mercoledì 14 novembre 2012

La decadenza del montismo nella società nazionale.


Il mentalismo è il ragionare ed agire secondo una determinata idea, sia questa il frutto di una concezione o di una tendenza alla moda, sia che venga dettata dal pensiero di un noto personaggio pubblico, politico o religioso.
Ne consegue che il montismo non sia altro che il seguire più o meno inconsciamente il pensiero e operato dell’attuale premier Mario Monti.
Gli italiani, si sa, sono un popolo di idealisti; perciò se le cose vanno male e gli si prospetta un taumaturgico salvatore lo acclamano subito come proprio idolo.
I media a suo tempo, nella tambureggiante presentazione di Monti come premier, non hanno badato a spese: proclami, servizi, interviste, curriculum particolareggiati – anche se superficiali – e via dicendo.
Napolitano, poi, ci ha messo del suo proclamandolo senatore a vita poco prima  di dargli l’incarico, onde lustrarlo agli occhi dell’opinione pubblica e renderlo bene accetto.
Quasi nessuno si è degnato di guardare dentro l’uomo[1] e soprattutto alla sua socialità. Ancor meno alle sue potenzialità e capacità. Sono bastate le pressioni esterne e le ingerenze extranazionali.

Monti come premier ha personificato il rigorismo, soprattutto quello a senso unico fatto di sole tasse. Si è attorniato per lo più di amici e conoscenti, oppure di ex allievi devoti, con un clientelismo da far impallidire quello della prima repubblica.
La squadra ministeriale ha iniziato a manovrare riforme e conti con il pragmatismo teorico, resosi subito fallimentare perché non supportato da alcuna esperienza operativa.
Conseguenza pratica: dopo un anno di governo Monti non vi è un dato macroeconomico che sia uno che sia migliorato o rimasto stabile. Tutti sono peggiorati: occupazione, Pil, Debito sovrano, spread, reddito, coefficiente uso impianti industriali, produzione, CIG, povertà, carenza di credito, tassi bancari …, nonostante il TUS sia stato ridotto nel frattempo dalla Bce allo 0,75%.
Le colpe di questo peggioramento non sono ovviamente solo del governo Monti, essendo una costante attuale del mondo occidentale.
Monti, come uomo e in base a ciò che poteva fare, ha fatto del suo meglio, mettendosi a disposizione della nazione. Non ha lesinato tempo, capacità, sforzo e ingegno. Ciò gli va ampiamente riconosciuto. Poteva starsene tranquillo senza giocarsi – come in realtà ha fatto – la sua fama internazionale.
Ha tuttavia fallito perché la situazione è costantemente peggiorata.

Monti ha sparso ottimismo mediatico a piene mani, purtroppo non supportato dai dati macroeconomici. E mentre lui dichiarava poco fa che la ripresa è dietro l’angolo, la Merkel affermava che per vedere una tenue ripresa ci vorranno almeno altri 5 anni.
Cos’è, in effetti, che manca all’uomo Monti? La consapevolezza intellettuale di sapere se è capace di ricoprire con successo un determinato compito e ruolo: in questo caso quello di Premier, di poter risanare i conti pubblici e rilanciare economia e crescita.
Da questa sua grande carenza umana ne consegue il suo arroccarsi nella sua torre cattedratica e in una personale visione della verità mediatica alla quale ormai quasi più nessuno crede, neppure i partiti che lo sostengono e che lo costringono a reggersi con continui voti di fiducia. Voti di fiducia che nella pratica equivalgono ad altrettanti voti di … sfiducia.
La tanto declamata credibilità internazionale, che ci ha portato col suo operare, è in verità una totale sudditanza operativa ai dettami dei poteri forti: sudditanza che ha affossato del tutto l’economia e le speranze del Paese.

Molti, nel popolo, lo hanno accolto come il toccasana dei guai italiani. Poi, man mano che la situazione peggiorava e l’imposizione fiscale da lui voluta li prostrava sempre più, hanno cominciato a disinnamorarsi del suo personaggio pubblico, peraltro presentato da un look personale non molto attraente e affabile.
Monti può essere un discutibile fervente cattolico. Tuttavia è ovvio che con De Gasperi in capacità, serietà, popolarità, socialità e disponibilità non abbia paragone. È uno di quei tecnocrati che hanno fatto carriera e successo perché hanno abbracciato per nascita borghese, famiglia e benessere il neoliberismo puro; in pratica l’idea economica che ha creato la crisi che stiamo vivendo sulla nostra pelle. Ha servito per anni istituzioni e società che hanno sempre lucrato sul popolo.
Non sarà mai uno statista!

Molti lo hanno accolto favorevolmente; molto meno i partiti che se lo sono trovato imposto dall’alto del napolitanismo e senza altra alternativa.
In politica, tuttavia, le alternative esistono sempre: basta saperle trovare, ideare, perseguire e non farsele imporre.
Ecco perché con le elezioni in Sicilia, e alle prossime amministrative e politiche, i tradizionali partiti hanno pagato e pagheranno fortemente dazio al loro grande errore e alla loro manifesta incapacità di governare.
Stare a discutere se con un altro premier la situazione ora sarebbe migliore, uguale o peggiore ha scarso senso, soprattutto perché la storia non la si fa né con i se, né con i ma, non potendoci essere la controprova.
Sta di fatto che Monti è partito con un grande consenso nel paese, ma ben presto lo ha perso per strada parallelamente ai partiti, dilapidandolo in sole manovre d’austerità. E poco conta se tutt’ora abbia un 5% in più di gradimento dei partiti.

Una persona tanto titolata davanti a sé aveva solo il rigorismo austero da praticare – oserei dire da penitenziale flagellante medioevale –, oppure poteva intraprendere altre strade? Oppure queste strade non le ha intraprese perché chi lo ha scelto o imposto gliele ha precluse?
Siamo perciò di nuovo alla considerazione iniziale sulla sua capacità di capire e padroneggiare la situazione in cui andava a calarsi.

Pure i partiti ora cominciano ad essere irrequieti e mal sopportano le continue manovre di tagli e tasse che il governo propone, soprattutto perché vedono che non portano da alcuna parte e peggiorano costantemente la situazione.
Si smarcano con dichiarazioni più o meno palesi, costringendo l’esecutivo montiano a giravolte improvvise nell’arco di pochi giorni su molti provvedimenti: deduzioni, Irpef, esodati, aumento orario docenti, provvedimenti antieleggibilità e via dicendo.
Inoltre hanno quasi seppellito definitivamente la possibilità di un Monti bis, proprio perché vedono che questo governo non sa cavare un ragno dal buco, mentre la pace sociale si è incamminata su una pericolosissima china: manifestazioni, scioperi, scontri violenti di piazza, contestazioni al premier e ai suoi ministri che, come in questi giorni, devono essere protetti dalla polizia schierata, quando non caricati su un elicottero per sfuggire a possibili linciaggi.

Il Popolo già da tempo ne ha decretato la fine e non vede l’ora di cambiare pagina, anche se sa che il futuro sarà comunque estremamente complesso e incerto. La Sicilia in ciò ha già dato un primo chiaro verdetto.
Nel frattempo il montismo si spegne quasi ovunque, eccetto che nel premier che continua ad elucubrare le sue verità di fantomatici salvataggi e di vicine rinascite che solo lui vede.
Nel confronto televisivo Pd per le primarie pure il montiano Renzi lo ha abbandonato, anche perché capisce che l’appoggiare una simile eventualità vorrebbe dire affossare tutte le sue chance.
La politica non è stata capace di costruire e ideare un’alternativa istituzionale a Monti; anzi: se l’è fatto imporre.

Oggi il primo sciopero continentale Ue ha interessato tutti gli stati membri con delle significative risposte di totale rifiuto, sia alla politica di Monti che a quella perseguita dai vertici Ue. Vertici non elettivi, ma solo autoreferenziali e oligarchi.
La violenza ha fatto capolino un po’ in tutte le nazioni, proprio perché l’esasperazione a cui  i popoli sono stati sottoposti sta diventando insostenibile. Violenza e rabbia già viste in precedenza sia in Grecia che in Spagna.
Hollande nella sua campagna elettorale prometteva rigorismo e crescita; tuttavia finora è stato capace di coniugare solo il rigorismo, come tutti i suoi colleghi Ue.
Merkel e Monti ci hanno spiegato più volte il loro rigorismo e tutti lo hanno capito. Non ci hanno mai spiegato però cosa sia la crescita, né come ottenerla. Perché è ovvio che con continui tagli e tasse si vada solo in forte recessione e verso la perdizione.

Un uomo dalla nomea internazionale di Monti dovrebbe essere un fuoriclasse, perciò sapere nello stesso tempo risanare il bilancio e rilanciare la crescita. Invece ha proceduto a senso unico facendo – come ha detto pure oggi la Camussoun disastro dietro l’altro.
La capacità dell’uomo, al di là della fama che lo accompagna, sta proprio nel dimostrarsi all’altezza del ruolo per cui è stato chiamato e che, soprattutto, ha accettato di ricoprire liberamente e consapevolmente.
Perciò, quando si fallisce su tutta la linea, l’invocare le difficoltà contingenti e mondiali ha poco senso.
Ecco perché in Italia il montismo si è quasi definitivamente spento, sia tra la gente comune che nei partiti che lo sostengono. Lo ha affossato l’incapacità reale di risolvere i problemi.
La storia insegna che quando un’Idea fallisce i suoi obbiettivi è destinata a spegnersi ed ad essere archiviata.
Si cercherà, pertanto, una nuova Idea in grado di portare risultati migliori pure in Italia. Un’Idea che la politica non ha saputo durante questa crisi mondiale ancora costruire e attuare. Un’Idea che probabilmente sarà il Popolo a costruire con una scelta elettorale che potrà essere magari azzardata, ma che sarà comunque un’alternativa scelta, ponderata e voluta e non imposta dall’oligarchia politica referenziale o dall’alta finanza globalizzata, da cui – guarda caso – l’attuale premier proviene.



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