domenica 2 giugno 2013

Architetto di cattedrali o semplice capotreno?


Molto tempo fa (2009) mi interessai di Enrico Letta per via della sua teoria[1] sulla Cattedrale. In questa esprimeva l’immagine di 2 operai, intenti a spostare ed ad ammucchiare mattoni.
Solo uno di questi, però, era cosciente che servissero per costruire una cattedrale.
Letta era da poco vicesegretario del Pd dopo l’avvento di Bersani alla segreteria. Da allora, coscienti o no, i 2 sono sempre rimasti semplici operai intenti a spostare mattoni rossi; quelli di terracotta, tanto per intenderci.
Quale dei 2 fosse cosciente di costruire la cattedrale del Pd lo lascio all’immaginazione del lettore.
Di certo vi è che in 4 anni di segreteria l’architetto ha sempre latitato, né, per essere preciso, non è mai stato neppure ricercato. Al massimo si sono fatti avanti dei galletti ruspanti che, alla prova dei fatti, hanno prodotto più striduli suoni demagogici e populisti che vere idee d’architettura politica e sociale.
E una cattedrale non la si costruisce con solo 2 semplici operai. 2, 100 o 1.000 operai non faranno mai un architetto.

La lunga convalescenza mi ha concesso di ascoltare in diretta e per intero il discorso programmatico di Letta. Un discorso tanto arioso quanto nebbioso. Nel senso che ha espresso tutto ciò che lo scibile “lettiano” poteva produrre come semplice operaio (di scienze politiche) intento a spostare mattoni. Un discorso programmatico che per essere realizzato – e soprattutto definito nelle sue pratiche linee guida – avrebbe bisogno di almeno 3 intere legislature.
Perciò un buon discorso di sinceri intenti ad ampio respiro. Intellettualmente scivoloso per il semplice fatto che oggi anche il cittadino meno dotato culturalmente vede i guasti di questa nostra società, ma solo pochi sono in grado di indicare dove, come e quando intervenire per eliminarne le storture.
Il Governo Monti, ad esempio, con l’austerità non è che abbia peccato in malafede. È che operando col solo rigore per ottenere la quadratura dei conti ha prodotto danni incalcolabili a tutta l’economia reale, di cui i risultati sono sotto gli occhi di tutti: recessione, disoccupazione, povertà, crollo produttivo e commerciale, disagio e rabbia sociale.

Napolitano – rielezione a parte – si è ritrovato con il cerino in mano. Poteva buttarlo, rischiando però di incendiare il Paese.
Per sua fortuna subito dopo i risultati elettorali il tanto vituperato Berlusconi gli ha offerto un assist fenomenale: la disponibilità totale del Pdl per un governo di larghe intese col Pd.
Governo che ha tardato a realizzarsi per l’ottusità di alcuni politici di Sx.

Il Pd non è un partito amalgamato e compatto. Ho la netta impressione che vi siano troppe lotte interne anche tra le varie anime che lo compongono. Mentre la coalizione messa in piedi da Bersani alla prova dei fatti ha subito subìto la frattura con il Sel di Vendola.
Nel campo ex Dc vi è una lotta di potere per la leadership tra Letta e Renzi; entrambi – è bene sottolinearlo – provenienti dalla stessa base con riferimento culturale a Andreatta/Prodi. Non dimenticando Bindi, Fioroni, Franceschini ….
Le divisioni interne che hanno affossato tanto Marini, quanto Prodi, non sono terminate con l’elezione di Napolitano.
Marino, infatti, probabile nuovo sindaco di Roma, ha votato sia per Rodotà (contro Napolitano), sia contro la fiducia al Governo Letta.
Le tante decantate Primarie sono in realtà il fallimento totale della democrazia dentro il Pd, dove si stringono e si stracciano velocemente, in brevissimo tempo, interessati patti da convergenze parallele.
Speranza, capogruppo Pd alla Camera, ha il suo bell’arrampicarsi sugli specchi nell’affermare che il Pd è un partito popolare che deve discutere al suo interno per trovare poi la linea maestra; tuttavia dovrebbe anche spiegare che partito sia quello  che, dopo aver scelto una determinata linea politica per dei propri candidati alla presidenza della Repubblica o del governo, si permetta di boicottarli votandogli contro, come è avvenuto e tuttora avviene.
Ne consegue che Letta sia solo un semplice operaio, promosso per l’occasione e in mancanza di altre alternative a capotreno. Un capotreno di un convoglio ormai economicamente quasi fermo.

Oggi, tuttavia, all’Italia serve soprattutto, più che un architetto capace di ideare, proporre e far costruire la cattedrale sociale e istituzionale, un tosto capotreno in grado di rilanciare il treno economico. Attualmente l’economia è la priorità assoluta della nazione, perché se si continuerà a rallentare ci si fermerà del tutto.
La disoccupazione non è mai stata così alta e ha ormai superato il 12%, sottolineata da Visco che con i dati di marzo l’ha posta all’11,5%. Il Governatore non ha fatto enfasi e ha snocciolato inquietanti dati economici, finanziari e sociali. Dati che riportano l’Italia indietro di più decenni.
Senza contare le Pmi, oltre ai molti lavoratori autonomi che pur stando sul mercato hanno redditi da fame per la recessione in atto.
Nella maggioranza ci si trastulla con le riforme istituzionali, necessarie sì, ma non prioritarie. Rischiando perciò di perdere altro tempo che non abbiamo.
Serve, soprattutto, proteggere e tutelare le attività ancora esistenti.

Una nazione non vive di sole tasse. Queste, a ben guardare in economia, sono solo la conseguenza dello sviluppo. Se crolla lo sviluppo anche le tasse sono destinate a scemare. Infatti, l’aumento dell’Iva ha prodotto in un anno un gettito inferiore di oltre 1 mld di € di sola Iva. Senza contare il crollo delle entrate sulle accise dei carburanti, nonostante la spropositata pressione fiscale.
Prevederlo non era difficile, perché è una regola basilare economica: quella che i taumaturgici tecnici economici, chiamati (imposti) al capezzale del malato, hanno volutamente e forzatamente ignorato.

Letta afferma che va in Ue a schiena dritta, pur deambulando sempre con il tronco un po’ prono.
La politica ora non è più solo nazionale, ma la si fa spesso e volentieri altrove. Perciò la si subisce, volenti o nolenti, specie se la maggioranza governativa e gli stessi partiti che la compongono non sono coesi al loro interno.
Oggi si parla e si straparla di evasione fiscale con il risultato che gli “evasori” falliscono o chiudono … continuamente.
Una confederazione di stati può reggere solo se ha una tassazione unitaria e se le regole sul lavoro – perciò anche i costi – sono uguali ovunque.
Ne consegue che in questo marasma di Ue i vari stati si facciano concorrenza tra loro per attrarre capitali, richiamandoli con facilitazioni e sgravi che invogliano cittadini ed aziende a produrre un’evasione legale e legalizzata sui redditi e sui capitali. I noti paradisi fiscali, quali sono ora Austria, Irlanda, Lussemburgo e Olanda.
Questo è il frutto della globalizzazione, dove le multinazionali hanno potere, forza e bilanci superiori ai vari stati, intente a migrare rapidamente dove i benefici sono maggiori. Ottenendoli anche piazzando propri uomini ovunque nei centri del potere.
Il caso Apple - alle cronache americane di questi giorni – ne è la prova inconfutabile con i sui 160 mld di $ sottratti (elusi) all’imposizione americana. L’Ue stessa calcola in oltre 1.000 mld di € le tasse (non l’imponibile!) che in questo modo vengono “evase legalmente”.

I Mercati oggi consentono migrazioni di capitali istantanee su Borse diverse, perciò sfuggendo a controlli sistematici che gli stati non hanno né il potere né la capacità tecnica di controllare e tassare nelle velocità e molteplicità delle transazioni.
La vera riforma, madre di tutte le battaglie, è proprio quella della regolamentazione dei Mercati, senza la quale l’1% della popolazione controlla la stragrande maggioranza della ricchezza, relegando a povertà sempre maggiore il rimanente 99%.
Ne consegue che la tanta sbandierata evasione fiscale sia in piccolissima parte quella relativa a lavoratori ed aziende e in massima parte riconducibile proprio a quelle regole nefaste che la rendono “un’evasione fiscale legale”.

Letta non è un architetto; al massimo è solo un “politico” di professione.
Ciò non toglie che potrebbe essere un buon capotreno. L’Italia per avere fiducia deve sperare in lui, perché se si toglie la speranza ad un popolo questo diventa inevitabilmente depresso, sfiduciato e … pericoloso. La fiducia, però, la si deve guadagnare sul campo.
Un capotreno tosto sa che il treno deve percorrere la sua tratta, essere puntuale, dare un servizio e mantenere l’ordine tra i suoi utenti. Diversamente il capotreno è solo uno che dà degli input, proprio come i 2 operai intenti a spostare mattoni.
Fare bonus fiscali su ristrutturazioni edilizie e sull’energia può essere utile. È però solo uno dei modi per incentivare - non far ripartire – l’economia.
L’economia la si rilancia costruendo un’Ue solidale e uniforme nelle istituzioni, nel lavoro, nei costi sociali, nelle regole e nelle tasse; pure anche negli stipendi, pur con delle differenziazioni regionali. Un’Ue che sappia attrarre capitali in modo uniforme dettando regole, distribuendoli e radicandoli sul territorio.
Diversamente sarà un’Ue allo sbando, destinata a crollare e a distruggere i singoli stati aderenti.



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