giovedì 11 dicembre 2008

Lo sbandamento decisionale sui tassi.

La BCE ha ridotto i TUS al 2,50% con un taglio di 3/4 di punto, cosa che ha fatto gridare molti alla meraviglia, non essendo mai successo in 10 anni di vita.

Altri, nello stesso tempo, l’hanno ridotto anche di più del doppio e ciò indica la gravità della situazione; e in precedenza ciò era già avvenuto altrove.

Trichet si è accorto, unitamente ai suoi colleghi, che la situazione è grave e che “la riduzione del TUS è consentita, ora, dal raffreddamento[1] dell’inflazione”.

Già in estate avevo sollevato tale problema ed evidenziato che l’economia si stava fermando e che urgeva, ed era già tardivo, intervenire pesantemente sui tassi.

Il problema non era l’inflazione, perché questa era stata abbondantemente gonfiata dai Futures sulle materie prime da una bolla speculativa poi esplosa, bensì una politica fiscale ed economica dissennata, specie in Italia, che aveva costretto molte aziende a chiudere o a trasferirsi altrove con le unità produttive.

Mi chiedo a che punto saremmo oggi se il Governo Prodi fosse ancora in piedi, considerato che la Sx insiste pedantemente per ridurre drasticamente le tasse, dopo averle alzate oltre la tolleranza fisiologica nel suo breve, fortunatamente, disastroso passaggio di potere.

La scorsa settimana ho fatto visita a diversi stabilimenti e ho visto lo sfacelo produttivo che li ha investiti.

Chi oggi produce ancora, anche se a rilento, lo fa per amor di personale, per immagazzinare e nella speranza che la situazione non degeneri ulteriormente, perché allora sarebbe il disastro anche per le aziende finanziariamente sane e autosufficienti nella capitalizzazione.

Le banche non hanno ridotto drasticamente il tasso Euribor[2] e vanno a rilento, anche perché debbono recuperare produttività ed ammortizzare, chi più chi meno, la debacle speculativa a cui si erano inopinatamente sottoposte.

Perciò tutti hanno paura e cercano di non esporsi ulteriormente, sperando in un … miracolo che non verrà.

E le Borse, con il loro progressivo scendere altalenante, sono il termometro produttivo di una situazione che se fosse stata prevista prima, dai responsabili economici e finanziari, non avrebbe trascinato con sé pure l’economia reale.

La prospettiva è che il mese prossimo la BCE dovrà tagliare almeno di 1/2 punto ancora il TUS e che dovrà continuare a farlo nei mesi successivi fino a farlo scendere all’1%; mentre la Fed scenderà addirittura allo 0,5%, dimezzando l’attuale.

Ciò indica solo una cosa: il portare il costo del denaro a minimi inimmaginabili per invogliare gli investimenti e far ripartire l’economia.

Ma ciò che è possibile in teoria è improbo nella pratica, perché le banche sono molto restie ad esporsi ulteriormente in finanziamenti che sono maggiormente rischiosi oggi, specie se dati ad aziende che sono in grave crisi produttiva e commerciale e con un indebitamento già accentuato.

Il settore auto evidenzia ovunque i suoi limiti e Obama afferma che non è disposto ad investire ulteriormente in aziende che, comunque, saranno costrette poi a fallire. E lo stesso discorso può essere fatto su molti altri settori produttivi, anche nel tecnologico e nel largo consumo.

Perciò lancia il suo piano di provvisorio salvataggio del settore automobilistico, entrando come Stato nell’assetto azionario (20%).

Tenere in piedi aziende obsolete e con indebitamento accentuato porta, da una parte, a salvaguardare l’occupazione momentanea e, dall’altra, a caricare il sistema economico di ulteriori spese. L’operazione di salvataggio/acquisizione Alitalia è un esempio pratico dei grandi costi sociali che comporta sulla comunità intera: investimenti a rischio da parte di audaci imprenditori che provano a rilanciarla, accollamento dei debiti a spese dei contribuenti, onde permettere agli acquisitori di non essere falliti in partenza.

Questa operazione, da ovunque la si guardi, pone in evidenza l’enorme spreco di denaro pubblico che sarebbe potuto essere usato assai più proficuamente in altro modo, se il sano realismo politico e finanziario non fosse stato ottenebrato dal bieco nazionalismo campanilistico.

Credo che il Sistema abbia fatto il suo tempo e che i palliativi statali atti a sostenere con ulteriore debito/disavanzo l’iniziativa privata, o pubblica, abbia manifestato i suoi limiti.

Ora si cerca di inondare il sistema finanziario di miliardi di € e di $; e l’UE si accinge ad immettere obbligazioni (bonds) proprie nel sistema per sostenere la domanda e l’economia reale.

Ciò che appare evidente è che ai sostanziosi debiti nazionali (enorme per l’Italia), si cercherà di sopperire con ulteriori debiti comunitari. In pratica: finanziare debiti con ulteriori debiti! Infatti, la “ricchezza” non piove dal cielo per grazia ricevuta e prima o poi bisognerà pareggiare il conto, o pagando i debiti creati, o facendo default.

Perciò, ben che vada, la situazione di collasso totale potrà solo essere rinviata, ma non scongiurata a lungo termine.

Negli States sembra che il nuovo staff governativo intenda puntare velocemente sulle teorie keynesiane, investendo sia in strutture che nelle stesse aziende. Perciò si dilaterà ulteriormente il già imponente debito pubblico ottenendo probabilmente a breve alcuni risultati, ma caricando le generazioni future di un gravame insopportabile.

E se si sbaglierà qualcosa sarà la fine dell’imperialismo politico, militare e sociale americano: imploderà!

Pur non essendo contrario a priori a tale politica economica, osservo solo che il non scindere le aziende sane da quelle in agonia per troppi debiti permette sì di mantenere un coefficiente paritario di occupazione, ma, come la vicenda Alitalia dimostra, il mancato decisionismo iniziale per troppa tattica politica porta inevitabilmente con sé un danno maggiore, sia nel sociale/occupazionale, sia nello spreco di risorse pubbliche a carico della comunità.

Negli anni ’70 e successivi, già crisi precedenti[3] avrebbero dovuto allertare il sistema; ma con le teorie keynesiane si è voluto proseguire ed il risultato è oggi lampante da vedere: un disastro annunciato.

Abbiamo voluto, tutti, vivere oltre le nostre possibilità, tramandando all’infinito la risoluzione delle problematiche che avanzavano minacciose all’orizzonte.

Obama viene dall’Illinois e da Chicago: uno stato e una città per fama politicamente corrotti.

Con ciò non intendo dire che abbia degli scheletri nell’armadio, ma solo rilevare che la politica in quella regione è molto particolare ed affidata spesso ad avventurieri che, con spregiudicatezza, hanno operato per scalare certe posizioni.

Il governatore precedente (repubblicano) è in carcere per corruzione e l’attuale (democratico) lo sarà tra breve per vicende poco cristalline (eufemismo).

Non per nulla era la “casa” di Al Capone e della mafia italoamericana.

Basti ricordare il sospetto che l’elezione di Kennedy avvenne probabilmente per i voti che il sindaco di allora riuscì a procurargli con manovre poco ortodosse.

Perciò appare consequenziale, anche se solo ipotetico, che gli esponenti politici che “escono” da quello stato debbano, per forza di cose, aver avuto contiguità con certe forze per scalare certe posizioni, avventurandosi spesso in oscuri compromessi.

Rifacendomi ad un concetto simbiologico di Carlos Cinco, mi verrebbe spontaneo affermare che la mentalità che permea i politici di quella zona debba essere, appunto, assai similare in tutto in entrambi gli schieramenti, basandomi sia sulle cause, sia sugli eventi che sugli effetti, proprio come da un seme di una pianta non ne può nascere un’altra.

Guardando l’iter della campagna elettorale sia nelle primarie che nelle presidenziali non mi tornano diversi conti per i troppi walzer ideologici e strategici. Ciò significa che con troppa disinvoltura si è cavalcato l’onda emotiva popolare, operando con sufficiente spregiudicatezza politica per centrare l’obbiettivo.

La sua elezione mi ha lasciato indifferente e attendo la controprova dei fatti.

In campo economico dovrà, inevitabilmente, discernere tra aziende sane e cachettiche e tra America ed Europa, salvaguardando pure il liberismo democratico e isolandolo dalla globalizzazione finanziaria selvaggia.

In campo politico dovrà dimostrare l’acume realistico e non la spavalderia e il populismo finora palesato, creando di conseguenza una rete di rapporti paritari e non imperialisti con gli altri stati.

In campo militare dovrà decidere tra la ritirata in Iraq in tempi brevi e la salvaguardia della democrazia e stabilità del governo di quel paese; senza dimenticare l’Afganistan, dove i Talebani hanno ripreso sotto controllo circa il 2/3 del paese e dove si annida e prospera il terrorismo internazionale, basato su un integralismo dottrinale ideologico.

In campo strategico produrre un’assonanza sincretica tra le varie problematiche ed esigenze nei vari paragrafi appena esposti.

Il compito, pertanto non sarà facile e l’economia non potrà decollare proficuamente senza un poderoso abbattimento della spesa complessiva. Perché appare chiaro che l’America non potrà reggere a lungo il sostegno finanziario fraterno all’Europa, una spesa (indebitamento) colossale per salvare finanza e industria, un investimento poderoso in ammodernamento ed infrastrutture e, infine, una dissanguante emorragia finanziaria per assecondare la sicurezza interna e la guerra esterna al terrorismo.

Tutte queste ragioni porteranno inevitabilmente gli U.S.A., per non implodere, a rinchiudersi su sé stessi e le altre nazioni, Europa compresa, a dover investire ulteriormente per mantenersi in piedi efficienti.

Perciò, con tali premesse, è chiaro che anche da noi le cause/effetto, che da tempo erano evidenti sul tappeto, sono state politicamente (dagli Stati) e finanziariamente (BCE e Banche centrali) sottovalutate, quando non totalmente ignorate.

La strenua difesa della politica dei tassi alti della BCE con l’obbiettivo, errato, di contrastare una spuria inflazione, l’imprevidenza degli Stati a prevedere prima e a contrastare poi l’avanzata del tornado finanziario, la poca avvedutezza politica nazionale di favorire l’emigrazione delle aziende manifatturiere in aree geografiche emergenti, sono le tre parche funeste che hanno prodotto la recessione, la bolla speculativa della globalizzazione selvaggia e il collasso economico e produttivo.

Titolati esperti pronosticavano per fine anno il Future sul petrolio a 240 $ al barile, mentre invece siamo ora sui 40.

Ai primi sintomi del tornado finanziario si era ipotizzato un breve periodo (6/9 mesi) di stagnazione, mentre invece siamo in recessione.

Dopo i primi interventi nazionali per salvaguardare l’esistenza di grosse aziende dal crack incombente si è ipotizzato una possibile ripresa verso la prossima primavera, mentre ora tutti concordano che l’intero 2009 sarà l’anno peggiore.

La recessione sarà lunga e non si sa ancora con precisione quando si toccherà il fondo. Con sé porterà, inevitabilmente, fallimenti, disoccupazione, conseguente turbolenza sociale e ulteriori grandi debiti in aggiunta ai già imponenti nazionali.

L’Italia emette bonds (titoli di stato) con un tasso dell’1% superiore alle altre principali nazioni; e ciò significa solo che per attrarre capitali bisogna innalzare il tasso reddituale, data l’ipotetica insolvenza nostra. Perciò la nostra spesa per investire è già superiore, nei costi, a quella altrui.

Nella primavera prossima, da quanto viene comunicato, saranno in scadenza ben 200.000 mld di € di titoli, che dovranno necessariamente essere ricollocati per non andare in default.

Il nostro Stato incassa in un anno 320.000 mld di € di tasse, mentre ha un debito pubblico di oltre 1.600.000 mld di €; perciò per azzerarlo ci vorrebbero almeno 5 anni di tasse complessive senza spendere un eurocent.

L’abbassare il TUS porta inevitabilmente con sé l’abbassare anche le rendite finanziarie sui bonds e a rendite basse non possono corrispondere rischi elevati.

La reticenza delle banche a concedere prestiti è basata, oggi, anche su queste premesse, specie se la roulette borsistica le ha ottenebrate nel valore patrimoniale.

Fortunatamente oggi le auto si vedono ancora girare e la gente non andare a piedi scalzi e mezza ignuda. Ciò significa che una certa consistenza patrimoniale familiare esiste ancora e che su questa si può, ottimisticamente, implementare una graduale e lenta ripresa: c’è ancora chi lavora, produce, commercia, investe e fa girare l’economia!

Ma ciò lo si potrà fare solo se non vi sarà il crollo totale della fiducia nazionale vicendevole: tra istituzioni e cittadini, tra banche ed aziende, tra banche e clienti con depositi, tra imprenditori ed operai e, soprattutto, tra elettori ed eletti.

Perché è ovvio che quando i tassi saranno all’1%, i margini di manovra per correggere eventuali errori non ci saranno più, a meno che oltre a dare il denaro al privato o al pubblico per investire si dia pure, anziché ricevere, un interesse aggiuntivo come premio.

Però, come mi scrive un amico assai ferrato in economia, oggi ci sono ancora spazi utili per le favole, ma non nella progettazione delle istituzioni sociali o – per gli stessi motivi – nei calcoli tecnici per la realizzazione di strutture.

E proprio sulla base di questa acuta considerazione si può concludere che i tassi bassi sono i benvenuti, anche se assai tardivi; ma che non saranno affatto sufficienti se il Politico oggi si alienerà la fiducia dell’elettore, tacendogli la grave situazione che stiamo attraversando.

Perché la fiducia nelle istituzioni, e di conseguenza reciproca tra le parti, non scema per cause immotivate, bensì solo perché nessuno vuole, o è in grado, di spiegare al popolo ciò che sta avvenendo.

In seguito alla Guerra dei 6 giorni si fermò il traffico domenicale per un certo periodo motivandolo; oggi, forse, sarebbe assai utile che i nostri Politici ci spiegassero realmente dove stiamo andando, cosa ci attende e perché si opera in un certo modo.

Lo spargere ottimismo è una virtù e non una colpa: lo diventa (colpa) se non vi è il motivo d’essere ottimisti.



[1] - Tecnicamente: deflazione.

[2] - In rapporto diretto al TUS.

[3] - Anche se piccole turbolenze rispetto al tornado attuale.

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