domenica 31 luglio 2016

La Rivoluzione francese: atto secondo.


La società attuale più che degli ideali oggi cerca di perseguire delle aspettative progettuali indefinite.
Parafrasando Hugo si potrebbe affermare che è come i ciechi dei Miserabili, intenti ad appoggiarsi l’uno all’altro senza una meta precisa definita.
La religione cristiana ha perso i suoi connotati teologici da tempo, abbondonata dalla maggioranza dei propri fedeli. È passata con noncuranza, nell’ultimo mezzo secolo, dall’erudito Paolo VI al fenomenologico Giovanni Paolo II, indi all’esperto di storia teologica (non teologo, ma custode dell’ortodossia) Benedetto XVI e ora al “povero” (carente culturalmente) Francesco.
La politica vaga allo stesso modo affidandosi di volta in volta a un ipotetico cavaliere bianco, identificabile prima in Berlusconi, poi in Monti e ora in Renzi. Chi sarà il prossimo?
Politica e religione, paradossalmente, seguono con i propri alfieri un impoverimento culturale parallelo e progressivo, teso a seppellire quella progettualità di Valori che aveva reso storiograficamente importante il secolo scorso, pur con due guerre mondiali.
Dicendola tutta: l’eccellenza in questi campi manca e abbonda la mediocrità, quando non, addirittura, la scarsità.
 
Il resto del mondo non è molto meglio: da Obama a Hollande, dalla Merkel a Cameron. Compresi i loro predecessori.
Perché, benché all’Ue sia stato dato il Nobel per la Pace, le guerre che questi signori hanno finanziato, fomentato, istigato e spesso combattuto dall’alto sono la storia di questi nostri ultimi decenni e di ora.
Se da una parte i politici di un tempo avevano un notevole spessore morale e un ideale da perseguire, oggi si nota che di norma sono tanti signori quaquaraquà, svelti in ciance e in promesse, spesso puttanieri, e bandierine al servizio d’interessi che neppure di norma conoscono. Soffermandoci alla sola Italia basta vedere chi, con l’avvento di Renzi, ha occupato poltrone importanti economicamente e non politicamente, tanto per renderci conto di chi siano i finanziatori di un esponente politico rampante e ruspante, come i bipedi pennuti nell’aia.
Costoro sono oggi i grandi burattinai della politica, specializzati, ovviamente, a fare gli interessi propri o del gruppo che rappresentano. Non per nulla i tre italiani, International Advisor della Goldman Sachs, hanno occupato o occupano posti di vertice in ambito politico ed economico.
Ora, giacché alcuni ritengono che la guerra sia dentro l’Ue per gli atti di terrorismo, va da sé che i giornalieri proclami di potenza immaginaria dei vari premier, o capi di stato, siano magari veraci per i superprotetti, ma non per le decine o centinaia di persone indifese che sono morte.
 
Le guerre combattute direttamente o per procura fuori dall’Ue non sono giustificative della causa di tutte le gravi stragi che hanno visto protagonista la Francia ultimamente; e altrove, dei cittadini di vari stati occidentali.
Sono però sociologicamente un tassello importante del perché e del come ciò possa avvenire. Perché è ovvio che sia riduttivo e pericoloso politicamente accantonarli come semplici atti di pazzia di qualche disgraziato emarginato.
Un caso singolo può essere anche un caso; due cominciano a porre qualche interrogativo. Diversi non possono più essere considerati dei casi.
Infatti, ora gli stessi politici fanno capire pubblicamente che il contagio fondamentalista potrebbe diffondersi anche in altri stati dell’Ue.
 
Personalmente ritengo che in Francia stia avvenendo una nuova rivoluzione sociale, che trae origine da molti fattori passati e presenti. I quali han dato da qualche tempo fuoco alle polveri con l’imponente rivolta delle banlieue.
La definirei così: “La Rivoluzione francese: atto secondo”.
 
La prima, come si sa, fu la rivolta dei più contro quei pochi privilegiati che da secoli vessavano e riducevano il popolo alla fame e alla miseria.
Oggi, invece, è la rivolta di pochi contro una società opulenta, che ghettizza e sfrutta culturalmente, economicamente e socialmente una certa parte della popolazione.
Sociologicamente gli Stati hanno fatto e fanno molti errori sociali con l’immigrazione, ghettizzando le singole etnie in un corpo sociale multietnico e multireligioso, anziché renderlo plurietnico e plurireligioso. Le banlieu, infatti, sono delle città satelliti, veri e propri agglomerati arabi (islamici) degradati, dove di notte non vi entra neppure la polizia se non in assetto antisommossa.
Nessuna meraviglia, perciò, se connotati di fondamentalismo e di radicalismo religioso portano con sé atti di terrorismo tanto virulenti.
La religione islamica ha le sue colpe, ma di per sé non è la sola giustificazione d’una rivolta latente contro la società occidentale. Paradossalmente la religione viene considerata la causa aberrante di elementi semianalfabeti; o, comunque, scarsamente acculturati. Questa considerazione, pur in parte esatta, è di per sé la degenerazione culturale e politica della società occidentale, che vuole ignorare i propri misfatti da molti secoli perseguiti.
 
L’Isis, checché se ne dica, è sorta quale elemento di contrasto e di lotta contro l’Iran, all’inizio foraggiata, armata e addestrata dal regno saudita (sunnita) e dalle potenze occidentali.
Come Bin Laden è poi stata scaricata quando si è addivenuti a patti con l’Iran. Anche se, nel frattempo, era diventata troppo potente nello scacchiere mediorientale, tanto da mettersi in proprio con il solo appoggio dei sauditi, intenti a contrastare in campo petrolifero ed egemonico locale l’Iran a cui è stato tolto l’embargo.
Non a caso Obama, che prima voleva bombardare Assad, dopo l’accordo sul nucleare è tornato sui suoi progetti bellici siriani, mettendosi però a bombardare l’Isis.
Papa Francesco, che prima aveva indetto una giornata di preghiera per scongiurare questi bombardamenti, ha poi elegantemente sorvolato su tutto, forse per la remunerazione avuta per l’intermediazione con Cuba.
 
Usando alcuni fatti eclatanti di ferocia, l’Isis, con la grancassa mediatica occidentale, ha fondato il suo successo planetario nel mondo islamico, ponendosi quale elemento alternativo al vivere occidentale, identificato nell’infedele. Ovviamente, sfruttando dettami religiosi che rispetto al mondo occidentale sono in arretrato di almeno un secolo.
I valori dell’Isis sono valori di un tempo che fu, paragonabile a com’erano gli occidentali all’inizio del secolo scorso. Sono, tuttavia, valori che non vogliono una società solo consumistica, dove la democrazia è diventata schiava della finanza e il cittadino un semplice numero.
I connotati islamici sono diversi da quelli cristiani e la religione mantiene ancora quei connotati arcaici basati sugli imperativi categorici, cari e importanti per il popolo poco acculturato o semianalfabeta.
Paradossalmente, ma sociologicamente comprensibili, questi valori arcaici sono il pane quotidiano di chi è più debole nella società in ogni campo, perché l’imperativo categorico ha solo bisogno d’essere accettato e non d’essere capito e assimilato.
 
Un breve accenno va fatto a chi – politici e religiosi – declama che è una bestemmia dare la morte ad altri in nome di Dio.
Pur condividendo e superando questa problematica, a tutti costoro vorrei ricordare se le guerre passate contro l’infedele (comprese le Crociate) e le attuali (con l’intento di portare la democrazia con le armi, anche se celano grossi interessi economici) siano dei cordiali doni per coloro che le subiscono e che periscono.
Ciò che tuttavia è importante è che gli “attentatori” non vengono da lontano e pianificati, come per le Torri Gemelle, ma siano nati, educati e cresciuti dalla nostra stessa società. Sono figli di una società degenerata che ha perso i propri valori in nome di un paganesimo capitalista.
Nulla di strano, quindi, se gli imperativi categorici religiosi possono dare a costoro, nell’associazione spontanea, una giustificazione tanto alla vita come alla morte, quando si fanno esplodere tra gli infedeli per Allah.
Sicuramente tra le vittime vi sono anche islamici, ma è ovvio che costoro appaiano, per gli attentatori, come coloro che hanno deviato, secolarizzandosi, dalla fede dei padri.
 
È emblematico che tutti questi attentatori provengano dal mondo islamico e che, per la maggior parte, non siano direttamente collegati all’Isis, se non per associazione spontanea. Ciò significa che l’Isis propone a tutti costoro un modello sociale (valido) che la società occidentale - che ha ospitato nonni e padri decenni prima - non è stata in grado di dare.
Parlare di veloce radicalizzazione, di lupi solitari, di pazzi esaltati, di disadattati psicotici – e di altro ancora – significa solo non riconoscere le proprie colpe. Perché è ovvio che l’addossare a ciò tutto ciò che avviene equivalga ad autoassolversi, ignorando l’effetto emulazione che i media favoriscono.
La Storia – quella vera e non ideologicamente e politicamente manipolata – insegna che dove una determinata area geografica, più o meno vasta, ha ospitato più popoli diversi nella multietnicità, specie se con religioni diverse, ha poi finito sempre per esplodere. I grandi imperi dei secoli passati sono crollati sempre per questa causa.
Nella storia vi è un popolo che si è sempre ghettizzato nelle società in cui s’era trasferito, più o meno volontariamente, mantenendo inalterate per secoli le sue peculiarità religiose di “popolo eletto”. E non è un caso strano, perciò, che questo popolo sia stato il più bersagliato un po’ da tutti, a partire dagli egiziani, per passare poi agli assiri-babilonesi, indi ai romani, agli arabi e ai tedeschi.
 
A chi giova un’immigrazione massiccia più o meno qualificata? Ovviamente a certi tipi di economia che con manodopera a basso prezzo intende abbattere il costo del lavoro per essere più competitiva sui mercati esteri e interni.
Dire, come si declama spesso, che gli immigrati fanno lavori che gli autoctoni non vogliono più fare è semplicemente demagogico. Più appropriato sarebbe dire che gli immigrati sono molto più economici, essendo spesso sottopagati.
Portando un esempio pratico come la raccolta di ortaggi o di frutta, specie al sud, si nota che l’immigrato si “accontenta” per 10/12 h di lavoro di circa 20 € giornalieri, mentre l’italiano costerebbe quasi il triplo.
Idem per l’industria, perché lo straniero è inserito con contratto di formazione (con relativi benefit) mentre il lavoratore normale no.
L’inghippo sta proprio – e sempre in ogni lavoro, compreso quello di badante – nel costo. Se la legge fiscale fosse uguale per tutti, l’imprenditore a costo salariale e fiscale identico assumerebbe (terrebbe) chi ha già ha.
 
Pure accogliere inizialmente il migrante per molti è un “affare”, perché i vari enti caritatevoli (religiosi) o Onlus sono in ciò ben retribuiti dalle casse erariali e Ue, con costo minimo pro capite da ben 35 € in su.
Tempo fa a un noto economista chiesero se la ripresa del Pil italiano fosse dovuta al costo dei migranti.
Secondo i dati Istat, infatti, l’industria alberghiera aveva fatto un balzo del 17%. Guarda caso molti alberghi del sud, che di norma prima aprivano solo nei due mesi estivi, ora negli altri mesi accolgono i migranti.
L’economista rispose che su ciò non aveva dati sufficienti per affermarlo con precisione; ma che, tuttavia, facendo un rapido conteggio, calcolando le decine di migliaia di migranti ospitati per la cifra pro migrante stanziata, si poteva facilmente arrivare proprio a quella percentuale decimale di aumento del Pil. Tanto più che il Sud, non casualmente, evidenziava una ripresa doppia rispetto alla media nazionale.
Contrapposto a questo pro (aumento decimale del Pil) - annotava - si aveva però il contro: il mantenimento dei migranti è necessariamente finanziato col fondo tasse; e quando queste per la crisi sono insufficienti, è finanziato con l’aumento del Debito sovrano, sia per la quota a carico dei singoli stati sia, in parte, per l’Ue.
A tutto ciò andrebbero poi aggiunti i costi supplementari per spese mediche di vario tipo, oltre a quelle strutturali per l’accoglienza.
Varrebbe la pena chiedersi quanti pensionati oggi, dopo aver versato contributi per quattro decenni, ricevano equivalente importo al mantenimento del migrante.
 
Nei decenni scorsi molti stati occidentali hanno finanziato una parte, seppur minima, degli investimenti dei paesi sottosviluppati africani.
Questo - pur sorvolando sul fatto che questi investimenti erano tesi a privilegiare appalti concessi ad aziende europee in loco – ha prodotto, con una disponibilità di ricchezza maggiore, un maggior flusso migratorio verso l’Europa, producendo perciò l’effetto contrario.
La questione non va inquadrata nell’essere pro o contro i migranti, ma su come rendere il migrante un cittadino della nazione ospitante.
Perché l’accoglienza materiale deve solo essere il primo passo d’un processo d’inserimento, che, con l’istruzione, il lavoro, la famiglia, la casa e il reddito, rendano il soggetto migrante un cittadino integrato e indipendente in una società plurietnica nazionale.
Ciò significa disciplinare il flusso migratorio secondo esigenze e possibilità che l’economia locale può offrire, anziché oberarla – come avviene ora – di un ingente costo supplementare.
Ciò significa avere dei piani economici pluridecennali e non con l’affidarsi alla buona sorte come ora. Significa, soprattutto, rendere il “migrante” un vero “emigrante”.
 
Integrare significa sincretizzare le migliori qualità che gli autoctoni e i migranti possono darsi reciprocamente, eliminando tutte quelle scorie che ogni società produce, foriere di norma di razzismo, fondamentalismo e, a medio termine, di virulenti subbugli sociali, spesso sfocianti nel terrorismo.
Perché, a ben guardare, il razzismo è il frutto non di una supposta superiorità, bensì nel non accettare (rifiutare) modalità culturali molto diverse che si fronteggiano, convivendo in una stessa società.
Il razzismo non è unidirezionale, ma sempre bidirezionale. La Storia insegna che il razzismo nasce sempre quando l’integrazione è fallita, specie se una o entrambe, delle due società multietniche conviventi subisce una forte crisi economica o sociale.
Paradossalmente l’evidente disparità di trattamento economico (fiscale e salariale) riservata ai migranti è la causa detonante del contrasto sociale, perché da un lato sottrae posti lavoro ai locali, dall’altra sfrutta e ghettizza il migrante. Tutto ciò, di norma, crea ulteriore crisi economica e sociale, rendendo parte dell’imprenditoria più ricca e tutti gli altri più poveri.
Non è una semplice casualità che i vertici Ue e della Bce spingano gli stati a delle riforme tese a rivoluzionare sia lo welfare sia il mondo del lavoro, specie se i paesi che sono sottoposti a tali imposizioni sono perlopiù quelli di frontiera.
 
Un breve accenno va fatto alla politica sociale della Chiesa cattolica sulla questione migranti, che già con il polacco aveva invitato ad aprire le porte a tutti.
Ora, con Francesco, questa politica sociale è addirittura degenerata, perché è innanzitutto priva e non accompagnata da un progetto specifico.
Parlando, poco tempo fa, familiarmente con un alto prelato, davanti alle sue rimostranze, mettevo in evidenza che l’idealismo ecclesiale va bene, però se è accompagnato da un progetto specifico. Egli sottolineò che nel suo piccolo questo papa l’aveva, perché da Lesmo s’era portato 12 migranti, a cui accudiva a “spese proprie”.
Peccato, però, che le declamate “spese proprie” attingessero agli introiti dovuti alle offerte dei fedeli alla Cattedra di Pietro.
 
Padroneggiare una crisi non è semplice, specie se si va alla ventura. Ritardando la risoluzione (fine) della crisi, se ne creano due altre collaterali: quella sociale e culturale.
La Storia, purtroppo, ha sempre dimostrato che, quando le tre crisi si sovrappongono, portano poi nel medio periodo a delle guerre sanguinose.
Il mondo occidentale ha spostato le guerre altrove, fuori dal proprio territorio, soprattutto perché i suoi popoli aborriscono la guerra, amandola sola come spettacolo mediatico, specie se a danno altrui.
Nulla di strano, dunque, se i “figli” indiretti di quelle terre lontane ora si siano messi in modo isolato e spontaneo a fare la “guerra” alla società occidentale sul nostro territorio.
Ciò, ovviamente, vale per i cittadini arabo-islamici nell’Europa e per gli afro-americani negli U.S.A., secondo il detto sapienziale: chi la fa, se l’aspetti.
E, paradossalmente, le crisi non cesseranno finché l’attuale capitalismo selvaggio finanziario non sarà riprogettato in toto, mettendo al bando i deprecati Derivati.