domenica 23 novembre 2008

L'insipienza di certi "cattolici".

venerdì 21 novembre 2008

Cristiani, valori e partiti

Cristiani, valori e parti politiche

Forse si può dire, con sufficiente verosimiglianza, che la maggioranza dei cristiani simpatizza in Italia (e anche in Europa e negli USA) con i partiti conservatori o con quelli riformisti in funzione della valutazione data su due presunte tipologie di valori, propri del cristianesimo.
Alcuni (forse i più) simpatizzano per i conservatori, talvolta anche li appoggiano e li sostengono, in quanto questi ultimi affermano di tutelare alcuni valori imprescindibili quali: la difesa della vita (in contrasto con l’aborto e l’eutanasia), il primato della famiglia rispetto alle altre realtà sociali e il sostegno alla scuola privata.
Altri indirizzano le proprie simpatie verso i riformisti, sostenitori di politiche sociali ed economiche indirizzate a tutelare altri valori della dottrina sociale della Chiesa quali: l’opzione preferenziale per i poveri, la giustizia sociale e la pace.
Il problema sorge in quanto (particolarmente in un sistema bipolare) entrambe le parti politiche, a fronte del sostegno dell’una o dell’altra tipologia di valori, tendono a sottovalutare una delle due. A titolo esemplificativo i partiti conservatori propugnano politiche economiche e sociali rivolte a premiare il merito spesso circoscrivendo però la giustizia sociale ad un obbligo di “compassione” verso i meno abbienti, mentre i partiti riformisti alzano la bandiera di valori, specialmente, in campo bioetica, in pieno contrasto con quelli cristiani.
C’è anche da aggiungere un pizzico di ipocrisia, in quanto gli esponenti (e una buona parte degli elettori) dei partiti conservatori, mentre a parole difendono i valori della vita e della famiglia, spesso nella vita privata si comportano in maniera differente; così come altrettanto fanno gli esponenti (e una buona parte degli elettori) riformisti assumendo comportamenti personali in spregio alla povertà.
Qual è una possibile e concreta via di uscita per un cristiano che voglia vivere la pienezza dei suoi valori anche in ambito politico?
Allo stato dei fatti non ce n’è un’immediata, anche se la grande maggioranza della Gerarchia dei valori, sulla base di un’ipotesi di ragionamento che vede i valori etici della vita e della famiglia (valori definiti non negoziabili) prevalere sugli altri (più tipicamente sociali), tende a simpatizzare per i partiti conservatori.
Questo atteggiamento della maggioranza dei Vescovi suscita qualche perplessità, perché rimane difficile capire come sia possibile, in concreto e non solo in astratto, proclamare la priorità dei diritti alla vita e al bene della famiglia senza una contestuale proclamazione dell’esigenza di politiche sociali che permettano a tutti di procreare e educare i figli e, ancor prima, di avere una casa familiare. A titolo di esempio dovremmo porci il problema di come conciliare (se conciliabile) l’esigenza di flessibilità (se non precarietà) richiesta dal moderno sistema economico globale con la necessità primaria di stabilità (anche e soprattutto fisica e temporale) del rapporto interpersonale di natura familiare.
Forse sarebbe preferibile considerare i valori, talvolta visti in maniera contrapposta, di carattere rispettivamente bioetico e sociale, come le parti di un sistema valoriale da considerare unico e inscindibile. La difesa dei valori bioetici (vita e famiglia) passa attraverso l’attuazione di politiche che operino redistribuzioni di reddito tali da garantire a tutti una concreta tutela di tali valori, mentre contestualmente tali politiche devono privilegiare l’effettiva possibilità di consumi che concretizzino questi stessi valori a scapito di consumi meramente effimeri e superflui.
Questo non vuol dire richiedere immediatamente la costituzione di partiti politici che siano espressioni di questa linea. Come ci insegnano la scienza politica e la psicologia sociale, i partiti politici (a parte quelli di carattere meramente personale) non nascono dal nulla ma presuppongono l’esistenza di un progetto culturale che consolidi il sistema unificante di valori e permetta successivamente, attraverso un’adeguata mediazione e un’analisi concreta della situazione nazionale e internazionale, l’elaborazione di efficaci linee politiche conseguenti. Solo al termine di questo processo si può parlare di costituzione di un partito politico capace di dar corpo a tali linee politiche.
E’ un passaggio non eliminabile che forse richiederà l’impegno di un’intera generazione. Nel frattempo ai cristiani impegnati in politica toccherà l’ingrato compito di saper discernere le aree e i limiti di questo impegno nell’ambito dei partiti o movimenti ai quali aderiscono, senza mai dimenticare il primario obbligo della carità reciproca (diceva S. Agostino: “in
certis unitas, in incertis libertas, in omnibus caritas” (sulle cose certe i cristiani devono essere uniti, su quelle incerte vige il principio della libertà, ma sempre ci deve essere la carità reciproca).[1]

Ulteriore sviluppo del pensiero.

Innanzitutto una breve premessa.

Gli articoli che ho analizzato in precedenza, e sui quali ho effettuato dei commenti o espresso considerazioni, erano articoli che mi erano stati inviati direttamente dagli autori o da organizzazioni politiche/religiose alle quali aderivano.

Questo invece, e come il precedente Provocazioni a: Sto diventando conservatore? , l’ho tratto dal blog dell’amico Giuseppe.

È, nel complesso, un buon articolo curato e attento alle varie problematiche trattate, anche se non perfetto. Diciamo che ha impegnato per un discreto tempo l’autore e che esprime l’inquietudine del cattolico dei nostri giorni.

Rispetto ai precedenti è maggiormente complesso; perciò si dilunga ulteriormente sia nell’analitica che nella problematica. Volendo essere pignoli, possiamo dire che manca in toto dell’eziologia discorsiva.

Vorrei partire dalla citazione di Agostino per porre una domanda intrigante: cos’è la Carità[2]?

Appare, infatti, evidente che la concezione di questo lemma a quei tempi era assai diversa dall’attuale, considerato pure che Giuseppe, parlando della politica conservatrice, la indica anche come “compassione”, assai vicina a quella di molti cittadini che la confondono, identificandola, all’elemosina.

Ciò è abbastanza emblematico della confusione concettuale esistente oggi in molti cristiani non solo sul concetto di carità, ma anche su tutti i derivati dottrinali che fanno da corollario alla carità.

E ciò porta ad una semplice considerazione: il personalismo cristiano si è tradotto in individualismo egocentrico cristiano.

Teologicamente l’individualismo cristiano pone già il fedele fuori dalla Chiesa (Ecclesia), appunto perché non vi è più una comunione con il resto della Chiesa, ma solo un associazionismo interessato che punta a scindere notevolmente l’assonanza tra Chiesa ed individuo.

Se, difatti, guardiamo attentamente all’articolo notiamo molti distinguo con la dottrina ecclesiale: a) atteggiamento della maggioranza dei Vescovi, b) proclamare la priorità dei diritti alla vita e al bene della famiglia senza una contestuale proclamazione dell’esigenza di politiche sociali, c) considerare i valori come le parti di un sistema valoriale da considerare unico e inscindibile, d) toccherà l’ingrato compito di saper discernere le aree e i limiti di questo impegnosu quelle incerte vige il principio della libertà.

E non ci devono confondere, dialetticamente, le varie posizioni individuali, contrastanti con la dottrina, assunte sia da elettori, sia da politici e anche, raramente, da prelati. Un conto è la logica ed un altro la deviazione comportamentale.

Il comportamentismo moderno è troppo legato allo status acquisito e trae l’origine, nei cristiani, dall’ignoranza concettuale dei valori: vi è una discrepanza netta, quasi una diaclasi comportamentale, tra cultura originaria (cristianesimo) e sociologia (individuale) operativa; e, di conseguenza, si tende a regolamentare civilmente ciò che invece dovrebbe rimanere nell’individuale privato: la coscienza!

Sembra che il cittadino pretenda dallo stato l’assonanza completa legale legiferata di ogni suo intendimento: diritto ad una scuola privata (classista/religiosa) a spese[3] della comunità nazionale, regole di convivenza civile prestabilite (famiglia, convivenze, aborto, eutanasia …) e difesa dei valori idealizzati.

Ovviamente l’idealizzazione universale non è possibile per l’idiosincrasia tra le varie problematiche che, da ideologiche personali, vengono rilanciate quali sociali universali.

Perciò bisogna fare una distinzione sostanziale tra società civile (stato) e comunità religiosa (chiesa). La prima sovrintende la vita nazionale garantendo il multiculturalismo ideologico/religioso, la seconda cura l’associazionismo comunitario, fondato principalmente sulla specificazione settoriale di valori comportamentali.

Il cristiano (cattolico o protestante che sia) è oggi raramente un cittadino praticante religioso; ma, nello stesso tempo, non è neppure un cittadino praticante lo stato. È, sostanzialmente, un cittadino/cristiano senechiano, che segue il proprio interesse e la sua indole anche in contrapposizione ai valori: un credente assai diluito e senza dux!

Perciò, come facevo rilevare in L'estinzione dei dinosauri. appare ininfluente se il conservatore (politico o cittadino) che vuole difendere la famiglia personalmente magari la calpesta, come il riformista che vuole difendere il povero vive da Epulone beato nell’agio.

I vescovi, ovviamente, con tutto il rispetto loro e dello Pneuma, non hanno la scienza infusa e, in via teorica, è comprensibile che siano umanamente carenti in tante materie, specie in quelle scientifiche, compresa la bioetica. Seguono, però, in modo assolutamente democratico le direttive dottrinali ecclesiali vigenti, anche se talora possono sforare nella logica esistente tra teologia dottrinale e comprensione perfetta della scienza.

Per far comprendere bene cosa intendo, voglio citare due fatti: uno politico e l’altro religioso.

Poco dopo la proclamazione dei risultati elettorali negli U.S.A., anche se non completi, il candidato repubblicano chiama quello democratico, accetta la sua vittoria e lo chiama Signor Presidente. Dopo la tenzone elettorale ognuno torna al posto che la democrazia gli ha riservato, accettando la minoranza il verdetto dell’urna come se fosse il proprio.

In un Concilio vi sono tre tempi: a) le problematiche sul tappeto, b) la discussione convinta, c) la votazione democratica che sancisce quale sia la linea migliore scelta dallo Pneuma, tramite i Padri conciliari, con la semplice maggioranza del 50% + 1 dei votanti. Poi tutti si uniformano, essendo Chiesa, alle direttive prese. È questa è la perfetta Democrazia teologale, che molti chiamano, assai più propriamente, perfetta Teosofia democratica.

Purtroppo può succedere, come a Giuseppe, di scambiare la Teosofia democratica per conservatorismo, o, peggio ancora, quale appoggio specifico ad un determinato candidato o partito.

Ovviamente a livello individuale ciò può anche avvenire, ma mai come Ecclesia.

Quello che invece sempre avviene è l’invito a comportarsi nel rispetto delle direttive scaturite dalla Teosofia democratica: essere totalmente democratici nella comunità religiosa! Il che non significa essere bigotti.

Negli States nessuno si è scandalizzato per il documento dei vescovi americani, mentre in Europa tali richiami vengono normalmente intesi quale interferenza negli affari di uno Stato. Però, qua da noi, a mesi dal risultato elettorale vi sono ancora forze politiche che si arrogano il diritto d’aver vinto pur avendo sonoramente perso.

Perciò la considerazione è singolare e univoca: la cultura democratica imperfetta (e decadentista) evidenzia l’individualismo dialettico che porta ad essere stato utopistico autonomo in uno Stato reale, come in religione l’egocentrismo fideista si pone quale alter ego personalista alla Comunità ecclesiale!

E lo schierarsi singolarmente del cattolico viene di conseguenza, con tutti i suoi interessati “distinguo”.

I risultati delle due ultime elezioni italiane sono la negazione pratica della considerazione espressa inizialmente da Giuseppe: la maggioranza dei cristiani simpatizza in Italia (e anche in Europa e negli USA) con i partiti conservatori o con quelli riformisti in funzione della valutazione data su due presunte tipologie di valori, propri del cristianesimo.

Lo stesso elettorato, infatti, prima si è espresso per uno schieramento riformista (Prodi), togliendogli, di fatto, quasi subito il consenso elettoralmente espresso, poi ha votato a grande maggioranza per lo schieramento conservatore.

Ovviamente si potrebbe disquisire a lungo se il consenso fluttuante sia stato opera di cattolici o di altri, ma, essendo l’Italia una Nazione ufficialmente cattolica, il diverbio sarebbe di lana caprina. Non penso, infatti, che i massimalisti si siano schierati inopinatamente a destra.

Lo schema tradizionale prefissato “i partiti conservatori propugnano politiche economiche e sociali rivolte a premiare il merito spesso circoscrivendo però la giustizia sociale ad un obbligo di “compassione” verso i meno abbienti, mentre i partiti riformisti alzano la bandiera di valori, specialmente, in campo bioetica, in pieno contrasto con quelli cristiani” è unicamente superficiale, fazioso e frutto, a mio parere, della confusione che non solo avvolge il cittadino, ma pure le forze politiche contrapposte. Ciò, infatti, presupporrebbe che i cattolici impegnati nei due schieramenti siano su due concezioni ecclesiali contrapposte favorevoli al primo o al secondo schieramento ideologico sui valori; ma la nostra storia parlamentare insegna che il trasversalismo su certe problematiche essenziali esiste e che, perciò, una tale schematizzazione semplicistica è incongruente.

Tanto i conservatori che i riformisti sono attenti all’etica ed ai valori, e la differenza esistente è unicamente dovuta alla genesi culturale delle varie ideologie espresse e, spesso, alla tipologia scelta nell’economia reale.

Negli anni ‘60, con l’avvento del democratico e cattolico Kennedy, non mi pare che gli ideali propugnati fossero in pieno contrasto con quelli cristiani; diversamente avremmo una Chiesa schierata sempre a destra a scapito della sinistra.

La Chiesa procede sempre con estrema cautela e può sembrare conservatrice; ma ciò è comprensibile perché l’errore sistematico sui valori primari sarebbe la sua fine. La Chiesa si schiera unicamente sulla proclamazione delle sue verità!

Il politico cattolico, dopo De Gasperi, non è più esistito; sono esistiti uomini politici, anche di grande levatura, che erano pure cattolici.

Non per nulla la DC ha portato progressivamente il Paese al collasso istituzionale, sfaldandosi pure lei. E i vari assembramenti tutt’oggi esistenti, tanto a dx, quanto a sx che al centro, di cristiano possono avere solo il nome e il simbolo.

Perché la Chiesa “vede i valori etici della vita e della famiglia (valori definiti non negoziabili) prevalere sugli altri (più tipicamente sociali)” un cattolico preparato dovrebbe comprenderlo bene: perché la vita è un bene inalienabile proveniente direttamente da Dio (dono insindacabile); e la famiglia il mezzo naturale codificato per espletare ogni attività umana: la cellula necessaria a sviluppare il dono della vita.

Un proverbio dice: “Chi dona il dono, il donator disprezza!”; che, di primo acchito paiono un’affermazione ed una negazione simultanea.

Tralasciando la parafrasi semantica di questo detto sapienziale[4], voglio solo aggiungere questa interessante frase

Se non accetti non di innamorarti, ma di “conoscere” colui che ti offre l’amore, quindi di apprezzare la sua offerta, allora significa che la tua socialità è tale che il tuo rifiuto equivale al suo rifiuto. In pratica non sei tu che dice “No!” a lui, ma lui che dice “No!” a te; il tuo no iniziale è il riconoscersi “indegno” dell’amore altrui. Il non amare include l’incapacità di amare.[5]

che esprime assai bene, anche se su un concetto umano e non divino, la nozione di dono.

Pertanto tutto ciò che è correlato a questi due principi (vita e famiglia) può essere subalterno non solo al principio/valore stesso, ma anche ai tempi. In pratica possono essere interpretati diversamente dalla società civile secondo le circostanze momentanee.

Ho analizzato, caro Giuseppe, i commenti sul tuo post sulla vicenda della ragazza lecchese; e i “distinguo”, che ho visto, mi indicano un cattolicesimo individualista ed egocentrico, attento solo a non sconfinare oltre l’interesse culturale succedaneo privato.

Voglio citare, a contrasto, solo un’emblematica frase di Savino Pezzotta, pronunciata in Parlamento sulla vicenda:

Non mi pongo sul terreno di esprimere un giudizio nei confronti della magistratura, ritengo tuttavia che sia abbastanza problematico pensare di poterle affidare il bene della vita.[6].

Perché tutti, come sottolineavo io nel mio e tu nella risposta agli altri, comprendiamo le difficoltà e il dolore delle persone strettamente interessate ad una tale drammatica vicenda, però non per questo ci possiamo sostituire a Dio e alla Chiesa, specie se la confessionale dottrina basilare la intendiamo una Teosofia democratica.

Tra gli anni ’90 e il 2000 contestai più volte pubblicamente, con diverse considerazioni pubbliche, alla Gerarchia ecclesiastica certe (loro) posizioni tanto sul federalismo che sulla ricerca bioetica, specialmente sulle staminali e sulla gestione dell’insegnamento futuro (microcips programmati e inseriti nella corteccia cerebrale).

Ma il discorso verteva sempre su punti di vista opinabili e non su principi basilari. Da una parte la considerazione e la comprensione di una scienza e di un’esigenza (necessaria) sociale che avanzavano, dall’altra la sola visione fideistica di una realtà tesa a difendere uno status quo, proprio come avvenne con Galileo.

La storia oggi mi dice come il cammino pure della Gerarchia sia cambiato, e non tanto per le mie singole e insignificanti considerazioni, quanto per quelle di molti altri cattolici importanti che si battevano, a ragion veduta, in questi e in altri settori.

Anche nella diversità, quando la concezione dei valori è immanente alla nostra cultura, si costruisce; proprio come ciò avviene oggi in politica e come tu sottolinei “Nel frattempo ai cristiani impegnati in politica toccherà l’ingrato compito di saper discernere le aree e i limiti di questo impegno nell’ambito dei partiti o movimenti ai quali aderiscono, senza mai dimenticare il primario obbligo della carità reciproca ”; ma ciò avverrà unicamente se i principi basilari saranno totalmente compresi e percepiti nella loro interezza.

Negli anni ’30 del secolo scorso la democrazia americana creò il concetto di Capitalismo democratico, in contrapposizione al liberismo.

Questo concetto si evolse nel tempo e assicurò, a noi Europei e non solo, un periodo di pace dopo le tribolazioni della II° Guerra mondiale.

La Chiesa (non chiesa), con Sturzo, favorì la formazione di un partito cattolico (DC) che creò, pure esso, benessere e stabilità prima di degenerare in precoce vecchiaia.

La Gerarchia attuale invita i cattolici all’impegno sociale ed ha mosso alcuni suoi pezzi sulla scacchiera, come in occasione del Family Day.

Ovviamente ciò non è sufficiente per creare non tanto un partito, quanto un’Istituzione politica adatta ai tempi attuali.

La grande crisi finanziaria che ha generato la recessione in atto ha aggravato ulteriormente i problemi, specie nel sociale, ingarbugliando ulteriormente la situazione.

Non so se tra poco più di una generazione gli U.S.A. saranno ancora una potenza egemone, né se i cattolici saranno ancora numerosi e fattivi nella società.

Vi è di sicuro che se la cultura occidentale, a matrice cristiana, non saprà trovare in sé stessa le idee sufficienti, la nostra civiltà diventerà una società decadentista, specie se i vari cattolici (cittadini e politici) anziché essere Chiesa (Ecclesia/Comunità) saranno parti estranee in un corpo in disgregazione, cioè individualisti egocentrici.

Ed allora è facile che l’attuale scontro ideologico tra culture si trasformi in vero conflitto armato, come in passato è già tragicamente avvenuto.

Mi auguro solo, in tale ipotetica deprecabile situazione, di non esserne testimone.

Il cattolico non dovrebbe mai essere schierato, perché lo schierarsi è spesso la negazione della Carità. Il vero cattolico in politica è indipendente, anche se inglobato in una formazione politica diversa da un partito confessionale: è un testimone fattivo dell’Ecclesia nella società, capace di donarsi agli altri!

E, neppure, dovrebbe essere diviso su differenti tipologie di valori cristiani, per il semplice fatto che la Carità non è scindibile in parti, né contrapposta su valori.

Quando la divisione avviene è perché la cultura della Carità è assente ed il politico non è un cristiano al servizio della Chiesa e della nazione, ma solo al soldo di sé stesso o di interessi corporativi. Si rifiuta il dialogo nel preconcetto.

Da tempo si parla di Costituente nei vari partiti e pure nell’agglomerato cattolico; ma se i valori insindacabili saranno secondari agli interessi corporativi e individuali, allora non vi sarà mai una Costituente di cattolici, ma solo una Costituente politica.

I valori cattolici possono essere benissimo condivisi anche da altri, specialmente se la cultura cattolica saprà dialogare e seminare nel laicato il seme fecondo della carità sociale convinta.

Ed è proprio su questa problematica complessa, sottolineata da Giuseppe come tematica divisoria nello schierarsi individuale tra progressisti e riformisti, che il mondo cattolico deve impegnarsi a fondo nell’ingegneria del pensiero con i suoi migliori cervelli.

Perché nel cristianesimo non vi sono, e non vi possono essere, dei conflitti dialettici (perplessità) tra il proclamare la priorità dei diritti alla vita e al bene della famiglia e l’esigenza di politiche sociali; e quando ciò avviene è perché la conoscenza (cultura) individuale è flebile nel rapporto tra fede e società.

Paolo di Tarso, oltre ad essere apostolo, praticava il lavoro manuale per vivere, onde non far carico ad altri della sua esistenza.

Oggi la chiesa, nella quasi totalità dei suoi membri, crede in un modo ed opera in un altro; e lo fa pure nel non saper delineare e progettare un sistema economico, civile e finanziario sociale che non sia solo un germinamento abbozzato.

Credo che ciò avvenga per un semplice motivo: perché l’essere coerenti in tutto metterebbe in discussione il proprio status quo acquisito, e cioè quelle discrepanze tra valori declamati e vita vissuta che creano la differenza sociale.

Appunto: la Carità!

I valori cristiani basano il loro principio ideologico sulla vita e sulla famiglia, che in sintesi sono indicativi di due parametri sociali: il singolo (individuo/persona) e la comunità (famiglia/società).

Il primo si ingloba, donandosi, nel secondo proprio come la famiglia (individuo giuridico) si ingloba nella società (comunità ecclesiale o civica).

Ciò che ne discende è, perciò, un susseguirsi immanente e mai trascendentale[7]. Ne consegue che l’amore/carità che il singolo esplica nella famiglia, la famiglia la deve poi esplicare nella società.

E l’economia, con l’industria, la finanza, il lavoro, la vita sociale e … la politica dovrebbero agire nello stesso modo raccordandosi vicendevolmente gli uni agli altri.

Il conservatorismo privilegia la meritocrazia? Che c’è di strano? Forse che nel cattolicesimo ciò è vietato se nella parabola dei talenti il padrone loda i servitori che gli hanno reso un capitale doppio e denigra quello che gli ha reso il solo talento ricevuto?

La meritocrazia è nella base della teologia cristiana, perché è quella che ci porta, grazie alla Fede, alla Salvezza. E lo è, pure, nell’esplicare la Carità nell’essere Samaritano, perché questa è la vera socialità.

Il povero deve essere aiutato: il povero bisognoso, ma non il viziato, lo scroccone o il depravato.

Un cattolico non è pertanto né conservatore, né progressista; è solo un credente in Cristo che opera donandosi alla comunità (famiglia, Ecclesia e società) mettendo a disposizione di tutti i talenti che il buon Dio gli ha dato in affidamento.

Il Vangelo di oggi (Mt 25,31-46) è talmente chiaro in proposito che non vi è alcun bisogno di parafrasarlo.

Poi, ovviamente, tanto nei fedeli che nei prelati ci possono essere coloro (e sono tanti) che, oltre che a rinnegare per tornaconto egoistico certi valori primari (morale, etica, matrimonio …), sbattono in faccia alla società la loro opulenza, carica e annesso potere.

Ovviamente costoro di cristiano hanno poco; ma, spesso, così va il mondo.

L’abito non fa il monaco, però da un certo look di ufficialità.

E lo dava (il look) pure ai sudditi timorosi, i quali vedevano perfettamente che il re era nudo; però si guardavano bene dal manifestarlo.



[1] - Testo corretto.

[2] - E non mi riferisco al binomio Dio-Carità.

[3] - Questo problema non è solo cattolico, bensì interreligioso, come le richieste islamiche stanno a dimostrare.

[4] - Su cui ho elucubrato in: Analogical Symbhiology of SciencesAmore e dono. - Sam Cardell - 2004

[5] - The warrior and the power of the love. – Carlos Cinco - 1984

[7] - Trascendenza Kantiana.

2 commenti:

Giuseppe Sbardella ha detto...

Caro Sam, ho letto il tuo commento e apprezzo i tuoi distinguo.
Non voglio entrare in una dialettica senza fine.
Ti dico solo che io appartengo a quei cattolici che condividono appieno la frase del Card. Newmann, prossimo Beato: "se dovessi scegliere fra il brindare alla mia coscienza o al Papa, brinderei alla mia coscienza.
Per questo ho apprezzato e apprezzo Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e sono fedele ai loro insegnamento (specialmente se e quando parlassero ex cathedra)ma preferisco il pensiero di una persona meno convinta di avere la verità come Carlo M. Martini.
Mi ricordo sempre una frase del telogo Card. P. Pavan: "non è la Chiesa a possesere la Verità, ma la Verità a possedere la Chiesa".
Un abbraccio

Sam Cardell ha detto...

Capisco il tuo impegno e lo apprezzo: ecco perché ti considero un Amico!
Tutti, credo, apprezzano gli altri, specie se pontefici. Ovviamente possiamo pensarla in modo diverso, ma ciò non esclude la Carità nella diversità.
Perché, in ultima analisi, la diversità è ciò che favorisce la cultura e il progresso.
Citi alcune persone; e già privatamente ti ho espresso il mio pensiero su queste.
Per la frase di Pavan la possiamo considerare un aforisma che può essere simultaneamente negato o accettato.
Grazie del tuo impegno, Giuseppe!