mercoledì 29 aprile 2009

Tra personalismo e capitalismo.

Ogni tanto mi capita di ospitare testi diversi dai miei, come può capitare con Sesac.

Ma l’ho fatto sempre nella piena disponibilità dell’interessato, quasi su suo invito.

Questa volta, pur senza il consenso preventivo esplicito, voglio ospitare l’ultimo articolo di Kärl Fϋnfte, forte del nostro “costruire” comune.

E lo pubblico per un semplice e grande motivo: lo ritengo molto interessante e stimolante, considerato il tempo che stiamo vivendo.

È solo l’inizio di un discorso che sarà lento, ma continuo nel tempo.

Perciò lo metto a disposizione di tutti.

Non aggiungo altro, se non:

Buona Lettura!

Sam Cardell

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Tra personalismo e capitalismo.

Porre la preminenza della Persona sullo Stato non significa essere personalista.

Tu Sam, nel discorso (La concezione personalista.) esplichi, oltre che intendere bene, il mio concetto.

Personalmente ritengo il Personalismo una risposta filosofica insufficiente non solo alle problematiche attuali, ma pure a quelle del secolo scorso, sia in relazione alla recessione del ’29 che all’avanzare dei totalitarismi.

Mounier ha i suoi pregi e i suoi difetti:

il pregio consiste nell’aver preso il Vangelo in modo radicale e senza compromessi con la stessa urgenza ch’era propria di Pascal, tanto per intenderci;

il difetto non quello apparentemente comune e superficiale d’essere considerato un marxista travestito da cristiano (che proprio non era), ma quello di essersi appiattito troppo sulle tematiche derivanti dalla concezione marxista relativa al capitale. Questo lo intendeva, perciò, come un mezzo di appropriazione di pochi rapaci a scapito della massa e dell’indifeso.

Lui fece delle tre R, allora esigenza assai comune, il senso del proprio pensare e procedere, lontano assai dalla concezione scolastica propria del suo maestro: Rinascimento, Rivoluzione, Riforma.

Concepì perfettamente la differenza tra “persona” e “coscienza”, ma non quella tra capitale e capitalismo.

In pratica fece lo stesso errore di Marx.

Ma lascio a te, se lo riterrai opportuno, sviluppare ulteriormente il pensiero in tal senso, rapportandolo alla realtà odierna che impone ben altro che il “personalismo comunitario”, assai diffuso oggi nei cattolici orientati a sx e al senso del … passato.

Una società democratica deve basarsi su due principi: la Persona e lo Stato (società).

Le oligarchie sono il nemico della società, quindi dello Stato, perché tendono ad impadronirsi dello Stato tramite la debolezza della democrazia: il voto popolare.

I gruppi lobbistici fanno pressioni sugli eletti vincolandoli in due modi diversi: con il portare proprio esponenti all’elezione manipolando la massa, oppure asservendo (in molteplici modi) l’eletto ai propri fini.

Le lobby sono il braccio esecutivo del “capitalismo”, perciò di quell’apparato economico che, diversamente dal passato, agisce come persona giuridica nello stato, avendo acquisito la stessa paritetica cittadinanza della persona fisica pur detenendo capitali talora superiori ad uno stato, come ad esempio le multinazionali.

È, comunque, un’astrazione concettuale operativa ed è proprio quello che a Mounier (e ai suoi seguaci) non è riuscito bene di quantificare.

Il cittadino può correggere con la democrazia del voto questa degenerazione e stortura, ma non sempre ci riesce. Difatti l’importanza del capitale (inteso come economia) per ogni Governo è prioritario allo Stato stesso, perciò alla società.

Si è perso e invertito il ruolo cardine del sistema sociale: lo Stato composto da cittadini/persone.

Ciò succede per un semplice motivo: il relativismo!

Perciò si perdono le diversità sostanziali che contraddistinguono (come dicevo nel mio breve commento) i concetti di Principio e Valore.

Invece di una società di persone stiamo vivendo in una società (quasi) di capitale, anche se passivo (debito)!

La Persona, ovviamente, ci mette del suo asservendosi al consumismo.

È il punto debole dell’anello economico: guadagno non per vivere, bensì per “consumare”.

E su questo Mounier avrebbe perfettamente ragione, anche se il consumismo, nel suo tempo, era solo un modo spocchioso e iattante di manifestare la propria ricchezza: era ancora … neonato!

I media, oggi nelle case di tutti, hanno accentuato questa degenerazione concettuale inserendo input dannosi nei ragazzi, che sono i maggiori utenti dei media ed anche quelli intellettualmente meno preparati a difendersi dal pericolo.

Non per nulla le giovani generazioni sono quelle che spendono di più e che risparmiano meno: pretendo il tal prodotto perché la pubblicità lo … dice.

La pubblicità ha reso i media l’arma letale di penetrazione di massa.

Perché esiste la pubblicità? Per creare cultura? No; per produrre business nel vendere sempre di più e contro qualsiasi logica della necessità.

In pratica per vendere si crea la “necessità” del consumo tramite una malattia mentalmente degenerante: la compulsione dello shopping. E non importa se la maggioranza dei prodotti sono il “superfluo”, quando non l’inutile del semplice usa e getta.

Dobbiamo pertanto scindere la necessità primaria (quella della necistà di vivere decorosamente) da quella artificiosa e secondaria del consumare per “apparire”.

Il capitale, un tempo, era la ricchezza di pochi e serviva pure a poco, se non a garantirsi il potere politico locale tramite quello economico col clientelismo. Per acquisire quello sovranazionale bisognava procedere con la guerra di conquista.

L’economia era ristretta e i tempi erano lunghi: per la mobilità, per la distanza, per la precarietà del bene, per l’uso stesso del bene e per la possibilità economica delle persone, la cui unica esigenza era spesso quella di sopravvivere.

Era un mondo economico “relativo”.

La rivoluzione industriale ha modificato questi tempi riducendoli parzialmente; e la civiltà post industriale li ha resi istantanei.

Basti pensare a quanto si può guadagnare (o perdere) in un solo giorno, tramite la speculazione borsistica, senza sborsare materialmente un €. Ovviamente a danno di qualcuno!

Si sono alterati non solo i Principi esistenziali, ma con essi i Valori.

In pratica i valori relativistici (perché vincolati alla sola persona/individuo) hanno sovvertito l’equazione iniziale “I Principi esistenziali stabiliscono i Valori”.

Abbiamo così: il valore stabilisce il principio.

Parafrasandolo al presente: il consumismo stabilisce con la sua grandezza di spesa la sostanza della persona, perciò la sua importanza sociale relativa al guadagno. Il quale è commisurato all’economia del produrre per consumare.

Si ottiene di conseguenza: il capitale asservisce l’uomo; oppure: il consumo qualifica l’uomo.

E non solo l’uomo consumista, ma pure l’uomo detentore del capitale, perché questo capitale è talmente precario e aleatorio che non si basa su una sostanza materiale, ma su una sostanza astratta figlia della speculazione.

La Persona ha abdicato al suo ruolo di principio ed è diventata oggetto di un valore perdendo l’uguaglianza!

Le crisi antiche portavano guerre, lutti e distruzione; ma si fermavano qua e i sopravissuti ricominciavano da capo, anche da zero. Era un procedere lento e graduale.

Con la crisi del ’29 i governi, oltre alle guerre mondiali, hanno prodotto il consumismo, senza avvedersene, tramite il debito pubblico.

Si sono create teorie economiche deleterie che, oltre a guerre, hanno prodotto crisi economiche ricorrenti sempre più marcate, per risolvere le quali si sono prodotti debiti pubblici sempre maggiori in nome di un falso benessere basato sul debito.

E se il risparmio si forma in una nazione, grazie alla rivoluzione telematica, perciò alla globalizzazione, non rimane come surplus di ricchezza in quello stato, ma viene attratto verso gli stati maggiormente esposti nel debito per la remunerazione maggiore del capitale per una semplice ed antica legge economica: chi ha maggiore necessità di denaro per vivere, o produrre, cerca di offrire rendite superiori alla media.

Ne consegue che il capitale di risparmio anziché essere accantonato per reggere un’eventuale congiuntura negativa viene “distrutto” da chi più consuma. Da risparmio/ricchezza a elevato rischio/perdita.

Basti pensare agli U.S.A. (ma pure quasi tutti i paesi occidentali in forma minore) le cui famiglie hanno un debito complessivo di gran lunga superiore a quello dell’intera confederazione e che, in questi ultimi anni, hanno attratto consistente risparmio dal sudest asiatico consumando (bruciando) più del dovuto.

Perciò il risparmio accantonato dal cittadino viene bruciato dal debito pubblico tramite i titoli di stato; mentre quello delle nazioni parsimoniose viene incenerito dagli stati ricchi nel consumismo.

Che rimane? Debiti garantiti da cartolarizzazione e che non potranno mai essere resi a breve se non reiterando il debito stesso.

Diversamente si ha il default, perciò il crack totale preceduto dalla recessione.

Il capitalismo ha degenerato riducendo il capitale da principio ad oggetto valoriale consumistico!

Le crisi economiche portano “guerre” commerciali e da queste alla realtà non ci vuole molto. Basti pensare a quante guerre si sono combattute nel secolo scorso.

Perché si è creato questa degenerazione? Spesso per lo stato sociale! Il quale, nell’intento di garantire a tutti un trattamento (ricchezza/consumismo) accettabile (sempre maggiore), ha depotenziato il sistema economico familiare e sociale.

Una diramazione del personalismo comunitario sembra voler puntare all’economia della felicità.

È pura utopia! Anche perché chi la declama non tornerebbe mai ai tempi passati (preindustriali) e gli imponenti debiti statali non consentirebbero un tale processo sociale se non prima d’aver dichiarato bancarotta.

Allora, se così fosse, si tornerebbe al punto di partenza in modo altamente traumatico: all’età della pietra.

Può la trascendenza salvare l’umanità?

Solo a una determinata condizione: che tutti accettino il Principio e che in base a questo si stabilisca il Valore.

Ma se pure il principio, qualunque sia (religioso o materiale), viene classato come consumismo, allora torniamo al punto di partenza.

Lutero, sulla speculazione delle “indulgenze”, vide in anticipo il consumismo ecclesiastico; perciò la Chiesa fu la prima che predicò bene, ma razzolò male. E lo fa pure ora perpetuando il “peccato” nel tempo.

Non per nulla la vita agiata, al riparo della fame e della povertà, avveniva secoli fa nelle corti e nei conventi, dove di solito i poveri lavoravano servilmente per mangiare (e salvare l’anima) e i potenti per godersela agiatamente alle spalle di tutti gli altri.

La Persona non è la Coscienza; ma la coscienza e strettamente personale, perciò individuale.

Ne consegue che il personalismo cristiano, nel misticismo della fede, degenera nell’individualismo egocentrico con l’alienazione mistica, perciò nell’egoismo individuale della salvezza, che nel materiale diventa, appunto, la ricchezza.

Per assurdo la coscienza diventa la prigione dell’individuo che lo isola dalla comunità, perciò dall’ecclesia.

Paradossalmente la stessa cosa avviene nel marxismo/materialismo in quanto, nel nome dell’alienazione collettivistica, si cerca di sopprimere l’esigenza alla spiritualità e alla trascendenza, perciò asservendo la persona allo Stato.

Si distrugge la coscienza!

Dunque per quanto il marxismo si sia scagliato contro il capitale ha poi effettuato lo stesso percorso distruttivo.

E non per nulla è crollato per primo; difatti il cittadino socialista non possedeva nulla di proprio, eccettuati i privilegiati della nomenclatura che usavano il sistema come la chiesa usava le indulgenze.

L’essenza vera di Persona si basa sull’unicità e irripetibilità del singolo individuo, perciò sul suo valore di “essente”.

Se poniamo la Persona come Principio assoluto, su questa possiamo costruire la Società come insieme valoriale di persone nell’uguaglianza paritetica pur nella diversità.

Ma se non stabiliamo il principio, o se lo equipariamo al valore, allora è ovvio che i due concetti (principio e valore) tendano a sovrapporsi e pure il diritto alla vita perde il suo valore di non negoziabilità.

Nella Chiesa, oggi, la persona è intesa subalterna a Dio Padre, perciò al suo creatore.

E sulla morte/salvezza/resurrezione si costruisce un’alienazione mistica di dipendenza implementata sulla trascendenza.

Il fedele si appella al principio dell’insindacabilità della sua coscienza e nel personalismo proprio diventa individualista egocentrico, invertendo, di fatto, il principio originario “Dio Padre creatore della persona”.

Si erge a Dio giudice di sé stesso.

Capitale e capitalismo sono due concetti fortemente separati e non sovrapponibili, anche se correlati.

Nel secolo scorso si formulò il concetto di liberismo democratico” per asservire il capitalismo alla persona; poi la storia prese un’altra strada e ci portò dopo varie crisi a questa grave recessione col capitalismo selvaggio.

Dalla recessione se ne uscirà; ma se non si porranno dei solidi correttivi questa recessione sarà il prodromo della prossima, che avrà conseguenze devastanti e inimmaginabili.

Come se ne può uscire?

Accenno solo al principio filosofico:

stabilendo il Principio primario della Persona e il Valore di Capitale quale suo esistenziale mezzo materiale.

Da ciò, a cascata, ne conseguirà il principio corretto (rispetto all’attuale) di Stato e di Capitalismo come mezzo pratico operativo.

Perché, collegandomi a Mounier, oggi abbiamo bisogno proprio di tre esigenze ineludibili: Rinascita, Revisione, Riformulazione, tanto nel sociale che nel religioso.

Kärl Fϋnfte

lunedì 27 aprile 2009

L'ottimismo non è mai troppo, ma talvolta è dannoso

Sono un po’ in ritardo. Lo ammetto.

Ma l’amico Antonio sa che avevo altro da fare di assai più … importante.

Andrea fa una declamazione “confessionale”; e lo capisco per la sua … età.

L’entusiasmo è utile, l’esperienza carente, la duttilità sociale scarsa: sono i limiti della gioventù.

Serve sottolineare che il futuro è “loro” e il presente è comune con noi.

Pertanto sintetizzando, come disse Savino nel suo intervento: “Facciamo crescere i giovani e diamogli passo.”.

Antonio sta migliorando, come il vino … vecchio.

Il suo post è completo e equilibrato, anche se forse un po’ cerimonioso verso alcuni personaggi. Va sottolineato che lo ammette da sé.

È, pure, a mio parere un po’ enfatico, erratico e ottimista in alcuni passaggi. È nella sua indole.

Entrando nel merito sento parlare di “ghetto” confessionale e, nonostante l’integralismo religioso di Andrea, vorrei sottolineare che certi giudizi sono “poco” cristiani.

I cattolici, infatti, farebbero bene ad astenersi dal giudicare gli altri, specie se nel proprio circondario vi è di peggio di chi si intende “taggare”.

L’essere cattolico non è automatico con l’essere migliore, e non solo in religione.

La “Dottrina della Chiesa” è per i “fedeli” e non deve essere mai traslata nel sociale. Questo è bene non dimenticarlo mai.

Il perché è ovvio: il comportamento individuale non può mai essere sociale, anche se certi principi e valori possono essere condivisi in una società laica. E per laica non intendo, ovviamente, il laicismo degenerato alla Fini, bensì quello democratico.

Siamo in una società che di confessionale ha quasi proprio nulla, perciò certi intendimenti di esigua minoranza non possono essere generalizzati.

Sarebbe improduttivo ricostituire un partito confessionale, considerato che neppure la DC lo era.

Era ad impronta cattolica, quello sì; ma ciò non impedì che degenerasse proprio su quei valori cristiani che innalzava per bandiera.

Perciò Andrea stia … tranquillo: la santità non è quella di andare in … S. Pietro.

Se si vuole costruire un nuovo partito basta ottenere la condivisione degli aderenti. Dubito che in base alla fede comune la sx e la dx cattolica si riuniscano al centro in un’unica bandiera.

E ciò per un semplice motivo: la visione sociale ed etica delle forze schierate sui fronti opposti è dovuta a contrastanti modi di intendere la società e l’economia.

Come si vede è un problema insanabile.

Pertanto non ci si faccia illusione che chi è già accasato cambi prontamente casacca perché un “treno” locale è … partito.

Per dove non si sa e neppure per quanto procederà. Ci si augura che non deragli o che finisca su un binario morto.

Si vedrà!

Per ora vi sono solo confluenze interessate su idee generali: belle e facili da pronunciare, ma difficili poi da tradurre in pratica nel dettaglio della realtà quotidiana.

Si parla pure di Maastricht e della possibilità di sforare. In verità a farlo si dovrebbe stare molto attenti perché i debiti eccessivi hanno solo e sempre portato alla bancarotta.

Il nostro debito pubblico è oggi al 106% del PIL, e nel prossimo anno salirà al 121%. Una cifra che nessuno al mondo può vantare in tale percentuale.

Ciò significa unicamente una cosa: il Governo attuale ha raschiato il barile e non c’è più neppure il … fondo.

In un mio articolo[1] di mesi fa dicevo che nel ’29 la recessione borsistica durò 11 trimestri prima di invertire la sua tendenza. Gli 11 trimestri sono ormai superati e le Borse stanno riprendendo di slancio, anche se l’economia reale ci metterà molto di più.

In pratica il sistema ha salvato i grandi e boicottato i piccoli. Difatti questi ultimi stanno pagando, come sempre, lo scotto e le colpe altrui.

Se una casa automobilistica fallisce non è molto importante: il consumatore può comprare da un’altra; ma se fallisce una banca o una grande finanziaria è ovvio che si crei un effetto domino dirompente.

Ecco perché si è “dovuto” salvare le Banche. E con queste le Borse, per ridare capitalizzazione e plusvalenze agli istituti stessi.

In questi giorni vi sono diatribe internazionali riguardo al comportamento Fiat. Interrogativi importanti.

Difatti, se andiamo a vedere, il parziale risanamento Fiat di Marchionne è dovuto al colpo di fortuna (al nord si direbbe in modo diverso: colpo di culo) del ritiro con penale, tempo fa, della GM dal capitale del Lingotto. Diversamente oggi Fiat non sarebbe più italiana e forse neppure sul mercato.

Questa casa automobilistica non nuota tuttavia in buone acque economiche se in autunno ha chiesto alle banche un prestito imponente di alcuni miliardi di € per non fare default e se le aziende di rating l’hanno classata come titolo tossico.

Caso strano a dirsi, le banche che hanno concesso il finanziamento “interessato”, essendo pure azioniste, sono poi quelle che hanno sottoscritto i Tremonti bonds.

Come si vede una catena … malefica.

Sulla vicenda ho pure pubblicato due articoli[2], per cui non mi dilungo.

L’unica cosa che osservo è che tra poco il popolo non debba pagare una … terza volta: la prima per gli incentivi e per l’acquisto di auto “nazionali” (nel solo assemblaggio - e neppure di tutti i modelli), la seconda con i Tremonti bonds connessi al prestito concesso, e la terza per sanare i probabili deficit eccessivi futuri (come con Alitalia).

Perché ne parlo? Perché è sulle tematiche concrete che bisogna coagularsi ed operare, specie se economicamente importanti; e non sulle ideologiche declamazioni di principio che lasciano il tempo che trovano, specie se fatte da personaggi da anni sulla cresta dell’onda politica e intenti a fare surfing.

Perciò, con buona pace di Frattini intento a sostenere l’onore nazionale, sono dialetticamente allineato ai … tedeschi nei dubbi finanziari.

Si parla anche di tesseramenti e qua sorge già la prima diatriba operativa su chi è già partito e su chi è solo movimento.

Perché, diciamola francamente, una cosa è simpatizzare e un’altra è sottoscrivere.

Da analista indipendente la cosa non mi tange, se non come pura tematica.

I distinguo in atto, nei discorsi e nei commenti, sono assai emblematici.

Ciò significa che con tutta probabilità si creeranno correnti più o meno superficiali, sempre ammesso che l’adesione sia di tutti.

Siamo ad Esaù e a Giacobbe, per rimanere in un tema religioso caro ad Andrea.

Alcuni si sono staccati dell’UDC perché, affermano, non esistono più i partiti, perciò questo non è partito ma solo semplice aggregazione.

L’UDC stessa con la Rosa Bianca, e non sempre in sintonia di veduta, procedono verso le imminenti amministrative ed europee.

L’intento è di presentarsi da soli e uniti, ma vi sono già le eccezioni che confermano la regola: da soli e uniti, da soli … divisi, alleati alla dx al primo turno, eventualmente al ballottaggio in base ai programmi (escamotage dialettico - Sic!).

Diciamo che come treno … partito non c’è male! Se poi ce ne aggiungiamo altri il risultato si … vedrà.

Il processo costituente avanza e la crisi dell’economia reale … pure.

Migliaia di operai in cassa integrazione, entrate fiscali crollate del 6% nei primi due mesi dell’anno, Borsa degli speculatori in ripresa e … aggiungiamoci pure il terremoto.

Qua, in verità (ma pure su altre cose) si è ben operato e dopo soli 20 g si sta già programmando la ricostruzione.

I fondi dell’UE sono disponibili, ma alcuni dovranno essere pure nostri, perciò delle casse statali.

Ecco perché la situazione non è rosea.

Andrea solleva il problema delle “solite facce” e si sogna il ricambio generazionale; ma per questo ci vorrà tempo: molto tempo!

Sicché si procederà sul binario dell’Orient Express in gita di piacere, senza una meta non ancora perfettamente concepita.

Perché se, nonostante i sondaggi di Andrea, la coalizione posticcia alle prossime elezioni farà flop il deragliamento è assicurato.

Allora sì che sarà utile andare in S. Pietro; perché quanti, allora, faranno la quaglia e salteranno sul treno del Cavaliere.

Le alleanze in essere sono già assai sintomatiche.

Ecco perché, cari amici lettori (se mi è concesso chiamarvi così), il vostro ottimismo non è il mio.

Auguriamoci solo che nel prossimo trimestre la struttura industriale tenga e la CIG non si dilati oltre.

Perché allora, se così sarà (come sembra ad alcuni), forse il nuovo partito avrà perso smalto sociale, ma la situazione economica sarà migliore per la gioia di tutti.

E forse, nei discorsi sulla Costituente, vi saranno meno slogan e più raziocino, meno interesse corporativo e più voglia di operare.

La crisi non sarà risolta, ovviamente, ma staremo comunque a galla.

Ultimo pensiero è alla Resistenza vista come unità nazionale.

In questi giorni se ne sono sentite ad iosa, specie su in alto.

Non ho mai apprezzato molto tale “festa”, ritenendola più un’occasione di divisione che di unione.

Molti “noti” politici affermano che è la madre della nostra Repubblica e pure della Costituzione.

Sicché Costituzione e Costituente sembrano andare a braccetto.

La Resistenza in alcune zone italiane è stata utile, in altre sanguinaria e deleteria. E molti fatti, anche se quasi celati all’opinione pubblica per anni, sono emblematici.

Vale comunque ricordare che la vera “resistenza” è a Nettuno, in quel cimitero americano che raccoglie migliaia di morti.

Perché senza tale sacrificio oggi non si starebbe a disquisire di Resistenza, nata solo in seguito all’avanzata americana.

In città importanti, come Milano, entrò sfilando prima la Resistenza, ma solo perché le truppe alleate le lasciarono tale onore.

Sono passati moltissimi anni e gli attori di quel tempo sono quasi tutti scomparsi.

L’Italia, e lo dico democraticamente con il rispetto per l’idea diversa di importanti cariche istituzionali, ha bisogno di nuovo slancio e di nuovi obbiettivi ed ideali. Serve pacificazione sociale e non settarismo; serve guardare avanti e non … indietro nostalgicamente.

Per raggiungere i nuovi importanti obbiettivi bisogna accantonare (non dimenticare!) il passato e unire in uno sforzo comune tutti i cittadini di buona volontà, siano questi cattolici, agnostici o laici.

Le feste di un tempo sono utili a ricordare, ma per questo c’è la storia; diversamente si sconfina nel paternalismo storico ignorando il presente e il futuro.

Molte feste con lo scorrere dei secoli si sono quasi perse e tra queste tappe importanti della nostra storia, come quelle dell’Unità d’Italia o delle guerre d’indipendenza.

Forse è l’ora propizia per accantonare pure questa, perché ha perso la sua naturale connotazione politica.

Pure la Carta costituzionale è invecchiata ed ha bisogno d’essere ringiovanita e rapportata ai tempi in base alle necessità.

Molti affermano che è ancora valida e in parte è vero: va solo concepita in modo diverso socialmente e politicamente, perciò modificata dove il meccanismo strutturale già da tempo ha evidenziato non solo l’inefficienza, ma pure l’impiccio esecutivo che pone operativamente.

Sul tappeto vi sono grandi problemi irrisolti e pressanti e non si può pensare di uscire stabilmente dalla crisi solo con un patto di welfare, che può unicamente essere un palliativo economico provvisorio; né con la declamazione di principi cattolici (Dottrina della Chiesa) in una società dove “cattolico” è ormai un ghetto catacombale.

Servono nuove convergenze, nuove aggregazioni e una nuova forma di fare politica. E questa nuova forma non potrà mai essere il ricreare un partito confessionale o la vecchia idea di DC: la storia le ha già classificate fallimentari come il massimalismo, il fascismo, il nazismo o, attualmente, il fondamentalismo arabo.

Perciò bisogna rinegoziare tutto di nuovo, consci che il mettere sul tappeto i nostri principi e valori non significa abdicare, ma il valorizzarli nel confronto con altri.

Solo in questo modo si entrerà in comunione con gli altri partendo pariteticamente senza alcuna primogenitura alla Esaù o alla Giacobbe.

Ed allora si comprenderà che il problema “tessera” non avrà più ragione di esistere, perché le tessere servono solo ad un partito tradizionale e superato e non ad un’Istituzione sociale.

Oggi, cari lettori e amici, non serve un treno, anche se veloce, ma serve ben altro. Necessita una superba astronave in grado di portarci e proiettarci in un mondo globalizzato con estrema attenzione: l’UE e la società multirazziale.

Ma se per piloti si hanno solo dei modesti macchinisti con la paletta in mano (I Capi Treno hanno alzato la paletta verde ed hanno fischiato, la Freccia WHITE è partita!!!), allora è ovvio che ci si appoggerà dialetticamente ancora a quei personaggi datati, come Ciampi & C., che hanno creato la “cartolarizzazione” i cui effetti dirompenti ci hanno portato alla crisi finanziaria e poi alla grave recessione attuale.

Forse non tutti si ricordano chi, allora, manovrava il potere e chi, in quei tempi, legalizzò in Parlamento l’uso dei Derivati e tutti i loro connessi.

lunedì 20 aprile 2009

Le fondamenta ideologiche della cattedrale.

Aggiungerei alcune considerazioni alle riflessioni dei lettori al mio articolo precedente[1], sia a quelle pubbliche che a quelle private fattemi pervenire.

Dedico la risposta all’amico Giuseppe che le ha sintetizzate bene e brevemente.

Spesso gli architetti non creano nulla di nuovo, ma traducono in pratica le idee e le istanze degli altri, perciò del cliente, il quale “chiede” una determinata “costruzione”. Mettono il loro sapere alla disponibilità del cittadino.

In questo caso il “cliente” è, impropriamente[2], il “popolo” che ha delle specifiche priorità e necessità: vivere nella sicurezza e nel decoro esistenziale senza essere continuamente turlupinato da tasse e da spregiudicate operazioni finanziarie.

In queste ultime metterei pure il dissanguamento del risparmio affidato in gestione ad aziende (banche, finanziarie, stato, enti, borsa) e la svalutazione reale generata dal debito pubblico sul risparmio privato.

Il popolo non ha il senso della realtà, ma l’esigenza della percezione; perciò di migliorare il suo stato momentaneo che non è più confacente alle sue aspettative e al decoro. In pratica comprende che così “non và”.

L’“architetto” dovrebbe essere il “politico”; ma considerato che costui ha degenerato il suo compito, il ruolo spetta agli intellettuali.

Abbiamo pertanto: commissionario (datore) di lavoro = popolo, architetto = cliente.

Come si vede l’equazione discorsiva iniziale si è invertita.

Di solito è nella logica che il cliente sia il popolo, ma è uno scambio di ruoli economicamente degenerati. Difatti è poi solo il popolo che paga sempre e comunque pur senza i “servizi” commissionati.

Vorrei subito sgombrare il campo da un possibile equivoco: non ho nulla contro Enrico Letta né contro il suo modo di essere, perciò di impegnarsi e di fare politica.

Il mio interessarmi al suo libro è solo dovuto ad una sollecitazione esterna fattami pervenire.

Potrei averne, e ne ho talvolta (e da sempre), per tutti quelli che della politica fanno solo la propria fonte di reddito (professione): non li ritengo credibili, ma solo cavalcatori opportunisti.

Ciò, in linea di massima, quando il progetto espresso è demagogico e non lineare. E su ciò potrei sviluppare un libro voluminoso assai.

A Letta riconosco, invero, l’impegno intellettuale a ricercare un nuovo “modus vivendi” sociale e il riconoscere, perciò, che il sistema attuale non è più confacente al tempo e alle esigenze civiche. E questo è un suo grande merito!

Passando al suo abbozzo programmatico posso annotare:

a) I problemi della gente non si risolvono con il welfare assistenziale, se non in casi di un problema recessivo o particolare contingente; dunque solo eccezionalmente. Ma li si risolve rendendo il cittadino completamente autonomo in tutto.

Perciò bisogna operare in un lungo periodo (costruire la cattedrale), creando strutture economiche e industriali atte a reggere nel tempo (la cattedrale finita), oltre che con lo sviluppare una mentalità sociale nazionale. Perciò la scuola è un elemento importante e cardine iniziale di qualificazione personale.

Diversamente non si avrà il “cittadino”, ma solo l’“assistito”!

Uno stato efficiente non si basa sull’assistenzialismo, che deve solo essere provvisorio per superare un momento difficile, ma sull’efficienza operativa in grado di prevenire il problema.

Detto per paradosso esemplificativo: il problema droga non lo si risolve liberalizzandola, bensì formando cittadini che comprendano il sistema causa-effetto che produce e non ne diventino schiavi. Nello sport come nella vita. Altrimenti si ingigantisce il problema.

Diversamente si procederà verso uno stato assistenziale ad economia come di tipo socialista, che la storia ha già catalogato fallimentare e anacronistico.

E questo è pure il pericolo nel quale la politica di Obama, se non corretta, porterà il liberismo democratico.

b) Il problema Sud è annoso.

Quando vado al sud vedo non cittadini diversi da quelli del nord o del centro, ma mentalità diverse. La sporcizia (disordine e non solo immondizia) che permea città e vie (in ogni senso) è emblematica.

Miglio annotava perfettamente le 100 interpretazioni della legge che differenziavano le varie regioni; e da questa realtà nacque l’idea delle macroregioni omogenee.

Altro esempio, a paradosso, il rispetto del codice della strada: al nord un certo ordine e geometria, al sud caos e anarchia.

Perciò non è che manchi lo Stato; ma questo viene percepito come “cosa” diversa con tutti gli annessi e connessi (industriali, economici e finanziari), specie tra gli amministratori e le forze dell’ordine.

c) L’energia oggi viene “cavalcata” da molti. Peccato che gli stessi, quando avevano “potere”, non l’abbiano compresa con lungimiranza e l’abbiano pure boicottata. Basti ricordare il nucleare.

d) La stessa cosa vale per l’economia, la finanza, il sistema industriale e il rapporto di incentivazione strutturale esistente tra stato e industria, perciò tra pubblico e privato.

Chi si ricorda l’incentivazione a spostare all’Est (e nell’estremo oriente, poi) la produzione industriale, non può fare a meno di comprendere quanto queste scelte programmatiche siano state fallimentari e prive di lungimiranza sociale.

Si è demolita la figura dell’industriale per crearne una di avventuriero e opportunista (il manager prezzolato). In pratica si è distrutto, per transfert, l’idea di Nazione.

Potrei proseguire con altre tematiche similari e non per nulla minori e prive di importanza.

Vi sono errori di molti politici nell’interpretare la Lega come movimento populista; e lo dicevo privatamente tempo fa pure a degli onorevoli.

La Lega non ha nulla di populista, né di demagogico, anche se alcuni esponenti lo possono essere individualmente, come in ogni formazione politica.

La Lega è l’aspirazione all’efficienza di un determinato popolo che vede nella politica odierna il tentativo pratico di modificare il suo modo di vivere radicato nel territorio e nella tradizione.

Un popolo, e lo voglio sottolineare, che ha sempre “dato” e poco riscosso; un popolo che si sente nazione pur nella diversità regionale: attivo, operoso, industrioso, amante dell’ordine e della sua cultura, generoso nel soccorrere nella necessità (basti pensare al terremoto), ma non per questo votato all’assistenzialismo perpetuo di stato.

È una stirpe che crede in quell’autodeterminazione dei popoli, che va intesa non come secessionismo, bensì come processo formativo a diventare tutti uguali: in meglio e non in peggio.

La Lega non è mai stata un partito o una formazione politica schierata.

È l’intuizione di molti “operai” a costruire un mondo (cattedrale) diverso, che da troppo si sta perpetuando e sta affossando tutti: è un’impresa edile senza architetto e non in grado, ancora, di concepire il suo futuro.

Ecco perché è trasversale e raccoglie voti tanto a dx, come a sx che al centro.

Per la verità gli architetti li contattò, ma essendo grezza se li … contrariò. Fu incapace di recepire il loro pensiero; e, perciò, ora procede tentoni appoggiandosi ad altre forze politiche, per ottenere obiettivi che da sola non riuscirebbe a formulare.

Il sognare è l’estrapolare una realtà e viverla nel subliminare, perciò nel surreale.

La realtà va però configurata nel mondo reale, perciò non nel settarismo di un singolo movimento o partito.

Giuseppe afferma che, a suo parere, Letta cerca il confronto. Ed allora si chiede “perché non provare a dialogare?”.

Ora, se l’impressione di Giuseppe fosse vera, significherebbe che Letta non vede nel suo “agglomerato” politico una via pratica di costruire, anche se a me pare l’opposto. Basti pensare all’esempio dei due operai e alla paternità di questa teofania politica.

Ovviamente vi sono anche aperture verso l’esterno e la sua presenza a Todi lo prova.

Ciò indica una sola cosa: Letta è, interiormente, in mezzo al Rubicone. Perciò cerca, nel possibile dialogo/confronto, una sua nuova dimensione.

Tutto ciò manifesta una realtà: la sx è in profonda crisi ideologica e si dissocia dall’operato della propria leadership, alla quale non crede più. Specie chi nel voto sceglie la Lega.

Prodi, Veltroni e Franceschini sono gli … ultimi irrealistici collanti di un mondo a pezzi.

E la “base” (aderenti, tesserati, simpatizzanti …) nelle primarie a chi si affidò? Alla nomenclatura! Non avevano altri.

Se si cerca un confronto costruttivo tra moderati e riformisti significa che o si pensa che gli schieramenti attuali non siano confacenti a contrastare la forza egemone governativa, oppure che bisogna costruire qualcosa di nuovo.

Perciò non si tratta di bipolarismo, ma di un nuovo e auspicabile concetto strutturale sociale.

Ma, allora, mi chiedo: non sarebbe meglio lasciare la superata basilica per costruire la cattedrale, uscendo dallo schieramento?

Uscendo, ovviamente, si può correre il rischio di non riuscire a costruire. Si abbandonerebbe il tetto traballante, ma comunque ancora esistente, per stare sotto le … stelle.

E questo è un grande problema, specie se la basilica che si lascia è più sicura (numericamente) dell’agorà centrista. La quale, a sua volta, dovrebbe essere culturalmente smantellata per fare spazio alla nuova … cattedrale.

Ecco perché non serve un PDP (partito del popolo), ma un’Istituzione nuova di zecca.

Da ciò nasce la mia convinzione che il creare un altro polo politico sarebbe controproducente e che produrrebbe altre problematiche.

Ciò che serve è un nuovo, in tutto, soggetto politico oltre gli sbarramenti ideologici classici e bipolari.

E qua vorrei esplicare meglio.

La Lega è un movimento trasversale di popolo che va pragmaticamente per slogan e tentativi.

Gli slogan servono per attirare il cittadino su particolari problematiche slegate tra loro (immigrazione, sicurezza, autonomia, burocrazia … - è in questo hanno percepito bene gli architetti di un tempo), mentre i tentativi sono il mezzo per cercare, tentoni, di amalgamarle tra loro (e qua non sono ancora riusciti a recepire l’architetto, perciò i principi e i valori su cui costruire).

Hanno, però, imparato a “manovrare” il potere (basti pensare a quando si fecero beffare da Scalfaro).

I votanti provano, nel darle il voto, a ricercare una possibilità. Elettori e votati non hanno però bene in testa il risultato finale, perciò il plastico della nuova cattedrale.

E questo è il grande guaio!

Gli elettori provengono, culturalmente, da diversi schieramenti e sono fluttuanti. In pratica vagano nel buio tentoni, motivati dal solo primordiale e inconscio pragmatismo (proviamo anche questi).

Però, non avendo una denominazione culturale né approfondita, né comune, non sono popolo culturale basato su principi e valori determinati, ma semplice agglomerato civico e provvisorio.

Facile dedurne, quindi, che senza principi e valori condivisi l’elettorato prima o poi si sfalderà, soprattutto perché lo slogan attrattivo farà implodere le diverse esigenze contrastanti che li ha uniti nel voto.

Lo stesso discorso può essere riprodotto al nuovo ipotetico polo, riedizione centrista similare al polo di dx o di sx.

Se non ci si unisce su un programma specifico, ma solo su un’opportunità storica della politica, il progetto non può reggere.

Serve dedizione, impegno e il credere nella “nuova” cattedrale agendo con democrazia.

Questa non è quella del solo conteggio di voti, ma di quell’agire nel confronto costruttivo che trova nel meglio del pensiero di tutti gli intellettuali coinvolti (architetti) la condivisione dell’interesse di tutti; e poi l’allinearsi tutti alle decisioni prese senza correnti interne.

Ed è ciò che amalgamandosi confusamente non hanno saputo fare né la dx, né la sx, producendo solo due nuovi soggetti composti da tante correnti.

Sono mancati i “nuovi” principi e valori condivisi.

Ed è ciò che neppure i cattolici hanno ancora compreso, intestardendosi nella difesa, non negoziabile, dei loro principi e valori, perciò rinunciando a migliorarli ulteriormente nel confronto sociale.

Tornando all’insegnamento del passato potrei dire:

De Gasperi[3] operò e morì povero, nel decoro di una vita spesa per gli altri.

Ciò, a quanto mi risulta, non avvenne per chi lo affiancava, né per i polloni che poi crebbero nel partito e che, pure oggi, vediamo ancora in giro.

E se uno non ci crede vada a spulciarsi i redditi pubblici dei nostri … parlamentari.

Il popolo, in definitiva, è come il parco buoi della borsa; ma pure i buoi hanno una loro dignità e il diritto ad esistere.

E se tanto gli operai quanto gli architetti non saranno in grado di recepire questo primario principio sociale è ovvio che della cattedrale rimarrà solo l’intenzione germinale.

Magari in un libro.

Ben vengano, quindi, i tentativi di dialogo e di confronto.

Partendo però dalla convinzione che per ottenere dei risultati abbisogna partire dal presupposto che ogni idea personale sia perfettibile, perciò rinegoziabile, compresi i principi e i valori.

Diversamente non ci sarà dialogo, ma solo passerella da salotto borghese, perciò atta solo a perdere tempo.

I principi e i valori anche non negoziabili possono essere soggetti a discussione, perciò rinegoziabili, anche perché in questo modo si è in grado di valorizzarli anche nella controparte, confrontandosi.

Diversamente rimarranno arcaici oggetti di un intendere personale o confessionale.




[2] - In verità sarebbe il committente.

[3] - E pure Sturzo.