venerdì 14 giugno 2013

Politica, economia e finanza: tre fattori per strade diverse.


I Mercati in questi ultimi tempi hanno toccato nuovi massimi; Tokio e New York anche dei massimi storici.
Eppure l’economia è da oltre un lustro in sofferenza sempre maggiore, nonostante gli interventi delle banche centrali.
Non a caso, dove le banche centrali hanno immesso grande liquidità sul mercato, si sono toccati i massimi storici.
Fed e Boj – la prima da inizio crisi, la seconda solo recentemente e a tratti prima – si sono distinte nelle varie operazioni di quantitative easing, imitate dalla Bce di Draghi con il prestito a tasso ridotto fatto alle banche Ue.
La Bce, inoltre, ha varato il programma Omt, detto comunemente scudo anti spread, per un importo illimitato. Programma che non è mai stato operativo, ma il cui solo annuncio è bastato a placare la speculazione internazionale sui Titoli sovrani, specie periferici.

L’economia quasi ovunque è crollata e il Fmi continua a tagliare le stime sia a livello globale che di singole aeree e paesi. La disoccupazione, specie in ambito Ue, ha raggiunto picchi storici e la politica, nei paesi costretti al rigorismo penitenziale, è andata in crisi, ponendosi contro gli interessi del Popolo. Molte nazioni sono andate in recessione.
Ciò nonostante gli indici di mercato hanno toccato dei massimi o hanno rimbalzato vistosamente dai minimi raggiunti.
Perché?

La Finanza ha prodotto la crisi e poi l’ha cavalcata. Negli Usa in un lustro il mercato del lavoro ha recuperato solo il 25% dei posti persi, però le multinazionali hanno portato i loro utili rispetto all’inizio della crisi al 250%.
L’Ue è andata gradualmente in recessione, ma le Borse sono salite, specie in quest’ultimo periodo, complici 2 fattori importanti: il QE3 della Fed con i suoi 85 mld di $ mensili e il cambio di Governo in Giappone, il cui avvento ha concesso alla Boj di potenziare in modo anomalo e impressionante l’immissione di liquidità sul mercato per rilanciare la produzione.
Ciò, nonostante il Debito sovrano reciproco sia per gli Usa oltre il 140% e per il Giappone oltre il 280% del Pil.

L’Ue, sotto il diktat economico della Merkel, ha proceduto in modo diverso per contenere e ridurre i vari Debiti nazionali. Sicché, mentre là dove si faceva monetarismo il Pil è rimasto se non altro sempre positivo, in Europa è finito in recessione, creando forte disoccupazione.
Entrambi i sistemi opposti non hanno risolto la crisi che permane tutt’ora virulenta in tutto il globo.
È bastato, infatti, l’annuncio sulla possibilità che la Fed riduca entro settembre gli importi di QE3, che la Boj faccia intendere di non procedere nel monetarismo senza limite, e che la Corte costituzionale di Karlsruhe iniziasse il procedimento sulla legittimità dell’Omt, per creare preoccupazione e panico sui Mercati.
Tokio traballa sui massimi raggiunti con affondi vistosi, mentre Wall Street e Francoforte arretrano gradualmente, come le altre Borse occidentali, consce che  la dichiarazione di Andreas Vosskuhle, presidente della Corte tedesca, possa portare ad un esito negativo della sentenza: il giudizio di costituzionalità  sullo scudo anti-spread della Bce prescinderà  dall'efficacia che questo ha avuto nel calmare le tensioni sui debiti sovrani.
L’ torna non tanto sotto accusa, ma a rischio disintegrazione nell’ipotesi d’un verdetto negativo.
Non per nulla lo spread ha iniziato a rialzare la cresta.

La politica nazionale, nel frattempo, è andata in crisi soprattutto nei paesi periferici, quelli che hanno dovuto adottare forzatamente, su imposizione comunitaria, il rigorismo fiscale.
Il disagio sociale è cresciuto a tal punto che è sfociato prima in dissenso e poi in alcune nazioni – Grecia e Spagna – pure in movimenti violenti di piazza.
Sotto la spinta del dissenso sociale in Italia i partiti si sono quasi sfaldati, mentre l’astensionismo ha raggiunto livelli oltre il 50%, testimoniando la lontananza di intenti e di aspettative tra partiti e cittadini.
Le attuali amministrative hanno premiato – si fa per dire – il Pd, che però per le sue correnti interne è prossimo allo sfaldamento totale. Ha vinto i ballottaggi più per quel corporativo e radicale senso intellettuale organico che anima la base, come le pecore, che per un vero consenso elettorale.
Quando un partito vince con un astensionismo oltre il 50%, vuol dire che non gode per nulla del consenso popolare.

Il governo Letta è un governo anonimo, grigio, ma comunque utile alla nazione. Un governo dove non è importante il premier, o i singoli ministri, ma soprattutto il programma su cosa fare. E il farlo in breve tempo.
Non ha personalità di spicco, ma non potrebbe essere altrimenti. Da uno sbandierato iniziale esecutivo snello in ministeri si è subito giunti al suo raddoppio, pure immettendo ministri che, per la delicata situazione sociale, sarebbe stato meglio evitare. Persone più di bandiera che di sostanza.
Letta ha fatto un discorso programmatico arioso[1], ma sarebbe stato molto meglio se si fosse focalizzato su poche cose da fare.
Pare un gruppo di volenterosi scout intenti a mettercela tutta, però consapevoli del fatto che il tentativo potrebbe anche finire male, non tanto per loro, ma per la nazione. Negli intenti sono uniti, nella realtà del fare si dividono facilmente su metodologia, su impostazione e su assetti costituzionali. Sono prestanome designati di chi nella realtà tira le fila dietro le quinte.

L’Italia è uscita dal procedimento d’infrazione di bilancio. Più che una promozione è un contentino politico comunitario a sostegno dell’attuale governo, nato da un parto lungo, laborioso e travagliato. Già più voci comunitarie si sono levate a monito sugli intenti governativi di eliminare certe tasse (Imu) e di evitare l’aumento di altre (Iva), ricordando che dovremo comunque avere un avanzo primario di bilancio del 5,5%.
Ragion per cui tra un rinvio e l’altro è probabile che gli italiani possano ritrovarsele ancora … intatte.

Le risorse economiche sono carenti e la gestione dello Stato ha i suoi costi, magari anche spropositati.
Al di là degli impegni Nato la Difesa ha mezzi obsoleti che devono essere sostituiti.
Diversamente si deve rivedere l’impostazione complessiva del come spendere.
Su questo filone si innesta l’acquisto dei F35, di cui Mauro declama la necessità. Benché ridotti a 90 dai 131 iniziali, questi hanno un costo che in parte rientrerebbe per la compartecipazione delle aziende italiane nella costruzione. È tuttavia un costo molto elevato non solo nell’acquisto, ma pure nella manutenzione successiva. Fu voluto a suo tempo da Andreatta.
Tale costo coprirebbe abbondantemente sia l’eliminazione dell’Imu, sia l’aumento dell’Iva.
Le tasse in Italia sono un oggetto misterioso ai più, non avendo un valore generale, ma particolare. Per cui ogni tassa serve a finanziare il gettito complessivo dello stato solo in modo lato. Nella realtà sono state messe per finanziare singoli capitoli di spesa che, diversamente, non avrebbero avuto copertura.
In sostanza si è sempre proceduto in modo anomalo, trovando la pezza apposita per ogni specifico buco.
Quanti, ad esempio, sanno che l’Iva fu istituita simultaneamente alla riforma della Sanità, di cui con il proprio gettito copre ben il 51% della spesa sanitaria delle singole regioni?

Gli industriali spingono per la riduzione delle tasse sul lavoro onde recuperare competitività. Il Governo cerca di rilanciare la crescita, però non sapendo come fare. Punta sulle start up. Ma quanto sviluppo e occupazione potranno creare senza investimenti disponibili?
La realtà è che se non c’è fiducia – e quella poca che ancora c’era Monti l’ha distrutta – il trovare soggetti disposti ad investire oggi è utopistico.
Se in  un anno si sono creati oltre mezzo milione di disoccupati in più, se circa 50.000 aziende manifatturiere hanno chiuso i battenti, se per ogni attività commerciale che nasce 4 altre la chiudono, significa che il crollo dell’economia reale è ben superiore alla percezione Istat. Si è prossimi al collasso economico, che, comunque, così andando non sarà lontano.

Se i mercati con queste condizioni sono cresciuti, significa che la finanza pensa di fare a meno dell’economia. Diversamente l’indice dei listini dovrebbe seguire il trend economico recessivo.
I mercati sono diventati da troppo tempo luoghi non di investimento, ma solo punti di speculazione. Guidati da multinazionali che cercano di produrre guadagno con il minimo, rapido investimento, non dovendolo immobilizzare in beni durevoli.
Ne consegue che l’interesse del Popolo, basato sull’economia reale che elargisce occupazione e reddito, sia disdegnato dall’alta finanza per la scarsa remunerazione e per i troppi rischi che può dare.
Troppi uomini di grandi aziende finanziarie occupano, poi, punti strategici del potere, asservendolo all’interesse della finanza.
Per cui la Politica dovrebbe servire al benessere (Bene comune) del Popolo, ma in realtà, più che pensare all’economia, guarda alla finanza per via dello spread sugli alti Debiti sovrani assommati nei decenni scorsi.

Il Parlamento italiano è ancora il frutto della Legge elettorale vigente: il Porcellum.
Ne consegue che i parlamentari attuali dei vari partiti siano dei “cortigiani” asserviti e scelti dal “re” di turno. E dove non vi è il re (Pdl, M5S) vi sono tanti reucci capi-corrente (Pd e Lista Civica),  che possono generare ancora maggiore destabilizzazione, come avvenuto sia per l’elezione del Presidente della Repubblica, sia per l’attuale governo.

Gli stati non vivono di finanza, ma di economia. Diversamente crollano. Hanno, tuttavia, estremo bisogno di finanziamenti per poter sopravvivere.
I finanziamenti si ottengono in 3 modi: chiedendoli in prestito a chi li può dare, oppure stampando moneta e facendo monetarismo pur creando svalutazione strisciante, oppure puntando su una crescita costante in grado di produrre utili necessari a coprire gli investimenti.
Il primo e il terzo sono interconnessi tra loro per via degli alti Debiti sovrani esistenti, mentre il secondo spetta sia all’impostazione economica che un governo carismatico può dare, sia dalla volontà delle rispettive banche centrali.
Comunque la si metta è ovvio che una scelta la si debba comunque fare. Però alla fonte deve esistere un serio progetto non tanto finanziario, quanto economico e sociale.
Politica, economia e finanza devono avere un fine e un percorso comune.
Diversamente tra non molto le bolle speculative dei vari indici delle Borse esploderanno, ripetendo con ben maggiore virulenza i disastri causati nel 2007, acuitisi poi nel tempo.
I tracolli nipponici e i ridimensionamenti dei listini occidentali sono le avvisaglie di ciò che potrebbe succedere.

In sintesi: la società occidentale va ripensata nuovamente, perché così com’è ora è destinata solo a crollare.



[1] - Per approfondimenti vedere anche: Architetto di cattedrali o semplice capotreno?

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