venerdì 23 gennaio 2015

Quell’appetibile cibo chiamato Banca popolare.


Presentando in conferenza stampa il Decreto sulle Banche popolari, Renzi così si è espresso, testualmente: Abbiamo troppi banchieri ma facciamo poco credito, bisogna aprirsi ai mercati e all’innovazione. Il nostro sistema bancario è solido, sano e serio, ma deve cambiare.
Innanzitutto molti esperti si chiedono perché mai un Governo proceda su un tema tanto delicato con un Decreto, che, come si sa, riveste una tematica di urgenza. Quando, a più riprese, rimandi quello sul terrorismo.
Se si fosse voluto procedere su questa problematica, un Disegno di Legge sarebbe stato molto più consono.
A meno che sotto le sembianze dell’interventismo renziano non si nascondano ben altri motivi, molto meno nobili della conclamata intenzione di rimodernare l’Italia. I maligni … sostengono: svendere l’Italia.

I Paesi scandinavi e la stessa Germania sono ricchi d’istituti bancari con le caratteristiche delle nostre Banche popolari. La Merkel ha difeso a denti stretti la libertà operativa e statutaria di questa tipologia di banche, anche contro l’appetito della supervisione egemonica della Bce. E nessuno, là, si sogna di rendere per Decreto le principali banche di credito cooperativo in S.p.A.
Il fatto che queste nazioni non siano in recessione è, infatti, dovuto anche all’esistenza di queste banche radicate sul territorio, che per il loro sistema statutario di governance e di voto non possono essere scalate.
Credo che senza tali banche anche gli stati nordici sarebbero ora in recessione. Sono, infatti, quelle che hanno continuato a finanziare imprese e famiglie; al contrario delle grandi S.p.A., che, sotto la pressione degli azionisti, hanno ritenuto poco remunerativo operare nel concedere credito, attratte dalla redditività facile della speculazione finanziaria. Col bel risultato che molte hanno poi dovuto essere salvate da finanziamenti pubblici, nonostante le pesanti ricapitalizzazioni per le perdite subite; quando, come in America, non sono fallite.

Analizzando, tramite i bilanci pubblici, i risultati ottenuti dalle banche nazionali si evince che la motivazione addotta da Renzi sia proprio la classica foglia di fico, o il frutto di mala informazione.
Infatti, le banche tradizionali hanno sofferenze medie poco sotto il 10%, mentre le Popolari solo al 2,5%. La redditività è scarsa nelle prime e il triplo nelle seconde. Le prime praticano poco credito ad aziende e famiglie, le seconde le sostengono con il quintuplo dell’affidamento praticato dalle prime.
Le Popolari hanno mantenuto l’occupazione; le altre hanno ristrutturato e ridotto drasticamente il personale, creando pertanto disoccupazione.
Ciò, ovviamente, non considerando le grandezze reciproche. Perché, allora, le differenze in favore delle Popolari avrebbero coefficienti stratosferici rispetto ai grandi gruppi bancari nazionali.
Sicuramente a Renzi questi risultati debbono parere assai scarsi se vuole renderle come quelle che sul mercato fanno peggio.
Qualcuno dovrebbe chiarirgli che è il Mercato (risultati) che rende una banca migliore di un’altra in competitività, finanziamento e sicurezza finanziaria. Stando agli ultimi stress test della Bce, infatti, le Popolari hanno in percentuale dovuto rifinanziarsi assai meno delle S.p.A., perché la loro capitalizzazione e riserva erano, in ossequio ai dettami di Basilea, in percentuale assai vicine ai parametri richiesti.
Tutto ciò senza considerare la vicenda di Mps (Siena), che nonostante i forti finanziamenti pubblici avuti non è ancora riuscita a uniformarsi alle direttive di sicurezza della Bce.
In sostanza il sillogismo “grande banca, grande credito” nel sistema produttivo italiano non ha mai funzionato ed è una diceria metropolitana da sfatare.
Nell’era della globalizzazione va coniugato il principio – specie in Italia, dove il tessuto economico e industriale è basato sulle Pmi (piccole e medie imprese) – che il localismo bancario corrisponda a propri sistemi di economia locale (perché ciò è il necessario intreccio di sviluppo del territorio), idonei a reggere la sfida dell’economia globale.

Padoan, dal canto suo, afferma che vi è stata collaborazione con Bankitalia e che gli istituti interessati diventeranno più forti. Tanto forti, aggiungo, da essere facili future prede immediate del capitalismo d’assalto.
Come ha detto Renzi al Parlamento Ue alla chiusura del semestre italiano, molti vorrebbero avere il risparmio italiano. E un modo per averlo è impossessarsi delle Popolari.

Se le Popolari finora sono sfuggite a Opa, concordate o ostili, è dovuto al proprio statuto, che ha una peculiarità importante: ogni azionista ha a disposizione un voto, indipendentemente dalle azioni possedute.
Perciò: una testa un voto. Mentre per le altre banche: un voto per ogni azione.
Il nocciolo del Decreto, infatti, impone alle Popolari con utili superiori agli 8 mld – tra le quotate: Ubi, Banco Popolare, Bpm (Milano), Bper (Emilia romagna), Creval (Credito Valtellinese), Popolare di Sondrio; fuori mercato: Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Popolare di Bari - di cambiare entro 18 mesi il proprio Statuto, rendendo le delibere approvabili con un voto per ogni azione posseduta.
Questo è l’unico cavallo di Troia possibile per impossessarsi delle Popolari. Perché proprio queste banche sono il serbatoio privilegiato del risparmio privato con circa il 60%.  Per cui, calcolando che in base a stime ufficiali questo si attesti su ben 9.000 mld di €, il conto è … subito fatto.

Uno tra i più importanti gruppi finanziari inglesi, al solo sentore della notizia, ha stanziato una somma da capogiro per acquisire un’importante Popolare italiana.
Non per nulla il mercato (Borsa) ha festeggiato sotto la pressione di ingenti acquisti di azioni, che attualmente sono sottoquotate rispetto al valore nominale per la crisi speculativa e depressiva dei mercati finanziari. Il valore azionario delle Popolari in pochi giorni è aumentato in media tra il 20% e il 30%.
Le Popolari, inoltre, detengono in portafoglio una buona quantità dei propri titoli, con l’intento di calmierare in questo modo le oscillazioni drastiche di mercato. Diventare azionista di riferimento di una Popolare significherà impossessarsi anche del potere di voto che questo tesoretto interno può portare, perciò con la possibilità di saltare a piè pari, nella governance, eventuali cartelli ostili.

Le Popolari nascono nella seconda metà del 1800, sul modello della Volksbank (letteralmente: banca del popolo) tedesca, su idee introdotte in Italia grazie agli studi di Luigi Lazzati.
Sono enti a carattere cooperativo solidale, dove l’unione del poco (risparmio) di tutti diventa utile, basilare e necessario allo sviluppo del territorio.
Nel dopoguerra sono le artefici del boom economico con i loro finanziamenti, tanto da poter essere considerate a ragione i pilastri della rinascita nazionale dalle macerie della guerra. Non a caso il Nord, dove le Popolari sono maggiormente presenti, è l’avanguardia e il traino dell’economia nazionale.
Anche con l’avvento della parificazione con le banche d’affari, le Popolari si sono contraddistinte per il presidio e il sostegno del territorio, continuando a fare credito alle Pmi e alle famiglie, nonostante la crisi. Oltre che, con le proprie Fondazioni, a sostenere e valorizzare il territorio con progetti e attività culturali. Cito, unicamente ad esempio, la biblioteca Luigi Credaro della Popolare di Sondrio.

Draghi ha lanciato il suo nuovo metodo di Quantitative easing sui Titoli sovrani, a 60 mld al mese per 18 mesi. A conti fatti ben 1.080 mld di €, perciò di monetarismo che prima o poi produrranno svalutazione strisciante, atta a sostituire l’attuale deflazione.
Le due manovre – Governo, Bce – sono, in effetti, tra loro slegate, ma in sostanza coniugate. Perché non a caso la pancia delle banche S.p.A. italiane è zeppa di Titoli sovrani, creando un connubio pernicioso che avvita ulteriormente, senza fine, la connessione tra Stato e banche, riassumibile in: io finanzio il tuo debito e tu garantisci il mio.
Il problema è che in questo modo il Debito sovrano continuerà a crescere e che il risparmio sarà usato per finanziare il debito e non lo sviluppo, perciò la crescita teorica del Pil e non quella reale.
Sicuramente, non a caso, in Germania si è levata la voce dell’influente consulente economico del governo Merkel – mentre la Premier fa buon viso e cattivo gioco – Hans-Werner Sinn, che ha definito illegale la manovra di Draghi.

A questo punto bisognerebbe chiedersi quale impatto abbiano avuto sull’economia e sulla crisi sia i vari decreti/riforme Renzi, sia i vari finanziamenti Bce alle banche, per le imprese, a tasso quasi nullo.
Considerati i risultati e le continue affermazioni che a breve inizierà la ripresa – da anni continuano a dirlo, ma mai arriva – viene il sospetto che nel settore banche vi sia già chi ha deciso chi sia il vincitore nella partita di mercato tra S.p.A. e Popolari.
Come? Semplice: togliendo dal campo di gioco il giocatore (squadra) migliore in prestazioni, efficienza e redditività, specie se la squadra avversa è già in passivo nel risultato.
Ad maiora!
 

domenica 18 gennaio 2015

Je ne suis pas Charlie!



ovvero:
 
La degenerazione sociale della laicità e della religione.

Le scritte Je suis Charlie si sono sprecate in questi giorni,  succedutisi ai tragici fatti di Parigi.
Tuttavia, al di là dello sdegno e della solidarietà – di norma di convenienza politica (capi di Stato) e umorale  (massa popolare) – val la pena chiedersi perché non solo ciò accada, ma, soprattutto, perché la “società” occidentale produca questi frutti.
I “terroristi” non venivano, infatti, da stati esteri a vocazione islamica, ma erano per lo più “figli” francesi, da più generazioni, di quella laicità francese nazionale che trae le sue prime origini dalla stessa Rivoluzione francese: liberté, egalité, fraternité.
 
Sarebbe interessante chiedersi perché mai la Francia, dopo la grandeur di de  Gaulle, abbia inteso riprendere una nuova via espansionistica sia in Africa centrale (Mitterand), generando lo “sconosciuto” alla Corte dell’Aja massacro dei Tutsi, sia sulla costa nordafricana (Sarkosy), attaccando, ancor prima di un manovrato e politico mandato Onu e Nato, la Libia di Gheddafi.
Come sarebbe interessante chiedersi perché mai oggi si setacci in Francia a tappeto la periferia parigina, dopo aver allevato, ospitato e protetto per decenni molti esponenti del terrorismo internazionale. Valga per tutti citare Battisti, fatto poi espatriare altrove quando non era più possibile trattenerlo legalmente senza doverlo consegnare alle autorità italiane.
 
La Francia è un  caleidoscopio illogico della laicità.
Tant’è che alla fine non trova di meglio che l’arrestare  un comico, accusandolo di fomentare la xenofobia.  Che poi, a ben guardare, è ciò che da anni Charlie Hebdo fa con la sua satira caustica e irreverente, per non dire spesso oltraggiosa verso le idee religiose e politiche altrui. Basti citare l’iconoclasta e sodomitica vignetta sulla Trinità di tempo fa.
Ma, se per catalogare e liquidare Charlie Hebdo vale già di per sé la sua ideologia politica - che a mio parere lo rende un giornale decadente, degno solo della concezione sociale che persegue –, ben più ampio e articolato dev’essere l’analisi sulla laicità francese, incapace di comprendere e risolvere le problematiche interne esplose poco tempo fa con la rivolta delle banlieu, da considerarsi un solo gradino più alto delle bidonville terzomondiste. E ciò sia con governi di dx che di sx. Banlieue che sono a predominanza islamica.
 
In sostanza la Laicità consiste in uno stato aconfessionale, dove la religione e i valori vengono demandati come optional al singolo cittadino. Lo stato si assume il ruolo di consentire la libertà di opinione, di stampa, di formazione (crescita/istruzione) sociale (scolastica) del cittadino, di direttiva strutturale dell’organizzazione e dell’amministrazione della nazione. Poi, quasi l’anarchia assoluta di valori, proprio perché ciò che è sacro per qualcuno può essere abbietto e decadente per altri. La libertà individuale sopra tutto. Pure, per sommo eccesso, quella di fare terrorismo e di uccidere.
In teoria razze e religioni dovrebbero vivere in perfetta armonia sotto l’egida della garanzia istituzionale e della tolleranza sociale, anche se ciò è utopistico e non avviene.
 
Forse non è un puro caso se Parigi veniva considerato già tempo fa l’icona della libertà sessuale con i suoi locali a luci rosse, se la letteratura vi ambientava storie di trasgressione sessuale, se pure un puttaniere può assurgere alle massime cariche dello stato, se agli avversari politici veniva tranquillamente recisa la testa dopo un processo sommario di sola appartenenza ad una determinata classe sociale o politica, se la libertà nazionale portava poi a guerre d’espansione imperiale e coloniale, se con la scusa della democrazia da esportare si va a guerreggiare, bombardare, occupare ed ammazzare anche fuori dei propri confini.
Tutto ciò è il fallimento della laicità!
 
La religione, dal canto suo, va distinta sommariamente in 2 categorie, che non sfuggono però a medesime problematiche sociali di tolleranza e coesistenza pacifica: monoteista e politeista.
La monoteista più che credere in una sola divinità (Dio) dà all’Essente la peculiarità di personalità: mentre la politeista va considerata come una semplice ideazione umana (monoteismo esclusivo) o una diversa concezione/forma di Dio (monoteismo inclusivo).
Valga per esemplificazione la concezione cristiana. Infatti, mentre nella politeista vi è l’uomo che si fa dio, con il cristianesimo avanza la concezione del Dio che si fa Uomo, anche se poi questo divenire/diveniente ha nella sua origine l’illogicità escatologica. Praticamente sono entrambe lo stesso procedimento  atto a esaltare la grandezza e la supremazia dell’uomo su tutto il resto del creato: l’uomo è il centro del mondo, perciò pure di Dio che si fa tale.
Ora, lasciando perdere le antiche o minori, ormai solo appartenenti alla storia e alla letteratura monoteista (atonismo, zoroastrismo, sikhismo, bahaismo), va sottolineato che le tre principali religioni monoteiste (ebraismo, cristianesimo, islamismo) hanno caratteristiche belligene per 2 motivi:
 
      a)      il primo è che la loro apparizione ha portato con sé guerre di occupazione e di sopraffazione;
b)      il secondo è che si ritengono le uniche depositarie della peculiarità del vero Dio, perciò portatrici della  Verità.
 

Ognuna di queste accampa il diritto di unicità primaria, perciò d’essere l’unica depositaria della Verità: la supremazia sulle altre. Come lo stesso cattolicesimo la avanza verso il protestantesimo e l’ortodossismo (letteralmente: corretta opinione).
Tutte reclamano l’unicità della propria origine, facendola discendere dal patriarca Abramo.
L’essere belligene, allora, dove sta? Proprio nel fatto di conclamare la propria supremazia nell’unicità. Ciò include il proselitismo e l’espansionismo territoriale, che poi comprende pure l’immanenza della struttura sociale e quindi anche politica.
 
Le religioni sono astrazioni. E le astrazioni non dovrebbero, in quanto tali, essere belligene. Ciò che le rende tali e l’interpretazione singola che i vari individui (fedeli) danno alla stessa religione, asserviti al totem personale.
In base a ciò non credo che ora sia in atto una guerra di religione, ma solo esasperazioni di gruppi o singoli che esaltano il proprio credere in modo inclusivo. Perché una delle prerogative delle religioni è proprio quella di essere interpretata da ognuno in modo individuale, generando, di conseguenza, non l’unicità di Dio, ma la molteplicità di un  singolo Dio.
Non per nulla, nell’Islam, si considera(va) che il paradiso sta sulla punta delle nostre spade.
 
Molto interessante è stato il discorso che il presidente egiziano Abd al-Fattah al-Sisi  ha fatto giorni fa davanti a dotti e iman islamici al Cairo. Quando, sostanzialmente, ha affermato che nella religione vi deve essere qualcosa di aberrante e da modificare se 1,5 mld di musulmani per vivere devono  concepire di uccidere i rimanenti 7 mld di abitanti del globo.
Perché proprio in questo pensiero sta il problema sociale e politico di coesistenza e tolleranza dei nostri tempi, che, in ultima analisi consiste nella degenerazione sociale della laicità e della religione.
Perché, se non si capisce ciò, è ovvio che l’esaltazione e la difesa della libertà assoluta di satira sia assimilabile, ma non giustificabile, allo stesso terrorismo omicida; e che, prima o poi, possa portare anche ad una  vera e propria guerra di religione. Perché non è la singola religione che può creare una guerra, ma il fanatismo religioso che pretende d’essere la verità assoluta nel nome di Dio.
Quanti, tra i musulmani, sono in grado di comprare e leggere Charlie Hebdo, perciò di indignarsi per le vignette? Ne consegue che le feroci manifestazioni di massa nei paesi islamici siano manovrate, manipolate e aizzate da alcuni fanatici iman fondamentalisti. Non per nulla avvengono al venerdì, giorno islamico di preghiera.
Spesso, pure la satira sarcastica, è una similare e contrapposta forma di fanatismo laicista.

Ecco perché, nel mio piccolo, affermo: Je ne suis pas Charlie!
Non voglio riconoscermi in questa decadente laicità fine a sé stessa, priva dei valori di tolleranza, rispetto e coesistenza pacifica.
Est modus in rebus.
 

venerdì 9 gennaio 2015

“Diventeremo l’Eurabia?”: Viaggio nell’integralismo e nel fondamentalismo islamico.


In “La rabbia e l’orgoglio.” – libro denuncia di Oriana Fallaci, edito nel 2001 – la scrittrice definiva Parigi la capitale di Eurabia, per tante e ovvie ragioni.
Non a caso, in queste ore e giorni, Parigi è al centro dell’attenzione mondiale per i tragici e sanguinosi fatti di cronaca.
Da svariati decenni ho rapporti con il “mondo islamico”, sia per ragioni di lavoro, sia per ragioni culturali.
Per cui, benché non un esperto in materia, ho una certa conoscenza dell’evoluzione che i paesi arabi e islamici hanno, e hanno avuto negli ultimi decenni.
 
La mia analisi non intende avventurarsi nelle idee della Fallaci sulla decadenza occidentale nel rapporto col mondo islamico, sia della società intellettuale sia della Chiesa, né sul problema politico che l’immigrazione clandestina – perché quella che non si esplica per via legale tramite i canali ufficiali è da intendersi clandestina, anche se ammantata a fini umanitari con Mare nostrum - crea all’Italia e all’Ue.
Ovviamente sono lontani (ma non troppo) i tempi in cui la voce di un cardinale (Siri, se non sbaglio), si levava solitaria contro la linea ufficiale della Chiesa su certe tematiche, considerato che il concetto di pariteticità è politicamente, individualmente e religiosamente sconosciuto nel mondo islamico.
Addirittura concettualmente abiurato. Infatti, per rendersene conto, basta recarsi in un paese arabo tradizionalista e filo occidentale come l’Arabia Saudita, dove non solo non esistono chiese, ma si è ufficialmente invitati a togliersi di dosso ogni possibile segno religioso diverso da quello “ufficiale”.

Il discorso di Obama all’università del Cairo fu uno stupendo (voluto) assist politico ai Fratelli musulmani. Che a breve promossero la primavera araba in tutto il Magreb.
Questo movimento islamico, sorto nel 1928 ad opera di al-Ḥasan al-Bannā ad Isma'iliyya (Egitto), tra le altre cose si proponeva di re-instaurare un nuovo grande stato musulmano sui territori occupati all’epoca medioevale, perciò anche in alcune zone europee, come la Spagna. È, sostanzialmente, quasi lo stesso progetto politico che l’Isis oggi persegue.
Ovviamente, nonostante la vasta organizzazione politica, con le dittature in essere ante e post belliche, il movimento dovette operare per lo più nella clandestinità, fallendo, allora, i propri obiettivi.

Un alto ufficiale di uno stato arabo tempo fa mi confidò che secondo lui il musulmano intendeva la democrazia come il poter vivere da sceicco senza lavorare: tutti diritti senza alcun dovere. Aggiunse che ciò era insito nella loro religione, che per lo più prometteva il potere. Come il cristianesimo, invece, promette la salvezza eterna. Altro potere.
Tuttavia non è la distinzione tra radicalismo, fondamentalismo, integralismo e moderatismo islamico che può condurre ad un discorso sociologico, perché la storia la fanno per lo più i singoli e non le masse.
Pure in Europa ciò fu evidente con i vari fascismi (comunismo, nazismo, fascismo), portati avanti dapprima da violenti gruppi minoritari, poi diventati maggioritari perché le masse sono come le pecore che ad un certo punto seguono il montone senza altro ragionamento, trascinate solo dal fatto che sta davanti. Non per nulla il “renzismo” da minoritario è poi diventato nell’area Pd maggioritario in consenso. Fortunatamente non nella nazione dove perde colpi ogni giorno.
Pure guardando la storia della Chiesa si evince che, più che i martiri – che amavano farsi ammazzare pur di non inchinarsi all’imperatore -, la storia la fecero quel manipolo di seguaci che affiancò Costantino nella battaglia di Ponte Milvio, preferendo la violenza della spada in battaglia al buonismo sociale del porgere l’altra guancia.
 
Buona parte degli stati Ue sono il paese di origine di molti combattetti dell’Isis, con numeri da capogiro. Benché non esistano dati ufficiali, molti parlano di 3 mila in Inghilterra, oltre mille in Germania e Francia e a scalare nelle altre nazioni. È naturale chiedersi chi controlli o abbia controllato tutto questo esercito di “teste calde” nel loro andirivieni. Alcuni parlano addirittura di 30 mila.
Perché, se i 2 fratelli che hanno attaccato il giornale satirico parigino risultavano già noti, allora più che il dispiegare poco meno di 100 mila uomini per dargli la caccia sarebbe stato opportuno metterli in “sicurezza” prima per non nuocere. Ma, come si sa, la politica cerca sempre di coprire non solo le proprie magagne, ma soprattutto la propria incapacità e inefficienza nel prevenire le problematiche sociali.
Forse è anche per questo che nell’era della tecnologia anche militare, anziché catturare si preferisce ammazzare, eliminando per sempre qualsiasi possibile legame con collusioni politiche. Infatti, oggi, con un solo proiettile si è in grado di immobilizzare all’istante un pachiderma, ma non di … catturare vivo un terrorista.
 
Affermare che sono lupi isolati è pericoloso e riduttivo. Se poi si sottolinea che questi fatti avvengono un po’ ovunque con tragici risultati anche macroscopici (Nigeria, Siria, Iraq, Afghanistan, Pakistan), oppure isolati come altrove, ben si capisce che di per sé vi sia stato prima un progetto con una testa sola (Al-Qaida, talebani), ed ora un progetto replicante sé stesso che può avvalersi anche di sigle diverse (Isis, Boko Haram), capaci di alimentare singole cellule un po’ ovunque.
Vale perciò chiedersi cosa non vada nei dettati religiosi islamici se queste aberrazioni avvengono, considerato che in primis e molto spesso sono gli stessi moderati islamici che ne subiscono le gravi conseguenza politiche e fisiche.
Come andrebbe pure ben analizzato perché certe nazioni abbiano scelto nel nome della democrazia di destabilizzare politicamente, direttamente o indirettamente, certe nazioni islamiche, magari pure finanziando, istruendo e addestrando in casa propria certe frange estremiste che, prima o poi, facilmente sfuggono di mano per svariati motivi o disegni politici.
 
Tempo fa sono apparsi in Israele i primi kamikaze imbottiti d’esplosivo. A seguire anche altrove, comprese le Torri Gemelle.
Il “martirio” di queste persone ha solo una ragione sociale e politica, oppure anche una forte connotazione religiosa? Perché per l’islamico morire per Allāh (Jihad) ipotizza una metempsicosi quasi immediata in uno stato sociale nuovo e più importante del precedente. Diversamente non sarebbero tanto numerosi.
E, caso strano, un’idea similare aleggiava pure nei “martiri” cristiani, convinti d’essere accolti subito in cielo da Dio tra gli eletti per la loro dedizione e fedeltà fino alla morte.

Come già affermavo tempo fa, vi è il pericolo che lo stesso incolpevole islamico occidentale diventi alla fine vittima indiretta di questo estremismo politico e religioso.
Dire, come fa Ferrara, che “Questa è una Guerra Santa, se non lo capite siete dei co....ni” (mi si consenta la piccola censura) è eccessivo. Non è eccessivo, però, pensare che con quest’andazzo nel futuro si possa ricreare una nuova Notte dei cristalli (10/11/1938), stavolta non contro gli ebrei, ma contro gli stessi musulmani. E, caso strano,  proprio anche allora la miccia giustificatrice politica fu innescata da uno sprovveduto ebreo, ancora a Parigi, con l’uccisione di un addetto d’ambasciata tedesco.
La storia ha i suoi sinistri corsi e ricorsi nel suo snodarsi elicoidale. A Dresda decine di migliaia di persone manifestano contro l’Islam, fallendo per ora il contagio alle altre città. Che poi siano addebitabili alla dx xenofoba – così viene etichettata dal buonismo giustificativo della Merkel – è tutto un altro discorso.

Il mondo è in ebollizione. Proprio come lo era tra la prima e la seconda guerra mondiale.
Sta replicando una diversa, ma nello stesso tempo similare, gravissima crisi economica: la prima durò 10 anni e si concluse con la seconda guerra mondiale, questa sta ripetendo lo stesso iter, contrapponendo ancora gli occidentali alla Russia, con la scusa dell’Ucraina. Nel bel mezzo di queste mascherate lotte geopolitiche economiche vi stanno i movimenti estremisti politico/religiosi a connotazione spesso fanatica.
Movimenti che, a ben guardare, sono indirettamente prodotti da interessi economici esterni – ora il petrolio che crolla continuamente, allora le derrate alimentari – per i quali gli stati si contrappongono per ottenerne vantaggi e il predominio. Diversamente sarebbero incomprensibili le guerre in Iraq, l’appoggio alle primavere arabe, l’attacco occidentale alla Libia di Gheddafi … e via dicendo.
E la storia, per puro caso, ci dice pure che entrambe le crisi sono nate negli U.S.A., per poi essere esportate ovunque.
Strana e preoccupante coincidenza.