quando ero uno dei pochissimi che contestava la politica della BCE sul rialzo continuo del TUS, motivandola pure.

Ovviamente non sono tanto idiota da sostenere che la riduzione attuale sia il frutto delle mie personali considerazioni; ma ho citato questo fatto, come potrei citarne molti altri, per sottolineare come il pensiero articolato nella realtà sociale ed economica possa portare, prima o poi, alle stesse identiche considerazioni e deduzioni: se si vogliono raggiungere certi risultati la cresta dobbiamo affrontarla tutti, perciò percorrerla da solitari, con il nostro pensiero, ripercorrendo l’eziologia epistemologica di chi ci ha preceduto.

E ciò è valido pure nell’ambito religioso.

Fare brevi pensieri non è disdicevole e può essere estremamente utile al lettore, specie se sono input a carattere religioso, sociale e morale; è un po’ come i proverbi sapienziali dei nostri vecchi che instillavano nelle menti, non avvezze all’architettura del pensiero, le piccole e significative regole comportamentali.

Quello, però, che rende opportuno un discorso complesso, o il pensiero breve, è l’obbiettivo che si sta perseguendo: il target a cui è destinato.

Personalmente ho sempre notato che i miei testi hanno un seguito significativo e una media molto alta di presenze giornaliere, anche se non dell’uomo comune; ma, considerati i contenuti non potrebbe essere diversamente.

Rispondendo, in chiusura, alla domanda di fondo “è meglio che il pensiero espresso soddisfi me stesso o è meglio che gli altri lo leggano?” possiamo concludere che un pensiero complesso ed articolato ben fatto deve innanzitutto soddisfare l’autore[10], perché in tal caso significa che ha espresso un buon lavoro.

E su questa base (soddisfazione) è ovvio che potrà pervenire pure il lettore che troverà nel lavoro eseguito una piattaforma utile di confronto per sviluppare il proprio convincimento.

Poi, è ovvio che la Logica di Hegel non sia per tutti, come non lo è la comprensione di un’enciclica a carattere teologico.

Ma, se mi è concesso, neppure la Cresta di Rochefort è consona all’escursionista domenicale.

A costui, pertanto, è utile osservarla da un comodo belvedere vallare: il pensiero semplice e breve come i proverbi sapienziali.




[1] - Filosofia, sociologia ed etica nel nostro tempo - 1984

[2] - Papa Ratzinger è molto ferrato in teologia, tuttavia non è un teologo, nel vero senso della parola, che ha espresso (od esprime) nuove concezioni; lo ritengo un grande esperto di storia della teologia.

[3] - Basti pensare alla suddivisione economica dell’utile delle “sue” impresa in C. Lubich, che, pur in ambito ecclesiale, giunse a considerazioni analoghe alle mie sociali, espresse nei vari articoli raggruppati sotto la voce Verso una Costituente. - Parte I° e successive.

[4] - The warrior and the power of the love. - C. Cinco - 1984

[7] - L’ho affrontata due volte e sempre in solitaria. La prima fino alla Punta Margherita, battendo poi in ritirata per il maltempo; la seconda con traversata completa e con discesa al rif. Gervasutti.

[8] - Neologismo coniato da alcuni politici per indicare la contrapposizione pratica, in politica, tra due soli leaders.

[9] - Ufficialmente: perché l’inflazione non fa più paura; ma questa è solo una pratica scusante per salvare la faccia e non ammettere i propri errori.

[10] - Stiamo parlando di pensiero filosofico/sociologico e non di agglomerato casuale di semplici e disparati pensieri.

giovedì 23 ottobre 2008

Private Equity: opportunità, destinatari e liceità etica.

Le Borse salgono e … scendono, nonostante l’impegno profuso dai nostri governanti per stabilizzare e rassicurare i mercati.

Perciò: nulla di nuovo sotto il sole!

Di per sé il fatto potrebbe sembrare abitudinario nella sua ciclica ripetizione, se non fosse che dietro ci sta una situazione abbastanza ingarbugliata che è difficile non solo districare, ma pure comprendere nella sua interezza.

Gli esperti, ovviamente, non mancano. Quelli veri se ne stanno prudenti e molto preoccupati, non conoscendo tutti i parametri che stanno venendo a galla, anche se da mesi predicavano cautela, inascoltati, nel deserto dell’ottimismo (ottusità).

Gli altri, quelli coinvolti, si arrampicano sugli specchi, cambiando opinione ogni giorno e assolvendosi perché questa è una crisi senza precedenti e perciò sfuggevole ad ogni confronto con situazioni analoghe anteriori.

Il petrolio e l’€ sono scesi rispetto al $ e, probabilmente continueranno a scendere con possibile ciclo altalenante.

La BCE ha iniziato a ribassare il TUS, anche se lievemente onde non rovinarsi la faccia, semmai questa (la testa) l’abbia potuta avere, innescando così, gradualmente, pure la discesa dell’Euribor.

L’Abi, ieri, si è riunita ed ha sentenziato che non sono necessarie capitalizzazioni, “perché i nostri “ratios” sono perfettamente a posto!”.

Ne sono contento per loro (banche) e per noi!

Comunque proprio tanto tranquillo non lo sono, se Unicredit, in fretta e furia, ha dovuto varare un sostanzioso aumento di capitale.

Perché? Beh, mi pare ovvio: per far posto ai … libici!

Giorni fa, spulciando alcuni dati relativi ad una banca importante del Nord, trovai che era inguaiata per 100 milioni di € nel crack della Lehmann Brothers; un'altra, riconducibile ad un noto politico, doveva coprire, addossandoseli, altri 180 milioni di €.

Tali cifre non sono comunque significative per affossare una banca, anche se potrebbero assommarsi ad altre in futuro.

Il presidente della prima banca, dopo la risposta di rito sui “ratios”, a precisa domanda aggiunse che “per ora parlare di utili e di dividendo è estremamente prematuro!”.

E lo credo: con cotale perdita da contabilizzare!

La Spagna è quella che, tra i paesi occidentali industrializzati, sta peggio di tutti essendo troppo esposta nel settore immobiliare, perciò invischiata nella grande ragnatela dei bonds propri, tanto più che l’indice di mercato[1] continua a scendere a due cifre ogni tre mesi e con un’accelerazione preoccupante nell’ultimo periodo.

Poco tempo fa Zapatero espresse trionfalismi sui risultati raggiunti dal suo Paese, salvo poi essere smentito subito dopo dal crollo delle Borse e del mercato finanziario internazionale.

Ciò la dice lunga sulla capacità di certi politici di comprendere ciò che stava avvenendo sotto i loro occhi e di individuare anzitempo i punti deboli del sistema strutturale nazionale.

Diverse nazioni europee stanno predisponendo dei fondi di investimento per il sostegno delle imprese, che alcuni confondono con i Fondi sovrani e con la loro difesa contro acquisizioni estere, specie a matrice araba.

Le modalità procedurali abbozzate sono diverse da nazione a nazione, ma traspare spesso l’interpretazione che tutto ciò venga equiparato non tanto allo statalismo keynesiano, prospettato inizialmente, ma per lo più ad operazioni di Private equity pubblico non generalizzato, bensì dedicato alle imprese maggiormente a rischio.

L’utilità di tale operazione, ovviamente, è assai diversa, nelle intenzioni (obbiettivi) dello Stato, da quella che vede coinvolte, nella stessa modalità, le aziende che la praticano.

Lo Stato difende il patrimonio pubblico e l’interesse nazionale tutelandosi come socio[2] o come investitore, le aziende solo come investimento profittevole[3] a medio lungo termine ad elevata resa. Qua un salvataggio a tutela, là un puro investimento.

Tutto ciò è ben accetto, specie se il progetto è concepito come un piano dettagliato di intervento economico/finanziario, anziché come tampone occasionale per smorzare la crisi speculativa.

Appare, infatti, chiaro che la stessa strategia operativa non può privilegiare solo le grandi attività, ma tutto il tessuto commerciale ed industriale del paese. Diversamente si salverebbe il tronco del corpo, ma non le membra senza le quali il corpo non ha ragione di esistere.

La prospettiva di tali interventi pone in essere la perenne diatriba sul perché si sia aspettato finora per intervenire; e la risposta è subito detta: i nostri politici non sono stati in grado di leggere gli eventi, di analizzare le cause, gli effetti e le prospettive non solo a lungo termine, ma neppure a medio e a breve.

Tutto ciò pone inquietanti dubbi sulla capacità esecutiva attuale di aver compreso perfettamente le problematiche innescate dalla crisi finanziaria globalizzata e, di conseguenza, sulla capacità operativa reale di farvi fronte.

A tutto ciò si aggiunge l’opportunità sociale di sostegno ai destinatari, come pure la liceità etica di simili interventi.

Ma, procediamo con ordine.

Opportunità

Considerato il punto in cui siamo, peraltro iniziale di una crisi lunga e estremamente difficile, credo che nessuno si sogni di contestare l’utilità di tali interventi, specie se, diversamente, il non intervenire innescherebbe problematiche occupazionali e sociali di enorme rischio per la stessa democrazia.

Ovviamente tali interventi devono essere mirati, facendo una sostanziale differenza tra le aziende finanziariamente sane e quelle tarlate dal virus di una gestione fallimentare (speculativa o industriale).

Le prime vanno solo sostenute finanziariamente; le seconde sottoposte ad un rigido controllo che coinvolga il declassamento operativo (non il licenziamento) dei responsabili dell’errata strategia industriale o della speculazione rischiosa effettuata.

Perché se non si parte da questo semplice postulato che gli inetti, o i temerari, non devono mantenere la loro posizione di comando, appare evidente che la risalita sarà proibitiva.

Destinatari

Sostenere le imprese in difficoltà significa sorreggere anche l’occupazione, perciò pure l’operaio e la sua ragione di esistere.

Ciò implica una determinata strategia politica che impegni l’azienda, destinataria dell’intervento pubblico[4], ad assecondare un piano sociale basato sia sulla sinergia operativa volontaria con altre aziende, sia sul mantenimento di uno stato occupazionale prestabilito.

Ciò non può prescindere dal creare una rete complessa di aziende in grado di muoversi simultaneamente a gruppi, onde conseguire insieme uno stesso risultato: finanziamento, produzione e commercio del prodotto.

Diversamente alcuni ne trarranno giovamento ed altri saranno destinati a chiudere con la prospettiva pratica che la chiusura di alcuni sarà pure la rovina di tutti.

Alcune delle nostre principali aziende sono state (e lo sono tuttora) destinatarie di benefit pubblici vari, atti a sostenere (e potenziare) la loro esistenza sul mercato; ciò nonostante la quasi totalità dell’indotto viene prodotto all’estero in paesi a basso costo di mano d’opera: un inconcepibile controsenso!

Perciò possono essere aumentati gli utili annuali, ma pure l’esposizione finanziaria. E ciò non è utile al sistema paese.

Quello di cui oggi abbiamo assoluto bisogno è che le nostre aziende operino e reggano il mercato aderendo ad un progetto nazionale di rinascita, anche a costo di dover lavorare in pareggio per un paio d’anni.

Liceità etica

Perché lo Stato, perciò il comune contribuente, deve essere chiamato a “pagare” gli errori industriali e finanziari di alcuni, specie se tutto ciò aumenterà necessariamente il debito pubblico, al quale non verranno (probabilmente) conteggiate le somme destinate agli investimenti produttivi?

La risposta la si trova solo nella convenienza sociale, se questa ingloba l’appartenenza e l’essere nazione. Diversamente non ha ragione di esistere.

Perciò la liceità è correlata sia all’opportunità che ai destinatari, senza di che non si è popolo/nazione, ma solo branco che vaga per conto proprio con la sola legge della foresta.

La realtà di questa crisi finanziaria globalizzata ci ha mostrato che alcuni anelli deboli della catena sono già saltati; e mi riferisco ad Islanda, Ungheria ed Ucraina.

Ora pure l’Argentina, che già era stata sulla cresta dell’onda per i bonds truffa, distribuiti un po’ ovunque, sembra sia sul punto di aggiungersi alle altre, senza contare i paesi poveri sottosviluppati che sono sempre stati annoverati nelle nazioni fallimentari.

Il nazionalizzare tutto non credo sia il metodo migliore, come l’intervenire direttamente nelle imprese a maggior rischio. Ciò è etichettabile come pure populismo, perché di norma toglie lo stimolo all’investire e tiene lontani i possibili capitali esteri.

Tutti i capitali disponibili ad essere investiti in una nazione oggi sono ben accetti; ma solo se questi capitali scinderanno la loro etica procedurale dal puro guadagno/investimento, puntando perciò a radicarsi definitivamente sul territorio e a diventare, nel lungo termine, soggetti fattivi di una comunità locale (regione) e nazionale (nazione).

Le regole non credo che debbano essere riscritte, ma solo ben ideate e chiare a tutti.

Diversamente si continuerà a speculare e la fine potrà essere rimandata, ma non risolta.




[1] - Tanto in volume, quanto in quotazioni.

[2] - Operazione di tipo Special Situation

[3] - Operazioni del tipo Seed capital, Angel Investing, Venture capital e Development capital

[4] - Con sovvenzioni pubbliche dirette o con altre parallele, quale l’accesso a finanziamenti, di qualsiasi forma, garantiti dallo stato a tasso agevolato. Sarebbe opportuno che il finanziamento a fondo perduto fosse depennato e destinato solo al sostegno di determinate realtà sociali.

lunedì 20 ottobre 2008

Un pensiero tra i fatti nostri.

Quante volte, guardando alla Storia, ci siamo accorti che il pensiero ha creato disastri inimmaginabili nel genere umano?

La II° Guerra mondiale ha prodotto qualcosa come 60 milioni di morti: più di tutti gli abitanti dell’Italia di oggi.

Eppure di guerre ce n’erano state anche prima, e molte, senza che l’uomo ne traesse appropriati insegnamenti per il proprio vivere civile.

Egoismo, arroganza, protervia, disprezzo delle esigenze (diritto) altrui, bramosia, odio, integralismo, fondamentalismo, razzismo … sono le cause che spesso portano alla iattanza del potere: il voler essere superiore (sottomettere) all’altro.

L’altro è il nostro prossimo, identificabile nel termine latino alter homo: uno qualsiasi, uno qualunque, in pratica chi ci sta accanto, senza distinzione di parentado o di conoscenza.

Le guerre non vi sono solo tra nazioni, bensì anche nelle stesse famiglie, là dove queste vengono concepite solo come punto focale per sviluppare il nostro egoistico interesse e tornaconto.

Mi sono trovato spesso ad analizzare situazioni difficili di convivenza e sempre ho trovato che l’unione non era basata su un profondo legame consapevole affettivo, ma solo su quello istintivo.

E l’istinto, di norma, non si addice molto alla ragione e convive con quello altrui finché l’interesse dei soggetti associati collima su uno o più punti basilari; poi, se questi vengono a cadere, sorgono le difficoltà e i contrasti che possono talora concludersi pure con atti tragici.

Basta guardare i media per trovarne a iosa tutti i giorni; e pure loro, per fare il loro esclusivo interesse di parte (audience), non guardano troppo per il sottile e si avventano tanto sulla vittima quanto sul carnefice con sadica e famelica cupidigia.

Gli antichi filosofi dicevano che la nostra libertà finisce dove comincia quella altrui. E quella altrui comincia anche nel rispetto di una tragedia o nel comprendere un errore.

La grande recessione del ’29 non ha insegnato molto agli uomini, come la II° Guerra mondiale non ha impedito il succedersi di altre guerre, fortunatamente di minori dimensioni.

Oggi un'altra grande crisi economica – la finanziaria globalizzata – minaccia la nostra esigenza di un vivere sicuro e decoroso. E avviene sulla base del facile guadagno, perciò di strumenti finanziari generati appositamente per poter speculare, senza troppa fatica e rischio, a scapito del risparmiatore: i Derivati e tutti gli altri assimilabili a questi.

E tali strumenti non sono stati ideati da pazzi scatenati, bensì da “geni” della finanza appositamente “accolturati” (non acculturati) in prestigiose università americane ed europee.

Basti pensare agli Swap che tanti organismi pubblici hanno sottoscritto, e pure di casa nostra.

Perché lo hanno fatto? Semplice: perché hanno emesso troppi public bond che non si sa se riusciranno a rendere alla scadenza. Ed allora ecco lo stratagemma: trovo un soggetto (banca o finanziaria) a cui pago un rateo annuale e che si assume il rischio di garantire il sottoscrittore (investitore) in caso di mia insolvenza.

Ma siccome le ciambelle non sempre riescono con il buco, può darsi che il soggetto che emette lo swap lo faccia solo per incassare il rateo e che non sia, come è avvenuto, in grado poi di poter far fronte all’impegno perché troppo … grande per le sue possibilità.

A sua volta costui, spesso, ne sottoscrive con altri soggetti per proteggersi le spalle, in una garanzia a catena che porta ad emettere altri bond sul mercato, i quali creano altri swap con la facile conclusione che per 100 € di bond alla fine ne circolano sul mercato più di 1 milione.

Da qui la crisi attuale.

E il cittadino comune che fa? Pagherà non solo il debito emesso dall’ente pubblico, ma pure il premio che ha versato al garante e, dato il salvataggio statale stabilito dal G7, anche tutti gli altri debiti che sono stati innescati a catena in questo modo.

Perché si dice che in questo solo modo si salva l’economia e quindi anche il nostro tenore di vita attuale.

Ma una domanda, e non solo all’esperto, viene spontanea: quale economia, quella di chi ha intascato facendo il furbo?

Sì, anche per questo, ma pure per tutti i debiti, compreso quello enorme pubblico statale, che i nostri politici hanno accatastato sull’altare dello sviluppo.

Dopotutto chi ha legiferato in materia per consentire tali strumenti? I deputati e i senatori, rappresentanti del popolo che li ha eletti!

E magari, tra voi lettori, c’è pure qualcuno che ha sottoscritto bond, frutto di swap, che garantiscono il nostro debito pubblico?

Ma ciò sarebbe poco; magari tra i nostri piccoli investitori ve ne possono essere pure alcuni che, per guadagnare, hanno inconsapevolmente sottoscritto dei CDS (Credit default swap) che scommettevano sul fallimento dei soggetti garantiti da swap.

E questo, se ci pensiamo, è proprio il bello di tutta la faccenda: si è investito scommettendo sulla nostra rovina!

Grazie dell’attenzione!