sabato 29 novembre 2008

À la recherche du temps d'école.

(Ricordi della “squola”)

Voi dite che c’è un errore nel titolo?

No! È esatto, perché l’ho sempre scritta così. Difatti la maestra mi dava sempre “O. S.”, ch’io e i miei genitori intendevamo, fieramente, “Ottimo Scolaro”.

Al nono anno di prima elementare non capivamo perché io fossi sempre in prima e gli altri alle … superiori. Le chiedemmo spiegazioni e ci disse che equivaleva ad “Ottimo Somaro”.

Al momento non capimmo bene anche perché avevo solo due gambe e neanche la … coda, neppure di paglia; poi ce lo spiegarono altri, e qua finì la mia carriera scolastica.

Dopo alcuni decenni conobbi Gianni Z…, che in comune con me aveva qualcosa. Aveva fatto per 10 anni la prima, e per questo ricevette pure un premio per il record raggiunto: gli diedero tanto di passaporto e lo inviarono in Svizzera a lavorare!

Sicché, essendomi fermato al nono anno e non avendo battuto il suo record nazionale … rimasi senza … premio.

Poi giunse il tempo del militare e mi inviarono con gli alpini come conduttore di … muli. Pensavano che tra quadrupedi ci si potesse intendere, data l’affinità parentale.

Io non potevo soffrirlo; e lui, il mulo, invece mi s’era affezionato e mi seguiva ovunque. Forse m’aveva preso per un’asina; ma essendo un mulo non si poteva addossargli … colpa alcuna.

Sicché il Signor Capitano, vedendo la mia idiosincrasia per la bestia e le nostre … beghe sui sentieri alpini, era solito dirmi: “Sei un gran salame!”.

Ovviamente da noi il salame lo si fa buono, per cui, essendo il salame buono, ne andavo assai fiero; ed ero felice pure quando i commilitoni me lo ripetevano.

Infine mi congedarono e, accomiatandomi, il Signor Capitano mi disse: “Sam, non sa quanto sono felice di non avere più tra i piedi un salame casinista come lei!”.

Forte dell’esperienza scolastica precedente stavolta capii velocemente, anche se tardi.

Solo il mulo “ragliò” divertito e immalinconito per la mia partenza!

Poche tempo fa, appena dopo il D.L. 137, mi giunse il Beppe, noto cameraman professionale, per intervistarmi su dei datati ricordi “squolastici”.

Il Beppe, da tutti conosciuto solo così, è un tipo timido anche se per la sua professione non si direbbe.

Ha una collezione notevole di maglie di moltissimi giocatori di calcio di Serie A, compresi tutti i campioni; maglie autentiche, ovviamente, che gli sono state donate dai giocatori stessi.

Lui non è molto alto, fa spesso jogging, capelli lunghi scuri alla … femminuccia con barba e … mamma giunonica e alta due spanne più di lui. Tradotto il tutto in percentuale lui è il 50% di Franchina.

Alcuni amici si chiedono, ridendo, perché tutti la chiamino così e non … Francona.

Venne e mi disse: “Sam, tu sei forte e vorrei intervistarti sui tuoi ricordi di scuola!

Ovviamente il vedermi davanti tale aggeggio (telecamera) mi mandò su di giri e pensai che forse sarei diventato … importante e … famoso: doveva essere il mio colpo della … fortuna. Perciò accettai di buon grado.

Cominciò così la mia ora di … gloria!

B: Ti ricordi della tua maestra?

S: Certo! E come non potrei?

B: Me la potresti descrivere?

S: Ovviamente! Era minuta, circa 155 cm, carina, capelli neri con pettinatura a caschetto, sempre elegante con gonna scura che gli copriva le ginocchia; non l’ho mai vista con i pantaloni.

B: Com’era con voi ragazzi?

S: Come una mammina; sempre disponibile e attenta a che non combinassimo pasticci. E per premiarci ogni tanto ce li portava lei; per cui noi anche solo con uno ciascuno eravamo al settimo cielo. Sai, Beppe, erano tempi in cui si era felici con poco!

B: Allora ti ha seguito per 5 anni?

S: No! Per 9!

B: Non capisco! Come mai 9 se le elementari sono 5?

E qui cascò l’Asino. Mi ingarbugliai un po’; ma mi ricordai del mulo ch’era più intelligente di me e, per prender tempo, feci finta di non capire. D’altronde ero davanti alla telecamera e non potevo fare una figura barbina come in passato con “O. S.” e “salame”.

S: Sono sicurissimo e non mi sono sbagliato! L’ebbi per 9 anni di fila!

B: Scusa, ma qualcosa non quadra. Non voglio contraddirti, ma solo capire. Se le classi sono 5, come ha potuto essere con te per 9 anni?

S: Perché era talmente brava ed affezionata a noi che mentre faceva la maestra studiava ancora. Per cui dette gli esami e passò professoressa salendo di grado. Perciò: 5 da elementari, 3 di medie e 1 di ginnasio. Poi si sposò ed andò ad abitare altrove, per cui ottenne il trasferimento.

B: Grazie! Ora capisco! Insomma: sei stato soddisfatto di lei?

S: Certo! E come non avrei potuto esserlo con una tale brava maestra?

B: Capisco! Ora dimmi: sai cos’è il 137?

S: Come non potrei? 1 sono io, 3 siamo in famiglia e 7 i giorni che debbo lavorare per mantenerla!

B: Io intendevo il nuovo decreto ministeriale; ne sai qualcosa?

S: Non mi sono mai interessato delle cose più grandi di me!

B: Te lo spiego brevemente: prima si davano i giudizi ed ora si daranno i voti. Condividi?

S: Sinceramente avendo sempre avuto il giudizio “O. S.” avrei preferito che si proseguisse con il giudizio; ma essendo fuori da tempo mi sta bene pure così?

B: Scusa Sam: mi hai detto “O. S.”?

Mi accorsi in tempo che l’asino era cascato nuovamente, ma con freddezza superai la defaillance all’istante.

S: Certo, proprio così! O sta per ottimo; poi devi sapere che lei dopo il voto metteva sempre le iniziali del nostro nome, per non confonderci con altri quando li leggeva. Perciò significava: Ottimo Sam!

B: Capisco! Senti, vi insegnava pure canto?

S: E come no! Noi seguivamo Carosello perché, allora, poi ci mandavano a letto. Per cui avevamo una predilezione particolare per una canzoncina.

B: Me la potresti dire?

S: Le stelle sono tante milioni di milioni, la stella di Gelmoni vuol dire … qualità!

B: Forse ti sbagli e volevi dire Negroni!

S: Ora che me lo ricordi sì! Sai, sono passati tanti anni e i nomi non sono stati mai il mio forte.

B: Cantavate pure anche altre canzoni?

S: Certo; però tante le ho dimenticate.

B: Ne ricordi un’altra e cosa diceva?

S: Una sì; però non ricordo più la musica! Diceva: Stella, stellina, tu sei la più piccina e brilli sempre come una lucciolina; e nella buia notte sei la nostra bella lucina e sempre sei a noi assai vicina!

B: Sam, sei sicuro di non sapere nulla del D.L. 137? Sai, mi pare che ti voglia prender gioco di me e del telespettatore!

S: Ma se te l’ho detto prima cosa mi ricordava tale numero.

B: Ora dimmi: andresti ancora a scuola volentieri con le maestre attuali?

S: Certo, anche perché oggi mi paiono molto meglio e meno castigate di un tempo.

B: Insomma ti piacerebbe tornare bambino e sul banco di scuola?

S: Bambino no, sul banco di scuola sì! Infatti, troverei bello essere preso in braccio da una giovane e bella maestrina per essere coccolato e vezzeggiato. A te no? Però, scusa, dimenticavo che tu hai già Franchina.

B: Cambiamo discorso! Il cognome Gelmini non ti dice niente?

S: Veramente no! Mi pare il diminutivo di Gelmo. Non è che per caso sia sua figlia?

B: Ma tu, scusa, non guardi la televisione?

S: No, Beppe, e per un semplice motivo: non ce l’ho!

B: Allora vorresti farmi credere che tu sei uno di quelli che non la guarda? Mi vuoi fregare? Tutti ce l’hanno e la guardano.

S: Io no! Se vuoi puoi venire a rovistare in tutta la casa. Lo faccio perché la mia brava maestra diceva sempre: “Bambini, guardate poco la televisione; che poi vi crea problemi agli occhi e vi rimbambisce il cervello!”. Ed allora ho sempre dato retta al suo insegnamento. Diversamente come avrei potuto prendere sempre “O. S.”?

B: Mi sa che per oggi basta. Grazie della collaborazione, Sam!

Passano alcuni giorni e la trasmissione va in onda. I conoscenti mi fermano per strada e si complimentano con me.

Incontro pure un coetaneo che mi saluta, ride e mi dice:

Scusa, Sam, ma noi non avevamo per maestro Don Giovanni? Non ti ricordi? Perché hai descritto così bene la tua maestra se lui era un prete?”.

S: Che vuoi che ti dica? Sono passati decenni e non me lo ricordo affatto. Poi col Beppe davanti, che ha i capelli lunghi, la telecamera, le luci e … l’emozione forse sarò andato in tilt. L’avrò scambiata con quella dell’asilo o del … catechismo.

Detto ora, dopo averci meditato: forse ho meritato ancora O. S., forse mi sarò sbagliato o, forse, l’età mi starà facendo un brutto scherzo con la memoria.

Sarà stato uomo o donna?

Ma, allora, eravamo tanto tonti che mangiavamo ancora i … cavoli, per cui tutto è possibile, compreso il confondere il maestro con la maestra. Entrambi, dopotutto, portavano la … gonna!

Per cui tutto è possibile.

Maintenant il me vient un doute atroce: j'aurai fait pour 9 ans la premier élémentaire ou je me trompe aussi sur celui-ci? Peut-être comme elle sera allée ?

giovedì 27 novembre 2008

Grazie! Sono stanco di ascoltare!

L’amico Giuseppe nel suo ultimo blog (http://giuseppesbardella.blogspot.com/2008/11/dialogo-interreligioso-impossibile.html) sembra chiedere il mio aiuto con la sua postilla dedicatami.

Dopo essermi burlato di lui con un commento, cerco di esaudire la sua richiesta con questo articolo pubblico, dato in risposta ad un altro articolo pubblico, nel quale ero stato erroneamente e involontariamente coinvolto.

Come si vede è assai datato.

Per essere esauriente ho voluto lasciare pure le note (identificatrici) che avevo allora inserito per gli amici.

Credo che sia sintomatico di come quella, che Giuseppe chiama la Gerarchia, vada spesso involontariamente e in buona fede fuori percorso, avendo smarrito il legame con la realtà.

Ovviamente non è inerente al contenuto da lui trattato; lo è, tuttavia, nella modalità esecutiva.

Sono passati molti anni da quell’articolo; tuttavia chi ha la memoria buona ne può trarre le dovute conclusioni.

Il Prete, ovviamente, non era uno qualunque.

Ho lasciato i layout dell’articolo originale.

Buona lettura a … tutti!

Risposta all'articolo pubblicato il 06-05-96 dal titolo

«Basta parole, la predica non c'è più»

«Grazie! Sono stanco di ascoltare!»

Caro Un Prete, la tua lettera anonima, se ne volessi fare un'analisi, la definirei una bella, emblema­tica, provocante e concisa Omelia di sociologia settoriale moderna.

Ma non è per questo che ti voglio rispondere: come uomo, come cittadino e come fedele.

E neppure voglio entrare nei meriti dei tuoi problemi accennati, ma esporti la mia - o quella di molti altri - problematica contraria.

Sono stanco di ascoltare! Sarà perché sono un pessimo fedele; sarà perché, forse, sono la canna sbattuta dal vento; sarà, infine, perché, ovunque mi giri e ascolti, sono frastornato nelle mie idee e convinzioni da continui valzer concettuali. Voglio essere libero di credere, di agire, di decidere, di vivere con sicurezza, con decoro, con decenza e, se mi è permesso, ... anche con Carità, là dove il voglio è la corretta coerenza etica culturale: Voglio la libertà di dissociarmi cristianamente!

E' vero: siamo due poveri diavoli! Ma poi scopro che diavolo[1] è divisione, mentre nella Chiesa non vi può essere divisione ma unità. Potenza delle parole e sublimità della cultura!

Ma giacché sono anche la canna sbattuta dal vento, posso benissimo essere anche un povero diavolo, radi­cato solidamente al suolo della terra (= delle problematiche inerenti il vivere quotidiano) e costretto ad inchi­narsi al vento delle parole: tu devi... , tu devi... , tu devi; sarà poco cristiano, ma è comunque sempre un modo di essere uomo. E non mi importa se uno pensa di contare molto, o poco, anche se posso essere un cristiano della tradizione, un liofilizzato[2], o, magari, anche uno scritianizzato.

Nessuno mi dice mai: così devi. Pensi che bello: ascoltando le omelie del maestro(?) risolverei le mie pro­blematiche quo­tidiane.

Voglio essere sincero: prego poco, nonostante i continui inviti, anche perché la miglior preghiera è per me l'azione. Non ne sento molto lo stimolo, specialmente se la giornata devo passarla a risolvere i problemi di operaio o di impiegato in azienda, o, come titolare o dirigente, cercare di mandare avanti una ditta, grande o piccola che sia. E ciò non per nuotare nel benessere, ma per vivere con decoro e decenza e provvedere, grazie al mio lavoro, anche alla carità. E così, al ritorno a casa mi sento stanco, talora spossato, incapace, anche volendo, di trovare le energie per partecipare alle innumerevoli conferenze della parola del cristiano praticante, nel tentativo concreto di gestire quelle poche forze rimaste per gli immancabili problemi familiari che ogni giorno sorgo­no in una famiglia e che mi coinvolgono come educatore.

E se poi mi sento dire nell'omelia che sono egoista, sia dal pulpito materiale che dalla televisione, allora faccio la canna sbattuta dal vento: voto come voglio, decido come voglio, mi gestisco come voglio, ma molto di più ... mi tappo le orecchie come voglio. In compenso non ho paura né di soffrire, né di sbagliare, né di morire, né di dannarmi.

E già: voto come voglio. Sempre, sin da quando ero piccino, mi son sentito dire il tu devi idealista, ma aven­do memoria lunga ricordo anche che, un tempo, votare in un determinato modo equivaleva a mezza scomu­nica; ed anche, ricordo, che per decenni i cittadini sono stati invitati a votare per un determinato gruppo, il cui risultato civile e penale è oggi sotto gli occhi di tutti.

Similmente, un giorno, apprendo che Tizio[3], giocando con il database del suo PC, vuole scoprire quante volte Caio[4] ha usato la parola solidarietà, rendendo pubblico l'encomiabile risultato di si scientifica ricerca.

Anche tu, caro Un Prete, affermi "...predicano sopratutto solidarietà e la gente rivendica sopratutto dirit­ti...". Non vuole essere un rimprovero, ma i diritti non sono insindacabili doni della Divina Provvidenza, ma la base ineludibile di un vivere civile senza i quali una società è, e rimane, uno stato barbaro e incivile.

Ma, a meno che si parli ancora dell'irascibile Dio Canaanita del Pentateuco (a proposito: che bella saga dei tempi passati - dove adorami, prostrati, sacrificami, ubbidiscimi, ti stermino, ti castigo, devi fare questo, non devi fare quello, devi mangiare questo e non quello, devi andare in guerra, devi tornare per 38 anni nel deserto, ... e via dicendo, era forse a quei tempi un grande modo per essere Santi sterminando material­mente e integralmente i popoli di Og e di Esebon, gli Amaleciti, i Cananei, gli Etei, gli Evei, i Ferezei, i Gergesei, gli Amorrei e i Gabusei, ma sinonimo di barbara convivenza civile e di inesistente solidarietà -) ritengo che Tizio occuperebbe assai più cattolicamente il suo tempo di giochi scoprendo quante volte Cri­sto nei Vangeli parli di Solidarietà, e quante altre invece parli di Carità: il risultato sarebbe molto, molto inte­ressante.

E se poi Sempronio[5] mi propone, per vivere cristianamente, la filosofia della Progettualità, ma trovo che questa non è altro che la stessa filosofia civile che ha portato al consociativismo - con i danni civili annessi e connessi - e la stessa che ha riunito sotto la sua bandiera forze disparate laiche che hanno voluto e portato al successo elettorale il divorzio e l'aborto - per rimanere lontani nel tempo -, ecco che, allora, sono maggior­mente colto dai dubbi, anziché essere illuminato, sulla risoluzione del mio vivere da cittadino e da cristiano.

Se poi scopro che fino a pochi mesi fa essere federalisti equivaleva ad essere egoisti[6], mentre ora ciò sembra la panacea risolutiva di tutti i mali (non ho ben capito se civili o religiosi; mi si permetta, data la mia igno­ranza, di capire la distinzione tra politica e religione), allora ecco che sono maggiormente stanco di ascol­tare.

Tra uno dei libri biblici sapienzali ben starebbe questa frase di Habsburg: “La storia è piena di collusioni tra reli­gione e politica, sin dai tempi in cui Giove si divertiva a fare le corna a Giunone.(nota integrale dell'autore - Giove dirigeva gli dei, Giunone curava la casa degli dei; il politico dirige il popolo, il popolo con il la­voro mantiene in piedi lo stato; il clero conduce e gestisce la Chiesa, il credente forma e sostiene econo­mica­mente la Chiesa.)”.

E' vero: fare il prete oggi non è facile; ma, mi si permetta: neppure fare il fedele. Certo è che se il Pastore (non il semplice prete; "P" maiuscola) rimane, nel suo integralistico contare molto[7], lontano dalle esigenze e necessità del gregge, mentre le pecore si evol­vono rapidamente, ecco che allora può risultare che uno faccia i cavoli suoi o che tutti hanno votato Bossi (non esageriamo! - per questo c'è già lui!).

Eppure, caro Un Prete, sarò pure una canna sbattuta dal vento, nell'al di là certamente sarò un dannato e, sicuramente, molti pastori saranno Santi; ma una cosa è sicura: Sono stanco di ascol­tare!

Certo che se è vero che gli ultimi saranno i primi, e i primi gli ultimi, nell'al di là, noi, poveri diavoli, ne vedremo delle belle e, perché no, forse incontreremo tra i Santi anche un Arnaldo, un Galileo, un Savonarola... .

Ma, caro Un Prete, piccolo ed indifeso soldatino nero di un esercito in continuo aggiornamento parolaio, non lo dica ad alta voce: potrebbe essere fucilato, seduta stante.

Un fedele - Sam Cardell



[1] - Mons. Tettamanti, arciv. Di Genova, in intervista pubblica seguente il consiglio pastorale CEI “ … qua non vi è un diavolo perché diavolo è sinonimo di divisione. E nella Chiesa non vi è divisione, ma unicamente Unità!”

[2] - Giovanni Paolo II durante l’omelia durante la visita pastorale a Como. “ … Qua (al nord e specialmente a Como) il cristianesimo sta perdendo le sue caratteristiche peculiari. La maggioranza dei fedeli non condivide più gli ideali e le direttive ecclesiali. Il benessere crea fedeli liofilizzati e scristianizzati.”

[3] - Card. Carlo Maria Martini

[4] - Giovanni Paolo II

[5] - Card. Camillo Ruini al convegno di Palermo

[6] - Card. Camillo Ruini in pubbliche interviste

[7] - Giovanni Paolo II, a Como, in merito al fedele che deve recepire diligentemente le direttive episcopali e pontificali, poiché i vertici della Chiesa “contano molto” essendo pastori insigniti da Cristo tramite lo Spirito Paraclito.

mercoledì 26 novembre 2008

Immanenza e trascendenza nel cattolico.

L’articolo precedente, L'insipienza di certi "cattolici". - Parte I° e II°, mi ha fatto pervenire alcune mail interessanti, specie nella richiesta di chiarimenti.

Un lettore che afferma d’essere un sociologo cattolico, così mi scrive:

... devo ammettere che i suoi articoli spesso mi mandano in crisi esistenziale perché colpiscono profondamente il mio abituale modo di vivere.

Spesso sono talmente spaesato che debbo rileggere più volte per capire le mie contraddizioni; eppure ho sempre vissuto nella convinzione d’essere nel giusto, anche perché la formazione dottrinale che la Chiesa mi ha trasmesso è la linea guida della mia vita. Vi sono bagliori di pensiero che

Gradirei che lei approfondisse ulteriormente il discorso originato dalla sua sintetica frase “Ciò che ne discende è, perciò, un susseguirsi immanente e mai trascendentale” nel rapporto tra politica conservatrice e riformista; o meglio: nella differenza valoriale che porta un politico cattolico a schierarsi in una delle due formazioni.

All’amico lettore vorrei dire innanzitutto che non è il mio discorso che lo mette in crisi, bensì la sua incerta e incompleta fede.

Come, d’altronde, la formazione dottrinale che la Chiesa gli (mi) ha trasmesso fu percepita in modo imperfetto.

Non ho mai ritenuto, nella mia pochezza, di possedere un carisma apostolico, tanto più che non sono la “Chiesa”.

Posso pure convergere sul fatto che oggi (ed anche ieri) l’insegnamento catechistico sia lasciato alla buona volontà di alcuni (spesso teologicamente e dottrinalmente impreparati); tuttavia mi pare un obbligo etico, nell’adulto, l’approfondimento continuo e sistematico, per il semplice fatto che la verità raggiunta non è mai definita, ma sempre ulteriormente perfezionabile.

Il Cristiano è una Persona in cammino verso la Salvezza e la sua salvezza non può essere disgiunta da quella altrui; come il suo essere in Cristo è immanente alla Chiesa: l’essere cristiano, nella Carità, in una comunità e membra di un unico corpo! Se non si salva il corpo non si possono salvare neppure le membra.

Per essere membra bisogna sentirsi corpo unico e indivisibile! Perciò non vi possono essere distinguo e vie traverse; e la Chiesa, da parte sua, deve avere un cervello pensante in grado di formalizzare nella società la risoluzione delle problematiche insorgenti che affliggono e turbano la sua stessa Comunità, inglobata a sua volta, come testimone e luce, nella società civile.

Perché se non vi è Chiesa non vi può essere neppure Cristo, e se non vi è Cristo non vi è neppure salvezza.

Perciò il nostro operare sarebbe nullo e definibile come concetto esistenziale utopistico.

Se rapportiamo Fede a Carità comprendiamo pienamente perché oggi la chiesa abbia perso per strada il 70% dei fedeli in pochi lustri: perché questi valori non sono più percepiti e vissuti neppure nei praticanti.

Lungo sarebbe il discorso, che lascio al cattolico sociologo, sull’influenza che una filosofia fenomenologica ha arrecato nella Gerarchia ecclesiale, facendo diventare certi valori un puro trasferimento (commerciale) mediatico che, come tale, può essere preso (acquistato, condiviso, percepito) oppure rifiutato.

Essere cristiano non è semplice nel rispetto della dottrina, specie se valori portanti quali la Vita e la Famiglia vengono concepiti unicamente come diletto individuale. E, se mi è concesso, i nostri politici cattolici (alcuni) sono la dimostrazione pratica di questa incongruenza: difendo la vita e la famiglia sotto la croce, ma unicamente come oggetti e non come valori non negoziabili. Difatti di famiglie, come sottolineavo in L'estinzione dei dinosauri., ne hanno formate nella loro vita più di una.

Pare spesso che la teologia di Dio è morto sia diventata, da interrogativo esistenziale escatologico, una realtà pratica. Perciò ci si raccorda alla religione/Chiesa come ad un’ideologia culturale, e non più come ad una certezza salvifica esistenziale. In pratica come ad una mera formula morale esistenziale.

Dio non è morto nella realtà, ma è morto nelle coscienze: si pratica ciò che è utile e non ciò che è naturale alla legge divina!

Basti pensare all’idea di alcuni politici cattolici sulle devianze sessuali: il noto Dico finito poi nel cassetto.

Qua, credo, che bisogni distinguere tra società civile e comunità religiosa, per comprendere appieno le forzature che la coscienza politica di alcuni tende a fare.

Infatti, non discuto minimamente il “diritto” di una comunità nazionale, nel rispetto democratico, di ideare la regolarizzazione legale di alcune devianze o situazioni, perché la società Chiesa può essere minoritaria nella società nazionale. Negli States, ad esempio, i cattolici sono nettamente minoritari nella società e, nella pratica, pure da noi.

La Chiesa, civilmente, è una branchia della società e non la società.

Quello che è aberrante è che alcuni cattolici, seppure in veste istituzionale, anziché contrastare nel rispetto democratico certe leggi contrarie alla dottrina, ne siano addirittura promotori o collaboratori fattivi.

In pratica si ammette la forzatura che l’essere cittadino di uno stato sia prioritario ad essere membro della Chiesa. Con ciò, ovviamente, si abdica alla Salvezza ponendo la coscienza non al servizio dei Valori non negoziabili, ma a quello dell’utilità egoistica della società.

Ne consegue un interesse esclusivo al “fenomeno” singolo civile, appunto in una filosofia che fa come punto centrale della propria ideologia i vari fatti ed avvenimenti fenomenologici.

La Chiesa ha una sua Teosofia democratica che deve essere rispettata e condivisa da tutti i credenti; la Società ha una democrazia (imperfetta) proporzionale che tiene conto di tutte le varie entità sociali.

Restringendo il concetto possiamo tranquillamente affermare che: la Chiesa è un’entità dogmatica fondata sulla Verità, la Società un agglomerato sincretico di valori che tendono a rispettare la convivenza nel diritto di tutti.

Il diritto del Cattolico dove sta? Ovviamente nella Società; ma nella convinzione che questa gli garantisce il diritto a privilegiare come prioritaria la convinzione confessionale immanente alla sua coscienza.

Perciò la Chiesa è la sua fonte di Sapienza e per nessun motivo può derogare a questa imprescindibile convinzione.

Quando lo fa si pone automaticamente fuori della Chiesa; ed allora il suo comportamento è dovuto non più ad una vita Ecclesiale, ma solo ad una matrice ideologica esistenziale di tendenza cristiana.

E le tendenze hanno i rivoli culturali permissivi: vie di fuga che permettono di assecondare il proprio interesse, quindi il proprio egoismo (divorzi, aborti, eutanasia …).

Detto così sembrerebbe che la Chiesa sia una comunità fustigante tesa a impedire il piacere, quindi la gioia che è la base della nostra esistenza. In pratica un insieme di tanti imperativi categorici tesi a limitare la libertà individuale.

Per comprendere appieno questo facile e comune errore dialettico, insito nella mentalità culturale moderna, ci può essere utile il soffermarci sul concetto häbsburghiano di Voldere: il volere il dovere!

Egli afferma che tanto il credente, quanto il cittadino, per essere realmente soggetto/persona debbano avere la convinzione culturale di volere il proprio dovere come desiderio gioioso atto a esplicare tutta la loro potenzialità umana e sociale.

Il dovere, dunque, non subìto, bensì compreso come obbligo interiore inalienabile per raggiungere la perfezione e la felicità.

Interessante sarebbe poterci addentrare nella dialettica esplicativa che tratta dell’amore coniugale, della donazione e della necessità della famiglia nel voldere; ma ciò ci porterebbe assai lontano.

Sintetizzando il concetto:

L’attrazione sensuale porta all’amore; ma questo amore, per raggiungere la completezza, ha bisogno della donazione reciproca che lega indissolubilmente i due coniugi, perciò conduce obbligatoriamente alla famiglia. Ciò porta con sé dei doveri; e l’analisi preventiva e cosciente di questi porta l’uomo/donna ad accogliere questi doveri come propria volontà di donarsi all’altro nell’amare. Ecco, perciò, diventare l’obbligo verso l’altro un dovere gioioso e piacevole del donarsi, onde raggiungere la perfezione coniugale nella felicità. Il volere il proprio dovere come sine qua necessario alla felicità perfettiva continua e progressiva nella vita coniugale.

Traslando questo concetto nella Chiesa o nella società si raggiungono, nell’individuo maturo e cosciente, gli stessi risultati, sia nel rapporto ecclesiale dell’essere comunità in Cristo, sia nell’essere cittadino consapevole e convinto in una nazione.

Ed ogni obbligo che ne deriva, se compreso, accettato e condiviso, non può che portare il soggetto/persona a scegliere il dovere come percorso individuale atto a raggiungere il fine prestabilito.

Ovviamente vi è una certa sostanziale differenza tra l’essere un fedele/cittadino che segue le direttive dottrinali/statali senza discuterle (imperativo categorico), oppure l’esserlo nel recepirle, nel comprenderle appieno e nel farle proprie; ma ciò dipende esclusivamente dalla preparazione individuale.

Ciò che conta è che entrambe le si ottiene volontariamente e liberamente o con la sapienza culturale, o col comprendere e condividere appieno il sistema sociale in cui si vive, sia questo Chiesa o società.

La fede può essere dovuta ad un ragionamento complesso o ad uno semplice, ma appunto perché “fede” indica la fiducia che si ripone in una “verità” condivisa, che sia religiosa o civile.

Diversamente non si è né fedele né cittadino, ma solo schiavo interessato di un sistema sociale.

La religione, ovviamente, è un fattore sociale componentistico della società e viene, nelle democrazie occidentali, considerata la prima libertà e perciò tutelata come diritto individuale e esistenziale inderogabile.

Posto tutto ciò e tornando all’interrogativo espresso dall’amico lettore, appare ovvio che tutto ciò che in religione è condivisione ecclesiale è immanente al fedele stesso, perché è il prodotto di una scelta personale mai calata dall’alto.

Infatti, non trascende una realtà sensibile (trascendenza kantiana), perché la scelta e la volontà sono il frutto di un processo individuale interiore, perciò immanente al soggetto che la esplica.

L’essere Ecclesia, con tutto ciò che ne deriva, si basa sul concetto di Teosofia democratica: dogmi e dottrine stabilite sapientemente nel confronto dialettico e democraticamente nella votazione finale, pur con l’ausilio dello Pneuma.)

Ciò conduce il fedele ad osservare le direttive di fede in due similari modalità:

a) Grazie ad un ragionamento semplice che delega ad altri ( la gerarchia) la definizione delle vie comportamentali etiche e delle scelte dottrinali, ritenendo il proprio intelletto incapace di comprendere appieno il processo sapienziale: fede per concezione delegata.

b) Con un ragionamento individuale complesso che recepisce, in toto o in parte, il processo sapienziale, facendolo proprio: fede condivisa.

Stabilito ciò è evidente che se la Vita viene accettata come dono, e perciò goduta come tale, il donarsi reciproco porta alla Famiglia, che diviene un’entità giuridica aggiuntiva all’entità fisica dei due coniugi.

Ed essendo la famiglia una cellula sociale è ovvio che la stessa modalità possa essere consapevolmente praticata pure nella società, in base al principio della Carità in cui si crede e si vive.

Diversamente si ottiene un associazionismo individuale ed egoistico, teso a trarre vantaggi da tali aggregazioni (chiesa, famiglia, società, partito, sindacato …).

In questo caso non vi può essere donazione, ma solo un’aggregazione in comodato gratuito finché vi è interesse reciproco; e quando questo viene a mancare in uno degli attori l’unione si scioglie.

E non importa se la famiglia è stata costituita religiosamente (concordataria) o civilmente, perché non è la formula che crea l’unione, bensì l’intenzione cosciente dei due coniugi.

Il cattolico, in politica, può schierarsi ovunque liberamente se il riformismo o il progressismo paiono a lui idonei ai valori professati. E non appartenendo ad una formazione confessionale egli è “luce” testimoniale nella società, anche là dove alcuni valori programmatici sono contrari ai beni non negoziabili.

E difatti la trasversalità parlamentare nella difesa di questi valori primari pone il cattolico come indipendente rispetto al partito, referente solo all’elettore ed alla sua coscienza.

Che poi questo sia effettivo, oppure simulato per interessi celati, questo è un altro discorso; ma se il cattolico è vero e convinto il problema non si pone.

Tempo fa analizzavo lo studio di un sociologo relativo alle nuove entità commerciali: gli Outlet.

L’analisi fatta mette in evidenza che il 70% delle persone che lo frequentano non comperano nulla, ma ci vanno per osservare, passare il tempo e curiosare. In pratica per espletare un nuovo modo di socializzare.

Ci vanno nei fine settimana con l’auto lustra e come impeccabili manichini.

Lo studio mette in evidenza che questi centri (teoria estendibile anche ai grandi centri commerciali per certi fattori) paiono il “paese” del desiderio proibito: grandi firme, materiale scadente (articoli precedentemente invenduti), apparenti borghi medioevali dove non ci vive nessuno, frequentati da una marea di persone che “socializzano” solo nell’apparenza della loro presenza, e “morti” dopo la chiusura perché “effimeri”.

In pratica hanno sostituito la chiesa, l’oratorio e la piazza del paese, dove però la gente si conosceva e socializzava realmente.

Le persone ora abitano in “appartamenti” e si appartano talmente che spesso non socializzano neppure col vicino dello stesso piano: si disconoscono nella socialità. E la loro socialità, spesso, si estingue nel solo essere fisicamente presenti: effimeri socialmente come i luoghi che frequentano.

E l’effimero non è solo nella falsità storica dello stabile (paese medioevale), ma pure nell’apparenza dei suoi visitatori.

Questi, infatti, paiono tutti uguali, come sono uguali nello stile i vari borghi degli Outlet.

Persone con tempo libero (però solo nei fine settimana quando non sono “costrette” al lavoro), apparentemente danarose ed interessate all’acquisto (ma sostanzialmente impossibilitate a farlo per carenza finanziaria), vogliose di consumismo e di essere “In” nella scelta di firme di grido e costose (però con prodotti che sono stati scartati precedentemente dal mercato ed ora svenduti per recuperare il capitale) e felici di sentirsi “In” perché, tornando al lavoro possono raccontare d’essere stati in questi centri “alla moda”.

Lo stesso discorso, si osservava, poteva essere fatto per le nuove frontiere di conquista sociale: i centri turistici vacanzieri, ora alla moda, pubblicizzati ed organizzati in località isolate, spesso con costi “tutto compreso” stracciati.

Quello che mi ha incuriosito di tutto questo ampio discorso sociologico è la percentuale del 70% che è perfettamente uguale ai fedeli che la Chiesa ha perso per strada in alcuni lustri.

Ovviamente non si può trarne una considerazione strettamente collegata; però il dato della percentuale è intrigante.

Se si considera poi come la chiesa venga scelta per tanti matrimoni cattolici, unicamente perché il concordatario offre una cerimonia esoterica e artistica, allora le varie connessioni possono diventare interessanti, specie se tante cerimonie giungono dopo anni di convivenza e con figli in grado di fare già da “paggetti” alla sposa, oltre al fatto che questi soggetti la chiesa la vedono più di fuori che di dentro (non sono veri praticanti).

Siamo nel mondo dell’effimero e non c’è da meravigliarsi se poi la religione diventa un fatto strettamente individuale: un’esigenza animistica interiore.

E su questa base ci può stare che in politica si gridi, da ogni parte, al Bene comune, senza saperlo però definire; come ci può stare che politici che si dichiarano cattolici abbiano costituito più famiglie, nel pieno rispetto del proprio interesse egoistico e violando gli impegni solennemente e liberamente presi.

Ed allora la società può pure produrre tutte quelle forme sociali legali (divorzio, aborto, eutanasia, droghe, devianze sessuali, convivenze …) che la Chiesa dichiara vere negazioni al sistema valoriale dei Beni non negoziabili: la Vita e la Famiglia!

E, concludendo, non ci si può neppure meravigliare se certa gente pone “distinguo” importanti a tutte queste problematiche esistenziali, basandosi su semplici ragionamenti edonistici che sono essenzialmente solo animistici.

Che hanno queste persone in comune con il cattolicesimo vero? La loro larvata dichiarazione d’essere cattolici.

domenica 23 novembre 2008

L'insipienza di certi "cattolici".

venerdì 21 novembre 2008

Cristiani, valori e partiti

Cristiani, valori e parti politiche

Forse si può dire, con sufficiente verosimiglianza, che la maggioranza dei cristiani simpatizza in Italia (e anche in Europa e negli USA) con i partiti conservatori o con quelli riformisti in funzione della valutazione data su due presunte tipologie di valori, propri del cristianesimo.
Alcuni (forse i più) simpatizzano per i conservatori, talvolta anche li appoggiano e li sostengono, in quanto questi ultimi affermano di tutelare alcuni valori imprescindibili quali: la difesa della vita (in contrasto con l’aborto e l’eutanasia), il primato della famiglia rispetto alle altre realtà sociali e il sostegno alla scuola privata.
Altri indirizzano le proprie simpatie verso i riformisti, sostenitori di politiche sociali ed economiche indirizzate a tutelare altri valori della dottrina sociale della Chiesa quali: l’opzione preferenziale per i poveri, la giustizia sociale e la pace.
Il problema sorge in quanto (particolarmente in un sistema bipolare) entrambe le parti politiche, a fronte del sostegno dell’una o dell’altra tipologia di valori, tendono a sottovalutare una delle due. A titolo esemplificativo i partiti conservatori propugnano politiche economiche e sociali rivolte a premiare il merito spesso circoscrivendo però la giustizia sociale ad un obbligo di “compassione” verso i meno abbienti, mentre i partiti riformisti alzano la bandiera di valori, specialmente, in campo bioetica, in pieno contrasto con quelli cristiani.
C’è anche da aggiungere un pizzico di ipocrisia, in quanto gli esponenti (e una buona parte degli elettori) dei partiti conservatori, mentre a parole difendono i valori della vita e della famiglia, spesso nella vita privata si comportano in maniera differente; così come altrettanto fanno gli esponenti (e una buona parte degli elettori) riformisti assumendo comportamenti personali in spregio alla povertà.
Qual è una possibile e concreta via di uscita per un cristiano che voglia vivere la pienezza dei suoi valori anche in ambito politico?
Allo stato dei fatti non ce n’è un’immediata, anche se la grande maggioranza della Gerarchia dei valori, sulla base di un’ipotesi di ragionamento che vede i valori etici della vita e della famiglia (valori definiti non negoziabili) prevalere sugli altri (più tipicamente sociali), tende a simpatizzare per i partiti conservatori.
Questo atteggiamento della maggioranza dei Vescovi suscita qualche perplessità, perché rimane difficile capire come sia possibile, in concreto e non solo in astratto, proclamare la priorità dei diritti alla vita e al bene della famiglia senza una contestuale proclamazione dell’esigenza di politiche sociali che permettano a tutti di procreare e educare i figli e, ancor prima, di avere una casa familiare. A titolo di esempio dovremmo porci il problema di come conciliare (se conciliabile) l’esigenza di flessibilità (se non precarietà) richiesta dal moderno sistema economico globale con la necessità primaria di stabilità (anche e soprattutto fisica e temporale) del rapporto interpersonale di natura familiare.
Forse sarebbe preferibile considerare i valori, talvolta visti in maniera contrapposta, di carattere rispettivamente bioetico e sociale, come le parti di un sistema valoriale da considerare unico e inscindibile. La difesa dei valori bioetici (vita e famiglia) passa attraverso l’attuazione di politiche che operino redistribuzioni di reddito tali da garantire a tutti una concreta tutela di tali valori, mentre contestualmente tali politiche devono privilegiare l’effettiva possibilità di consumi che concretizzino questi stessi valori a scapito di consumi meramente effimeri e superflui.
Questo non vuol dire richiedere immediatamente la costituzione di partiti politici che siano espressioni di questa linea. Come ci insegnano la scienza politica e la psicologia sociale, i partiti politici (a parte quelli di carattere meramente personale) non nascono dal nulla ma presuppongono l’esistenza di un progetto culturale che consolidi il sistema unificante di valori e permetta successivamente, attraverso un’adeguata mediazione e un’analisi concreta della situazione nazionale e internazionale, l’elaborazione di efficaci linee politiche conseguenti. Solo al termine di questo processo si può parlare di costituzione di un partito politico capace di dar corpo a tali linee politiche.
E’ un passaggio non eliminabile che forse richiederà l’impegno di un’intera generazione. Nel frattempo ai cristiani impegnati in politica toccherà l’ingrato compito di saper discernere le aree e i limiti di questo impegno nell’ambito dei partiti o movimenti ai quali aderiscono, senza mai dimenticare il primario obbligo della carità reciproca (diceva S. Agostino: “in
certis unitas, in incertis libertas, in omnibus caritas” (sulle cose certe i cristiani devono essere uniti, su quelle incerte vige il principio della libertà, ma sempre ci deve essere la carità reciproca).[1]

Ulteriore sviluppo del pensiero.

Innanzitutto una breve premessa.

Gli articoli che ho analizzato in precedenza, e sui quali ho effettuato dei commenti o espresso considerazioni, erano articoli che mi erano stati inviati direttamente dagli autori o da organizzazioni politiche/religiose alle quali aderivano.

Questo invece, e come il precedente Provocazioni a: Sto diventando conservatore? , l’ho tratto dal blog dell’amico Giuseppe.

È, nel complesso, un buon articolo curato e attento alle varie problematiche trattate, anche se non perfetto. Diciamo che ha impegnato per un discreto tempo l’autore e che esprime l’inquietudine del cattolico dei nostri giorni.

Rispetto ai precedenti è maggiormente complesso; perciò si dilunga ulteriormente sia nell’analitica che nella problematica. Volendo essere pignoli, possiamo dire che manca in toto dell’eziologia discorsiva.

Vorrei partire dalla citazione di Agostino per porre una domanda intrigante: cos’è la Carità[2]?

Appare, infatti, evidente che la concezione di questo lemma a quei tempi era assai diversa dall’attuale, considerato pure che Giuseppe, parlando della politica conservatrice, la indica anche come “compassione”, assai vicina a quella di molti cittadini che la confondono, identificandola, all’elemosina.

Ciò è abbastanza emblematico della confusione concettuale esistente oggi in molti cristiani non solo sul concetto di carità, ma anche su tutti i derivati dottrinali che fanno da corollario alla carità.

E ciò porta ad una semplice considerazione: il personalismo cristiano si è tradotto in individualismo egocentrico cristiano.

Teologicamente l’individualismo cristiano pone già il fedele fuori dalla Chiesa (Ecclesia), appunto perché non vi è più una comunione con il resto della Chiesa, ma solo un associazionismo interessato che punta a scindere notevolmente l’assonanza tra Chiesa ed individuo.

Se, difatti, guardiamo attentamente all’articolo notiamo molti distinguo con la dottrina ecclesiale: a) atteggiamento della maggioranza dei Vescovi, b) proclamare la priorità dei diritti alla vita e al bene della famiglia senza una contestuale proclamazione dell’esigenza di politiche sociali, c) considerare i valori come le parti di un sistema valoriale da considerare unico e inscindibile, d) toccherà l’ingrato compito di saper discernere le aree e i limiti di questo impegnosu quelle incerte vige il principio della libertà.

E non ci devono confondere, dialetticamente, le varie posizioni individuali, contrastanti con la dottrina, assunte sia da elettori, sia da politici e anche, raramente, da prelati. Un conto è la logica ed un altro la deviazione comportamentale.

Il comportamentismo moderno è troppo legato allo status acquisito e trae l’origine, nei cristiani, dall’ignoranza concettuale dei valori: vi è una discrepanza netta, quasi una diaclasi comportamentale, tra cultura originaria (cristianesimo) e sociologia (individuale) operativa; e, di conseguenza, si tende a regolamentare civilmente ciò che invece dovrebbe rimanere nell’individuale privato: la coscienza!

Sembra che il cittadino pretenda dallo stato l’assonanza completa legale legiferata di ogni suo intendimento: diritto ad una scuola privata (classista/religiosa) a spese[3] della comunità nazionale, regole di convivenza civile prestabilite (famiglia, convivenze, aborto, eutanasia …) e difesa dei valori idealizzati.

Ovviamente l’idealizzazione universale non è possibile per l’idiosincrasia tra le varie problematiche che, da ideologiche personali, vengono rilanciate quali sociali universali.

Perciò bisogna fare una distinzione sostanziale tra società civile (stato) e comunità religiosa (chiesa). La prima sovrintende la vita nazionale garantendo il multiculturalismo ideologico/religioso, la seconda cura l’associazionismo comunitario, fondato principalmente sulla specificazione settoriale di valori comportamentali.

Il cristiano (cattolico o protestante che sia) è oggi raramente un cittadino praticante religioso; ma, nello stesso tempo, non è neppure un cittadino praticante lo stato. È, sostanzialmente, un cittadino/cristiano senechiano, che segue il proprio interesse e la sua indole anche in contrapposizione ai valori: un credente assai diluito e senza dux!

Perciò, come facevo rilevare in L'estinzione dei dinosauri. appare ininfluente se il conservatore (politico o cittadino) che vuole difendere la famiglia personalmente magari la calpesta, come il riformista che vuole difendere il povero vive da Epulone beato nell’agio.

I vescovi, ovviamente, con tutto il rispetto loro e dello Pneuma, non hanno la scienza infusa e, in via teorica, è comprensibile che siano umanamente carenti in tante materie, specie in quelle scientifiche, compresa la bioetica. Seguono, però, in modo assolutamente democratico le direttive dottrinali ecclesiali vigenti, anche se talora possono sforare nella logica esistente tra teologia dottrinale e comprensione perfetta della scienza.

Per far comprendere bene cosa intendo, voglio citare due fatti: uno politico e l’altro religioso.

Poco dopo la proclamazione dei risultati elettorali negli U.S.A., anche se non completi, il candidato repubblicano chiama quello democratico, accetta la sua vittoria e lo chiama Signor Presidente. Dopo la tenzone elettorale ognuno torna al posto che la democrazia gli ha riservato, accettando la minoranza il verdetto dell’urna come se fosse il proprio.

In un Concilio vi sono tre tempi: a) le problematiche sul tappeto, b) la discussione convinta, c) la votazione democratica che sancisce quale sia la linea migliore scelta dallo Pneuma, tramite i Padri conciliari, con la semplice maggioranza del 50% + 1 dei votanti. Poi tutti si uniformano, essendo Chiesa, alle direttive prese. È questa è la perfetta Democrazia teologale, che molti chiamano, assai più propriamente, perfetta Teosofia democratica.

Purtroppo può succedere, come a Giuseppe, di scambiare la Teosofia democratica per conservatorismo, o, peggio ancora, quale appoggio specifico ad un determinato candidato o partito.

Ovviamente a livello individuale ciò può anche avvenire, ma mai come Ecclesia.

Quello che invece sempre avviene è l’invito a comportarsi nel rispetto delle direttive scaturite dalla Teosofia democratica: essere totalmente democratici nella comunità religiosa! Il che non significa essere bigotti.

Negli States nessuno si è scandalizzato per il documento dei vescovi americani, mentre in Europa tali richiami vengono normalmente intesi quale interferenza negli affari di uno Stato. Però, qua da noi, a mesi dal risultato elettorale vi sono ancora forze politiche che si arrogano il diritto d’aver vinto pur avendo sonoramente perso.

Perciò la considerazione è singolare e univoca: la cultura democratica imperfetta (e decadentista) evidenzia l’individualismo dialettico che porta ad essere stato utopistico autonomo in uno Stato reale, come in religione l’egocentrismo fideista si pone quale alter ego personalista alla Comunità ecclesiale!

E lo schierarsi singolarmente del cattolico viene di conseguenza, con tutti i suoi interessati “distinguo”.

I risultati delle due ultime elezioni italiane sono la negazione pratica della considerazione espressa inizialmente da Giuseppe: la maggioranza dei cristiani simpatizza in Italia (e anche in Europa e negli USA) con i partiti conservatori o con quelli riformisti in funzione della valutazione data su due presunte tipologie di valori, propri del cristianesimo.

Lo stesso elettorato, infatti, prima si è espresso per uno schieramento riformista (Prodi), togliendogli, di fatto, quasi subito il consenso elettoralmente espresso, poi ha votato a grande maggioranza per lo schieramento conservatore.

Ovviamente si potrebbe disquisire a lungo se il consenso fluttuante sia stato opera di cattolici o di altri, ma, essendo l’Italia una Nazione ufficialmente cattolica, il diverbio sarebbe di lana caprina. Non penso, infatti, che i massimalisti si siano schierati inopinatamente a destra.

Lo schema tradizionale prefissato “i partiti conservatori propugnano politiche economiche e sociali rivolte a premiare il merito spesso circoscrivendo però la giustizia sociale ad un obbligo di “compassione” verso i meno abbienti, mentre i partiti riformisti alzano la bandiera di valori, specialmente, in campo bioetica, in pieno contrasto con quelli cristiani” è unicamente superficiale, fazioso e frutto, a mio parere, della confusione che non solo avvolge il cittadino, ma pure le forze politiche contrapposte. Ciò, infatti, presupporrebbe che i cattolici impegnati nei due schieramenti siano su due concezioni ecclesiali contrapposte favorevoli al primo o al secondo schieramento ideologico sui valori; ma la nostra storia parlamentare insegna che il trasversalismo su certe problematiche essenziali esiste e che, perciò, una tale schematizzazione semplicistica è incongruente.

Tanto i conservatori che i riformisti sono attenti all’etica ed ai valori, e la differenza esistente è unicamente dovuta alla genesi culturale delle varie ideologie espresse e, spesso, alla tipologia scelta nell’economia reale.

Negli anni ‘60, con l’avvento del democratico e cattolico Kennedy, non mi pare che gli ideali propugnati fossero in pieno contrasto con quelli cristiani; diversamente avremmo una Chiesa schierata sempre a destra a scapito della sinistra.

La Chiesa procede sempre con estrema cautela e può sembrare conservatrice; ma ciò è comprensibile perché l’errore sistematico sui valori primari sarebbe la sua fine. La Chiesa si schiera unicamente sulla proclamazione delle sue verità!

Il politico cattolico, dopo De Gasperi, non è più esistito; sono esistiti uomini politici, anche di grande levatura, che erano pure cattolici.

Non per nulla la DC ha portato progressivamente il Paese al collasso istituzionale, sfaldandosi pure lei. E i vari assembramenti tutt’oggi esistenti, tanto a dx, quanto a sx che al centro, di cristiano possono avere solo il nome e il simbolo.

Perché la Chiesa “vede i valori etici della vita e della famiglia (valori definiti non negoziabili) prevalere sugli altri (più tipicamente sociali)” un cattolico preparato dovrebbe comprenderlo bene: perché la vita è un bene inalienabile proveniente direttamente da Dio (dono insindacabile); e la famiglia il mezzo naturale codificato per espletare ogni attività umana: la cellula necessaria a sviluppare il dono della vita.

Un proverbio dice: “Chi dona il dono, il donator disprezza!”; che, di primo acchito paiono un’affermazione ed una negazione simultanea.

Tralasciando la parafrasi semantica di questo detto sapienziale[4], voglio solo aggiungere questa interessante frase

Se non accetti non di innamorarti, ma di “conoscere” colui che ti offre l’amore, quindi di apprezzare la sua offerta, allora significa che la tua socialità è tale che il tuo rifiuto equivale al suo rifiuto. In pratica non sei tu che dice “No!” a lui, ma lui che dice “No!” a te; il tuo no iniziale è il riconoscersi “indegno” dell’amore altrui. Il non amare include l’incapacità di amare.[5]

che esprime assai bene, anche se su un concetto umano e non divino, la nozione di dono.

Pertanto tutto ciò che è correlato a questi due principi (vita e famiglia) può essere subalterno non solo al principio/valore stesso, ma anche ai tempi. In pratica possono essere interpretati diversamente dalla società civile secondo le circostanze momentanee.

Ho analizzato, caro Giuseppe, i commenti sul tuo post sulla vicenda della ragazza lecchese; e i “distinguo”, che ho visto, mi indicano un cattolicesimo individualista ed egocentrico, attento solo a non sconfinare oltre l’interesse culturale succedaneo privato.

Voglio citare, a contrasto, solo un’emblematica frase di Savino Pezzotta, pronunciata in Parlamento sulla vicenda:

Non mi pongo sul terreno di esprimere un giudizio nei confronti della magistratura, ritengo tuttavia che sia abbastanza problematico pensare di poterle affidare il bene della vita.[6].

Perché tutti, come sottolineavo io nel mio e tu nella risposta agli altri, comprendiamo le difficoltà e il dolore delle persone strettamente interessate ad una tale drammatica vicenda, però non per questo ci possiamo sostituire a Dio e alla Chiesa, specie se la confessionale dottrina basilare la intendiamo una Teosofia democratica.

Tra gli anni ’90 e il 2000 contestai più volte pubblicamente, con diverse considerazioni pubbliche, alla Gerarchia ecclesiastica certe (loro) posizioni tanto sul federalismo che sulla ricerca bioetica, specialmente sulle staminali e sulla gestione dell’insegnamento futuro (microcips programmati e inseriti nella corteccia cerebrale).

Ma il discorso verteva sempre su punti di vista opinabili e non su principi basilari. Da una parte la considerazione e la comprensione di una scienza e di un’esigenza (necessaria) sociale che avanzavano, dall’altra la sola visione fideistica di una realtà tesa a difendere uno status quo, proprio come avvenne con Galileo.

La storia oggi mi dice come il cammino pure della Gerarchia sia cambiato, e non tanto per le mie singole e insignificanti considerazioni, quanto per quelle di molti altri cattolici importanti che si battevano, a ragion veduta, in questi e in altri settori.

Anche nella diversità, quando la concezione dei valori è immanente alla nostra cultura, si costruisce; proprio come ciò avviene oggi in politica e come tu sottolinei “Nel frattempo ai cristiani impegnati in politica toccherà l’ingrato compito di saper discernere le aree e i limiti di questo impegno nell’ambito dei partiti o movimenti ai quali aderiscono, senza mai dimenticare il primario obbligo della carità reciproca ”; ma ciò avverrà unicamente se i principi basilari saranno totalmente compresi e percepiti nella loro interezza.

Negli anni ’30 del secolo scorso la democrazia americana creò il concetto di Capitalismo democratico, in contrapposizione al liberismo.

Questo concetto si evolse nel tempo e assicurò, a noi Europei e non solo, un periodo di pace dopo le tribolazioni della II° Guerra mondiale.

La Chiesa (non chiesa), con Sturzo, favorì la formazione di un partito cattolico (DC) che creò, pure esso, benessere e stabilità prima di degenerare in precoce vecchiaia.

La Gerarchia attuale invita i cattolici all’impegno sociale ed ha mosso alcuni suoi pezzi sulla scacchiera, come in occasione del Family Day.

Ovviamente ciò non è sufficiente per creare non tanto un partito, quanto un’Istituzione politica adatta ai tempi attuali.

La grande crisi finanziaria che ha generato la recessione in atto ha aggravato ulteriormente i problemi, specie nel sociale, ingarbugliando ulteriormente la situazione.

Non so se tra poco più di una generazione gli U.S.A. saranno ancora una potenza egemone, né se i cattolici saranno ancora numerosi e fattivi nella società.

Vi è di sicuro che se la cultura occidentale, a matrice cristiana, non saprà trovare in sé stessa le idee sufficienti, la nostra civiltà diventerà una società decadentista, specie se i vari cattolici (cittadini e politici) anziché essere Chiesa (Ecclesia/Comunità) saranno parti estranee in un corpo in disgregazione, cioè individualisti egocentrici.

Ed allora è facile che l’attuale scontro ideologico tra culture si trasformi in vero conflitto armato, come in passato è già tragicamente avvenuto.

Mi auguro solo, in tale ipotetica deprecabile situazione, di non esserne testimone.

Il cattolico non dovrebbe mai essere schierato, perché lo schierarsi è spesso la negazione della Carità. Il vero cattolico in politica è indipendente, anche se inglobato in una formazione politica diversa da un partito confessionale: è un testimone fattivo dell’Ecclesia nella società, capace di donarsi agli altri!

E, neppure, dovrebbe essere diviso su differenti tipologie di valori cristiani, per il semplice fatto che la Carità non è scindibile in parti, né contrapposta su valori.

Quando la divisione avviene è perché la cultura della Carità è assente ed il politico non è un cristiano al servizio della Chiesa e della nazione, ma solo al soldo di sé stesso o di interessi corporativi. Si rifiuta il dialogo nel preconcetto.

Da tempo si parla di Costituente nei vari partiti e pure nell’agglomerato cattolico; ma se i valori insindacabili saranno secondari agli interessi corporativi e individuali, allora non vi sarà mai una Costituente di cattolici, ma solo una Costituente politica.

I valori cattolici possono essere benissimo condivisi anche da altri, specialmente se la cultura cattolica saprà dialogare e seminare nel laicato il seme fecondo della carità sociale convinta.

Ed è proprio su questa problematica complessa, sottolineata da Giuseppe come tematica divisoria nello schierarsi individuale tra progressisti e riformisti, che il mondo cattolico deve impegnarsi a fondo nell’ingegneria del pensiero con i suoi migliori cervelli.

Perché nel cristianesimo non vi sono, e non vi possono essere, dei conflitti dialettici (perplessità) tra il proclamare la priorità dei diritti alla vita e al bene della famiglia e l’esigenza di politiche sociali; e quando ciò avviene è perché la conoscenza (cultura) individuale è flebile nel rapporto tra fede e società.

Paolo di Tarso, oltre ad essere apostolo, praticava il lavoro manuale per vivere, onde non far carico ad altri della sua esistenza.

Oggi la chiesa, nella quasi totalità dei suoi membri, crede in un modo ed opera in un altro; e lo fa pure nel non saper delineare e progettare un sistema economico, civile e finanziario sociale che non sia solo un germinamento abbozzato.

Credo che ciò avvenga per un semplice motivo: perché l’essere coerenti in tutto metterebbe in discussione il proprio status quo acquisito, e cioè quelle discrepanze tra valori declamati e vita vissuta che creano la differenza sociale.

Appunto: la Carità!

I valori cristiani basano il loro principio ideologico sulla vita e sulla famiglia, che in sintesi sono indicativi di due parametri sociali: il singolo (individuo/persona) e la comunità (famiglia/società).

Il primo si ingloba, donandosi, nel secondo proprio come la famiglia (individuo giuridico) si ingloba nella società (comunità ecclesiale o civica).

Ciò che ne discende è, perciò, un susseguirsi immanente e mai trascendentale[7]. Ne consegue che l’amore/carità che il singolo esplica nella famiglia, la famiglia la deve poi esplicare nella società.

E l’economia, con l’industria, la finanza, il lavoro, la vita sociale e … la politica dovrebbero agire nello stesso modo raccordandosi vicendevolmente gli uni agli altri.

Il conservatorismo privilegia la meritocrazia? Che c’è di strano? Forse che nel cattolicesimo ciò è vietato se nella parabola dei talenti il padrone loda i servitori che gli hanno reso un capitale doppio e denigra quello che gli ha reso il solo talento ricevuto?

La meritocrazia è nella base della teologia cristiana, perché è quella che ci porta, grazie alla Fede, alla Salvezza. E lo è, pure, nell’esplicare la Carità nell’essere Samaritano, perché questa è la vera socialità.

Il povero deve essere aiutato: il povero bisognoso, ma non il viziato, lo scroccone o il depravato.

Un cattolico non è pertanto né conservatore, né progressista; è solo un credente in Cristo che opera donandosi alla comunità (famiglia, Ecclesia e società) mettendo a disposizione di tutti i talenti che il buon Dio gli ha dato in affidamento.

Il Vangelo di oggi (Mt 25,31-46) è talmente chiaro in proposito che non vi è alcun bisogno di parafrasarlo.

Poi, ovviamente, tanto nei fedeli che nei prelati ci possono essere coloro (e sono tanti) che, oltre che a rinnegare per tornaconto egoistico certi valori primari (morale, etica, matrimonio …), sbattono in faccia alla società la loro opulenza, carica e annesso potere.

Ovviamente costoro di cristiano hanno poco; ma, spesso, così va il mondo.

L’abito non fa il monaco, però da un certo look di ufficialità.

E lo dava (il look) pure ai sudditi timorosi, i quali vedevano perfettamente che il re era nudo; però si guardavano bene dal manifestarlo.



[1] - Testo corretto.

[2] - E non mi riferisco al binomio Dio-Carità.

[3] - Questo problema non è solo cattolico, bensì interreligioso, come le richieste islamiche stanno a dimostrare.

[4] - Su cui ho elucubrato in: Analogical Symbhiology of SciencesAmore e dono. - Sam Cardell - 2004

[5] - The warrior and the power of the love. – Carlos Cinco - 1984

[7] - Trascendenza Kantiana.