lunedì 20 aprile 2009

Le fondamenta ideologiche della cattedrale.

Aggiungerei alcune considerazioni alle riflessioni dei lettori al mio articolo precedente[1], sia a quelle pubbliche che a quelle private fattemi pervenire.

Dedico la risposta all’amico Giuseppe che le ha sintetizzate bene e brevemente.

Spesso gli architetti non creano nulla di nuovo, ma traducono in pratica le idee e le istanze degli altri, perciò del cliente, il quale “chiede” una determinata “costruzione”. Mettono il loro sapere alla disponibilità del cittadino.

In questo caso il “cliente” è, impropriamente[2], il “popolo” che ha delle specifiche priorità e necessità: vivere nella sicurezza e nel decoro esistenziale senza essere continuamente turlupinato da tasse e da spregiudicate operazioni finanziarie.

In queste ultime metterei pure il dissanguamento del risparmio affidato in gestione ad aziende (banche, finanziarie, stato, enti, borsa) e la svalutazione reale generata dal debito pubblico sul risparmio privato.

Il popolo non ha il senso della realtà, ma l’esigenza della percezione; perciò di migliorare il suo stato momentaneo che non è più confacente alle sue aspettative e al decoro. In pratica comprende che così “non và”.

L’“architetto” dovrebbe essere il “politico”; ma considerato che costui ha degenerato il suo compito, il ruolo spetta agli intellettuali.

Abbiamo pertanto: commissionario (datore) di lavoro = popolo, architetto = cliente.

Come si vede l’equazione discorsiva iniziale si è invertita.

Di solito è nella logica che il cliente sia il popolo, ma è uno scambio di ruoli economicamente degenerati. Difatti è poi solo il popolo che paga sempre e comunque pur senza i “servizi” commissionati.

Vorrei subito sgombrare il campo da un possibile equivoco: non ho nulla contro Enrico Letta né contro il suo modo di essere, perciò di impegnarsi e di fare politica.

Il mio interessarmi al suo libro è solo dovuto ad una sollecitazione esterna fattami pervenire.

Potrei averne, e ne ho talvolta (e da sempre), per tutti quelli che della politica fanno solo la propria fonte di reddito (professione): non li ritengo credibili, ma solo cavalcatori opportunisti.

Ciò, in linea di massima, quando il progetto espresso è demagogico e non lineare. E su ciò potrei sviluppare un libro voluminoso assai.

A Letta riconosco, invero, l’impegno intellettuale a ricercare un nuovo “modus vivendi” sociale e il riconoscere, perciò, che il sistema attuale non è più confacente al tempo e alle esigenze civiche. E questo è un suo grande merito!

Passando al suo abbozzo programmatico posso annotare:

a) I problemi della gente non si risolvono con il welfare assistenziale, se non in casi di un problema recessivo o particolare contingente; dunque solo eccezionalmente. Ma li si risolve rendendo il cittadino completamente autonomo in tutto.

Perciò bisogna operare in un lungo periodo (costruire la cattedrale), creando strutture economiche e industriali atte a reggere nel tempo (la cattedrale finita), oltre che con lo sviluppare una mentalità sociale nazionale. Perciò la scuola è un elemento importante e cardine iniziale di qualificazione personale.

Diversamente non si avrà il “cittadino”, ma solo l’“assistito”!

Uno stato efficiente non si basa sull’assistenzialismo, che deve solo essere provvisorio per superare un momento difficile, ma sull’efficienza operativa in grado di prevenire il problema.

Detto per paradosso esemplificativo: il problema droga non lo si risolve liberalizzandola, bensì formando cittadini che comprendano il sistema causa-effetto che produce e non ne diventino schiavi. Nello sport come nella vita. Altrimenti si ingigantisce il problema.

Diversamente si procederà verso uno stato assistenziale ad economia come di tipo socialista, che la storia ha già catalogato fallimentare e anacronistico.

E questo è pure il pericolo nel quale la politica di Obama, se non corretta, porterà il liberismo democratico.

b) Il problema Sud è annoso.

Quando vado al sud vedo non cittadini diversi da quelli del nord o del centro, ma mentalità diverse. La sporcizia (disordine e non solo immondizia) che permea città e vie (in ogni senso) è emblematica.

Miglio annotava perfettamente le 100 interpretazioni della legge che differenziavano le varie regioni; e da questa realtà nacque l’idea delle macroregioni omogenee.

Altro esempio, a paradosso, il rispetto del codice della strada: al nord un certo ordine e geometria, al sud caos e anarchia.

Perciò non è che manchi lo Stato; ma questo viene percepito come “cosa” diversa con tutti gli annessi e connessi (industriali, economici e finanziari), specie tra gli amministratori e le forze dell’ordine.

c) L’energia oggi viene “cavalcata” da molti. Peccato che gli stessi, quando avevano “potere”, non l’abbiano compresa con lungimiranza e l’abbiano pure boicottata. Basti ricordare il nucleare.

d) La stessa cosa vale per l’economia, la finanza, il sistema industriale e il rapporto di incentivazione strutturale esistente tra stato e industria, perciò tra pubblico e privato.

Chi si ricorda l’incentivazione a spostare all’Est (e nell’estremo oriente, poi) la produzione industriale, non può fare a meno di comprendere quanto queste scelte programmatiche siano state fallimentari e prive di lungimiranza sociale.

Si è demolita la figura dell’industriale per crearne una di avventuriero e opportunista (il manager prezzolato). In pratica si è distrutto, per transfert, l’idea di Nazione.

Potrei proseguire con altre tematiche similari e non per nulla minori e prive di importanza.

Vi sono errori di molti politici nell’interpretare la Lega come movimento populista; e lo dicevo privatamente tempo fa pure a degli onorevoli.

La Lega non ha nulla di populista, né di demagogico, anche se alcuni esponenti lo possono essere individualmente, come in ogni formazione politica.

La Lega è l’aspirazione all’efficienza di un determinato popolo che vede nella politica odierna il tentativo pratico di modificare il suo modo di vivere radicato nel territorio e nella tradizione.

Un popolo, e lo voglio sottolineare, che ha sempre “dato” e poco riscosso; un popolo che si sente nazione pur nella diversità regionale: attivo, operoso, industrioso, amante dell’ordine e della sua cultura, generoso nel soccorrere nella necessità (basti pensare al terremoto), ma non per questo votato all’assistenzialismo perpetuo di stato.

È una stirpe che crede in quell’autodeterminazione dei popoli, che va intesa non come secessionismo, bensì come processo formativo a diventare tutti uguali: in meglio e non in peggio.

La Lega non è mai stata un partito o una formazione politica schierata.

È l’intuizione di molti “operai” a costruire un mondo (cattedrale) diverso, che da troppo si sta perpetuando e sta affossando tutti: è un’impresa edile senza architetto e non in grado, ancora, di concepire il suo futuro.

Ecco perché è trasversale e raccoglie voti tanto a dx, come a sx che al centro.

Per la verità gli architetti li contattò, ma essendo grezza se li … contrariò. Fu incapace di recepire il loro pensiero; e, perciò, ora procede tentoni appoggiandosi ad altre forze politiche, per ottenere obiettivi che da sola non riuscirebbe a formulare.

Il sognare è l’estrapolare una realtà e viverla nel subliminare, perciò nel surreale.

La realtà va però configurata nel mondo reale, perciò non nel settarismo di un singolo movimento o partito.

Giuseppe afferma che, a suo parere, Letta cerca il confronto. Ed allora si chiede “perché non provare a dialogare?”.

Ora, se l’impressione di Giuseppe fosse vera, significherebbe che Letta non vede nel suo “agglomerato” politico una via pratica di costruire, anche se a me pare l’opposto. Basti pensare all’esempio dei due operai e alla paternità di questa teofania politica.

Ovviamente vi sono anche aperture verso l’esterno e la sua presenza a Todi lo prova.

Ciò indica una sola cosa: Letta è, interiormente, in mezzo al Rubicone. Perciò cerca, nel possibile dialogo/confronto, una sua nuova dimensione.

Tutto ciò manifesta una realtà: la sx è in profonda crisi ideologica e si dissocia dall’operato della propria leadership, alla quale non crede più. Specie chi nel voto sceglie la Lega.

Prodi, Veltroni e Franceschini sono gli … ultimi irrealistici collanti di un mondo a pezzi.

E la “base” (aderenti, tesserati, simpatizzanti …) nelle primarie a chi si affidò? Alla nomenclatura! Non avevano altri.

Se si cerca un confronto costruttivo tra moderati e riformisti significa che o si pensa che gli schieramenti attuali non siano confacenti a contrastare la forza egemone governativa, oppure che bisogna costruire qualcosa di nuovo.

Perciò non si tratta di bipolarismo, ma di un nuovo e auspicabile concetto strutturale sociale.

Ma, allora, mi chiedo: non sarebbe meglio lasciare la superata basilica per costruire la cattedrale, uscendo dallo schieramento?

Uscendo, ovviamente, si può correre il rischio di non riuscire a costruire. Si abbandonerebbe il tetto traballante, ma comunque ancora esistente, per stare sotto le … stelle.

E questo è un grande problema, specie se la basilica che si lascia è più sicura (numericamente) dell’agorà centrista. La quale, a sua volta, dovrebbe essere culturalmente smantellata per fare spazio alla nuova … cattedrale.

Ecco perché non serve un PDP (partito del popolo), ma un’Istituzione nuova di zecca.

Da ciò nasce la mia convinzione che il creare un altro polo politico sarebbe controproducente e che produrrebbe altre problematiche.

Ciò che serve è un nuovo, in tutto, soggetto politico oltre gli sbarramenti ideologici classici e bipolari.

E qua vorrei esplicare meglio.

La Lega è un movimento trasversale di popolo che va pragmaticamente per slogan e tentativi.

Gli slogan servono per attirare il cittadino su particolari problematiche slegate tra loro (immigrazione, sicurezza, autonomia, burocrazia … - è in questo hanno percepito bene gli architetti di un tempo), mentre i tentativi sono il mezzo per cercare, tentoni, di amalgamarle tra loro (e qua non sono ancora riusciti a recepire l’architetto, perciò i principi e i valori su cui costruire).

Hanno, però, imparato a “manovrare” il potere (basti pensare a quando si fecero beffare da Scalfaro).

I votanti provano, nel darle il voto, a ricercare una possibilità. Elettori e votati non hanno però bene in testa il risultato finale, perciò il plastico della nuova cattedrale.

E questo è il grande guaio!

Gli elettori provengono, culturalmente, da diversi schieramenti e sono fluttuanti. In pratica vagano nel buio tentoni, motivati dal solo primordiale e inconscio pragmatismo (proviamo anche questi).

Però, non avendo una denominazione culturale né approfondita, né comune, non sono popolo culturale basato su principi e valori determinati, ma semplice agglomerato civico e provvisorio.

Facile dedurne, quindi, che senza principi e valori condivisi l’elettorato prima o poi si sfalderà, soprattutto perché lo slogan attrattivo farà implodere le diverse esigenze contrastanti che li ha uniti nel voto.

Lo stesso discorso può essere riprodotto al nuovo ipotetico polo, riedizione centrista similare al polo di dx o di sx.

Se non ci si unisce su un programma specifico, ma solo su un’opportunità storica della politica, il progetto non può reggere.

Serve dedizione, impegno e il credere nella “nuova” cattedrale agendo con democrazia.

Questa non è quella del solo conteggio di voti, ma di quell’agire nel confronto costruttivo che trova nel meglio del pensiero di tutti gli intellettuali coinvolti (architetti) la condivisione dell’interesse di tutti; e poi l’allinearsi tutti alle decisioni prese senza correnti interne.

Ed è ciò che amalgamandosi confusamente non hanno saputo fare né la dx, né la sx, producendo solo due nuovi soggetti composti da tante correnti.

Sono mancati i “nuovi” principi e valori condivisi.

Ed è ciò che neppure i cattolici hanno ancora compreso, intestardendosi nella difesa, non negoziabile, dei loro principi e valori, perciò rinunciando a migliorarli ulteriormente nel confronto sociale.

Tornando all’insegnamento del passato potrei dire:

De Gasperi[3] operò e morì povero, nel decoro di una vita spesa per gli altri.

Ciò, a quanto mi risulta, non avvenne per chi lo affiancava, né per i polloni che poi crebbero nel partito e che, pure oggi, vediamo ancora in giro.

E se uno non ci crede vada a spulciarsi i redditi pubblici dei nostri … parlamentari.

Il popolo, in definitiva, è come il parco buoi della borsa; ma pure i buoi hanno una loro dignità e il diritto ad esistere.

E se tanto gli operai quanto gli architetti non saranno in grado di recepire questo primario principio sociale è ovvio che della cattedrale rimarrà solo l’intenzione germinale.

Magari in un libro.

Ben vengano, quindi, i tentativi di dialogo e di confronto.

Partendo però dalla convinzione che per ottenere dei risultati abbisogna partire dal presupposto che ogni idea personale sia perfettibile, perciò rinegoziabile, compresi i principi e i valori.

Diversamente non ci sarà dialogo, ma solo passerella da salotto borghese, perciò atta solo a perdere tempo.

I principi e i valori anche non negoziabili possono essere soggetti a discussione, perciò rinegoziabili, anche perché in questo modo si è in grado di valorizzarli anche nella controparte, confrontandosi.

Diversamente rimarranno arcaici oggetti di un intendere personale o confessionale.




[2] - In verità sarebbe il committente.

[3] - E pure Sturzo.

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