sabato 29 giugno 2013

La ripresa delle … chiacchiere.



I politici e i governanti ormai ci hanno abituato a qualsiasi proclama; di norma ottimistico.
Monti, essendo un tecnico (almeno tale si crede d’esserlo), alle previsioni, totalmente sballate e più che ottimistiche sulla crescita, alternava prospettive disastrose, onde incensare la sua icona di salvatore della patria e per far passare ogni provvedimento rivelatosi deleterio all’economia.
Ad ogni summit ciò si ripete. Puntualmente avviene anche per l’attuale Vertice Ue.
Ciò, tuttavia, accade pure ad ogni Consiglio dei Ministri, dove, di norma ogni lucciola microscopica diventa non una lanterna, ma un faro potente e visibile anche di giorno, specie per i media.

La ripresa non è dietro l’angolo – con buona pace di Monti - e Squinzi lo ha dichiarato chiaro e tondo. Poi lui spera che si sia toccato il fondo e che il prossimo anno una tenue ripresa possa manifestarsi.
Quest’anno avremo un Pil intorno al -2% se tutto … procederà bene. Personalmente non sono tanto ottimista come Squinzi, anche se sperare tiene alto il morale e aiuta ad andare avanti.

Il Governo Letta afferma che la proroga dell’Iva non costa altre tasse. Però dovrebbero ben spiegare se l’aumento degli anticipi sui redditi non imponga al cittadino ed alle aziende un ulteriore esborso con ben 6 mesi di anticipo. Considerato che lo Stato per i pagamenti frazionati o ritardati impone un costo aggiuntivo, l’anticipo, per non essere considerato una tassa nella tassa, dovrebbe perlomeno avere un analogo sconto.
Dopo l’austerità in Ue e nelle nazioni avanza la priorità del lavoro, perciò dell’occupazione, specie giovanile.  Su cui a parole tutti proclamano risultati che nei fatti sarà difficile poi vedere. Basta ricordare cos’abbiano ottenuto provvedimenti analoghi.
Il Ministro del Lavoro Giovannini ha illustrato i provvedimenti per ridurre di 2 pt percentuali la disoccupazione italiana, puntando sull’assunzione dei giovani. Prevede, bontà sua, che vi potranno essere 200 mila assunzioni giovanili grazie agli incentivi fiscali messi in campo, pari a 1,5 mld di €.
Però, analizzando i dati macroeconomici, si nota che l’industria ha normalmente ogni anno, per l’usuale rotazione generazionale (pensionamenti e dimissioni), tra le 150/200 mila assunzioni. Sorge pertanto il dubbio più che fondato che questi incentivi all’occupazione vadano non ad un potenziamento occupazionale, ma solo a favorire il costo del lavoro delle aziende interessate. Anche se ciò sarà positivo per la competitività internazionale dei nostri prodotti.
Intanto, secondo Confindustria, la disoccupazione ha già toccato il 12,2%; e proseguendo di questo passa è probabile che alla fine dell’anno possa raggiungere anche il 13%. Ciò dipenderà dal corso dei consumi che paiono in ulteriore riduzione.

Pure l’Ue, timidamente, intende scucire soldi per investire nell’occupazione, anche se le risorse messe sul tappeto sono una piccola goccia nell’oceano del problema. All’Italia, infatti, andranno circa 500 mln nel 2014 e 2015, con i quali non si produrrà proprio niente. Più altri 500 mln possibili futuri.
Rispetto al 6/9 mld max programmati ce ne dovrebbero essere almeno 120 mld per poter incidere sul problema.
Molti commentatori affermano che ciò è un piccolo passo positivo, capace di dare il via ad un’inversione di tendenza. Un: meglio di niente.
Nella realtà il pachiderma Ue da inizio crisi insegue le problematiche con il suo passo greve e lento, ignorando che queste problematiche sono velocissimi levrieri globalizzati che lo distanziano sempre di più: i Mercati.
Portandolo alle persone, sarebbe come ipotizzare che la Merkel, con la sua goffa stazza, potesse  inseguire e superare Usain Bolt. Fantascienza!
La Merkel, più che altro, è la palla al piede dell’Ue con la sua politica rigorista. Siamo in prossimità delle elezioni federali tedesche di settembre, vicine nella tempistica, ma lontane per i problemi sul tappeto. Inoltre nella primavera del 2014 vi saranno le elezioni comunitarie. Per cui i problemi verranno quasi sicuramente congelati fino a quella data.
Il competitor della Merkel, Peer Steinbrück, è talmente goffo e insignificante che difficilmente riuscirà a superarla, perché, soprattutto, è amante delle papere per scarso intelletto e opportunità politica. Tra i 2 sarà difficile scegliere il meno peggio, anche se è tutto ciò che passa il “convento” Germania.

Il rinvio di 3 mesi dell’aumento dell’Iva non incentiverà di sicuro i consumi. Al massimo li manterrà invariati. Ciò perché il costo dei prodotti ha raggiunto un valore eccessivo, specie in una recessione come l’attuale.
Lo stesso discorso vale per il rinvio dell’IMU, rimandata ma non soppressa.
Perciò fino a nuove iniziative governative si può tranquillamente affermare che questo Governo opera sulla sintonia Ue, specializzata non nel risolvere i problemi, bensì a rimandarli sine die, sperando che il vento cambi e si risolvano da … soli. Fidando pure che alla scadenza delle proroghe attuali questo Governo sia ancora … operativo.
Va dato atto che per ora ha evitato un ulteriore collasso dei consumi, che l’aumento dell’Iva avrebbe inevitabilmente prodotto.

Letta nella conferenza stampa del Vertice Ue invita le aziende ad assumere, perché il pacchetto di incentivi toglie ora ogni alibi.
Peccato per lui (e per l’Italia) che le assunzioni non siano legate ad un puro desiderio o alla buona volontà, ma ad una specifica situazione di mercato. Questa indica che se vi sono consumi le aziende producono, se i consumi aumentano le aziende potenziano strutture e assunzioni, se, invece, ristagnano o calano, mantengono o riducono personale e strutture.
Perciò è ovvio che  con questa inamovibilità politica, che si ripercuote su quella economica, gli incentivi servano a poco, se non a niente.

Il problema dei problemi è uno solo: l’altissima imposizione fiscale che priva aziende e cittadini di risorse utili ai consumi.
Ovviamente lo Stato ha i suoi problemi di bilancio e una marcata riduzione dell’imposizione fiscale è irrealistica se non producendo ulteriore Debito. Ergo: la ripresa e le assunzioni latiteranno ancora.

Nessuno parla più di Fiscal compact. Pure nei periodici Vertici Ue, ed è un … peccato. Pare un desaparecidos.
Ovviamente incombe!
C’è da annotare che sotto Monti il Debito sovrano italiano si è dilatato in modo oltremodo anomalo, continuando tuttora la sua corsa al rialzo. Siamo a 2.050 mld circa; anche se ciò avviene non solo in Italia.
Trovare oltre 40 mld annui – e per 20 anni – per ridurlo sotto il 100% del Pil sarà un vero problema, senza massacrare la nazione e i cittadini.
Il problema principe, perciò, non sarà quello di assumere i giovani, ma di trovare le risorse soprattutto per il Fiscal compact.
A meno che i Governanti Ue, dopo aver rovinato con il rigorismo tutta l’economia, non abbiano la bella trovata di metterlo in soffitta, seguendo il vezzo della loro politica del tergiversare e rimandare. Proprio come Letta con Iva e IMU.
Ma forse il problema non sta proprio nel rimandare, bensì fino a quando questo sistema basato sulla Finanza e sul Debito possa reggere, avendo le fondamenta sul solo consumismo.
Il capitalismo va ripensato? No! Va soprattutto riformulato, privandolo di quei circuiti viziosi che creano danni ingenti a tutti privilegiando pochi.
Nel Vertice Ue si è pure discusso su come procedere con le banche in fallimento. Accordo raggiunto, ovviamente, anche se operativo (forse) nel 2018. Peccato che vi siano ancora più di 4 anni.
Idem con gli incentivi all’occupazione, peraltro esigui, che diverranno operativi a iniziare dal 2014.

La politica del tergiversare e soprassedere continua imperterrita, aspettando il Messia salvatore.
Peccato che l’Ue non sia neppure il Popolo eletto; e i suoi cittadini siano solo degli elettori di politici dediti soprattutto alla ripresa. Quella, però, delle … chiacchiere.

Giappone e Usa hanno affrontato la recessione immettendo grande liquidità nel sistema produttivo, anche se i risultati avuti non hanno ancora risolto i problemi.
Citarli è d’obbligo, calcolando che la Fed ha immesso per molti mesi ben 85 mld di $, e lo farà ancora se la situazione economica lo richiedesse.
Gli Usa hanno meno abitanti dell’Ue; l’Ue, però, si limita a 9 mld di € massimi in 3 anni per l’occupazione.
La nudità delle cifre indica la differenza abissale tra i 2 sistemi di affrontare la recessione.
Ciò indipendentemente dai risultati ottenuti. Perché essere pragmatici non vuol dire risolvere il problema, anche se le cifre indicano soprattutto la serietà dell’impegno profuso.


martedì 25 giugno 2013

L’Economia degli psicofarmaci.


Negli articoli precedenti[1] ho trattato della società e della finanza, lasciando l’Economia come ultimo argomento, soprattutto perché questa è le trait d’union delle altre 2.
La Società funziona quando l’economia tira, dà occupazione e produce ricchezza. Per farlo deve avere una Finanza in grado di supportare l’economia.

In questi giorni il Governo Letta cerca di trovare accordi programmatici interni per rilanciare soprattutto il lavoro e l’occupazione, specie quella giovanile.
Ciò, ovviamente, considerando il discorso programmatico d’apertura come un semplice esercizio dialettico e mediatico, visto che sugli intenti sono tutti uniti, ma sull’operatività … disuniti, senza poi considerare il necessario avallo della dirigenza Ue. Letta percepisce l’idea, ma non è in grado di sviluppare il progetto.
Le risorse sono il problema principale da risolvere, visto come il credito sia difficile da ottenere dagli imprenditori e gli incentivi governativi ardui da trovare nella scarsa (inesistente) disponibilità di cassa. Condizione sine qua non è possibile rilanciale proprio alcunché.

Nel mondo occidentale nell’evolversi della crisi si sono contrapposte 2 linee diverse di pensiero economico, e con esso di azione: il monetarismo americano/giapponese e il rigorismo Ue/tedesco.
Nel primo caso si è stampata moneta creando svalutazione strisciante e aumentato il rispettivo Debito sovrano, nel secondo si è contenuto (non ridotto) il Debito e affossato l’economia, privandola del credito necessario e oberando le aziende e il cittadino di tasse.
L’economia nipponica/americana ha comunque retto un Pil positivo, tanto da indurre governi e banche centrali a manifestare la decisione di ridurre gradualmente l’ingente immissione di liquidità. Va pure considerato che la liquidità è stata immessa soprattutto per sostenere aziende e consumi, mentre in Ue lo si è fatto per salvare stati e finanziarie.

Il Giappone ha un altissimo debito, che ormai sfiora il 300% del Pil; mentre gli Usa si avvicinano al 150%. Importi ragguardevoli che non possono essere sostenuti all’infinito e che per un’azienda normale sarebbero giù fallimentari.
Perciò la domanda pratica è: che succederà quando gli Stati e le Banche centrali decideranno di fermare il monetarismo e di puntare su un maggiore rigore di bilancio?
La storia recente Ue indica ciò che è avvenuto e che altrove potrebbe succedere. Mentre i Mercati lo stanno chiaramente manifestando in questi giorni con pesanti flessioni dettate dall’isterismo.

Dire che l’Economia abbia bisogno di potenti psicofarmaci per reggere l’occupazione è scontato, considerato che questi medicinali corrispondono a: finanziamenti facili a basso tasso e riduzione delle imposte sul lavoro.
Nell’ultimo secolo è sempre stato così. Diversamente il sistema è sempre andato in crisi. Ultimamente le crisi sono diventate sempre più ravvicinate e frequenti, affiancate da bolle speculative rialziste o ribassiste.
Ciò significa che in tale modo (indebitandosi sempre più) non si può più procedere.

L’industria spesso si è avvalsa di incentivi statali; mentre nello stesso tempo lo welfare è intervenuto non tanto come ammortizzatore provvisorio, quanto come sostegno all’occupazione. Un cassintegrato, infatti, non figura come disoccupato, neppure con la CIG straordinaria in deroga. Ciò, tuttavia, non significa che sia un occupato, specie se le aziende hanno chiuso o faticano a reggere anche la già scarsa occupazione per la grave recessione. La CIG, ora, è diventata uno “stipendificio” (dispensatrice di stipendi) pubblico, più che un elastico economico per tenere provvisoriamente ancorato l’operaio al lavoro.
Considerato che l’occupazione italiana ha già toccato secondo l’Istat il 12%, sommando a questa i cassintegrati ormai senza speranza, i molti che sfiduciati vivono alla giornata non iscrivendosi neppure più nelle apposite liste, oltre agli autonomi che per il lavoro inesistente sono di fatto disoccupati, è ragionevole pensare che vi sia una carenza di lavoro tra il 25% e il 30%.
Il lavoro latita, favorito anche da pregresse e errate scelte politiche, tese a invogliare gli imprenditori a spostare altrove la propria produzione nei decenni scorsi.

Nell’Ue vi sono Stati che tentano le aziende estere sane con sostanziosi incentivi a trasferire nei loro territori la produzione.
Non è un mistero che l’Austria, e ora anche la Svizzera, si rivolgano ad aziende del nord Italia per invogliarle a spostarsi da loro, promettendo: tasse ridotte, facilitazioni, mutui a fondo perduto, agevolazioni fiscali. Ovviamente in cambio dell’impegno a radicarsi sul loro territorio per alcuni decenni, usando manodopera locale, con la conseguenza pratica di accrescere in Italia la disoccupazione.
Ma ciò avviene pure altrove – Olanda e Irlanda in primis – a scapito di altre nazioni viciniore.
E ciò succederà finché l’Ue resterà quella solo apparente dei Popoli, ma nella realtà quella della Finanza globalizzata.

Gli ultimi decenni hanno reso chiaro che la società occidentale sta implodendo, minata dal consumismo. Come oltre 2 decenni fa implosero le democrazie socialiste, sostenute dall’occupazione artificiosa nelle industrie di stato.
Perciò è lampante che l’attuale assetto sociale non possa più reggere, non supportato com’è né dalla politica, né dalla finanza, né, per inciso, dai bilanci statali in profondo rosso ovunque.
Il concetto di sviluppo basato sul consumismo ha fallito, proprio perché un’economia non può espandersi in eterno.
Il capitalismo di stato o di libera iniziativa è ora solo fine a sé stesso, avulso dalle esigenze sociali. Da servizio alla società s’è trasformato in vincolo coercitivo e prioritario della società.

L’ultimo G8 - stando ai media e alla consueta conferenza stampa ufficiale – ha prodotto accordi eccezionali, mai visti nei precedenti 5 lustri.
Poi, guardando bene, il conclamato accordo si riduce ad un misero decalogo, utile base di dialogo solo per una futura e eventuale regolamentazione dei paradisi fiscali per politici animati da … buona volontà.
Perché è chiaro che finché l’Ue non diventerà una vera confederazione con leggi, tasse e welfare uguali ovunque, l’economia reale reggerà solo con sostanziosi aiuti statali nelle varie forme oggi disponibili. Aiuti che tuttavia sono dei veri e propri psicofarmaci, utili non a guarire l’economia, bensì a renderla un paziente psicofarmaco dipendente.

L’Economia è stressata per troppi fattori e in passato lo Stato l’ha imbottita di tanti ansiolitici contrastanti per mantenerla in vita.
Per l’assurdo, mentre sprecava ingenti risorse per potenziare o sostenere il sistema strutturale industriale, spingeva anche le aziende a de-localizzare fuori dai confini nazionali, dando il là inevitabile alla lenta emorragia di posti di lavoro e di Pil.
Ultimamente si è anche aggiunta l’incapacità politica sia di trovare risorse, sia di poter progettare un nuovo assetto industriale. Il Governo Monti, ad esempio, da una parte riformulava in modo peggiorativo con la Fornero il mercato del lavoro e il sistema pensionistico – dall’altra, aumentando la pressione fiscale a livelli insostenibili, strozzava il sistema manifatturiero, quello commerciale e occupazionale. Più che creare occupazione l’ha ingolfata, facendola esplodere e impedendo il naturale ricambio generazionale.

L’Economia è ormai senza speranza, perché la politica procede con tentativi contrastanti ad ogni cambio di maggioranza.
La colpa, ovviamente, non fu solo di Monti e del suo staff ministeriale, ma pure dei partiti che lo sostenevano, incapaci di imporgli alternative valide al suo procedere dannoso, arrogante e insipiente. Anche se, con buona pace di tutti, fu imposto da forze esterne con simultanee e smisurate pressioni finanziarie sui mercati.
La dietrologia recente sui 3 Super Mario nazionali tutti la conoscono, elevati a salvatori della patria finanziaria, economica, politica e … footbaliera. Invocati e osannati dai media anche esteri e, ora, riconosciuti come rei di tanti disastri ed … errori.
Poi venne Letta e pensò di risollevare i patri destini con delle simboliche icone colorate o sportive, i cui risultati ingloriosi per i risvolti sociali, d’esempio e divisori stanno sempre più venendo alla ribalta.

In Ue, dopo aver pontificato tanto rigorismo, cominciano a nutrire dubbi sul fine perseguito ed ad ammettere errori. Però nessuno dei responsabili del disastro sociale e economico leva il disturbo, dando le dimissioni. Lo stesso avviene sia nel Fmi, sia nella Troika, sia nei singoli stati.
L’economia non è il gioco dell’oca, anche se a condurlo vi sono dei giocatori tanto declamati, ma forse incapaci di vincere la partita. Magari strapagati nel recente passato da potentissime finanziarie globalizzate.
E se non si vince, né si ha una strategia sicura per poterlo fare, l’Economia la si può tenere moribonda solo con gli psicofarmaci, ma non risanare.

La CIG, compresa quella in deroga, è giusto praticarla per non mettere sul lastrico milioni di maestranze. Deve, però, essere affiancata da un serio e innovativo progetto industriale del Paese, perché diversamente diventa solo un deprimente ammortizzatore sociale (psicofarmaco) che più che dare una reddito diventa un costo (debito) elevato e improduttivo.
Il cassintegrato, più che reclamare solo diritti, ha anche il dovere di rendersi autosufficiente entro un ragionevole lasso di tempo, altrimenti deprime sé stesso, la società e quel poco di economia che ancora regge il disastro. Il diritto reclamato non può prescindere anche dal dovere individuale di non essere solo un peso (costo) sociale … eterno.
Lo Stato, da parte sua, con la politica deve offrire alla nazione un serio progetto per il futuro, non imponendo solo tasse per bilanciare i costi, ma ideando una linea guida da implementare in tutto l’ambito Ue.
L’essere politico deve essere un servizio, non una professione.

Se l’unione diventa effettiva e reale è ovvio che né il singolo cittadino, né le singole aziende, siano interessati ad investire altrove ed a delocalizzare, né a spostare la propria residenza, se non in presenza di uno sviluppo ulteriore che si basa sul già operante.
L’attore francese Depardieu è l’emblema pratico di un malvezzo politico pubblico e di ottusità economica tesi a penalizzare chi sa oggi produrre reddito e ricchezza, spogliandolo con il falso moralismo della giustizia sociale di quasi tutto ciò che può guadagnare (il 75%). Perciò non v’è nulla di straordinario se il cittadino o l’azienda cerchino lidi dove non essere spogliati (defraudati) da quanto conseguito, al di là del mercenarismo oggi imperante.
Le economie socialiste erano guidate da una ristrettissima cerchia di gerarchi che imponendo l’appiattimento dell’uguaglianza sociale usufruivano pero di innegabili e imponenti privilegi personali. Gestivano un’economia basata sugli psicofarmaci, vivendo sull’olimpo dorato.
Il capitalismo, ultimamente con la globalizzazione, ha imboccato la stessa via delle ex dirigenze socialiste, traendo solo per sé i privilegi e addossando i costi a tutti.
Ciò, ovviamente, finché tutto non salterà.




sabato 22 giugno 2013

La Finanza degli psicofarmaci.



In un articolo precedente (La Società degli psicofarmaci.) ho fatto un breve accenno alla Finanza; quella alta, ovviamente, che imperversa un po’ ovunque sui Mercati.
Questo articolo, infatti, è la seconda parte di un trittico basato su una determinata tematica: quella degli psicofarmaci.
Gli psicofarmaci della Finanza non sono quelli prodotti dall’industria farmaceutica, bensì quelli prodotti ad hoc da stati, banche centrali e banche internazionali, con l’aiuto e la compiacenza della politica.

La Finanza negli ultimi decenni ha generato una molteplicità di prodotti, indicativamente raggruppabili nei Derivati.
Sono prodotti artificiali in grado di creare grandi guadagni in breve tempo; ma, simultaneamente, di generare anche ingenti perdite. Ne parlai anni fa[1] in tempi non sospetti, prospettando ciò che poi è avvenuto.
La crisi scoppiata nel 2007 è stata generata da questo vero e proprio abuso indiscriminato di prodotti, contagiando poi tutto il mondo. Ma non si è ancora placata. Il caso Monte dei Paschi lo sta a testimoniare.
Ovviamente gli stati sono stati tutti a guardare, nonostante i proclami mediatici di successo in materia dei vari G7, G8, G20 e Vertici Ue, comunicati ad uso e consumo del “popolo bue”. Infatti dopo 6 anni di profonda crisi siamo ancora al punto di partenza; o meglio: molto peggio.

Cosa sono i realtà gli psicofarmaci della Finanza? Tutti quegli interventi monetari atti a favorire l’andamento dei mercati e la speculazione globalizzata selvaggia che lì si pratica.
A crisi iniziata il Governo Usa intervenne per salvare grosse banche, aziende e fondi. Che diversamente avrebbero fatto la fine della Lehman Brothers.
Poi intervenne la Fed, immettendo grandi liquidità di danaro con i vari QE1, QE2, QE3. Alla quale si accodò in maniera diversa più avanti la Bce di Draghi e i singoli Stati nel salvataggio di banche proprie; pure la stessa Ue si mosse con piani utili a ricapitalizzare le banche che diversamente sarebbero fallite.
In Giappone la Boj ha fatto altrettanto. Ora in  modo massiccio e al limite della ragionevolezza.

La Finanza, ovviamente, cerca di trarre dagli stati, perciò da tutto il popolo dei contribuenti, il maggior profitto possibile. E lo fa in modi diversi: proponendo prodotti rischiosi che rovinano il risparmio, attingendo alle casse pubbliche per i propri interessi, ponendo le sedi in quei paradisi fiscali che permettono una tassazione molto favorevole, spostando capitali velocemente tra le varie borse in modo che gli stati non possano controllarne i flussi, e, infine, attaccando lo spread di singole nazioni in modo referenziale, onde renderle soggetti deboli alla propria mercé.
Non è perciò un caso se l’1% della popolazione continua ad arricchirsi e il restante 99% ad impoverirsi.

La Finanza globalizzata non è contro gli stati. Però gli stati servono a questa per produrre guadagni: sono meri oggetti (stati) di reddito per soggetti (multinazionali) senza patria, senza radici, senza volto e senza etica.
La Finanza non si impegna in immobilizzi strutturali, ama l’investimento mordi e fuggi e attinge risorse a basso prezzo.
Diversamente il Listino degli indici tende a flettere in modo vistoso, facendo esplodere le bolle speculative create ad arte.
Le armi distruttive dell’alta Finanza sono da tempo conosciute; sono soprattutto: lo short selling e la leva imponente. Con quest’ultima sono in grado di buttare sul mercato somme esorbitanti fatte non solo per affondare o per far lievitare gli indici, ma anche per tenere questi sotto pressione, in modo che non scendano o non salgano oltre un certo prezzo.
La Finanza è in grado di guadagnare sia se la Borsa scende che se sale, per un accordo tacito trasversale che rende comune a tutti perseguire un determinato obbiettivo nello stesso momento.

Se gli stati o le banche centrali immettono forte liquidità sul mercato, la Finanza fa lievitare i listini. Quando le immissioni tendono a scemare o a cessare, allora li fa crollare.
La liquidità in effetti dovrebbe servire a rilanciare produzione e occupazione. Per riuscirci deve avere tassi bassi per invogliare l’imprenditore a mettersi all’opera. Ma siccome chi finanzia non è direttamente lo stato, ma le società finanziarie, nel passaggio si crea il vulnus che pone l’Economia succube della Finanza.
Il parificare le banche commerciali a quelle d’affari ha permesso, inoltre, a molte società finanziarie di investire a basso costo i fondi del risparmio raccolti. Diversamente il crack del Monte dei Paschi non avrebbe potuto avvenire.
Questi crack indicano pure che tra i vari gruppi spesso vi sono dei giochi pericolosi, che equivalgono a passarsi l’un l’altro velocemente la patata bollente, finché qualcuno si scotta di brutto finendo sul lastrico.
È successo pure alla Lehman Brothers, un colosso di non poco conto. Un gigante finanziario finito clamorosamente al tappeto perché Governo Usa e Fed pensarono che il non salvarla servisse da monito ad altri soggetti finanziari. E fu l’inizio violento della crisi.

Gli psicofarmaci della Finanza sono perciò i finanziamenti pubblici a bassissimo costo, elargiti dai soggetti pubblici. Non tanto perché servano loro, ma perché consentono a chi ne ha bisogno di stare sul mercato a costi sopportabili, facendo il gioco speculativo dei maggiori gruppi.
Come uno psicofarmaco è lo spread[2] dei Titoli sovrani, perché un tasso elevato consente alti interessi (guadagni) non sulla cedola, ma sul costo del prodotto singolo sul mercato parallelo, in grado di influenzare poi le emissioni future.
In sostanza: la Finanza senza gli stati non guadagnerebbe, perché non avrebbe dove sottrarre ricchezza ad altri.
Un politico come Giulio Tremonti definì la Borsa una bisca impazzita, dove soggetti amorali bruciano ricchezza o la sottraggono ad altri.
Ne consegue che la Finanza globalizzata sfrutti il sistema per potenziarsi. Non ama far fallire i singoli stati, ma portarli sull’orlo del collasso strutturale e finanziario per depredarli di ogni risorsa disponibile.
È comunque ipotizzabile che nella possibilità di un ipotetico crollo a domino dei singoli stati, la Finanza, non avendo più su chi potersi avventare, si rivolga infine contro sé stessa, cannibalizzandosi fino alla distruzione. Il Capitale divorerà sé stesso.

Il sistema di base è perciò basato sul Debito sovrano dei singoli stati. È l’incipit che crea il meccanismo pernicioso utile a ottenere liquidità a basso costo da poter incamerare, perché costringe gli stati a stampare moneta (monetarismo) o a produrre altro debito per poter reggere le spese, nel tentativo di rilanciare produzione, reddito e Pil.
Perciò le finanziarie garantiscono lo stato comprando Titoli sovrani; lo stato a sua volta garantisce e salva le finanziarie quando queste sono sul lastrico, in un circolo vizioso degenerante che amplia continuamente i risvolti negativi di questo incesto mostruoso. Irlanda e Spagna su tutte … insegnano.

Bernanke, Presidente della Fed, già tempo fa aveva detto che in presenza di una ripresa avrebbe gradualmente ridotto l’immissione mensile di 85 mld di $. Perciò, visto l’andamento del Pil americano, questa notizia era già da mesi scontata.
Ciò nonostante è bastato che la comunicasse ufficialmente per far crollare tutte le Borse del pianeta, iniziando ovviamente da Wall Street.
Già la Borsa di Tokio aveva dato poco prima sonori scricchiolii, nella prospettiva che la Boj potesse ridurre l’immissione senza limiti di liquidità.
Come l’annuncio di Draghi sull’Omt illimitato era bastato a calmierare lo spread pur senza farne ricorso.
Tutto ciò dimostra che la Finanza è un gigante con i piedi d’argilla, capace di produrre bolle speculative rialziste anche davanti a dati macroeconomici molto negativi, come gli attuali. Infatti là dove l’immissione di liquidità è stata maggiore si sono raggiunti massimi storici dei vari indici di mercato.
I massimi sugli indici si ottengono in presenza di un’economia che va a gonfie vele. Mai in presenza di forte recessione, disoccupazione e crescente povertà.
Proprio perché la ripresa Usa e nipponica sono ancora molto arretrate rispetto ai livelli pre-crisi, sia nell’occupazione che nel Pil; mentre quella Ue è addirittura ai massimi storici negativi su recessione, disoccupazione e Pil.

La Finanza attuale, specie quella globalizzata, è tanto malata che non può reggere da sé senza assumere continuamente psicofarmaci. Diversamente va sotto stress e ha bisogno di ingenti quantità di ansiolitici.
È malata perché vuole essere predominante sull’Economia, a sua volta gravemente sofferente. Ma senza economia non potrebbe esistere.
Come ho già sottolineato nel primo articolo del trittico, gli psicofarmaci, di cui gli ansiolitici fanno parte, con la continua assunzione diventano forzatamente necessari alla sopravvivenza creando dipendenza, perché le ghiandole e la sostanza cerebrale traggono un beneficio psicologico da queste sostanze.
Perciò, pure la Finanza, diventa prigioniera e dipendente degli psicofarmaci, senza i quali è destinata a crollare miseramente.
Siamo come i Miserabili di Victor Hugo: i 3 ciechi si sostengono l’un l’altro finché finiscono tutti nel fosso.






[1] - Per approfondimento vedere anche:  I Derivati e i CDS.
[2] - Per approfondimento vedere anche: Lo Spread.

venerdì 21 giugno 2013

Parlando di Iva: a proposito e a sproposito.


L’Iva, come tutti sanno, è un’Imposta sul Valore Aggiunto, come indicato dal suo acronimo identificativo. Anche se, in realtà, proprio così non è.
Infatti, l’Iva, è anche una compensazione sul minus valore conseguito, essendo contabilmente una mera partita di giro.
Se acquisto 100+21% di Iva avrò un importo di 121; se poi vendo lo stesso prodotto a 50+21% (sottocosto) incasso solo 60,5. In calcolo di saldo d’imposta mi troverò perciò 10,5 a credito Iva.
Come tassa è strutturata in modo da gravare sul consumatore finale, chiunque questi sia, anche nei vari passaggi. E il consumatore finale deve solo … pagare e non compensare. Perciò: chi più consuma, più paga!
In effetti si dovrebbe chiamarla con un acronimo diverso: Icf – imposta sul consumo finale -. Suona male, ma indicherebbe molto più esattamente la sua vera matrice vessatoria.

Conteggiare l’Iva pare semplice, visto dall’esterno. Un po’ meno lo è se visto dall’interno, per via delle sue differenziazioni che prevedono esenzioni, bonus fiscali finali per certe categorie, oppure forme forfettarie di calcolo per determinate fasce di contribuenti.
Al consumatore, infatti, può anche capitare di recarsi per acquisti in grandi ipermercati e supermercati e vedersi consegnare uno scontrino con scritto: scontrino non fiscale. Ciò significa che quell’esercizio commerciale gode di una facilitazione normativa prevista dalla legge. Dunque che non tutta l’Iva incassata viene versata se è un surplus normativo contrattuale.
Perciò, rettificando l’acronimo, si può tranquillamente affermare che l’Iva è sì un’imposta sul valore aggiunto gravante sul consumatore finale, ma che nelle pieghe di articoli e commi nasconde insidie atte a … favorire qualcuno.

Giampaolino, Presidente della Corte dei conti, ha appena avanzato proposte in merito all’Iva, dove – afferma - vi sono consistenti aeree di evasione.
Secondo i suoi calcoli lo Stato (Pubblica amministrazione) pagherebbe circa 40 mld di € annui di Iva per forniture e servizi ricevuti; però al conteggio finale di saldo ne mancherebbero almeno 10. In pratica sulle sole forniture fatte allo Stato vi sarebbe un’evasione del 25% circa.
Ovviamente non saprei dire se questa sia una sua supposizione suffragata da dati certi, oppure se deduttiva. Ciò che però “parrebbe” interessante sarebbe la sua proposta per impedire che ciò avvenga: lo stato non dovrebbe versare l’Iva ai fornitori, depositandola in un apposito fondo creato ad hoc.
Non discutendo sulla fattibilità di ciò, non credo che ciò eviterebbe l’evasione presunta.

Posto che lo stato non paghi l’Iva ai fornitori si avrebbe in fatturazione un articolo apposito, come ad esempio l’attuale Art. 8 commi A e B per l’esportazione. In questo modo il fornitore non riscuoterebbe l’Iva e lo Stato la potrebbe versare come costo in un apposito conto da compensare alla fine.
Evasione impedita? Non credo proprio, ammesso che ciò sia vero.
Il fornitore, infatti, l’evasione non la può produrre sulla partita di giro, ma generarla ad arte nei passaggi contabili intermedi: o facendo sparire fatture di ricavi, o producendo conti inesistenti. L’evasione, tuttavia, sarebbe facilmente riscontrabile dall’analisi d’incrocio dei dati relativa all’elenco Clienti/Fornitori, che attualmente ogni Partita Iva deve annualmente consegnare.
Diversamente l’Iva non riscossa dal fornitore, sulla fattura fatta alla pubblica amministrazione, percorrerebbe lo stesso iter contabile di quella succitata per l’esportazione, creando, dunque, un probabile credito di imposta finale tra dare ed avere. Da chiedere in rimborso o da compensare in futuro.

Alcuni hanno avanzato l’idea di eliminare i passaggi intermedi Iva nella fatturazione, lasciando il venditore finale come impositore e esattore dell’imposta. Costui aggiungerebbe l’Iva sul prodotto finito, la riscuoterebbe e la verserebbe tutta allo Stato.
Ciò che parrebbe una gran trovata, riducendo e semplificando i controlli, sarebbe comunque una gran boiata, in quanto difficilmente praticabile se non con una burocratizzazione contabile mastodontica.
Ciò potrebbe essere praticabile solo su quei beni che coinvolgono il dettaglio, ma non quei prodotti di costo che coinvolgono produzione e distribuzione.
Per semplificare citerò i carburanti, che, come si sa, non solo vengono usati dal consumatore finale (privato), ma pure da quello intermedio (produttore, distributore, servizi).
Che succederebbe?
Poniamo come esempio un costo litro del carburante di 1,50+21% di Iva, con prodotto finale alla pompa di 1,815. Perciò con un’imposta di 0,315.
Secondo tale ipotesi la casa petrolifera non incasserebbe l’Iva, il benzinaio la conteggerebbe e la verserebbe, e l’automobilista la pagherebbe.
Il problema sorge in altro modo, perché il carburante – come qualsiasi altro prodotto – non serve solo il consumatore finale, ma pure la produzione, la trasformazione e i trasporti.
Ora se queste categorie pagassero l’Iva, come il consumatore finale, avrebbero una contabilità che creerebbe un determinato credito (esenzione da recuperare), non eliminando di fatto né l’evasione, né la semplificazione contabile.
Diversamente, senza una contabilizzazione, l’Iva pagata sarebbe un costo aggiuntivo che innescherebbe un circolo vizioso di costo sul prodotto finito, aggiungendo l’imposta non detraibile all’imposta poi da pagare alla fine sulla stessa imposta già assolta alla fonte. In pratica una doppia o plurima – secondo il numero dei passaggi intermedi - relativa imposizione.

L’aumento dell’Iva programmato a giorni (01-07-2013) è più probabile che slitti di un trimestre piuttosto che venga abrogato. Ciò non tanto per un mancato accordo tra Governo Letta e i partiti che lo appoggiano, bensì per il nulla osta dell’Ue. Ecco perché si tergiverserà fino all’ultimo giorno utile, dopo i riscontri avuti nella prossima riunione del 27/28 giugno, che sarà basilare per capire le concessioni o le imposizioni a cui dovremo sottostare.

L’aumento dell’Iva in forma lineare era già inserito nell’ultima manovra del Governo Berlusconi, però solo come extrema ratio ad un totale andamento negativo del mercato. Era una misura preventiva utile per mettere in sicurezza il Bilancio per il possibile andamento negativo dello spread.
Il Governo Monti ha poi prorogato l’aumento, poi slittato alla data attuale.
Un punto in percentuale significano circa 4 mld annui di ulteriore imposta. Slittando di un trimestre si perderebbe solo 1 mld, avendo però del tempo aggiuntivo per trovare le coperture adatte.
L’ultimo aumento dell’1% applicato da Monti ha evidenziato un calo di 1 mld di entrate annue, per il conseguente crollo dei consumi in seguito all’aumento. Perciò, ad opera finita, la copertura finanziaria da trovare per evitarne l’aumento sarebbe solo di 3 mld.

Come già il G8 ha dimostrato Letta non è colui che può risolvere i problemi dell’Italia, ma solo colui che attualmente è demandato a farli comprendere per un avallo agli altri partner europei.
Ovviamente dopo i disastri di Grecia, Spagna e Italia per le manovre restrittive imposte, pure l’Ue ha capito che in questo modo più che ridurre in povertà le nazioni in difficoltà finirà per affossare l’ e la stessa Ue.
Specie se i Mercati finanziari (Borse) continueranno a flettere sotto la spinta speculativa, innalzando gli spread sovrani e rendendo probabile il salvataggio di altre banche Ue per troppo stress.
I crolli di questi giorni non sono un caso isolato e neppure un monito. È l’esempio pratico di ciò che potrebbe accadere se Finanza, Economia e Bilanci sovrani continuassero ad andare per conto loro senza alcun controllo.