giovedì 31 maggio 2012

Quel Renzi che non è Tramaglino.


Ieri sera a Bergamo arrivò il garibaldino sindaco fiorentino – Matteo Renzi -, che per una “o” non è il Tramaglino del Manzoni.
A dire il vero, nonostante la sua verve e vis polemica con la dirigenza del proprio partito – il PD – per un “i” non è nemmeno Cola di Rienzo – in romanesco Rienzi -, anche se col suo libro un po’ astruso, anche se decantato, a quel periodo grosso modo si … ispira.
Oltre le chiacchiere, infatti, non ha ancora statuito la nebulosa “Repubblica di Firenze” a livello nazionale; che, a differenza della dirigenza medicea, si è instaurata in toscana per puro caso in seguito a delle primarie un po’ maneggiate e fortunose.
Bersani in cuor suo lo rottamerebbe volentieri, anche se la singolar tenzone, tra “demolitori” diversi di professione, lascia incertezza sul risultato finale. Il primo vorrebbe rottamare del tutto Berlusconi, il secondo la stagionata dirigenza PD, a cominciare dal “vecchio” (politicamente) segretario.
Forse per questo e per capire bene la situazione fece pure, tempo fa, una capatina in quel di Arcore, per una cenetta … informativa.
La cultura a certi livelli non è mai … abbastanza.

Con sé, venendo, non portò i capponi, destinati all’Azzeccagarbugli di turno. Molti, infatti, nel Pd sorgente Ds, guardano con sufficienza alla storia Lusi e sarebbero felici di fargli le … feste.
L’eroe si difende – come tutti quelli chiamati in causa – a spada tratta, togliendo dal cassetto la nomenclatura dei “suoi 150 sostenitori” e rendendone nota la metà, facendo perciò vedere al volgo con chi si sieda volentieri … a tavola.
Non per nulla in simili casi si chiedono sempre le dimissioni degli altri, guardandosene bene di dare le proprie. L’Italia è piena di tali esempi e non tutti sono … i vituperati leghisti. I casi correnti - Formigoni, Vendola ed Errani; tanto per citarne alcuni – fanno testo.
Arriva in stile casual – giacca, camicia bianca, jeans e calze a righe: non Stil Novo – anche perché passa prima al pratone leghista di Pontida, forse … convinto che in quel campo migliaia di assatanati valligiani lo osannino come nuovo status symbol dopo le disavventure della dirigenza leghista, che, come lui, pur con la suspicione di innocenza, ha in comune qualche … noia procedurale.
Vi trova solo … erba e neppure un gatto del … Pd: non è tempo di raduni. Perciò ne rimane … amareggiato.
A Firenze, forse altri, lo saranno per una ragione diversa dalla sua.
A Bergamo, di bischeri, ne hanno già pure loro, anche se li chiamano in modo politicamente diverso.

Ad accoglierlo, nel Salone Merci, vi è la solita platea: intellighenzia salottiera di Sx, pidiini a matrice Margherita e qualche rampollo Unione di Centro, di quelli - per intenderci - sempre attenti ad annusare dove tira il vento come le … quaglie.
L’organizzazione si consola per la sala piena; giacché, nonostante il battage mediatico, nutriva seri dubbi in proposito.

Renzi espone la sua idea politica generale, fatta per lo più di idee ancora tutte da sviluppare, rendendosi in ciò uguale a tutti gli altri politici che vorrebbe volentieri rottamare. Non dice se è un … Medici … vero.
Non è con un libro, che si collega al passato, che si risolvono i problemi della nazione, specie se si ha la sfrontatezza (carenza culturale) di paragonare un Machiavelli ad un Monti. In pratica: una filosofia politica e sociale a qualche formuletta teorica bocconiana.
La capacità di ideare una nuova società, e il farla funzionare, forse non è pane per i suoi denti, o come vendere giornali con gli strilloni; perciò si limita alla parola “rivoluzione” se si vinceranno le elezioni.

Eventuali primarie di Sx a livello nazionale non è detto che conducano allo stesso risultato di quelle locali, pur se di una media città. Sicuramente i polli ruspanti sarebbero fagocitati da galli ben più agguerriti che quelli “mugellesi”; e la fidata claque finanziatrice ben poco potrebbe, senza altri grossi sostegni, a livello nazionale.
Certo, il soggetto ha un certo piglio garibaldino, ma sarebbe solo e neppure appoggiato dai mille, provenienti culturalmente da ben altre zone geografiche e che, appunto per questo, forse è venuto segretamente a … cercare.

Renzo Tramaglino non faceva né il sindaco, né il politico, ma solo l’operaio. Dietro di sé aveva l’impaurito don Abbondio pressato dai Bravi di don Rodrigo, oltre a quelli dell’Innominato, che teneva la sua amata Lucia segregata.
Matteo Renzi teme invece la forza inventiva dell’“Innominato” politico Berlusconi, in grado di scombussolargli le carte. Ovviamente Arcore non gli fu … proficuo.
Tramaglino fuggiva da Lecco verso Milano, con la fede nella Provvidenza che poi si manifesta nel Cardinal Borromeo.
Renzi viene a Bergamo per presentare un libro – Dolce Stil Novo – facendo prima tappa ai manzoniani luoghi di Lecco, con la stessa scusa e lo stesso motivo.

Tra Manzoni e Renzi vi è una notevolissima diversità letteraria, ideologica, religiosa e anche politica. In pratica non vi è neppure paragone. Proprio come il paragone non c’è tra Machiavelli e Monti.
Ma il paragone non esiste neppure tra Renzo e Matteo. Proprio perché il primo, conscio dei suoi limiti, si affida alla provvidenza; mentre il secondo solo alla sua garibaldina baldanza e armato solo della sua … lingua.

La politica è cosa bella se intesa come servizio e si cambiano le facce.
Frase non dei Promessi Sposi, ovviamente, ma di un politico ruspante che intende proporsi. Non dice se si deve cambiare pure la sua.
Chi si candida, però, non deve farlo come se si presentasse a un concorso di bellezza, ma raccontando un’idea di Italia basata su qualità e innovazione.
Qua al Nord si è un po’ ostrogoti, visigoti, vandali e longobardi, frutto di un rimescolio di orde barbariche. Si dice pure, in base al Dna, che forse gli Etruschi siano partiti da qua.
È gente che bada al sodo e non alle ciance, se non sono solo utili a trascorrere una serata salottiera che di letterario ha assai ben poco.
Perciò più che all’idea in generale di un’Italia basata su qualità e innovazione, si attende l’enunciazione completa sociale, economica e finanziaria di questa Italia.
Renzi mi pare quel tipo che parlando di mattoni evidenziava l’intenzione di costruire una cattedrale[1], non presentando però un dettagliato progetto.
Qua Garibaldi venne e arruolò buona parte dei mille, ma il progetto lo aveva e lo spiegava.
I leghisti hanno illuso intere generazioni – secondo Renzi. Sarà pur vero, però sul territorio hanno creato dei riferimenti e gente che ha lavorato sodo per la comunità. E ci sono ancora.
Vediamo che fa Renzi a Firenze, oltre che a trasferirvi la residenza.
Perché non è con un libro o con il rottamare che si risolve la crisi e si rilancia una nazione.



lunedì 14 maggio 2012

L’unica riforma strutturale ineludibile e prioritaria: il mercato mobiliare.


Quando il perseguire una determinata politica economica non raggiunge alcun risultato, anzi moltiplica i problemi, è logico chiedersi se tale politica sia giusta, sbagliata o dove porti.
In ambito Ue si procede imperterriti, sotto lo stradominio della Merkel, nel rigorismo penitenziale, perciò in quell’economia sciatta, scialba e passatista che ha già rovinato la finanza e i bilanci di diversi stati, e che molti – compreso Paul Krugman – definiscono la deleteria economia del dolore.

Personalmente sono sempre stato per il rigorismo di bilancio; tuttavia c’è modo e modo d’ottenerlo.
E, visto sotto l’aspetto finanziario della Germania, è ovvio che per loro questa sia una politica giusta (remunerativa) a breve. Tuttavia questa stessa politica è deleteria all’Ue e alla sua moneta (€); perciò andrà a finire che alla fine si ritorcerà anche contro la stessa Germania.
Mi spiego meglio, onde non essere frainteso.

La Commerbank, una tra le principali banche teutoniche, ha appena annunciato che nel primo trimestre 2012 ha chiuso con un utile in calo del 63% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, nel quale si era già avuta una netta contrazione. Sintomo, ciò, della crisi in atto anche là.
Ciò che è maggiormente interessante è l’asserzione d’aver azzerato l’esposizione verso Grecia e Irlanda; però, a contraltare, è stata incrementato di ben 8,4 mld di € l’esposizione verso l’Italia.
Facendo un piccolo passo indietro, si può ricordare che l’avvento di Draghi alla Bce ha promosso una politica parziale di quantitative easing, dando alle banche Ue, a tasso privilegiato (stracciato), ben circa 1.300 mld di €. Somma che è stata investita dagli istituti finanziari per acquistare (sostenere) per lo più i Titoli sovrani italiani e spagnoli.
La Germania, inoltre, dalla debolezza dei Titoli sovrani confratelli trae un beneficio notevole, giacché può tranquillamente attingere al mercato col Bund, come bene rifugio, ad un tasso molto ridotto rispetto agli altri. Attualmente intorno all’1,5% circa.
In sostanza avviene che a tasso molto basso possa finanziare le proprie spese, compresa quella di potenziare anche le proprie banche.
Facendo i debiti conti, queste dirottano il loro denaro come investimento su titoli a breve-medio termine “sicuri”, avendo dalla differenza di spread un notevole guadagno che, attualmente, oscilla sul 4% netto per lo spread sul Bund e del 4,5% per le somme ottenute dalla Bce.
Il cambio di strategia di portafoglio titoli non è casuale. La Grecia, infatti, era privilegiata tempo fa, quando rendeva parecchio ed era sicura. I tassi alti l’hanno strangolata ed ora è in stato fallimentare. Perciò si dirotta la scelta su un prodotto finanziario diverso – capace di sopportare ancora forte speculazione - di un altro stato ancora sicuro e … succube del rigorismo penitenziale. Appunto: Italia e Spagna.

Le ultime manovre correttive sul bilancio italiano, nonostante il forte aumento dell’imposizione fiscale, non hanno ridotto di un etto il Debito sovrano italiano, che anzi è aumentato.
Guardando però bene, questo è lievitato non per le normali spese correnti dello stato – che si mangiano ben 800 mld di € all’anno – ma per altri motivi che al comune cittadino sfuggono: quote associative per potenziare Fmi, Esfs, finanziamenti a stati confratelli in difficoltà, ai quali va aggiunto il conto dell’aumento dello spread, perciò degli interessi.
In base agli accordi tra stati, parte di questi soldi sono stornati come partite di giro dal rapporto Debito sovrano/Pil.
Perciò si può tranquillamente ipotizzare che il Debito complessivo italiano – su cui comunque paghiamo fior di interessi – sia già superiore ai 2.150 mld circa, contro i 1.946 ufficiali conteggiati nel rapporto.
In pratica, a conti fatti, il benessere e il Pil dell’opulenta Germania viene in parte finanziato dai debiti degli Stati a cui si impongono manovre capestro d’austerità, utili anche a togliere competitività ai prodotti di questi paesi, perciò a potenziare quelli tedeschi.

Questa, però, non è una politica economica e finanziaria valida per l’Ue!
Che, a ben guardare, non è una colonia del domino Merkel, ma una confederazione di Stati.

La Merkel continua a ripetere (vaneggiando) che i Paesi in difficoltà devono attuare riforme strutturali sostanziose, onde riprendere competitività sui mercati e rilanciare l’export, il consumo interno e, di conseguenza, il Pil. Bello a dirsi, impossibile a farsi!
Proprio quelle riforme che la Germania stessa non persegue e che si guarderebbe bene dall’attuare. Basti citare le liberalizzazioni, tanto sbandierate dal Governo Monti, che in pratica non hanno cambiato di una virgola la forte recessione in atto. Oserei dire: l’hanno incrementata.
Chi frequenta la Germania, sa benissimo, ad esempio, che l’apertura dei negozi è strettamente regolamentata e che le professioni sono ben tutelate.
La stessa Riforma del lavoro, perseguita con forza dal tandem Fornero/Monti, non potrebbe minimamente essere compensata dal sistema d’ammortizzatori esistenti in Germania. Cosa che, renderà ancora più drammatica l’economia italiana reale.

I guai da dove vengono? Dallo spread che viene manovrato da pochi sul mercato e che, più si alza, presenta un notevole conto interessi, che diventa apocalittico in un momento di forte recessione, come lo è già stato per la Grecia.
Monti, facendo del sano ottimismo, dice che i benefici della sua politica si vedranno nel tempo, portando l’asticella già al 2020 per un Pil in ripresa.
Ciò, tuttavia, non è una certezza e solo una sua supposizione personale, molto, molto discutibile, a cui forse (di certo) non crede lui stesso. Ne consegue che la ripresa avverrà quando molti non la potranno vedere, essendo morti da tempo, e sicuramente non per le manovre e le riforme attuali.

L’attuale Governo italiano non ha la fiducia del popolo, ma solo quella assoluta e totale del Presidente della Repubblica, oltre a quella stiracchiata e formale dei partiti che lo sostengono malvolentieri per non andare ad elezioni, che li vedrebbero quasi annientati. Non è stato scelto, né votato, ma solo imposto da pressioni internazionali.
I risultati elettorali della parziale tornata amministrativa lo stanno a dimostrare.
Chi non ha la fiducia del popolo è ovvio che abbia una sostanziale diversità di vedute sulla politica economica da perseguire, che Monti intende di sole tasse, infarcita da espressioni roboanti quali: Salva Italia, Cresci Italia … e via dicendo. Le parole, però, da sole non fanno crescita.

Il sistema bancario è in crisi da tempo; in pratica da quando al finanziare le imprese ha preferito la speculazione finanziaria, capace sì di produrre utili facili in brevissimo tempo – basti pensare alle opzioni binarie – ma anche di causare ingenti danni.
È di questi giorni la notizia che JP Morgan ha perso oltre 2,3 mld di $ in poco più di un mese, speculando sui derivati. Ora, pur considerando che si troverà il capro espiatorio di turno, l’interrogativo su questo neoliberismo facile di mercato si pone.
Vi sarà un nuovo terremoto come a suo tempo lo fu con la Lehman Brothers?
Nei giorni scorsi, in un informale incontro personale con un alto dirigente di una tra le principali banche italiane, mi si diceva che la direzione in modo assai riservato ha tassativamente impartito disposizioni di non concedere soldi al alcuno. Ciò significa che il sistema bancario – e con esso il mercato – vede nero nel breve e teme il peggio. Il forte aumento del tasso alla clientela effettuato in questo ultimo periodo è il contraltare all’impossibilità di recuperare gli affidi concessi; per cui nonostante il TUS sia all’1% si praticano tassi molto maggiori anche ai migliori clienti, classificabili dal 5% in su. In pratica la differenza di mercato espressa dal Bund/Btp.

La Grecia è una piccola nazione che esprime a malapena circa il 3% del Pil Ue. Ciò nonostante la sua situazione precaria ha infiammato i mercati, contagiando poi altri paesi.
È bene rilevare che il contagio non avviene per conseguenza, ma per autoreferenzialità: si sfrutta la situazione sia per influenzare il mercato con vendite allo scoperto, sia attaccando un altro stato quando uno non può più dare utili sostanziosi e immediati.
In tutto ciò i grandi istituti finanziari ci mettono del loro, usando e bruciando ricchezza, che prelevano dagli affidi loro concessi dalla clientela, in speculazione.
In Italia, da dati ufficiali, pare che vi siano 9.000 mld di € di liquidità sui C/C; tuttavia se le banche dovessero renderne almeno 2/10 incorrerebbero in una quasi certa bancarotta.
Questa è una delle ragioni per cui il nostro Stato non potrebbe attuare una patrimoniale spuria sulla liquidità esistente – a tempo e retribuita - del 20%, per sottrarre totalmente alla speculazione di mercato i propri Titoli: farebbe fallire le banche che, per il crollo attuale degli indici di mercato, non potrebbero recuperare tale liquidità.

Fermare la speculazione oggi vuol dire riformulare e regolamentare eticamente il mercato mobiliare; ma ciò va contro gli interessi di società globalizzate che si possono permettere perdite ingentissime, con il fine di comprare poi, a prezzi stracciati, tutto ciò che rimane di valido.
E, guarda caso, può essere la stessa strategia della Germania, interessata alle aziende d’eccellenza, e a costo irrisorio, di quelle nazioni a cui impone il rigorismo penitenziale.
All’Ue, al di là dei vari egoismi nazionali, manca soprattutto una Banca centrale in grado di emettere titoli e moneta, avendo simultaneamente la possibilità di poterli difendere. Non è con operazioni saltuarie della Bce in difesa di un singolo titolo sovrano, o di quantitative easing  sporadico, che si risolve il problema delle nazioni in difficoltà sotto gli attacchi del mercato. Tanto più se queste manovre vengono osteggiate dal governo Merkel.
Il neoliberismo di mercato ha fatto il suo tempo e prodotto i danni che vediamo. Serve un modo nuovo di affrontare il problema per rilanciare investimenti e Pil.

Nelle ultime elezioni, effettuate in diversi stati, i popoli chiamati a votare hanno espresso il loro inequivocabile intendimento: basta con il rigore che rovina le economie e crea disperazione e povertà ovunque, innestando una pericolosissima spirale internazionale di mercato.
I partiti che appoggiano questa politica deleteria sono stati ovunque pesantemente puniti, sia che il voto esprimesse solo delle amministrative parziali, sia delle politiche vere e proprie.
Ciò è avvenuto in modo vistoso in Grecia, in Francia, in Italia e anche nell’opulenta Germania, dove la coalizione Merkel perde continuamente suffragi. Ovunque si sia votato è stata bocciata l’attuale politica economica e finanziaria.
Hollande non è un uomo nuovo, ma un politico di professione da anni sulla scena. Il rinnovamento politico francese poggia, pertanto, non su una faccia nuova, ma su una linea politica innovativa, atta a dire chiaramente che un’Ue così non va proprio bene. Propone un’alternativa di sostanza.
Vale ricordare che pur con alcune diversità era la linea economica espressa a suo tempo da Tremonti, basata su: Eurobonds a tasso uguale per tutti, Bce con poteri uguali a quelli della Fed, tassazione unica in ambito Ue e ferrea regolamentazione del mercato mobiliare.

Vegas afferma che il 2011è stato un annus horribilis. Quel che non dice, ma che fa intendere, è che il 2012 è per ora ancora peggiore; e che la crisi vera e cruciale per la sopravvivenza inizia ora.
Parla di attacchi speculativi allo spread, atti a condizionare (rovinare) l’economia di singoli stati, perciò della necessità di trovare un rimedio a questo male che le autorità di controllo da sole non possono risolvere.

Ritengo che, se vi è la volontà politica e l’acume necessario, il Mercato mobiliare possa essere subito regolamentato, purgandolo dalla speculazione selvaggia che divora ricchezza ovunque, basata per lo più sulla vendita allo scoperto. Le idee e i rimedi sono già conosciuti da molto tempo e perfettamente enunciati.
Dare potere alla Bce – similare a quello della Fed – significa renderla vera banca centrale di una confederazione, atta autonomamente a difendere titoli, ad emettere moneta, a intervenire sul mercato per battere la speculazione quando questa si manifestasse. Non per nulla gli U.S.A., che han patito dalla crisi di mercato danni superiori ai nostri, stanno attualmente molto meglio.

Il voto esprime una volontà che spetta al politico renderla effettiva. Prima della caduta della Merkel – nuovo muro di Berlino destinato a cadere a breve – ci stanno ancora molti mesi, che potrebbero però essere cruciali per tutta l’Ue e non solo per la Grecia.
La quale può essere ancora salvata con poco sforzo, non tanto dalla crisi economica gravissima a cui l’hanno costretta col rigorismo sacrificale – più che penitenziale –, bensì da una pericolosa deriva dittatoriale che si sta già delineando all’orizzonte anche in altre nazioni, preceduta da forti e gravi subbugli sociali.
La mia opposizione al governo Monti non è mai stata sulle persone, ma sulla linea neoliberista che segue; linea che ha generato e prodotto i guai che stiamo vivendo e sopportando, specie se succube e appiattita sulla linea Merkel.
Linea ormai superata da anni e che ha bisogno di essere sostituita con ben altra linea economica, pur mantenendo il rigore di bilancio.

Innovare in politica significa per lo più rinnovare e non tanto riformulare.
Sono in contrasto culturale con coloro che si battono per eliminare il bipolarismo – per miope interesse di bottega -, perché in questo grave momento vi devono essere due modi diversi e alternati di intendere l’economia, perciò anche la politica. Basta saperli ideare e proporre.
La forte avanzata del Front National di Marine Le Pen pone inquietanti interrogativi, come pure l’esplosione delle ali radicali e opposte in Grecia, senza contare il boom del M5S in Italia, che tuttavia ha una perfetta visione democratica, seppur di protesta.
Le nazioni oggi hanno bisogno di forte governabilità, seppur nell’alternativa. Il frammentarle è il renderle facili prede sia dell’ingovernabilità – i risultati greci lo dimostrano – sia del lievitare dei radicalismi estremi.
Basti pensare a cosa sarebbe ora la Francia se non avesse un bipolarismo reale, che ha proposto al popolo due diverse linee economiche sulle quali votare. E la stessa cosa vale per la Germania, dove l’opposizione propone una rigorosa linea economica diversa da quella della maggioranza.

Sono certo che il governo Monti sia stato un gravissimo errore politico di Napolitano, pur nel suo pieno rispetto dei dettami costituzionali.
Ha prodotto un inciucio paradossale atto a togliere quell’alternativa strategica economica che i 2 poli (e mezzo: terzo polo) potevano comunque proporre, anche se han dimostrato finora di non saperla ancora ideare. Oltre a far appiattire l’Italia allo strapotere della Merkel.
Quest’incapacità d’ideare vien da un modo vetusto, e per lo più italiano, di fare politica: quello di renderla una professione più che una vocazione, con la conseguenza dell’avere leader che durano vari decenni. L’Italia ha prodotto – tanto a dx quanto a sx – troppi politici organici, per cui anziché costruire ci si schiera contro.

La riforma prioritaria e ineludibile è quella di un’immediata e ferrea regolamentazione del Mercato mobiliare, bloccando con ogni mezzo – Bce compresa – la speculazione internazionale selvaggia.
Il caso JP Morgan è un monito severo, atto a far intendere a tutti che il capitale globalizzato sta divorando gli stati, attaccandoli in modo referenziale. E, quando non vi sarà più nulla da divorare, allora cannibalizzerà sé stesso, come già fatto con la Lehman Brothers ed ora con la stessa JP Morgan.
La quotazione dei titoli finanziari italiani è scesa del 90% circa dal 2007 ad oggi. Il mercato non sempre ha ragione, ma è ovvio che queste quotazioni indichino grosso modo l’esatto valore attuale delle banche. Troppo si è perso e troppo si è sacrificato alla degenerazione della speculazione.
Salvare le banche oggi – e con esse i depositi dei correntisti oltre che i bilanci degli stati – è l’imperativo categorico, ottenibile solo con una pronta ristrutturazione del mercato.
Tutte le altre riforme – liberalizzazioni, lavoro, professioni, giustizia, scuola … - sono atte a rendere un paese maggiormente efficiente, ma serviranno a nulla se non si imbriglierà il fiume straripante della speculazione per renderlo investimento produttivo al servizio dei popoli e della pace.
Le grandi crisi hanno sempre prodotto dittature e guerre. Che Dio ci scampi da queste terribili piaghe.

domenica 6 maggio 2012

"Maso chiuso" nella società in filosofia.


Non condivido l’idea del Maso chiuso (Il maso chiuso dei cattolici) perché per il cristianesimo è impropria per 2 grandi e ineccepibili motivi.
Il primo è che il maso è (era) una struttura montana autosufficiente e di norma isolata, anche se talora affiancata da altri masi vicini, in piccole comunità comunque ristrette e mai popolose. E autosufficiente non significa autarchico.
Il secondo perché l’idea del chiudersi non è prerogativa del cristianesimo, che in verità è aperto al mondo, perciò al Prossimo.

Prima di parlare di maso bisognerebbe conoscerne a fondo la sua architettura.
Il maso, infatti, di norma si presentava come un grande parallelepipedo la cui apertura era sempre posta a sud, oppure sul lato che consentiva in inverno di ricevere maggior luce/calore.
Ai lati aveva dei vani con prerogative particolari, di solito usate come camere di compensazione del calore. Infatti, ospitavano stalle, fienili, legnaie o vani dove si ponevano granaglie, provviste e attrezzi di lavoro. Al suo interno vi erano i vani residenziali, spesso protetti verso il tetto da altri vani di compensazione calore.
Era una struttura funzionale atta a proteggere dai rigori dell’inverno o del freddo alpino. Di norma atta ad ospitare un nucleo omogeneo di famiglia patriarcale; o più nuclei parentali.

L’idea espressa da Ernesto Galli della Loggia è come scoprire dopo millenni l’acqua calda. Infatti, è impropria sia nell’evoluzione discorsiva logica, sia nell’analisi, mostrando la differenza sostanziale esistente tra un commentatore/opinionista interessato – seppur di grido – e un profondo pensatore. Diversamente l’autore potrebbe essere un ottimo … governante!
In effetti, potrebbe magari adattarsi a Cl, però se fissata ai soli parametri di alcuni esponenti particolari.
Questo discorso, tuttavia, si contagia non solo al cristianesimo in generale, o ciellino in particolare, ma bensì anche a qualsiasi altra formazione politica o religiosa, oppure di sola aggregazione sociale (mettiamoci pure i sindacati).

La controprova dell’errato discorso del Galli è la sua citazione di De Gasperi. Tuttavia De Gasperi era cattolico; e pur con tutti i distinguo, coraggio e determinazione dovrebbe essere inglobato nel maso del cattolicesimo italiano.
In verità De Gasperi era un grande statista, forse l’unico eccelso che l’Italia abbia avuto dal dopoguerra in poi.
De Gasperi – si sottolinea – ebbe coraggio e resistette a spinte corporative interne ed esterne. Ciò è vero, ma va da sé che poi dovette lasciare più avanti soprattutto per la pressione interna che esercitava Dossetti con la sua linea politica, oltre ad altri.
Tutto ciò è né scandaloso, né ristretto, ma va inquadrato solamente in visioni di strategie politiche diverse all’interno di un movimento o di un partito, giuste o sbagliate che siano. È uno dei grandi limiti della democrazia moderna.

Il dilemma amletico allora è: De Gasperi era nel maso, oppure stava fuori?
Parafrasando: era un cattolico o un agnostico (lemma forzato e forte portato al paradosso), visto che non ottemperava a certi consigli – o imposizioni - della gerarchia ecclesiastica?

Ogni partito oggi ha i suoi guai interni ed esterni. Perciò la degenerazione è del sistema in senso lato e non di un singolo raggruppamento o forza politica.
Proprio come le degenerazioni di un’ideologia o di una religione sono il frutto di un processo temporale transitorio, che comunque non intacca la bontà dell’Idea stessa che le muove.
Il cattolicesimo (cristianesimo) ha in sé il germe concettuale di peccato, generato a suo tempo dal peccato originale. Che, a ben guardare, non è poi l’aver mangiato la mela (disobbedienza), ma l’errore di Dio del non avergli immesso nell’atto creativo la capacità discernente del bene e del male, perciò dell’utile e del dannoso.
Infatti, il Dio del Pentateuco non è proprio il Dio di Gesù; e procedette pure lui per gradi. Dunque fu pragmatico nel suo ideare e costruire o - impostandolo sulla Logica di Hegel – nel suo divenire e progredire.
Divenire e progredire che fa parte del cammino culturale e procedurale umano, perciò capace pure di sbagliare (peccare), ma pure di modificarsi e di correggersi.

Si potrebbe dire, con buona sicurezza, che la cultura analitica e discorsiva massima il mondo occidentale l’abbia raggiunta con la Logica di Hegel. Dopo di che singole e settoriali migliorie discorsive, oppure degenerazioni ideologiche, hanno prodotto la cultura attuale anche e soprattutto in campo sociale. Dove, a ben guardare, i genitori sono culturalmente più istruiti dei figli, anche se con meno padronanza tecnologica.
La stessa cosa vale per la politica e per la Chiesa, con le rispettive emanazioni annesse.
Il periodo hegeliano è in pratica il secolo culturalmente più vivace e innovativo degli ultimi millenni. Infatti vi sono “rivoluzioni” che modellano una nuova società sia nel campo culturale, sia in quello religioso, sia in quello politico. Produce anche la rivoluzione industriale, perciò un modo nuovo di superare l’autarchia bucolica del vivere sul solo commercio, agricoltura o artigianato, seppur di valore.

L’Occidente è in crisi perché ancorato al modello economico del liberismo, poi evolutosi nel neoliberismo, anche a matrice cristiana. Basa la priorità di tutto sul consumismo e sul mercato, perciò sugli aggiustamenti che domanda e offerta possono produrre, pur se spesso manipolate.
Lo sviluppo diventa una conseguenza marginale, tanto che i mercati mobiliari hanno spinto le economie a degenerare sotto una finanza artificiosa, basata su prodotti teorici inesistenti (Derivati) e senza alcuna utilità sociale se non quella di accaparrarsi ricchezza a spese altrui con la speculazione.
Abbiamo avuto la globalizzazione, ma questa non serviva ai popoli, bensì alla grande finanza che da patrimonio individuale/familiare si è trans-mutata in persona giuridica sulla base dell’azionariato di massa.
Tuttavia chi detiene ricchezza – in pratica che la gestisce e manovra – sono pochissime persone che usano un sistema di potere a circuito chiuso, perciò autoreferenziale. Le quali si attribuiscono annualmente compensi regali che il comune mortale neppure può immaginare come entrate in una vita intera.
Tutto ciò, ovviamente, è una degenerazione, perché ha sostituito l’interesse corporativo/individuale a quello social/popolare. Ha spostato la priorità della comunità sul singolo interesse individuale, personale o di gruppo.

La crescita dei Debiti sovrani, il crollo degli indici borsistici, la crisi nera degli istituti di credito, che sono passati da finanziatori di attività produttive a investitori dediti alla speculazione, hanno distrutto immani ricchezze e stanno generando povertà quasi ovunque in occidente. La quale ha, come contraltare, che sempre più pochi individui – in pratica quelli autoreferenziali che gestiscono potere e finanza – usurpano la ricchezza di tutti per farsela diventare propria in un modo singolare: speculando selvaggiamente e distruggendo il patrimonio di tutti.

Guardando gli organigrammi di governi e grandi finanziarie si può notare che solo pochi uomini – e sempre in modo autoreferenziale – si sono impadroniti di ricchezza e potere democratico, sfruttando quell’autoreferenzialità reciproca che trasforma di fatto la democrazia in oligarchica plutocrazia. Ciò è avvenuto in tutte le nazioni.
Monti, cattolico professo e conclamato, appartiene a questa cerchia. È stato imposto al popolo da un Presidente della Repubblica che ha rispettato i commi costituzionali, ma che ha prodotto uno squarcio procedurale che forse affonderà la nazione. In pratica ha esautorato il Popolo dall’esprimere il suo diritto di potere, in democrazia, con lo strumento del voto, ascoltando le pressioni dell’alta finanza e politica internazionale, retta e occupata da una stretta elite autoreferenziale.

Il sistema è marcio e avviato alla cachessia strutturale.

Carròn (Cl) dice giustamente che il singolo non è il movimento; proprio come un Presidente non è il Popolo, né la sua esatta espressione di volontà.
L’analisi del maso va perciò inglobata in un ambito culturale che oggi ha avuto il sopravvento; ma che comunque in ogni secolo ha avuto gruppi associativi cultural religiosi, intenti sia a difendere le proprie identità che interessi o privilegi. Non per nulla siamo una società che pretende diritti, spesso dimenticandosi di conquistarseli con il dovere.

Nel maso – a sconforto del discorso del Galli – si sono prodotti pure atti innovativi interessanti a carattere sociale, politico e democratico. E mi limiterò a citare solo la Rerum Novarum e la Populorum progressio.
Perché, per concludere, nel maso non vi era solo un’autoreferenzialità civica e di potere, ma anche quella dedizione verso gli altri che sovrintendeva al Bene comune, sia di gruppo che della società tutta.
Non per nulla i masi erano strutture abitative e sociali che intratteneva rapporti con altri masi, i quali intrattenevano, come gruppi omogenei etnici, altrettanti rapporti con altre diverse comunità più o meno viciniori.