venerdì 28 dicembre 2012

Fiscal cliff.


Benché manchino solo 4 giorni alla fine dell’anno il tormentone Fiscal cliff non è ancora stato dipanato.
Per cui il braccio di ferro tra il presidente Obama e i Repubblicani, vede il primo aggiustare continuamente al ribasso le proprie richieste e i secondi a tener duro, considerato che senza il loro voto favorevole il Presidente dovrà battere per Legge … in ritirata.
Ne consegue che all’1 Gennaio 2013 scatteranno molto probabilmente dei tagli lineari e un aumento della pressione fiscale di circa 2 pt, salvo possibili colpi di scena sul filo di lana. Pur se è probabile che i Ministeri interessati possano procedere nel breve periodo ad aggiustamenti procedurali, in attesa che a Gennaio si possa concludere la trattativa.
Gli USA registrerebbero così il primo default[1] della loro lunga storia, anche se questo è un default legislativo più che contabile.

Per comprendere questa trattativa, che ha reso, di fatto, Obama un presidente azzoppato, bisogna riandare alla sua elezione, non tanto nell’analisi della sua vittoria netta su Romney, quanto sui risvolti che l’hanno prodotta: il caso Petraeus[2], esploso solo 2 giorni dopo le elezioni presidenziali dopo mesi di attenta incubazione.
Fatto che, se reso pubblico prima del voto, molto probabilmente avrebbe capovolto il risultato elettorale.

Nel frattempo bisogna pur considerare che il Debito sovrano USA raggiungerà al 31/12/2012 la pregevole somma di ben 16.394 mld di $, contro un Pil calcolato – secondo le 3 principali modalità di calcolo: Fmi, Banca Mondiale, Cia – intorno ai 14.600 mld.
Uno sbilancio che porterà il rapporto Debito/Pil americano al 123%.
Se si considera che all’insediamento dell’amministrazione Obama questo rapporto fosse del 75% circa, ben si capisce quali risultati economici e finanziari abbia raggiunto la crisi americana; e con questa anche quella mondiale.
Infatti, neppure l’Ue, pur con politiche economico-finanziarie diverse – il rigorismo -, ha saputo fare molto meglio, anche se bisogna precisare che il debito complessivo Ue è intorno al 100% del Pil proprio, attestato secondo gli ultimi calcoli sui 16.250 mld di $.

Il Pil americano è tuttavia cresciuto di circa il 2% quest’anno. Una crescita dovuta più alla tenuta dei consumi che a quello produttivo e industriale.
Mentre quello Ue è andato in stagnazione, con molti Stati che hanno avuto recessione.
Ne consegue che essendo ormai un lustro che la crisi si aggrava, il mondo occidentale debba trovare un nuovo sistema di sviluppo sostenibile, non essendo pensabile che né con manovre di solo monetarismo (quantitative easing), né di solo rigorismo, si possa uscire dalla crisi. Entrambe le ricette, infatti, hanno fallito la cura della crisi.
La partita USA non si gioca pertanto su una semplice contrapposizione tra Repubblicani e Democratici, ma su linee economiche sociali quasi opposte; che, comunque, da sole non saranno mai capaci di risolvere la crisi.
Una (Obama) implementata sul sociale, la seconda (Repubblicani) sulla difesa del capitale. Uno scontro pratico tra chi detiene la ricchezza e chi invece deve produrla.
Non a caso – pur in modo diverso – è ciò che succede in ambito Ue, dove gli Stati ricchi, con la scusa del Fiscal compact, tendono a far pagare con il rigorismo penitenziale luterano il loro benessere a quelli poveri.
Un po’ lo stesso discorso che avverrebbe negli Usa con i tagli lineari e l’inasprimento fiscale.

Lo scontro tra Obama e i Repubblicani non è però solo di impostazione economica, ma pure a carattere politico.
Obama, ovviamente, sta spendendo da anni più del dovuto, sia per concedersi la rielezione presidenziale, sia per corrispondere alle promesse elettorali fatte a suo tempo, anche se per buona parte disattese. Tuttavia pure con Bush junior il bilancio s’era dilatato, anche se giustificato e previsto per le costose spese militari delle guerre in corso.
Abbiamo perciò uno scontro reale tra Democrazia e  Capitale, che tradotto in poche parole ci dà: tra poveri e ricchi.
I meno abbienti possono agire sull’uso del voto per raggiungere i propri interessi, i ricchi con il capitale. I primi sono molti, i secondi pochi. Però detengono la quasi totalità della ricchezza disponibile.

Negli ultimi decenni la ricchezza è passata di mano per ragioni varie, soprattutto a carattere giuridico e fiscale, sull’onda delle idee economiche neoliberiste.
Ne consegue che il capitale ha messo in atto, con la globalizzazione, una strategia particolare, onde innescare con dell’altro capitale una guerra finanziaria tesa ad assoggettare il più debole.
Il capitale, perciò, ha esaurito il suo fine economico di propulsore dell’economia, trasformandosi in Alta finanza, onde essere maggiormente “mobile” e migrare velocemente dove la convenienza sia maggiore.
L’informatica e la rete telematica hanno favorito questo processo, collegando in tempo reale mercati e investimenti. Per cui pure la finanza si è trasformata da entità quasi individuale e locale a gruppo giuridico internazionale, quasi anonimo e più potente degli stessi grandi stati.
Pure il “prodotto” si è evoluto, diventando da materiale a virtuale.
Questo processo ha quasi estinto la radicazione dell’azienda/individuo sul territorio, creando di conseguenza un distacco tra la democrazia e il capitale.
Portando il tutto al paradosso si potrebbe dire che il detto di Marxla proprietà è un furto” s’è evoluto in “la finanza è un abuso e crea schiavitù”.

L’Alta finanza, non essendo più produttiva, è diventata essenzialmente speculativa. E siccome la lotta speculativa non avviene con la concorrenza sul prodotto materiale, bensì su quello finanziario, è ovvio che  quella più potente sia in grado di investire più risorse per assoggettare quella più debole.
Da questa lotta tra grandi finanziarie ne sortiscono vinti e vincitori, di cui la Lehman Brothers fu la prima vittima illustre sacrificale. Ma, come tutte le guerre, tutti hanno dei costi tali che l’assoggettare produca necessariamente grosse perdite ovunque.

Monetarismo e rigorismo hanno in sé il seme pernicioso del circolo vizioso. Questo circolo vizioso è il corto circuito che si crea tra stati e finanziarie.
Sicché i primi emettono titoli per finanziarsi, sottoscritti dalle seconde; le quali quando sono in difficoltà ricorrono  al primo per farsi finanziare o essere salvate.
Chi paga i danni di questo mal’affare? Il contribuente/cittadino, ovviamente, che per somma ironia ne è pure scavalcato democraticamente, perché le esigenze della finanza sono ritenute preminenti a quelle del singolo.

Rigorismo e monetarismo, neppure abbinati saggiamente tra loro, potranno risolvere la crisi attuale se non si riuscirà a regolamentare in modo diverso il mercato, sottoponendolo a regole precise che facciano diventare il capitale un investimento e non un degenerante mezzo di speculazione.
Perché è ovvio che l’Alta finanza non sia contro gli Stati, ma che si avventa su di questi con la speculazione per svuotarli delle loro ricchezze.
Per cui, privandoli delle ricchezze, li prona alle sue esigenze.
Ne consegue che la Democrazia diventa un elemento manipolato dai media, braccio armato dell’Alta finanza, che con il terrorismo finanziario mediatico prona il popolo alle sue scelte.
La lotta sul Fiscal cliff è solo un intermezzo di questa guerra, anche se gli attori che la combattono non se ne rendono completamente conto. Sono, tuttavia, uomini di quel sistema che là li ha imposti, finanziandone la loro ascesa politica. Non solo negli USA, ma pure nell’Ue.



[2] - Per approfondimenti vedere: Obama, Petraeus e il Fiscal cliff.

sabato 22 dicembre 2012

Natale 2012.


Carissimi Amici e Lettori,

sicuramente l’anno che volge al termine è stato particolare per tutti, visti i gravi problemi che hanno investito la nostra società: recessione, disoccupazione, tasse a iosa, incapacità dei politici – e dei tecnici - di risolvere i cronici problemi che ci affliggono, e - non ultimo - il malcostume politico (ruberie e abusi) in tutti i partiti, che ha creato disorientamento e profondo turbamento nel cittadino.
Non sono i segni del tempo, ma la fotografia di una “casta” capace solo di usare la res publica per il proprio tornaconto.
Perché anche là dove l’onesto ancora risiede in Parlamento, è ovvio che o sia cieco, oppure taccia per quieto vivere. E anche quando alza la voce … nessuno lo ascolta.

Tuttavia siamo di nuovo a Natale.
Un Natale che dona sempre speranza e gioia a tutti, specie a chi sta nelle angustie, nelle difficoltà e nei dolori. È un giorno particolare di grande festa.
Si spera sempre in giorni migliori, perciò in una vita capace di farci rinascere di nuovo, giorno dopo giorno, in un … mondo (realtà) diverso, pieno d’uguaglianza, d’amore e di tanta felicità.
Natale è la Speranza che si fa certezza. Non solo nella natività storica del Figlio dell’Uomo, ma pure nel nostro essere nati e nel saper ogni giorno rinascere diversi, possibilmente migliori.

Per me è un Natale particolare.
Innanzitutto perché è stato un anno tribolato che ha ricalcato il precedente. Poi perché una malattia velenosa cerca di farsi largo nel mio fisico.
Per cui, siccome solo Dio sa il nostro futuro, spero che questo mio augurio non sia l’ultimo che vi possa fare.

Quest’anno vorrei rivolgermi agli ammalati, specie a quelli gravi. Di qualsiasi tipo.
A loro, con molta serenità e gioia, indirizzo il mio incoraggiamento a continuare a vivere, perché pure la malattia è vita: una vita molto importante da salvaguardare e valorizzare, una vita che val la pena di continuare a vivere lottando.
La malattia non è un peccato da nascondere, né una colpa. È solo una realtà temporanea del nostro essere uomini. Spesso è un parametro importante del vero Valore dell’Uomo.

Già circa dieci anni fa mi fu detta una parola terribile: Neoplasia.
Il luminare che mi stava davanti, vedendomi tranquillo e sereno, pensò che ignorassi il suo significato e con modi garbati indagò sulla mia conoscenza.
Si sentì rispondere: “Guardi che quando Lei succhiava ancora il ciuccio queste cose le studiavo già da molto.
Ora, un altro, ha cambiato parola, ma il significato non è molto diverso: Tumore.
Ho notato che in dieci anni, pur nella diversa sensibilità dei 2 professionisti, la comunicazione è cambiata. Prima si usava un certo tatto nel comunicare, ora si emette rudemente una sentenza. Una sentenza che per molti può essere un trauma. È il frutto dell’evoluzione dei tempi e della coscienza culturale di tutti noi.
Eppure guarii; e sono sicuro di farlo pure ora.
Ho la certezza di vincere.
Questa certezza è la mia Speranza.
Non quella di voler credere che qualcosa possa cambiare, ma la virtù teologale che ti dà la consapevolezza che dentro di te hai le doti per risolvere i problemi, di qualsiasi tipo possano essere.
La malattia è un problema; un problema comunque da risolvere.

Un giorno morirò pure io, ma questo non è un problema. È solo una consapevolezza … scientifica.
E se la malattia attuale sarà più forte del mio fisico (volontà), non per questo mi sentirò sconfitto. Anzi.
Più volte nella vita mi sono trovato accanto alla morte; però non mi ha mai intimorito. La sua vicinanza minacciosa, quasi per assurdo, mi ha dato ulteriore certezza delle mie possibilità.

Ero tranquillo quando non sapevo cosa avessi. Lo sono ora che lo so. Non vedo perché non lo dovrei essere, visto che la situazione è sempre la stessa; è cambiata solo la conoscenza della malattia.
Però ho notato un “Natale” dentro di me: un modo nuovo di vivere con serenità e con gioia, diverso da prima, molto meno vincolato alle incombenze del mondo. Queste hanno ancora importanza, ma assumono il ruolo di mezzo utile a raggiungere un determinato fine. Si evolvono da traguardo contingente a semplice mezzo.

La scienza, la medicina e la chirurgia han fatto passi da gigante. Non sono più quelle di un tempo.
Perciò pure molte malattie che incutevano tremore sono oggi meno devastanti di un tempo. Con queste si può continuare a con-vivere a lungo in buona efficienza.
La miglior medicina psicologica è la serenità interiore del vivere, perché evita l’assillo mentale e le possibili conseguenze negative sul nostro futuro prossimo. Spesso, infatti, la possibilità ha poco a che fare con la reale probabilità.
L’evoluzione della ricerca è il grande Natale operativo dell’uomo, capace non di renderci eterni, bensì di donarci maggiore consapevolezza sulla realtà della nostra vita: una vita che sboccia con la fecondazione, esplode con il parto, si completa con la maturità e prosegue poi, dopo la morte, nell’aldilà.
Uno scorrere cadenzato proiettato verso l’eternità, intriso sempre d’amore.

È Natale!

E il Natale sia la Speranza dentro di noi: quella di continuare a vivere, a progredire, a migliorare  ed ad amare.
Perché se ciò avverrà nella nostra società, allora sarà più facile uscire dalla grave crisi in cui siamo, frutto soprattutto dell’egoismo e della bramosia di pochi, quelli intenti perlopiù a servire Mammona.
La crisi attuale è il “tumore” non della società, ma dell’oligarchia plutocratica della società. Quella che ha innalzato sul trono del governare la priorità assoluta della Finanza sull’Economia e sulla Democrazia.
Tuttavia ha contagiato con la sua metastasi evolutiva anche l’economia reale e la democrazia popolare. Per cui tutti soffriamo.
La crisi non è stata generata dal popolo, non da chi lavora per guadagnare da vivere, non da chi lo fa per far crescere meglio la prole. La crisi è stata generata dalle grandi finanziarie, perciò dalla speculazione selvaggia tesa a potenziare alcuni a scapito d’altri.

Se perdiamo la speranza non crediamo più nel nostro futuro: rinunciamo psicologicamente a vivere e, soprattutto, a lottare e a costruire.
Ci lasciamo sovrastare dalla malattia fisica o sociale.
Perdiamo il senso del Natale.
E nel perdere il Natale perdiamo pure noi stessi, abbandonandoci a quell’abulia del vivere, materiale e sociale, che è il vero tumore della nostra società.
Entriamo, di conseguenza, in quel lasciarci vivere condizionati da fattori manipolati, facendoci trainare dagli impulsi esterni. Quegli stessi che ci presentano il Natale come entità consumistica, che ci presentano non un Valore da vivere, ma solo un’opportunità di venale business.
In questo caso rischiamo di diventare oggetti e numeri, manovrati da altri. Perdiamo la nostra peculiarità fondamentale di Persona.

È Natale!

E il Natale è l’inno della Persona.
Quell’inno che non la pone al centro dell’Universo, ma che ne sancisce la sua basilare peculiarità di entità sociale intorno a cui deve ruotare tutto il resto al suo servizio.

Un caro, affettuoso e sincero Buon Natale a tutti!

domenica 16 dicembre 2012

Quale Premier per l’Italia?


Le elezioni ormai sono alle porte e le voci su candidature o già ratificate (Bersani), o già declamate ma non ancora certe (Berlusconi), oppure solo auspicate (Monti) si stanno sprecando.
La situazione è grave, perché chi dovrà prendere in mano le redini di questo disastrato paese, che è l’Italia, dovrà soprattutto fare una cosa: non sbagliare una sola mossa, pena andare tutti irrimediabilmente a fondo.

Seguo spesso per analisi il pensiero economico di Paul Krugman, nei giorni scorsi per nulla tenero col good boy Monti”. Definizione che non ha messo in dubbio la bontà dell’uomo persona, bensì che sottolinea – con boy - la sua totale incapacità ad essere un Premier adatto e utile alle disgrazie italiane: un premier ancora … ragazzo.
Giudizio cha fa il paio con il suo precedente e datato monito “Convertitevi peccatori!”, rivolto a quasi la totalità dei governanti Ue, Merkel in testa.
L’esposizione del ragionamento è maggiormente interessante se si considera che Krugman lo esprima su un giornale – New York Times, quotidiano che difficilmente pubblica testi contro la sua linea editoriale – che non solo sponsorizza da tempo Monti (vista la proprietà), ma che ne caldeggia pure la sua permanenza a Palazzo Chigi.

Il Debito sovrano nazionale ha, nel frattempo, passato di slancio i 2.000 mld di € (2.014 a ottobre), per cui di questo passo (oltre 10 mld al mese) alla fine dell’anno arriverà probabilmente quasi a 2.050 mld, portando il rapporto Debito/Pil nella forbice 126%/128%. Mentre la recessione si attesterà sul -2,5%.
Dati talmente preoccupanti che pongono l’Italia di fatto in un’economia sempre più velocemente avviata verso la morte: il default strutturale.
Risalire ad Adamo ed Eva (dopoguerra in avanti) per trovare le colpe di tutti servirebbe a poco, e neppure fermarci solo ad Abramo (Berlusconi). Perciò si prende drammaticamente atto che l’attuale Governo dimissionario non è riuscito a contenere il Debito, nonostante abbia prodotto un’imposizione fiscale abnorme.
Ne, facendo parte dell’Ue, a poco serve sottolineare che se il Debito è esploso in modo tale è dovuto per lo più alle quote associative atte a salvare (finanziare) Stati e banche perlopiù estere.
Il Debito c’è e è nostro da pagare. È un macigno che schiaccia sempre più l’economia, polverizzando il benessere a suo tempo acquisito.

La mia critica al governo Monti non è mai stata fatta sulla simpatia, o antipatia, per l’uomo, bensì all’impostazione economica generalizzata che pervade tutta l’Ue stessa: austerità e rigorismo penitenziale.
Da sempre, infatti, sostengo che il rigore di bilancio è necessario; ma che, comunque, non vada praticato a senso unico, pena l’affondare l’economia reale e andare in recessione. Non per nulla pure  la Germania è ora in stagnazione e avviata verso la recessione.
Perciò, visti i risultati, non posso fare altro che bocciare l’attuale Governo per aver fallito tutti gli obiettivi prefissati: sviluppo, utilità riforme, contenimento Debito, occupazione.
Bocciatura che ovviamente va estesa a tutte le forze politiche che lo hanno appoggiato, avendo approvato, obtorto collo, tutti i voti di fiducia senza saper ideare alternative politiche valide.
Non vi è stato, infatti, un solo provvedimento per cui Monti non abbia fatto ricorso alla fiducia.

Monti viene ora pressato da più parti perché entri nell’agone politico quale candidato premier, considerato che la Legge elettorale rimarrà il Porcellum. Ciò costringerà le forze politiche a coalizzarsi. Pena l’essere emarginate. O, per le minori, l’essere annientate per lo sbarramento.
Monti, per il suo neoliberismo economico, garantirebbe pure ai vertici Ue una certa continuità politica, che però a ben guardare farebbe soprattutto il danno del Popolo italiano. Non per nulla Hollande e Merkel auspicano tale passo. Mentre il Ppe ne sarebbe addirittura entusiasta.
Monti, tuttavia - come dicevo giorni fa[1] -,
è il garante della “costituzionalità finanziaria”. Visto che a ideare, scrivere e progettare quel programma sono gli stessi ambienti finanziari e istituzionali di cui da decenni fa parte.
Non è la Democrazia del Pubblico, bensì l’Aristocrazia finanziaria che si ammanta di democrazia.
Sarebbe pur vero che l’appoggio dei partiti  (forze) che lo candidano gli darebbe una patina di democrazia diretta per il voto. Tuttavia per il suo passato e per la sua linea economica fin qua perseguita resterebbe sempre tale.

Ammesso che accetti di candidarsi – come Premier, non come parlamentare essendolo già a vita –, nasce il problema con chi e come farlo. Con un’ampia coalizione in grado di unire il Centro alla Dx, Lega compresa come dice Berlusconi, oppure col tentare l’avventura con una sola coalizione di Centro (Casini, Fini, Montezemolo), potenzialmente minoritaria e quasi senza speranza nel paese?
Nel primo caso si avrebbe una coalizione potenzialmente vincente, ma poi sicuramente rissosa in legislatura. Si ripeterebbe a Dx l’esperienza politicamente fallimentare dell’Ulivo di Prodi.
Nel secondo, una forza utile solo a fare da supporto futuro alla debolezza numerica al Senato del possibile vincitore. Che, considerate le aspettative dei sondaggi, sarebbe la riedizione – post elezioni – dello stesso Ulivo, però ancora a Sx.
Comunque sia per gli elettori sarebbe difficile comprendere perché le 2 maggiori forze politiche (Pd e Pdl) possano sostenere ancora un Premier che, di fatto, hanno affossato per ragioni diverse.

Un piccolo interrogativo sorge nell’ipotizzare il grado d’apprezzamento che potrà avere una simile ipotesi nell’elettorato di massa, considerato che presso il ceto popolare – il più colpito dalle manovre montiane – il consensus è ridotto ai minimi termini.
Oggi l’elettorato è volubile e guarda ai risultati sulla base di come si vive; perciò considerando se c’è reddito, lavoro, benessere. Diversamente migra verso un’altra forza che è in grado di prospettargli ciò.
Analizzando i flussi elettorali di questo ultimo lustro si nota come i partiti maggiori abbiano perso o guadagnato parte del proprio elettorato per queste cause in breve tempo. Le stesse per cui Monti ha dilapidato il suo gradimento pubblico in un solo anno di governo.

Berlusconi tenta il riaggancio con la Lega, o candidandosi come Premier – pur con poche speranze – o facendolo tramite un suo uomo: Alfano.
Sempre che Monti non raccolga la candidatura offertagli. Quasi impossibile alle condizioni attuali, perché la Lega non lo accetterà mai.
Berlusconi, tuttavia, sia per età che per potenzialità non è più l’uomo anche solo di un lustro fa. È una persona logorata dall’età e da una vita intensa, pure deficitario sul piano fisico. Ha ancora dalla sua la potenza mediatica di fuoco delle sue aziende, però è ovvio che con l’appoggio al governo Monti la sua credibilità presso l’elettore sia quasi del tutto scemata. Senza contare poi le sue pendenze giudiziarie, tese - a ragione o a torto - a dipingerlo come uomo vizioso, amorale e fortemente … maneggione.
Più che l’uomo delle idee ha dimostrato d’essere solo un buon coordinatore e di non saper condurre da sé una valida politica economica, demandata a suo tempo al capace Tremonti.
Il suo ritorno sarebbe anacronistico in ogni senso; e in ambito Ue si troverebbe subito contro la dirigenza capitanata dalla Merkel.

Bersani, a sua volta, dopo lo scontato risultato delle primarie pensa d’essere già il vincitore, ma dalla sua non ha ancora neppure un programma e neppure una coalizione certa.
Grazie al premio di maggioranza otterrebbe il numero sufficiente alla Camera, ma difficilmente (o risicato) al Senato. Governare gli sarebbe problematico. Oltre al fatto che dovrebbe dimostrare le sue doti carismatiche soprattutto all’interno del suo Pd, dove la corrente renziana potrebbe creargli notevoli problemi con, non ultimo, una possibile scissione.
Bersani è uomo con cui si può dialogare, ma non un pensatore eccelso. È uno che ha fatto ed è cresciuto (vissuto) nella politica, ha ricoperto ruoli ministeriali, ma non ha mai dimostrato finora una statura carismatica e internazionale. È troppo vincolato alla vecchia dirigenza dell’ex Pc/Ds, senza il cui appoggio non farebbe neppure il segretario.
È, in sostanza, un buon dirigente organico della sx, assurto alla leadership soprattutto per il fallimento politico dei suoi predecessori. Ovviamente deve dimostrare ancora ciò che può valere. Potrebbe anche essere una felice sorpresa, come anche un fallimento annunciato.
È però l’unico che ha già una linea politica propria, non subordinata al quesito Monti.

Berlusconi rappresenta un nostalgico passato che vorrebbe ritornare, con Alfano quale possibile viceré nominale.
Monti, una linea economico finanziaria che ha prodotto disastri in tutta l’Ue, asservita alla linea teutonica del puritanesimo penitenziale luterano della Merkel.
Bersani il ragazzo di paese che ha agguantato i gradi di capitano più per carenza di alternative che per capacità propria. Ovviamente sarebbe, anche, quello capace di difendere lo status quo sociale, che però ha bisogno d’essere più rivoluzionato che aggiornato, sia nel welfare che nel finanziario.
I tre, finora probabili candidati, fanno parte di un’Italia che non si rinnova e che non è ancora in grado di recepire le istanze della gente e della nazione. Un’Italia ferma in idee e concetti su sé stessa, incapace di trovare e proporre un nuovo grande leader alla De Gasperi o alla Togliatti. Un’Italia occupata dalla … casta.

Le elezioni ci diranno sia il consensus che i “movimenti” emergenti potranno coagulare, sia la capacità dei partiti tradizionali di reggere l’impatto del dissenso sociale, ormai dilagante non solo nell’astensionismo di massa.
Perché è probabile che dopo le elezioni – nonostante il Porcellum – si assista ad una pericolosa frammentazione politica di tipo greco, incapace di dare un Governo stabile e omogeneo al Paese.
M5S di Grillo e lo stesso Manifesto 3L di Giulio Tremonti, in coalizione con la Lega, potrebbero essere gli outsider non tanto in grado di vincere, bensì di rendere difficile al possibile vincitore una maggioranza parlamentare granitica nei 2 rami del Parlamento.
Senza considerare il fatto che il programma completo di Tremonti sia, da una parte un buon e interessante progetto di una nuova società nazionale bilanciata tra economia e finanza, dall’altra la visione di una nuova Europa basata sulla democrazia popolare e non sull’aristocrazia finanziaria.

Le sorprese possono essere dietro l’angolo, positive o negative.
Per cui, scorrendo gli attuali candidati, non si vede ancora lo statista in grado di rilanciare l’Italia.
Le elezioni sono vicine, ma nello stesso tempo lontane; mentre la politica pare una falena impazzita che non sa su quale Re Sole puntare.
Per cui ciò che oggi appare scontato – come la vittoria di Bersani – domani potrebbe magari dimostrarsi il tallone di creta che fa crollare il Colosso di Rodi.


mercoledì 12 dicembre 2012

Lo Spread.


ovvero:

L’illustre sconosciuto di cui tutti ne parlano a ragione o a vanvera.


Lo Spread è una parola inglese che corrisponde al nostro termine italiano espansione. Perciò, considerato l’uso che se ne fa nell’economia di mercato, è un differenziale di rendimento che si calcola su un determinato prodotto: un interesse che si espande rispetto ad un altro, dunque variabile.
Relativamente allo spread italiano, di norma si cita sempre quello relativo al Bund. Abitualmente quello che confronta i rispettivi  titoli a 10 anni.
Lo si calcola in punti centesimali. Per cui se il suo coefficiente è ipoteticamente 100, significa che ha un rendimento superiore al prodotto di riferimento dell’1%.
Per comodità di ragionamento prenderò come riferimento appunto il Bund, Titolo sovrano della Germania.

Detto così in parole semplici sembra una cosa facile da capirsi. In effetti, è molto più complessa.
Infatti, lo spread, che viene continuamente menzionato dai media, non è il rendimento effettivo superiore del Titolo sovrano italiano su quello tedesco, ma ciò che risulta dalla compravendita praticata nel mercato mobiliare parallelo dei suddetti titoli.
Che significa? Che il titolo in oggetto può cambiare valore nominale non nel rendimento, bensì nel prezzo di transazione rispetto a quello dell’emissione.
È già questa frase può cominciare a diventare ostica ai più. Compresi molti … politici ... titolati.

Per comprendere bene la questione userò un riferimento ipotetico come esempio, onde facilitare il discorso.
Poniamo che oggi sia la Germania che l’Italia emettano un titolo a 10 anni. Che entrambe le nazioni lo emettano con  lo stesso importo e tasso di interesse offerto al sottoscrittore.
Perciò pongo un valore nominale di sottoscrizione di 100 € per entrambi, con un rendimento annuale dell’1%. Entrambi i titoli andranno in scadenza simultaneamente tra 10 anni.
Che significa? Che il sottoscrittore in  entrambi i casi riscuoterà 1 € annuo di interesse su entrambi i titoli emessi, che pagherà allo stato emittente l’importo di 100 € per il titolo stesso, che tra 10 anni renderà il titolo allo stato emittente riscuotendo lo stesso importo a suo tempo pagato di 100 €.
Perciò tra emittente (stato) e contraente (investitore) si stipula un contratto fisso sia sulla durata che sul tasso. Dall’atto della sottoscrizione gli importi non cambieranno mai; dunque lo stato pagherà sempre 1 € di interesse all’anno e alla scadenza renderà al sottoscrittore anche i 100 € di capitale.
In questo caso tra il Btp italiano e il corrispondente Bund lo spread sarà esattamente 000 (zero).

Poniamo ad esempio che il sottoscrittore del Btp abbia dopo 5 anni assoluto bisogno di liquidità e che perciò debba recuperare la somma di 100 € finanziata a suo tempo allo stato. Ovviamente, essendoci un contratto, non può pretendere dallo stato emittente l’importo versato, dunque deve rivolgersi a un terzo soggetto a cui il titolo può interessare.
Posto teoricamente che il sottoscrittore abbia in portafoglio sia il Btp che il Bund, dovrà trovare un acquirente, o due, in grado di farsi carico per altri 5 anni dei suoi 2 contratti.
Il mercato mobiliare prevede anche la trattazione di questi titoli.
Perciò abbiamo: a) mercato ufficiale tra emittente e contraente; b) mercato parallelo tra contraente e investitori.

Al mercato parallelo, però, il nuovo acquirente gioca sul prezzo. È disposto a rilevare il Bund pagandolo 100 €, ma non il Btp italiano. Per quello offre solo 97,5 €: prendere o lasciare. Questa è la migliore offerta disponibile.
Il sottoscrittore bisognoso accetta e cede entrambi i titoli.
Che succede ora? Per i 2 stati emittenti proprio nulla, come se la transazione non esistesse neppure. Continueranno a pagare entrambi il tasso pattuito alla sottoscrizione, e alla scadenza renderanno il capitale al nuovo possessore del titolo.
Perciò lo spread ufficiale tra i 2 titoli resterà sempre 000 (zero) come alla sottoscrizione.

Per il nuovo investitore, che ha rilevato il Btp pagandolo solo 97,5 €, le cose invece cambiano. Infatti, per i restanti 5 anni di contratto continuerà a riscuotere lo stesso interesse (1 €), però alla scadenza ne incasserà 100 (come da contratto) e non i 97,5 pagati al sottoscrittore. Ciò significa che per i 5 anni ancora di contratto avrà un utile di capitale di altri 2,5 €.
L’interesse effettivamente ricevuto sarà perciò non più per lui dell’1% annuo, bensì dell’1,5% (0,5x5=2,5).
Dunque lo spread tra il Bund ed il Btp al mercato parallelo nel momento della transazione ha assunto un nuovo valore di 50 ptb, corrispondenti esattamente a quell’0,5% annuo che riscuoterà in più per averlo pagato meno (97,5 invece di 100).
Così dovrebbe essere. Ma così, in effetti, non è!
Il nuovo possessore del titolo, infatti, riscuote sempre lo stesso interesse di 1 €, però non su un capitale di 100, ma solo di 97,5. L’importo da lui pagato.
Dunque, l’interesse che riscuote, pur essendo lo stesso di quello del possessore precedente, non è più per lui dell’1%, ma dell1,26%.
Perciò il reddito reale sul suo Btp sarà dell’1,76% annuo (1,26%annuo +0,5%x5 anni al riscatto). Quasi il doppio del possessore precedente.
Supponiamo, infine, che la vendita venga fatta alle stesse modalità al nono anno.
Perciò in tal caso l’interesse che si riscuote, pur essendo lo stesso di quello nominale del possessore iniziale,  sarà in realtà del 3,59% arrotondato. (100x1%=100+1=101; 97,5x3,59%=97,5+3,50=101).
In questo caso lo spread complessivo rispetto al Bund, che mantiene inalterati gli stessi parametri, sale perciò a 259 ptb.
Lo stesso discorso invertito può essere fatto su un Btp con le stesse caratteristiche, che però ha tasso ipotetico iniziale del 10% annuo e che perciò sul mercato viene quotato con valore superiore al valore nominale iniziale di 100. In questo caso la somma superiore, corrisposta dal nuovo acquirente al primo sottoscrittore, fa scendere l’interesse percepito alla stessa percentuale.

Una domanda sorge spontanea a questo punto: perché allo spread viene dato allora tanta importanza se per lo stato non cambia proprio nulla?
Le risposte sono diverse e mi limiterò unicamente alle 2 principali dopo aver fatto una premessa importante e doverosa.
Germania e Italia hanno grosso modo un Debito sovrano analogo: Italia 2.000 mld circa, Germania 2.100 circa.
Perciò se entrambe in via teorica avessero emesso per coprire il loro fabbisogno di cassa 2.000 mld di titoli nello stesso giorno e con scadenza a 10 anni, il problema dello spread ufficiale e parallelo non servirebbe a nulla, se non alla scadenza per un possibile rinnovo.
Siccome però quasi settimanalmente vengono emessi titoli sul mercato – o per finanziare aggiuntive spese di cassa, oppure per rifinanziare i titoli in scadenza – è ovvio che i nuovi titoli siano influenzati dal corso del mercato parallelo, perciò dello spread che questo indica. Diversamente il nostro sottoscrittore iniziale non potrebbe vendere, né l’acquirente del suo titolo avrebbe ragione di acquistare, non traendone alcuna utilità.
Ne consegue che lo spread rilevato al mercato parallelo influenzi notevolmente il tasso d’interesse che verrà poi corrisposto nell’asta. Diversamente, con rendimenti molto diversi, l’asta andrebbe deserta.
Fatta questa importante premessa si può passare alle considerazioni.

a)       Lo spread del mercato parallelo è un termometro, del titolo già emesso, che poi si riflette su quello ufficiale nel momento che viene emesso un nuovo titolo. Dunque ha una buona corrispondenza, anche se non sempre coincidente.
In pratica più l’interesse è basso più il paese emittente dovrebbe essere solvibile. La solvibilità non è però data dal solo importo complessivo del Debito, ma da altre ragioni: Pil, reddito procapite, risparmio privato, beni posseduti, riserva aurea, capacità produttiva, rapporto efficienza entrate/investimenti/costi, …
Diversamente Germania e Italia, avendo grosso modo lo stesso Debito, dovrebbero avere spread paritario 000 (zero).
b)       Il costo dello spread si riversa però anche sui tassi bancari che vengono fatti pagare alle aziende sugli affidi per qualsiasi ragione concessi.
Qua il ragionamento è semplice: lo stato pone più garanzie del privato. Perciò la banca o ha interesse a riscuotere un  tasso superiore dal cliente, oppure investe in Titoli sovrani.
Vi è però un piccolo inghippo procedurale, perché la banca può finanziarsi su 2 canali diversi: il primo cercando liquidità dal privato, il secondo ricorrendo a prestiti dalla banca centrale, perciò dalla Bce, la quale garantisce liquidità alle banche al tasso dell’Euribor 3 mesi, attualmente oscillante intorno allo 0,75%.
Un divario enorme sia sul rendimento dei Titoli sovrani italiani, sia su quanto la banca fa poi pagare anche ai clienti migliori. Infatti, al costo minimo iniziale (lo 0,75% Bce) viene aggiunto uno spread che ben che vada è uguale (raramente) o superiore allo spread indicato dai Titoli sovrani nel mercato parallelo.
Ne consegue che tra aziende tedesche e italiane vi siano costi finanziari molto diversi, in grado di favorire/sfavorire la competitività del prodotto finito di pari qualità.

Compresa l’importanza dello spread, vale la pena soffermarsi su alcune considerazioni non meno importanti.
La prima consiste nel rilevare che lo spread è spesso ballerino, cioè in grado di variare di molti punti in poco tempo o anche nello stesso giorno. Ciò indica che in realtà non è solo correlato ai dati macroeconomici del paese, ma soggetto ad altre valutazioni “umorali” che con la realtà economica hanno poco a che fare.
Questa variabile “impazzita” si chiama speculazione. Infatti, tra Germania e Italia non vi è in modo assoluto la giustificazione dello spread attuale oltre i 300 ptb, con punte che in passato hanno raggiunto anche i 600 ptb.
Perciò, tolto l’investitore retail che incide pochissimo nel volume di scambio, significa che vi sono grandi finanziarie in grado di condizionare il mercato, quindi di far salire di molti punti – o viceversa – il valore dello spread, immettendo sul mercato – o richiedendo – una grande quantità di titoli, spesso e volentieri con una leva esorbitante e allo scoperto.
Lo spread viene perciò manovrato spesso a piacimento, fidando soprattutto nel fatto che a difenderlo non vi è più una vera Banca centrale in grado di farlo.
La Bce finora ha operato saltuariamente solo con manovre di monetarismo spurio, perciò indiretto: a) con operazioni di quantitative easing in favore delle banche a tasso ridotto; b) con la minaccia di usare l’ESM Ue.
Operazioni che, comunque, non possono essere perpetuate nel tempo, anche perché la Bce non è attualmente una vera Banca centrale.

Dall’inizio della crisi – o forse non è un caso? – lo spread è stato usato soprattutto come arma mediatica di massa di terrorismo psicologico, sia per far accettare al popolo provvedimenti draconiani, sia per condizionare i Governi democratici (liberamente eletti) in carica. Perciò per imporre in una certa nazione o dei governi tecnici (Grecia, Italia), oppure per condizionarne le scelte economiche e finanziarie (Portogallo, Spagna, Grecia, Italia).

Berlusconi ieri lo ha definito a suo modo, cioè un “imbroglio” atto ad abbattere un governo che osteggiava una certa linea finanziaria, soprattutto tedesco centrica.
Dal canto suo Monti ha risposto indirettamente che lo spread è l’indice dell’affidabilità di un paese e dello stato finanziario del bilancio di una nazione.
Ovviamente entrambe le dichiarazioni hanno del vero se estrapolate dal reale andamento dell’economia e dall’uso improprio che l’Alta finanza fa dello spread nel mercato mobiliare parallelo.
Entrambe le dichiarazioni – visti i contendenti tesi a giustificare un determinato interesse – debbono essere considerate delle populistiche e demagogiche dichiarazioni … pro domo mea.

Tralasciando il merito della diatriba tra l’ex Premier e l’attuale, vale sottolineare che nessuno finora, né in ambito Ue né in ambito mondiale, ha provveduto a correggere le storture del mercato, in grado di portare, con la manipolazione dello spread, determinati paesi sotto attacco alla rovina. Di cui la Grecia[1] docet.
Il rimedio – sempre osteggiato dalla Merkel (Germania): Mai gli Eurobonds finché sarò viva! – sta proprio nell’istituzione di quegli Eurobonds di cui Jacques Lucien Jean Delors fu l’ideatore e propositore col suo lungimirante piano nel lontano 1993; ripresi, in seguito in ambito Ecofin, come baluardo e antidoto alla crisi dei paesi deboli, da Giulio Tremonti[2] nel 2003, allora ministro delle Finanze.
L’Eurobond per ora è rimasto però solo come unità di misura del TUS Bce.
Per cui non si può far altro che aggiungere che sono passati 20 e 10 anni inutilmente. Dannosi per quelli che hanno subito rovine e floridi per chi sulle disgrazie altrui ha speculato assai.
Anche se la Merkel non accetta campagne elettorali populiste contro la Germania. Ma, tant’è, che tutti la contestano; molti anche nel teutonico Land.
Come a dire: il populismo è di casa … quasi ovunque, specie dove l’interesse nazionale vuol’essere sempre egemone su quello comunitario.