giovedì 4 dicembre 2008

La Sapienza nella Chiesa nella comprensione delle problematiche attuali.

Giuseppe, nel suo post “Dialogo interreligioso impossibile [1], più che porsi l’interrogativo se sia attuabile il dialogo tra le varie religioni, pone sul piatto discorsivo un interrogativo trasversale intrigante ed inquietante: chi oggi, nella Chiesa, possa avere la Sapienza e, con questa, il diritto di proclamarla con autorità, considerato pure che chiama in causa la Gerarchia in una sostanziale dissociazione sulla tematica espressa.

Ovviamente non intendo entrare nel merito del dialogo[2] sulla possibilità o meno che ciò possa avvenire; perché ciò che l’articolista ha posto in essere, pur inconsciamente, è un problema che spesso la chiesa (gerarchia di pastori) ha affrontato nel corso dei secoli, dichiarando espressamente il suo diritto naturale ad espletare tale funzione: il diritto ad essere guida!

Il lettore attento avrà notato che nel mio articolo datato del ’96[3], non solo affianco in parte Giuseppe, ma dichiaro apertamente l’erroneità di tale concezione con riferimenti precisi sulla fallibilità di tale conclamata prerogativa.

Lo scorrere del tempo, inoltre, mi è stato fedele alleato, mostrando gli errori iniziali, commessi dalla gerarchia, su tali tematiche.

Ciò nonostante riconosco il grande valore che l’insegnamento dei Pastori può dare, anche se talora imperfetto, specie se si considera che tutti sono chiamati, avendo ricevuto con il sacramento crismale lo Pneuma, a costruire col pensiero e con l’azione la Sapienza della Chiesa in cammino.

Da ciò traspare evidente il concetto che nella Chiesa vi è una certa Sapienza che può essere in contrasto con la sapienza gerarchica.

Ovviamente non sto giocando sulle parole Chiesa e chiesa, perché ciò credo sia ampiamente comprensibile a tutti.

Perciò mi soffermo un attimo, con questo articolo/riflessione, sul concetto collegiale di Chiesa: Popolo in cammino in Unione al Cristo.

Per fare ciò faccio un passo indietro, differenziando il credo canonico ortodosso da quello cattolico.

Il Papato reclama per sé il diritto alla supremazia gestendo, di fatto, con una propria “corte” (governo), tutto il sistema Chiesa e chiesa in modo praticamente insindacabile su tutto il globo.

Il Primate ortodosso (normalmente il Metropolita) afferma una sola preminenza zonale della Chiesa a lui soggetta, lasciando agli altri Primate la gestione della loro. Ciò, ovviamente, non crea contrasto dottrinale perché la credenza è identica nelle varie chiese che possono avere esigenze sociali assai diverse per la loro localizzazione logistica.

Non per nulla il Papa non è mai riuscito a visitare la Russia; e ciò per un motivo preciso che è sempre stato sottovalutato dalla gerarchia cattolica: l’essere ospite in una Chiesa che è sempre Chiesa in Cristo, ma parallela e autonoma alla sua autorità.

In pratica da una parte, il papato, si cerca di consolidare il proprio potere teocratico, dall’altra, il primate, si riafferma il “primus inter pares” di ognuno nella propria giurisdizione.

Mi soffermo un attimo sul concetto di “scomunica” per comprendere appieno il discorso.

Questa può essere emessa da qualsiasi vescovo e in via teorica due vescovi possono scomunicarsi vicendevolmente.

Perciò un papa può scomunicare un vescovo; e il vescovo scomunicato può, a sua volta, scomunicare il papa.

L’autorità che ha emesso la sentenza (o suo successore) può revocare tale condanna.

Nei secoli scorsi ciò è già avvenuto più volte; ora si cerca di evitare il conflittuale evitando pubblicamente tale opzione poco cristiana.

Lo Scisma d’Oriente[4] è avvenuto principalmente per una questione di potere, perciò di supremazia; e i due vescovi, di Roma e di Costantinopoli, si sono scomunicati a vicenda.

Ovviamente il mondo è andato avanti ugualmente ed ognuno dei contendenti ha proceduto per i fatti suoi.

Che poi i due protagonisti siano tra i dannati per la scomunica ricevuta, oppure no, non è tanto importante, essendo unicamente superfluo e velleitario.

Nei secoli abbiamo avuto pure delle scomuniche che col senno di poi possiamo definire errate; e ciò dimostra unicamente la fallibilità di certe prerogative.

Alcuni casi, come Galileo e Savonarola, sono emblematici delle cantonate che la gerarchia ha preso nella sua storia.

Tutto ciò sta a dimostrare che la Verità e la Sapienza non sono l’imprimatur consequenziale ad una carica gerarchica verticistica, ma solo un modo operativo che può portare, talora, all’errore.

Il Papa, ovviamente, non è infallibile e lo stesso Ratzinger[5] invita i suoi lettori a criticarlo tranquillamente se non si è d’accordo con lui.

Ciò, implicitamente, evidenzia il personalismo ideologico che, come tale, non può essere rivestito d’infallibilità.

Diversa è la situazione se il Papa parla “ex cathedra”; ma ciò avviene unicamente nella declamazione di dogmi particolari che come tali, essendo teorici, non possono essere dimostrati o negati né tramite la scienza, né col ragionamento logico: perciò basta la dichiarazione, tramite il Papa, dello Pneuma. Basti pensare, ad esempio, ai due dogmi mariani sull’Immacolata e sull’Ascensione.

La stessa cosa vale per le Verità conciliari, appunto perché in quel frangente si parla come Chiesa e non come gerarchia: verità che hanno ricevuto l’imprimatur dello Pneuma.

Difatti, la Chiesa non ha mai revocato dei dogmi precedenti, anche se assai datati nel tempo, appunto perché ciò contrasterebbe con la Sapienza/Verità dello Pneuma.

Quando si inizia un Conclave, mentre i cardinali elettori entrano, si canta il “Veni Creator Spiritus” e si aggiunge subito “illumina la mente dei tuoi cardinali”[6], appunto perché nella chiesa cattolica viene riconosciuta la supremazia teocratica del pontefice e il suo diritto a parlare ex cathedra anche al di fuori di un concilio: il Papa, quindi, come scelta dello Spirito Santo tramite i cardinali elettori.

Si pone perciò il problema, se il Papa non è sempre depositario dell’infallibilità sapienziale, di distinguere tra il pensiero suo personale e quello della Chiesa/Ecclesia, perciò come comunità intera che ha in sé spinte e differenziazioni spesso sostanziali.

Ed è ciò che Giuseppe ha fatto dissociandosi dal pensiero pontificio, pur non entrando nel merito se abbia ragione lui o il Papa in tale ipotetica diatriba.

Perché, teoricamente, l’interpretazione sua potrebbe essere superficiale, o errata, del pensiero papale, perciò viziata all’origine.

E lo stesso discorso può e deve essere fatto per tutti gli altri vescovi, appunto perché il papa è un vescovo e tra i vari vescovi spesso vi sono impostazioni sostanziali diversificate su una stessa problematica.

Tutti i cattolici, come dicevo in un paragrafo iniziale, hanno avuto il sacramento crismale; e su questa base sono chiamati a costruire la Sapienza dell’Ecclesia, secondo i talenti che il buon Dio ha loro dato in affidamento.

Basti pensare ai moltissimi teologi che erano laici o semplici religiosi, senza essere vescovi.

La storia del pensiero cristiano ne può evidenziare una moltitudine e pure quantificare quanto il loro “pensiero” sia servito alla Chiesa per sviluppare e perfezionare la propria Sapienza.

Il non essere sempre in sintonia con la gerarchia pone in essere due diverse problematiche di non poco conto:

a) La prima riguarda il sistema dottrinale, perciò dogmatico, e di conseguenza il principio dei valori non negoziabili: Vita e Famiglia.

b) La seconda prende in considerazione le migliorie che possono e debbono essere aggiunte al vivere giornaliero; perciò tutti quei derivati valoriali che affiancano i valori primari in una successione a cascata, tanto nel vivere ecclesiale, quanto in quello civile.

La prima ipotesi, mettendo in discussione i presupposti basilari della dottrina, pone pure in discussione il concetto stesso di Chiesa. Perciò chi mette in controversia la dottrina dogmatica diventa eretico; e nel farlo diventa entità estranea alla Chiesa stessa: non si riconosce più in Essa.

Se il papa o i vescovi parlano (in tutti i vari modi possibili) di tali Verità è ovvio che siano nel giusto e non possono essere messi in discussione, come non può essere messo in discussione lo stesso semplice fedele che disquisisce con capacità e con piena adesione alla dottrina dogmatica.

Il concetto espresso non è, pertanto, il semplice pensiero del singolo credente, anche se importante nel ruolo gerarchico, bensì quello stabilito dallo Pneuma nell’Essere Chiesa in Cristo. In questi casi chi ci parla è Dio stesso con la sua Sapienza!

Diversa è la seconda ipotesi, perché il modo di essere Chiesa/Ecclesia segue lo sviluppo del pensiero, il quale è correlato al progresso, alle esigenze e alle necessità del tempo.

Una volta si viaggiava a piedi o con un animale, oggi si procede con l’auto e con l’astronave; ed è ovvio che questa sostanziale diversità di procedere ponga in essere problematiche completamente diverse, che debbono essere rapportate in sintonia alla dottrina operativa ecclesiale.

Il credente che lo fa, comunque, deve avere la capacità non di solo contestare, ma di saper costruire con lungimiranza un correttivo parziale, o sostanziale, a quanto la Gerarchia “interpreta” nella convinzione d’essere in buona fede.

Ciò implica il corretto e preventivo studio e comprensione del discorso altrui, sul quale poter basare un’analisi dettagliata del possibile errore procedurale discorsivo. Il non farlo porta il credente, chiunque questi sia, ad agire con pressapochismo, perciò senza un’eziologia, una metodologia analitica e una gnoseologia della tematica trattata.

Le problematiche oggi sul tappeto sono principalmente di due tipologie precise: scientifiche e sociali.

La scientifica pone in evidenza la liceità di certe modalità operative; mentre quella sociale evidenzia sostanzialmente il corretto rapporto tra credenti nella comunità ecclesiale e tra cittadini nella pacifica convivenza operativa tra diverse realtà sociali.

Entrambe hanno stimoli ed esigenze mutanti, appunto perché le problematiche che innescano sono in continuo fermento per il variare della loro causa/effetto. Debbono, comunque, essere in perfetta sintonia alla dottrina dogmatica, basata sui valori non negoziabili.

Il Pastore, spesso, ha una monocultura religiosa, anche perché nella formazione “professionale” non gliene è stata impartita altra. Perciò basando tutto sulla dottrina dogmatica è facile che certe realtà non gli siano perfettamente comprensibili o che gli sfuggano totalmente, essendo spesso lontano e distaccato dalla realtà sociale, quasi rintanato nella sua torre d’avorio. In pratica più che essere Pastore nel gregge è Pastore fuori dal gregge; e la sua lontananza è spesso correlata al grado gerarchico acquisito.

Da qui, ovviamente, può scaturire un errore valutativo o cognitivo; ed allora è compito del credente cercare di arginare questo possibile errore, operando con la sua conoscenza in sintonia alla comunità ecclesiale.

Il credente, da parte sua, è spesso carente nel dogmatico/religioso e può sottovalutare il problema nel rapporto dottrinale.

Come si vede il connubio tra pastore e credente non è facilmente complementare nel rapporto gerarchico, essendo per lo più complanare; e spesso può portare ad incomprensioni reciproche ed a contrasti ecclesiali più o meno palesi. Per farsene un’idea basti pensare alla politica o a quanto certe correnti sociali siano mal viste dalla gerarchia.

Ho spesso la percezione che i Pastori siano spesso arroccati artatamente sulle loro posizioni privilegiate e non tanto per i benefit che sfruttano più o meno pubblicamente, quanto per il distacco con cui seguono l’evoluzione del gregge loro affidato.

Anziché essere servitori sono unicamente dux; ma in questo modo non si entra in sintonia con l’Ecclesia, ma si pone il concetto stesso di Chiesa in subalternità alla gerarchia.

Chiesa/Ecclesia è invece un’unica realtà indivisibile dove tutti debbono essere nello stesso tempo pastori e gregge, anche perché non può esistere un gregge senza un pastore. Il pastore, pertanto è parte integrante del gregge, quindi gregge lui stesso; diversamente non si ha un gregge, ma solo un branco.

E, se Chiesa è il gregge divino in cammino, in essa non vi possono essere diversità sostanziali del genere animale: perciò l’uomo pastore da una parte e l’animale pecora dall’altra, appunto perché il vero e unico pastore che conduce la Chiesa è Cristo con la sua Essenza superiore divina. Tutti gli altri sono pecore, più o meno grandi, impegnate nel servizio reciproco, come la pecora madre assiste l’agnellino.

Non vi sono gradi gerarchici nel servizio e nell’espletamento della Carità, appunto perché questa include prioritariamente il mettersi al servizio dell’altro e non l’esserne servito.

Ma ciò che appare contrastante in apparenza tra gerarchia e popolo si stempera nello scorrere del tempo, anche perché il Pastore futuro cresce permeato delle nuove esigenze sociali e delle inerenti problematiche connesse, correggendo, con le necessità sapienziali del gregge, i possibili errori valutativi della gerarchia precedente, superata dagli eventi.

Ma tutto ciò avviene non solo in religione, ma anche nel sociale, quindi nella società civile.

Ovviamente sarebbe molto meglio se la gerarchia riuscisse prontamente a recepire le istanze del gregge, onde indirizzarlo saggiamente nella risoluzione delle problematiche insorgenti; ma ciò, forse sarebbe pretendere troppo.

Come, forse, sarebbe pretendere troppo che la gerarchia concepisse il proprio essere pastore come servizio all’altro, nell’umiltà dell’ascolto, nel consiglio e nell’insegnamento fraterno, nella disponibilità ad essere Samaritano piegato sul proprio fratello, sia questo pecora o pastore.

Ma l’uomo non è perfetto, come non è perfetta la Chiesa; diversamente questa non sarebbe Popolo/gregge in cammino, ma solo un sistema sociale/religioso, da secoli perfetto e immutabile, di essere in sintonia con il proprio Creatore/Pastore.

Personalmente non apprezzo molto l’attuale filosofia fenomenologica della Gerarchia e per tanti motivi che, da anni, continuo a sottolineare; ma non intendo discutere di questo.

Tale filosofia ha evidenziato, riconoscendoli, gli errori passati; e i vertici ecclesiali hanno pure chiesto scusa per tali sbagli. Cosa a mio parere ininfluente, perché sostanzialmente la Storia li aveva già ampiamente evidenziati.

Tuttavia ritengo che la fallibilità gerarchica sia maggiormente a rischio con tale filosofia, appunto perché il “fenomeno” tende analiticamente a stemperare l’azione e perciò a giustificare l’errore.

Complementarità, sussidiarietà, solidarietà, concertazione … sono le parole apparentemente d’ordine anche in ambito ecclesiale relativamente al sociale; però ci si dimentica che queste forme sono degenerazioni pratiche peggiorative, anche se positive per certi aspetti, del fulgido concetto di Carità, perciò dell’essere Samaritano nella stessa Chiesa e di riflesso anche nella Società.

Credo che la Chiesa abbia l’obbligo morale e dottrinale d’essere luce nella società, ben sapendo che però è solo una parte della società; ma non per questo ha il diritto di imporre a tutti, anche a chi non condivide, certi concetti valoriali.

Non so se sia possibile il dialogo con alcune religioni, specie con quelle che tendono a sopravvaricare e a sottomettere (annientare) le altre.

Però una certezza personale ce l’ho: con il dialogo si costruisce, si trasmettono idee, si concepisce e si fanno percepire i possibili errori procedurali.

Diversamente la Chiesa non sarebbe Popolo in cammino: verso la Verità/Sapienza e perfezione di Dio.




[2] - Anche perché non conosco il testo pontificio.

[4] - Avvenne nell’anno 1054 ed è chiamato in due modi contrapposti, sinonimi di colpe specifiche di chi volle lo scisma: Scisma d’Oriente da parte dei cattolici e Scisma dei Latini da parte degli ortodossi.

[5] - Benedetto XVI.

[6] - Libera traduzione adattata al frangente citato: mentes tuorum visita

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Carissimo Sam,
mi ha colpito questa sua frase espressa con fraternità docente:

Il credente che lo fa, comunque, deve avere la capacità non di solo contestare, ma di saper costruire con lungimiranza un correttivo parziale, o sostanziale, a quanto la Gerarchia “interpreta” nella convinzione d’essere in buona fede.

Condivido appieno il pensiero espresso nel suo articolo e, egoisticamente, sa che lo vorrei vedere in ben altra posizione nella Chiesa, piuttosto che da singolo autonomo pensatore.
Ma lei ha scelto altra via e certa Gerarchia avrebbe estrema difficoltà pure a comprenderla.

Sarei felice di vedere questo mio breve commento nel suo blog, anche se … anonimo.
Per il resto abbiamo il nostro canale …
Con grande rispetto

Carlo M.

Sam Cardell ha detto...

Carissimo Carlo M, la sua nota mi ha colto di sorpresa.
Difatti, spesso, sapendo che i commenti sono moderati, mi si chiede espressamente di non … renderli pubblici.
Lei, dopo aver per lungo tempo messo la sua impronta nella Chiesa, ora vuole lasciarla pure qua.
Il suo auspicio sul mio impegno credo che rimarrà solo una favola ipotetica, anche perché sa a quali attacchi venni sottoposto anni fa; ma ciò non mi turbò, anche perché la figura tapina la fecero gli altri alla fine e la storia dimostrò pure la loro vacuità.
Credo che sia sufficiente ringraziarla e non aggiungere altro.
Sam