mercoledì 29 aprile 2009

Tra personalismo e capitalismo.

Ogni tanto mi capita di ospitare testi diversi dai miei, come può capitare con Sesac.

Ma l’ho fatto sempre nella piena disponibilità dell’interessato, quasi su suo invito.

Questa volta, pur senza il consenso preventivo esplicito, voglio ospitare l’ultimo articolo di Kärl Fϋnfte, forte del nostro “costruire” comune.

E lo pubblico per un semplice e grande motivo: lo ritengo molto interessante e stimolante, considerato il tempo che stiamo vivendo.

È solo l’inizio di un discorso che sarà lento, ma continuo nel tempo.

Perciò lo metto a disposizione di tutti.

Non aggiungo altro, se non:

Buona Lettura!

Sam Cardell

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Tra personalismo e capitalismo.

Porre la preminenza della Persona sullo Stato non significa essere personalista.

Tu Sam, nel discorso (La concezione personalista.) esplichi, oltre che intendere bene, il mio concetto.

Personalmente ritengo il Personalismo una risposta filosofica insufficiente non solo alle problematiche attuali, ma pure a quelle del secolo scorso, sia in relazione alla recessione del ’29 che all’avanzare dei totalitarismi.

Mounier ha i suoi pregi e i suoi difetti:

il pregio consiste nell’aver preso il Vangelo in modo radicale e senza compromessi con la stessa urgenza ch’era propria di Pascal, tanto per intenderci;

il difetto non quello apparentemente comune e superficiale d’essere considerato un marxista travestito da cristiano (che proprio non era), ma quello di essersi appiattito troppo sulle tematiche derivanti dalla concezione marxista relativa al capitale. Questo lo intendeva, perciò, come un mezzo di appropriazione di pochi rapaci a scapito della massa e dell’indifeso.

Lui fece delle tre R, allora esigenza assai comune, il senso del proprio pensare e procedere, lontano assai dalla concezione scolastica propria del suo maestro: Rinascimento, Rivoluzione, Riforma.

Concepì perfettamente la differenza tra “persona” e “coscienza”, ma non quella tra capitale e capitalismo.

In pratica fece lo stesso errore di Marx.

Ma lascio a te, se lo riterrai opportuno, sviluppare ulteriormente il pensiero in tal senso, rapportandolo alla realtà odierna che impone ben altro che il “personalismo comunitario”, assai diffuso oggi nei cattolici orientati a sx e al senso del … passato.

Una società democratica deve basarsi su due principi: la Persona e lo Stato (società).

Le oligarchie sono il nemico della società, quindi dello Stato, perché tendono ad impadronirsi dello Stato tramite la debolezza della democrazia: il voto popolare.

I gruppi lobbistici fanno pressioni sugli eletti vincolandoli in due modi diversi: con il portare proprio esponenti all’elezione manipolando la massa, oppure asservendo (in molteplici modi) l’eletto ai propri fini.

Le lobby sono il braccio esecutivo del “capitalismo”, perciò di quell’apparato economico che, diversamente dal passato, agisce come persona giuridica nello stato, avendo acquisito la stessa paritetica cittadinanza della persona fisica pur detenendo capitali talora superiori ad uno stato, come ad esempio le multinazionali.

È, comunque, un’astrazione concettuale operativa ed è proprio quello che a Mounier (e ai suoi seguaci) non è riuscito bene di quantificare.

Il cittadino può correggere con la democrazia del voto questa degenerazione e stortura, ma non sempre ci riesce. Difatti l’importanza del capitale (inteso come economia) per ogni Governo è prioritario allo Stato stesso, perciò alla società.

Si è perso e invertito il ruolo cardine del sistema sociale: lo Stato composto da cittadini/persone.

Ciò succede per un semplice motivo: il relativismo!

Perciò si perdono le diversità sostanziali che contraddistinguono (come dicevo nel mio breve commento) i concetti di Principio e Valore.

Invece di una società di persone stiamo vivendo in una società (quasi) di capitale, anche se passivo (debito)!

La Persona, ovviamente, ci mette del suo asservendosi al consumismo.

È il punto debole dell’anello economico: guadagno non per vivere, bensì per “consumare”.

E su questo Mounier avrebbe perfettamente ragione, anche se il consumismo, nel suo tempo, era solo un modo spocchioso e iattante di manifestare la propria ricchezza: era ancora … neonato!

I media, oggi nelle case di tutti, hanno accentuato questa degenerazione concettuale inserendo input dannosi nei ragazzi, che sono i maggiori utenti dei media ed anche quelli intellettualmente meno preparati a difendersi dal pericolo.

Non per nulla le giovani generazioni sono quelle che spendono di più e che risparmiano meno: pretendo il tal prodotto perché la pubblicità lo … dice.

La pubblicità ha reso i media l’arma letale di penetrazione di massa.

Perché esiste la pubblicità? Per creare cultura? No; per produrre business nel vendere sempre di più e contro qualsiasi logica della necessità.

In pratica per vendere si crea la “necessità” del consumo tramite una malattia mentalmente degenerante: la compulsione dello shopping. E non importa se la maggioranza dei prodotti sono il “superfluo”, quando non l’inutile del semplice usa e getta.

Dobbiamo pertanto scindere la necessità primaria (quella della necistà di vivere decorosamente) da quella artificiosa e secondaria del consumare per “apparire”.

Il capitale, un tempo, era la ricchezza di pochi e serviva pure a poco, se non a garantirsi il potere politico locale tramite quello economico col clientelismo. Per acquisire quello sovranazionale bisognava procedere con la guerra di conquista.

L’economia era ristretta e i tempi erano lunghi: per la mobilità, per la distanza, per la precarietà del bene, per l’uso stesso del bene e per la possibilità economica delle persone, la cui unica esigenza era spesso quella di sopravvivere.

Era un mondo economico “relativo”.

La rivoluzione industriale ha modificato questi tempi riducendoli parzialmente; e la civiltà post industriale li ha resi istantanei.

Basti pensare a quanto si può guadagnare (o perdere) in un solo giorno, tramite la speculazione borsistica, senza sborsare materialmente un €. Ovviamente a danno di qualcuno!

Si sono alterati non solo i Principi esistenziali, ma con essi i Valori.

In pratica i valori relativistici (perché vincolati alla sola persona/individuo) hanno sovvertito l’equazione iniziale “I Principi esistenziali stabiliscono i Valori”.

Abbiamo così: il valore stabilisce il principio.

Parafrasandolo al presente: il consumismo stabilisce con la sua grandezza di spesa la sostanza della persona, perciò la sua importanza sociale relativa al guadagno. Il quale è commisurato all’economia del produrre per consumare.

Si ottiene di conseguenza: il capitale asservisce l’uomo; oppure: il consumo qualifica l’uomo.

E non solo l’uomo consumista, ma pure l’uomo detentore del capitale, perché questo capitale è talmente precario e aleatorio che non si basa su una sostanza materiale, ma su una sostanza astratta figlia della speculazione.

La Persona ha abdicato al suo ruolo di principio ed è diventata oggetto di un valore perdendo l’uguaglianza!

Le crisi antiche portavano guerre, lutti e distruzione; ma si fermavano qua e i sopravissuti ricominciavano da capo, anche da zero. Era un procedere lento e graduale.

Con la crisi del ’29 i governi, oltre alle guerre mondiali, hanno prodotto il consumismo, senza avvedersene, tramite il debito pubblico.

Si sono create teorie economiche deleterie che, oltre a guerre, hanno prodotto crisi economiche ricorrenti sempre più marcate, per risolvere le quali si sono prodotti debiti pubblici sempre maggiori in nome di un falso benessere basato sul debito.

E se il risparmio si forma in una nazione, grazie alla rivoluzione telematica, perciò alla globalizzazione, non rimane come surplus di ricchezza in quello stato, ma viene attratto verso gli stati maggiormente esposti nel debito per la remunerazione maggiore del capitale per una semplice ed antica legge economica: chi ha maggiore necessità di denaro per vivere, o produrre, cerca di offrire rendite superiori alla media.

Ne consegue che il capitale di risparmio anziché essere accantonato per reggere un’eventuale congiuntura negativa viene “distrutto” da chi più consuma. Da risparmio/ricchezza a elevato rischio/perdita.

Basti pensare agli U.S.A. (ma pure quasi tutti i paesi occidentali in forma minore) le cui famiglie hanno un debito complessivo di gran lunga superiore a quello dell’intera confederazione e che, in questi ultimi anni, hanno attratto consistente risparmio dal sudest asiatico consumando (bruciando) più del dovuto.

Perciò il risparmio accantonato dal cittadino viene bruciato dal debito pubblico tramite i titoli di stato; mentre quello delle nazioni parsimoniose viene incenerito dagli stati ricchi nel consumismo.

Che rimane? Debiti garantiti da cartolarizzazione e che non potranno mai essere resi a breve se non reiterando il debito stesso.

Diversamente si ha il default, perciò il crack totale preceduto dalla recessione.

Il capitalismo ha degenerato riducendo il capitale da principio ad oggetto valoriale consumistico!

Le crisi economiche portano “guerre” commerciali e da queste alla realtà non ci vuole molto. Basti pensare a quante guerre si sono combattute nel secolo scorso.

Perché si è creato questa degenerazione? Spesso per lo stato sociale! Il quale, nell’intento di garantire a tutti un trattamento (ricchezza/consumismo) accettabile (sempre maggiore), ha depotenziato il sistema economico familiare e sociale.

Una diramazione del personalismo comunitario sembra voler puntare all’economia della felicità.

È pura utopia! Anche perché chi la declama non tornerebbe mai ai tempi passati (preindustriali) e gli imponenti debiti statali non consentirebbero un tale processo sociale se non prima d’aver dichiarato bancarotta.

Allora, se così fosse, si tornerebbe al punto di partenza in modo altamente traumatico: all’età della pietra.

Può la trascendenza salvare l’umanità?

Solo a una determinata condizione: che tutti accettino il Principio e che in base a questo si stabilisca il Valore.

Ma se pure il principio, qualunque sia (religioso o materiale), viene classato come consumismo, allora torniamo al punto di partenza.

Lutero, sulla speculazione delle “indulgenze”, vide in anticipo il consumismo ecclesiastico; perciò la Chiesa fu la prima che predicò bene, ma razzolò male. E lo fa pure ora perpetuando il “peccato” nel tempo.

Non per nulla la vita agiata, al riparo della fame e della povertà, avveniva secoli fa nelle corti e nei conventi, dove di solito i poveri lavoravano servilmente per mangiare (e salvare l’anima) e i potenti per godersela agiatamente alle spalle di tutti gli altri.

La Persona non è la Coscienza; ma la coscienza e strettamente personale, perciò individuale.

Ne consegue che il personalismo cristiano, nel misticismo della fede, degenera nell’individualismo egocentrico con l’alienazione mistica, perciò nell’egoismo individuale della salvezza, che nel materiale diventa, appunto, la ricchezza.

Per assurdo la coscienza diventa la prigione dell’individuo che lo isola dalla comunità, perciò dall’ecclesia.

Paradossalmente la stessa cosa avviene nel marxismo/materialismo in quanto, nel nome dell’alienazione collettivistica, si cerca di sopprimere l’esigenza alla spiritualità e alla trascendenza, perciò asservendo la persona allo Stato.

Si distrugge la coscienza!

Dunque per quanto il marxismo si sia scagliato contro il capitale ha poi effettuato lo stesso percorso distruttivo.

E non per nulla è crollato per primo; difatti il cittadino socialista non possedeva nulla di proprio, eccettuati i privilegiati della nomenclatura che usavano il sistema come la chiesa usava le indulgenze.

L’essenza vera di Persona si basa sull’unicità e irripetibilità del singolo individuo, perciò sul suo valore di “essente”.

Se poniamo la Persona come Principio assoluto, su questa possiamo costruire la Società come insieme valoriale di persone nell’uguaglianza paritetica pur nella diversità.

Ma se non stabiliamo il principio, o se lo equipariamo al valore, allora è ovvio che i due concetti (principio e valore) tendano a sovrapporsi e pure il diritto alla vita perde il suo valore di non negoziabilità.

Nella Chiesa, oggi, la persona è intesa subalterna a Dio Padre, perciò al suo creatore.

E sulla morte/salvezza/resurrezione si costruisce un’alienazione mistica di dipendenza implementata sulla trascendenza.

Il fedele si appella al principio dell’insindacabilità della sua coscienza e nel personalismo proprio diventa individualista egocentrico, invertendo, di fatto, il principio originario “Dio Padre creatore della persona”.

Si erge a Dio giudice di sé stesso.

Capitale e capitalismo sono due concetti fortemente separati e non sovrapponibili, anche se correlati.

Nel secolo scorso si formulò il concetto di liberismo democratico” per asservire il capitalismo alla persona; poi la storia prese un’altra strada e ci portò dopo varie crisi a questa grave recessione col capitalismo selvaggio.

Dalla recessione se ne uscirà; ma se non si porranno dei solidi correttivi questa recessione sarà il prodromo della prossima, che avrà conseguenze devastanti e inimmaginabili.

Come se ne può uscire?

Accenno solo al principio filosofico:

stabilendo il Principio primario della Persona e il Valore di Capitale quale suo esistenziale mezzo materiale.

Da ciò, a cascata, ne conseguirà il principio corretto (rispetto all’attuale) di Stato e di Capitalismo come mezzo pratico operativo.

Perché, collegandomi a Mounier, oggi abbiamo bisogno proprio di tre esigenze ineludibili: Rinascita, Revisione, Riformulazione, tanto nel sociale che nel religioso.

Kärl Fϋnfte

2 commenti:

Sam Cardell ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Sam Cardell ha detto...

Ho dovuto rileggermi più volte il testo.
E dopo attenta lettura e meditazione l’ho trovato un volume filosofico e economico intero, anche se è solo di un paio di pagine.
I concetti sono spesso sottaciuti nella compressione e ogni paragrafo meriterebbe un capitolo.
È “roba” per colti pensatori che hanno una base conoscitiva solida!
Credo che il proseguire il discorso, e lo svilupparlo ulteriormente, mi sarà estremamente impegnativo.

Mi inviti a proseguire analizzando il “personalismo comunitario”; ma se non ho capito male - e ne sono certo - nel rapporto che crea danno alla società.
Mi detti pure, come tuo solito, le direttive: persona, stato, capitalismo.
Non è … poco! E dovrò meditarci … assai; anche perché dovrò collegare il discorso al Principio e al Valore.

Mi ha sorpreso il collegamento, pur indiretto, tra Marx e Lutero, tra il capitale e le indulgenze, tra il consumismo e l’alienazione, tra lo stato e l’oligarchia lobbistica finanziaria.
Non che ciò sia contrastante o sfuocato, ma semplicemente perché il farlo impone un raccordo eziologico tra causa ed effetto e il percorso operativo che ne deriva nei secoli.
E, su questa base, condivido appieno il “peccato” della Chiesa che si va perpetuando.

L’istruzione un tempo si impartiva al popolo nelle chiese anche se sulla “Verità rilevata” e sulla consacrazione/chiamata del pastore si è commesso il primo grande errore: il privilegio conclamato di detenere la Verità.
Questa, nella maggior parte dei casi (docenti), era però insufficiente e sul concetto di umiltà nell’uguaglianza si è costruito il primo pastrocchio. Basti pensare ad alcune frasi di Hegel assai indicative e illuminanti tra il predicare e il ritenere, tra l’insegnare e l’essere.

Credo che ci metterò parecchio tempo; ma so pure che il tempo per noi è insignificante e cesserà solo con la nostra fine.
Proverò a collegare le 3 R: Rinascita, Revisione,Riformulazione.

Ci proverò, Kärl, ad essere … alla tua altezza.

Sam Cardell