martedì 6 giugno 2017

Sesac.


Spesso mi giungono sollecitazioni a rivelare chi sia Sesac, considerato che ho l’abitudine di ospitare alcuni suoi articoli.
Conoscendolo bene vi parlerò un po’ di lui. Ovviamente senza svelarne l’identità, per non tradire la fiducia che ripone in me.
Inizierò dal nome nella storia; o, se si preferisce, da come risulta nella letteratura.
Non prima, però, di spiegare che questo nome non è stato scelto a caso: corrisponde a un personaggio storico antico e nello stesso tempo è un acronimo.
 
Le consonanti e le vocali del nome Sesac palesano la vera identità dell’autore.
S sta per Sesac, e per è; e le altre lettere declinano il nome e il cognome del personaggio. A ogni lettore lascio la fantasia e la libertà di interpretarle a proprio piacimento.
 
Il nome Sesac appare per due volte nella Bibbia nel I Libro dei RE. E s’identifica con un re d’Egitto.
La prima volta in I RE 11,40, quando Salomone, in seguito alla profezia del profeta Abia cerca di far uccidere Geroboamo, figlio di Nabat.
Il versetto declama: Salomone allora cercò di far morire Geroboamo; ma egli fuggì e si rifugiò in Egitto presso Sesac, re d’Egitto, e vi rimase fino alla morte di Salomone.
La seconda citazione biblica è in I RE 14,25-26, che testualmente afferma: Il quinto anno del regno di Roboamo (figlio e successore di Salomone), Sesac, re d’Egitto, salì contro Gerusalemme. S’impadronì dei tesori del Tempio del Signore e di quelli del re, tutto assolutamente, e in particolare di tutti gli scudi d’oro preparati da Salomone.
 
Nella storia Sesac è un re d’Egitto, non però un faraone, essendo di origine straniera. Fondò la XXII dinastia egiziana che secondo una fonte durò dal 945 all’817 o, secondo un’altra, sino all’801 a. Cr.
Le scarne notizie storiografiche del tempo, citando la sua occupazione del regno di Giuda nel 925 a. Cr. con un’imponente armata, non specificano se Sesac si mosse chiamato da Geroboamo e in suo aiuto, stante la loro amicizia, oppure su iniziativa propria con l’intenzione di crearsi un impero.
Sta di fatto che dopo aver preso Gerusalemme, e averla saccheggiata unitamente al Tempio, tornò in Egitto, lasciando che Roboamo continuasse a regnare, pur sempre tra continue guerre con Geroboamo, re di Israele.
Fu, nella storia, il primo che (su volere di Dio) entrò a cavallo nel tempio fino al Sàncta Sanctòrum e lo saccheggiasse; seguito allo stesso modo, con la spada sguainata, quasi un millennio dopo nel 70 d. Cr., da Tito Flavio Vespasiano, poi divenuto Imperatore col nome di Tito (Giuseppe Flavio, Guerra giudaica).
Emblematiche sono due scene, anche se riferite a Tito, ma rievocative pure della spedizione di Sesac. Entrambi, infatti, entrarono e agirono nel tempio allo stesso modo.
La prima la si può osservare nel rilievo posto nell’Arco di Tito, rievocante il sacco di Gerusalemme il 7 settembre del 70 d. Cr.; evento ricordato pure nella festa annuale ebraica della Tisha BeAv.
La seconda si riferisce al film rievocativo della presa di Gerusalemme, nella quale Tito entra a cavallo nel tempio, tagliando i veli del Sàncta Sanctòrum con un colpo netto di spada.
La sola differenza tra Sesac e Tito fu che il primo non distrusse né la città né il tempio, mentre il secondo rase tutto al suolo.
 
Lo pseudonimo e nello stesso tempo acronimo, corrispondente al nome Sesac, viene scelto dall’autore negli anni ’90 del secolo scorso. Ha un prodromo particolare.
Sesac – mi si acconsenta di continuare a chiamarlo così – in quegli anni era all’apice della sua carriera sia dirigenziale che accademica.
Alto dirigente di un ente internazionale “regnava” un po’ ovunque, avendo operato in diverse nazioni. Le sue gesta di allora fanno parte della storia.
Come accademico aveva già tenuto corsi specializzati al M.I.T., alla Sorbona e alla Sapienza. Inoltre, come conferenziere aveva operato su invito in varie città; oltre ad aver partecipato a diversi congressi internazionali come esperto cultore di una determinata scienza, legata sia alla psicologia che alla neurofisiologia.
Un giornale abbastanza noto, gestito da una Curia importante, scambiò l’articolo scientifico di un noto accademico, pubblicato sul più importante quotidiano nazionale, come suo;  e lo attaccò apertamente a malo modo. L’inghippo fu che il nome vero dell’autore, in calce all’articolo, fu scambiato come uno pseudonimo, addebitandolo a lui.
Ovviamente Sesac rispose privatamente per le rime. Il giornale non pubblicò le sue contronote per non ammettere l’errore, limitandosi a fugaci accenni e perseguendo la stessa linea.
Sta di fatto che dopo queste scaramucce dialettiche, Sesac restò vittima di un ingente furto. Inoltre gli fecero ritrovare l’automezzo in una via cittadina dedicata a un personaggio storico locale, che, non a caso, portava il suo stesso cognome.
I committenti fecero diversi errori. Il maggiore fu quello di ignorare la sua carica dirigenziale; il secondo di far ritrovare l’automezzo in quella particolare via. Per Sesac fu un input inoppugnabile, come una firma.
Sesac riunì allora privatamente il suo staff, raccolse le prove del furto, individuò in breve gli autori materiali e da questi risalì ai committenti. Per lui, al livello qual era, fu un gioco da ragazzi.
Non essendo vendicativo e considerato i posti che costoro occupavano, decise di non metterli alla berlina con l’affidarli alla giustizia.
Ferrato com’era culturalmente, decise di operare in modo diverso, attaccandoli (sbaragliandoli, come Sesac con Roboamo) nel loro stesso campo, onde far comprendere loro ch’era a perfetta conoscenza della loro identità di … vermi.
Scrisse una lunga missiva ai committenti, identificandoli con i tre personaggi biblici di Giobbe: Alifaz, Baldad e Sofar. Iniziali che, non casualmente, corrispondevano a quelle dei nomi dei committenti.
Fu così che prese il nome di Sesac, sia perché era capace di “saccheggiarli” nella loro specialità professionale  (gli scudi d’oro di Salomone), sia perché lo pseudonimo scelto indicava come acronimo la sua vera identità.
Va da sé che dopo breve tempo, e in prossimità del Natale imminente, con un articolo indiretto il giornale gli porse le sue ampie scuse e rincrescimento per quanto era avvenuto.
Sesac prese atto sia del pentimento sia delle scuse; e sigillò con una pietra il … sepolcro.
 
In seguito Sesac decise di usare questo pseudonimo per scrivere dei brani su differenti filoni, ambientandoli nella Foresta, in un fantomatico mondo animale.
Nel tempo ha seguito tematiche diverse, dalla politica all’economia e alla sociologia, proprio come ora sta sviluppando il filone filosofico/teologico, perciò religioso.
Ovviamente negli articoli di Sesac, tutti i personaggi citati sono celati sotto degli pseudonimi, alcuni frutto dell’anagramma del loro nome, altri velati con nomignoli significativamente allusivi. Coi quali il lettore può, a suo piacimento, farsene l’esatta identità.
 
Scorrere i “Dialoghi” di Sesac è come rileggere agli infrarossi la storia di questi ultimi decenni, spesso vissuta dall’autore come attore: sia nella sua vita pubblica che privata.
Certi fatti, per ben essere interpretati, devono essere collocati nel loro periodo storico, per cui le date di pubblicazione sono abbastanza significative. Talora i fatti sono invece rievocativi; ma essendo con facilità riconoscibili sono perfettamente inquadrabili.
 
È tutto!
 

sabato 3 giugno 2017

I miracoli.

 
Oggi, venne in visita da me Sesac; e mi consegnò questo racconto che pubblico, come sempre, assai volentieri.
Tratta, come consuetudine, della vita degli animali della foresta e dei fatti di un tempo che fu.

Sam Cardell
Tratto da “i Dialoghi” di Sesac
I miracoli.

In quel tempo … s’era in un caldo e afoso meriggio infrasettimanale. Di quelli che, pur essendo in tarda primavera, anticipano le infuocate giornate del solleone.
Per sfuggire alla calura Leone decise di salire con Billyno in Cascina, sia per portare delle vettovaglie a Gini, sia per muovere alcuni passi nella ventilata frescura dello Sparavento.
Ivi giunsero mentre Gini si stava preparando a salire in altura, onde accudire alla mandria al pascolo.
Leone lo prese con sé su Bipperino; e preceduti dal coriaceo Bruno si avviarono sulla pista tagliafuoco fino allo spiazzo dei piccoli nembresi. Billyno, dal canto suo, sulle ginocchia di Gini e con la testa fuori dal finestrino, con festosa cagnara incitava Bruno alla corsa davanti a Bipperino.
Procedettero indi a piedi, imboccando dopo breve cammino la deviazione che porta ai Marsì.
In breve giunsero alla mandria, intenta a ruminare. Gini si accinse all’abituale lavoro del cambio recinto, mentre Leone e Billyno puntarono verso lo Sparavento.
Le pozze d’abbeveraggio erano desolatamente secche. Solo quella del boschetto e la sommitale avevano una manciata d’acqua. Là, oltre il crinale, pure quella della Comunaglia e del Cadorna palesavano l’arsura di cui soffrivano.
 
Leone decise di salire con gradualità e continuità. Aveva impostato e ritrovato un buon passo; cosa che lo aveva reso soddisfatto, avendolo da molto tempo smarrito per la malattia.
Fu così che in breve, anche se con gambe legnose nell’ultimo irto tratto, giunse abbastanza fresco in vetta, poco prima che il respiro tendesse ad essere affannoso.
 
Alzando la testa vide la tozza croce in pietra davanti a sé; le diede un affettuoso buffetto ad un braccio e si sedette, come sempre, poco sotto; rimirando i laghi cobalto che si stagliavano placidi giù nelle valli.
Aprì lo zaino per un leggero spuntino, con Billyno intento ad aspettare bramoso la sua razione di cioccolato fondente, di brioche e la ciotola d’acqua.
Scosso col tocco del buffetto dal torpore meridiano per la pennichella, pure il Buon Dio si risvegliò.
 
D - Ciao, Leo. Che sorpresa che mi fai. Non me l’aspettavo.
L – Ma vah! Ma Tu non eri forse quello che tutto sapeva e prevedeva?
D – Certo, ma con i comuni mortali. Tu non appartieni alla loro risma. Sei talmente riservato che talora giungi inaspettato pure dalla Leonessa. Sei imprevedibile! Diversamente non saresti stato un tempo colui che poteva fare ciò che agli altri non riusciva. Poi ti sei ritirato da tutto; ma quello è un altro discorso.
Sai, mi piace osservarla quando inatteso entri in casa, con quella faccia inebetita dall’appagata sorpresa e con la bocca spalancata.
L – Sai perché in quei momenti tiene la bocca spalancata?
D – Su, Leo, che domanda mi fai? Tanto è ovvia la risposta.
L – Forse, Buon Dio, non sei troppo attento nell’osservare.
D – Che intendi? Ti vuoi prender gioco di me? Su, dimmi la tua nuova trovata.
L – Bene, te la dirò tutta: la tiene spalancata non per la sorpresa, ma perché affamata vuol mangiarsi le mosche.
D – Burlone! In ciò sei incorreggibile. Meriterai le pene dell’inferno per i tuoi sarcastici sberleffi.
L – Bravo! È quel che cerco, specie d’inverno. Si risparmierebbe con il riscaldamento.
D – E d’estate come la metteresti col caldo di laggiù?
L – Considerate le giornate torride che ci propini quassù, la sostanza resterebbe immutata.
D – Ne sai sempre una più del Diavolo, Leo.
L – Sai, Buon Dio, a sentirTi parlare così talora mi viene il dubbio di incarnarlo. E fortuna che non sono a due millenni fa.
D – Perché mi dici così?
L – Ehhh! Sai, se incrociassi il Figlio mi scaccerebbe da qualche parte, magari precipitandomi in un lago come il branco di porci (Mc 5,1-20). Chissà se proprio in quello qua sotto, dove si bagna i piedi lo Sparavento.
Ora permettimi un’osservazione: fu poi un lavoro inutile! In pratica uno di quei miracoli fine a sé stessi?
D – Scusa ma non ti capisco. Perché affermi così?
S – Semplice, Buon Dio. Infatti, annegarono i porci, creando enorme danno ai mandriani. Non creparono i diavoli. Quelli, come gli umani che creasti, hanno per Volere Tuo l’anima immortale.
D – A ciò non avevo pensato. Mi sorprendi sempre.
L – Su, dai, non essere così modesto. Diciamo che Ti sorprendo solo ogni tanto. Diversamente i ruoli sarebbero a parti invertite.
D – Cioè?
L – Io starei lassù sul Tuo Trono e Tu quaggiù nel mio ruolo di mortale.
D – Credo che in quel caso se ne vedrebbero delle belle, Leo. Inceneriresti tutti gli umani.
L – Senti chi parla. Non fosti poi Tu a incenerire la Pentapoli, specie Sodoma e Gomorra? E poi, lasciamelo dire: sarebbe un lavoro inutile! Prima o poi quelli crepano tutti da sé.
Tu, infatti, li annegasti una volta, li inceneristi un’altra, ma poi hai lasciato perdere per un motivo specifico e pratico.
D – Dimmi, Leo: credi forse di uguagliarmi e di poter leggere nella mia mente?
L – Io? Proprio no! Ti dirò come Abramo: non si adiri il mio Signore se continuo a parlare (Gen 18,30).
Considerata però la tua domanda retorica, siamo sulla stessa linea d’onda.
D – Spiegati, Leo.
L – Vedi, la progenie che uscì prima da Noè e poi da Abramo non creò degli stinchi di santo. Anzi: si mostrò peggiore delle precedenti. Sicché fosti quasi costretto a invertire i ruoli.
D – Cioè?
L – Invece di annientare loro, per salvarli mandasti il Figlio in croce. In pratica una parte di Te Stesso.
Poi non cambiò belle e nulla, perché, come puoi vedere, il mondo prosegue sempre sulla stessa rotta.
D – Su ciò non ti posso contestare. Però quelli che “credono” nel Figlio, perciò nel Padre, ottengono la Vita eterna.
L – Su ciò lasciami dissentire. Secondo i Tuoi teologi la vita eterna la ottengono nel momento che Tu li chiami alla vita. Possiamo poi discutere sulla vita eterna che può essere sottintesa in due sottospecie.
D – Oggi – sarà per il caldo – fatico a seguirti. Spiega meglio.
L – Beh, mi sembra semplice. La vita eterna si divide in due sottospecie: la beatitudine eterna e la dannazione eterna.
D – Su ciò convengo. E allora?
L – Sai, Buon Dio: sempre 59 e 2 mezzi, oppure 59 e 4 quarti.
D – Spiritoso! Su ciò non mi hai colto in castagna. Burlone! E Io non ho messo l’apostrofo.
L – Dai, si fa per dire. Una risata è meglio di … 100 medicine.
D – Prima mi parlavi dei miracoli. Dimmi: tu credi in questi?
L – Li ammetto, ma non ci credo. Non sono fesso del tutto.
D – Sicché, ne arguisco, tu pensi forse che coloro che credono in questi siano tutti fessi?
L – Non mi hai inteso.
Vedi, io divido i miracoli in due settori: a) quelli che possono essere classificati come vere e proprie balle, sparate tanto grosse per dimostrare la grandezza di chi li ha compiuti. b) i miracoli reali; che sono poi dei semplici e normali eventi fisici o biologici, che si realizzano in determinati casi.
D – Fammi alcuni esempi.
L – La Bibbia e pure i Tuoi Vangeli sono zeppi di questi fantomatici miracoli, come molte agiografie dei santi. Sono tanto mirabolanti quanto assurdi. E, filosoficamente, pure rivoltanti. Sono la negazione non tanto del buon senso, ma della logica filosofica. Facendoci un ragionamento analitico sopra, si ottiene il contrario di ciò che volevano dimostrare.
D – Come sai gli antichi tendevano a questi racconti, specie se la realtà non era ben comprensibile per loro. Come sai pure l’Iliade e l’Odissea, ad esempio, sono piene di questi miracoli, di cui ai nostri giorni il comune mortale sorride pure divertito.
L – Siccome mi chiedevi un esempio ne ho proprio pronto uno di vita vissuta.
Come sai, un tempo nel borgo non vi erano le scuole come ora. Sicché per frequentarle bisognava prendere l’autobus – in Toscana direbbero la Sita -. Pure le corse degli autobus non erano frequenti come ora; perciò era molto disagevole andarci per un ragazzo.
Fu così che andai in un collegio gestito da tuoi druidi: quelli che si occupano degli emigranti.
D – Questo lo so. Prosegui.
L – Siccome erano druidi, poco aperti alla filosofia e alla teologia (non tutti) ma con una fame nera di pater, ave e gloria, in refettorio durante la cena si doveva stare in silenzio, mentre un nostro compagno di studi, ferrato in lettura, a turno provvedeva a leggerci l’encomiabile gesta dei santi di un tempo, con annessi miracoli.
D – Bene! Immagino che sarà toccato pure a te farlo. Già allora avevi una buona dizione retorica.
L – Già, proprio così.
Or avvenne che una sera mentre leggevo la vita di un santo romano del XV secolo, m’imbattessi in uno strano miracolo, uno di quelli tanto mirabolanti a cui solo un beota, pur se ragazzino può crederci.
D – Prosegui. Il discorso mi pare interessante.
L – Devi sapere che questo santo faceva miracoli a caterve, un po’ come Tuo Figlio quand’era quaggiù.
I suoi superiori – che ovviamente erano Tuoi ministri – erano però invidiosi che a costui venissero spontanei tanti miracoli, mentre a loro non ne sortiva uno che è uno. Perciò, sempre per invidia secondo l’agiografo, proibirono a costui di farne altri, con la scusa che ciò poteva creare disturbo alla quiete pubblica. Ovviamente, come sai, quella città era già amministrata da tempo da uno dei Tuoi tumghina bianca.
D – Leo, vieni al dunque senza molti commenti di … merito.
L – Grazie, Buon Dio!
Questo santo, ovviamente, era un religioso, perciò soggetto al voto di ubbidienza. E in base a questo si assoggettò di buon cuore al volere dei suoi superiori. La prese come un atto della … Tua Volontà.
Or avvenne che un giorno, passando per una via della città, transitasse dove vi era un alto edificio in ristrutturazione. E siccome le norme di sicurezza sul lavoro non erano le attuali, era facile che per una piccola disattenzione potesse scapparci il morto.
Infatti, mentre camminava a testa bassa intento a ruminar preghiere, fu distolto da acute urla di disperazione. D’istinto alzò lo sguardo e vide precipitare un uomo a volo libero. Gli venne spontaneo alzare una mano al cielo e ordinare al malcapitato “Fermati!”. E quello, come il sole con Giosuè (Gios 10,12-14), si fermò nel vuoto.
Ovviamente si ricordò subito del comando dei suoi superiori; perciò, lasciando quello vibrarsi come una piuma a mezz’aria a circa quindici metri dal suolo in seguito al suo ordine provvidenziale e miracoloso, corse dai superiori per avere ragguagli sul da farsi. Quelli, considerati gli eventi, gli permisero di completare l’opera. Costui tornò di corsa sul luogo e ordinò al malcapitato di scendere lentamente e di posarsi integro al suolo. Come in effetti avvenne.
D – E poi?
L – Poi avvenne, non al santo ma a me, che venisse spontanea l’esclamazione “Oibò!”. I tuoi druidi rimasero soddisfatti per tale esclamazione, ritenendola di meraviglia davanti a cotanto miracolo.
D – Invece tu volevi manifestare la tua incredulità.
L – Grosso modo. Fu come dire: ma a chi la vogliono far bere?
D – Ora ti faccio una domanda … impertinente: perché mai non avrebbe potuto essere anche un miracolo vero?
L – Semplice, Buon Dio: perché tale miracolo è in contrasto con le leggi fisiche che Tu stesso hai stabilito e creato. Sarebbe come un rigetto delle stesse.
D – Con una semplice risposta, apparentemente comune, hai espresso un alto concetto filosofico e teologico. Bravo, Leo! Completa, però, il discorso anche per il profano.
L – Mi pare semplice: Tu sei Colui che ha messo ordine e fissato le regole delle leggi fisiche e genetiche, oltre che sociali. Se il miracolo fosse contro tali leggi, non rispettandole, Tu saresti il primo a creare anarchia nel creato. E il creato, a quel punto, non potrebbe più esistere.
D - Bene! Sicché, mi par di capire, che tu escluda la possibilità che un miracolo possa sussistere, tanto nel passato, come nel presente o nel futuro.
L – In effetti, Buon Dio, non è così. La questione è un po’ diversa.
D – Fammi capire meglio il tuo pensiero.
L – Io non nego che tu possa compiere questi atti, o altri farlo nel Tuo Nome. Dico solo che questi fatti sono semplici eventi naturali fisici o genetici, corrispondenti alle leggi fisiche e genetiche da Te fissate con la creazione del mondo. Proprio come il “Fermati, o sole!” di Giosuè fu una semplice eclissi, pertanto un normale, anche se non quotidiano, evento astrofisico.
Vedi, la creazione narrata nella Genesi è tanto puerile quanto ridicola. Se il mondo esiste per opera Tua, questo è avvenuto per le leggi fisiche e genetiche che hai creato. L’intelligenza è il creare i principi che regolano la materia, non il creare la materia, perché nulla si crea e nulla si distrugge (Lavoisier).
D – Condivido, Leo. Procedi!
L – Come diceva Plotino il mondo (materia) è l’emanazione dell’Essere, proprio perché l’Essere è pieno della sua Essenza e questa travasa da lui. Il Prologo (Gv 1,1-18) non è, infatti, un perfetto estratto della filosofia neoplatonica di Plotino?
Ne consegue, tornando ai miracoli, che ciò che noi definiamo tali sono in realtà dei normali eventi fisici o biologici a noi sconosciuti. Diventano tali quando si creano le condizioni necessarie.
Se non fossero tali non sarebbero riproponibili, e non essendo riproponibili sarebbero irreali.
D – Pure tu, Leo, allora hai compiuto un miracolo, visto che hai superato la scienza.
L – Non credo. Ho sfruttato solo la combinazione che la natura mi ha messo a disposizione. Semmai è la scienza in materia che non conoscendo ancora tutte le varianti è giunta ad un responso errato.
D – Bene. Condivido appieno con te.
Senti, vorrei farti una domanda, che sarebbe pure un invito: visto che stai meglio perché non torni a fare per un po’ il conferenziere? Sarebbe utile pure al mio popolo.
L – Ti risponderò con un’altra domanda similare: perché non torni sulla terra a morire in croce per redimere l’umanità di nuovo?
D – Perché per chi vuol credere basta una volta.
L – Allora Ti rispondo pure io: pure per me basta una volta!
D – Dai, Leo; so che se te lo chiedessero lo faresti nuovamente.
L – Dipende, Buon Dio.
D – Da cosa?
L – Da chi me lo chiederebbe e cosa mi chiederebbe. Su ciò non mi sono mai tirato indietro.
Ora ti saluto e scendo. Il vecchio e consunto Gini starà ancora brigando col recinto per domani. Sarà bene che giunga laggiù in tempo utile per alleviargli un po’ di lavoro e fatica.
Ciao! Alla Prossima.
 
Leone si alzò, prese lo zaino e se lo mise in spalla. Agguantò la racchetta, guardò divertito per un attimo la croce e cominciò lesto la discesa.
Billyno si precipitò davanti a lui, distanziandolo nettamente. Voleva raggiungere Bruno in fretta per alimentare … qualche bega.
Gini stava ancora lavorando col recinto. Perciò Leone, dopo essersi tolto lo zaino, gli diede volentieri una mano.
Indi scesero alla cascina; dove Gini, come sempre, gli offrì mezza dozzina di uova.
 
Sesac