Siamo in un mondo globalizzato. E, fin qua, nulla di male.
La globalizzazione è di 2 tipi: mediatica/virtuale e finanziaria.
Quella finanziaria è quella che più ci interessa da vicino; non tanto perché sia minore in importanza di quella mediatica/virtuale (internet, intranet …), ma perché è quella che ha prodotto la crisi attuale recessiva e del mercato.
Si è servita della prima per proliferare e si è espansa soprattutto usufruendo dell’evoluzione del liberismo in neoliberismo, che ha dato alla finanza il predominio sull’economia reale e produttiva, rendendola, se non superflua, sicuramente secondaria.
Portando il discorso al paradosso si potrebbe sottolineare che senza quella mediatica/virtuale non avrebbe potuto svilupparsi. Molti prodotti finanziari solo virtuali (Derivati), infatti, su mercati locali e ristretti non avrebbero ragione di esistere.
Il neoliberismo è ancor oggi sottovalutato nei suoi aspetti nefasti ed è, da molti, considerato una costola spuria del capitolo globalizzazione.
Per somma ironia è stato prodotto dal pensiero cattolico nordamericano. È un’eresia economica totale e pure … religiosa, che dal dopoguerra in poi, con i vari Sindona, Calvi, Marcinkus, Gotti, Opus Dei e CL, ha condotto il Vaticano (Chiesa) a perdere buona parte della sua credibilità ecclesiale: etica e morale. Trasformando la preminenza della fede in derivazione finanziaria, perciò in business interessato: le nuove indulgenze - avversate un tempo da Lutero - e ricomparse in nuova edizione aggiornata, corretta, moderna e più redditizia.
Come già affermavo in precedenti articoli, il liberismo produsse la crisi del ’29 del secolo scorso. Crisi che, a ben guardare, fu più casuale che voluta: si innestò per una serie di eccessivi raccolti di derrate alimentari, la cui offerta abbondante depresse i prezzi ben sotto il costo reale di produzione. Ne conseguì che il latifondismo americano ritenne più opportuno non coltivare i campi - come in un anno sabbatico ebraico - creando di conseguenza una massiccia disoccupazione che si riversò velocemente anche negli altri settori produttivi, contagiando tutto il sistema. A quei tempi gli ammortizzatori sociali (welfare) erano solo abbozzati o, per lo più, epidermici, consociativi e sussidiari.
La crisi durò con alterne fasi fino al secondo grande conflitto mondiale, in grado di occupare massicciamente “manodopera” e eliminando la disoccupazione con gli oltre 60 milioni di morti. Si potrebbe tranquillamente aggiungere che il conflitto fu l’epilogo della crisi stessa, che innestò in quel decennio poderosi scontri economici tra diversi stati.
L’attuale crisi è stata prodotta dalla sovrabbondanza di prodotti finanziari virtuali. Basti pensare che i Derivati (ormai riconosciuti da tutti come vero spam finanziario) hanno raggiunto in tutto il globo la stima molto prudenziale di circa 200 trilioni di miliardi, con incrementi anche del 25% annuo.
Se si aggiunge che i Futures possono in buona parte essere considerati anch’essi spam finanziario – i barili di petrolio per consumo mondiale, ad esempio, oscillano tra gli 80/85 milioni giornalieri, mentre sulla rete di mercato ne vengono trattati in media oltre 1,5 miliardi – ben si capisce che l’economia reale è sovrastata dalla finanza nel rapporto almeno di 1:1 milione.
Come sia possibile ottenere tali risultati, impiegando una ricchezza in pratica spesso non disponibile, è dovuto al fatto che il neoliberismo ha introdotto (ideato) altri tipi di strumenti finanziari: la leva, eccessiva e spropositata, che ha sostituito i vecchi riporti del liberismo, e la cartolarizzazione[1] (alchimia che tramuta un’attività finanziaria indivisa in un prodotto divisibile e vendibile anche a catena con compenso oneroso).
Certi Hedge fund, creati da potenti finanziarie e banche primarie, ne fanno abusi particolari, che vanno molto ben oltre il rapporto abituale di 1:2.000. Traducendo: per ogni €, $ o titolo realmente posseduto se ne possono acquistare ben 2 mila. Lo sbilancio appare ben chiaro, per cui in caso di possibile perdita, il capitale non solo viene dilapidato, ma crea buchi eccessivi che non possono essere ripianati che con il fallimento[2].
La bancarotta della Lehman Brothers e le difficoltà attuali di buona parte delle banche Ue – spagnole in primis – sono l’inoppugnabile prova. E, dato il sistema di compartecipazione, si innesta un effetto domino devastante in tutto il settore finanziario.
Questo sistema, tuttavia, non avviene solo per gli acquisti; ma, soprattutto, viene abusato nelle vendite: short selling o, comunemente, vendita allo scoperto, adatte non a compensare, ma a deprime il mercato. Si specula sulla rovina altrui.
Il liberismo si salvò grazie alle intuizioni keynesiane; ma allora i bilanci statali erano in pareggio e potevano attingere a risorse di risparmio disponibile per rilanciare l’economia, potenziare la produzione innovativa, creare occupazione e reddito, rilanciare i consumi.
Le teorie keynesiane[3] depravarono facilmente con il neoliberismo; che, sfruttando queste leggi economiche – ideate per ben altri motivi e finalità –, produsse, in pochi decenni, immensi Debiti sovrani un po’ ovunque. Debiti che hanno determinato, come correttivo all’insolvibilità degli interessi, altri danni ben maggiori: elevata imposizione fiscale, recessione, forte contrazione dei consumi, crolli produttivi, disoccupazione e … turbolenza sociale.
Tale situazione impedisce in pratica oggi di poter nuovamente operare con un sano keynesianismo per rilanciare l’economia, non avendo più risorse disponibili nel risparmio privato, esistente virtualmente ma impiegato, distrutto e divorato dalla speculazione selvaggia globalizzata degli istituti bancari, dediti per lo più da un paio di decenni ad inseguire il facile guadagno (rivelatosi in realtà poi grave danno) della speculazione finanziaria, abbandonando il ruolo vero e statutario del finanziamento alle imprese.
Il governo italiano precedente perseguiva una politica economica corretta: tagli alle spese improduttive, sostegno al welfare, evitare altra imposizione fiscale e forte pressione politica in ambito Ue, in modo di trasformare l’amorfa unione dei popoli in un soggetto confederale, atto a poter emettere titoli propri comuni di finanziamento a tasso ridotto, dando potere alla Bce di immettere in circolo altra moneta/liquidità e di poter intervenire sui mercati per difendere titoli e €.
In pratica la stessa politica[4] economica e finanziaria che, pur con poche differenziazioni, è stata effettuata più dalla Fed che dal governo Obama: il monetarismo.
Il monetarismo da solo non risolve i problemi della crisi, ma è in grado, se sapientemente dosato, di poter comunque far reggere allo stato la devastante situazione di mercato in periodi economicamente e finanziariamente drammatici. Gli U.S.A., infatti, se non altro reggono consumi, produzione, e hanno ridotto di poco il loro benessere sociale.
Ovviamente il monetarismo crea svalutazione strisciante e inflazione. Mali, comunque, assai minori di quelli che, ad esempio, la Grecia sta ora vivendo.
Per rimediare alla situazione serve comunque estirpare le cause che hanno condotto alla crisi finanziaria globalizzata, perciò riformulare in modo nuovo i mercati e purgarli dalle aberrazioni – in titoli/prodotti e in regole operative – che hanno innestato i disastri attuali.
La teoria economica del rigorismo, abbracciata dalla Merkel, ha costretto gli stati economicamente deboli a sottostare al suo diktat, portandoli verso la rovina.
Il rigorismo, di per sé, è oggi la migliore teoria economica e finanziaria esistente, però se non si trasforma in rigorismo penitenziale da integralismo luterano, perché allora mina alla base l’economia reale e, poi, la pace sociale.
Non per nulla l’avvento del governo Monti in Italia, sottostante a questa fallimentare linea economica, sta producendo danni incalcolabili in ogni settore della vita sociale. Infatti, è la stessa linea economica imposta a suo tempo alla Grecia e che l’ha portata al collasso economico; e che ora crea gli stessi effetti anche in ambito Ue su tutti i paesi deboli, specie quelli limitrofi o mediterranei.
L’andamento degli indici di mercato e dell’€ indicano chiaramente lo stato in cui siamo.
Draghi, in Bce, prova a fare monetarismo, sopperendo, quando la politica glielo concede, alle incongruenze gravi che il rigorismo teutonico sta producendo.
Fare monetarismo continuo in ambito Ue sarebbe estremamente utile agli stati deboli, perciò con debiti eccessivi. Tuttavia sarebbe dannoso alla Germania, in quanto la svalutazione strisciante e l’inflazione colpirebbero pure lei, essendo la moneta unica ovunque.
È pur vero che in ambito comunitario la Germania ha forti spese – come ogni altro stato aderente - per sostenere il sistema; ma che, comunque, compensa agevolmente con l’export competitivo e lo spread molto ridotto. Chi, infatti, ha spread elevato ha un costo decisamente superiore sul bene offerto. Semplicemente: la Germania ci guadagna!
In quest’ottica monetarista si possono inquadrare sia il finanziamento di oltre 1.300 mld (in più tranche) a tasso agevolato alle banche, sia il prestito attuale da 100 mld per il salvataggio delle banche spagnole. Sono però settoriali.
Tutto ciò, tuttavia, puntella solo il sistema, spostando più avanti la resa dei conti e non eliminando le cause che stanno portando rapidamente Ue e € allo sfaldamento totale. Anzi, in modo paradossale, aggiunge altri costi, debiti e guai all’apparato comunitario.
Hollande ha abbracciato una certa linea economica comunitaria; tuttavia, essendo un politico di professione, non è in grado di coagulare intorno a sé il consenso e le forze politiche sufficienti per far cambiare strategia finanziaria a tutta l’Ue, attualmente sotto il predominio Merkel. È carente in carisma decisionale e ha colleghi troppo ondivaghi che seguono lo spirar della brezza.
La sua scelta, più che da condivisibili esigenze economiche, è stata dettata da una contrapposizione politica alla strategia di Sarkosy: un’alternativa obbligata!
In questo scenario da girone infernale dantesco si sta innestando il prevedibile effetto delle elezioni politiche greche, che, seppur ripetute per manifesta ingovernabilità, porteranno probabilmente la Grecia fuori dall’€. Non tanto perché il popolo lo voglia, ma perché la nazione ellenica non sarebbe in grado, comunque, di reggere economicamente altre manovre di rigore.
Con un default si può ricominciare, con altra austerità si può solo … morire.
In Ue, pur non dichiarandolo apertamente, ci si prepara a questa eventualità assai temuta, anche perché non si possono prevedere tutti i risvolti negativi.
Non per nulla a Strasburgo, su proposta della Germania, si sta dibattendo sul ripristino dei controlli doganali, sul blocco dei capitali e su altre restrizioni utili a ridurre gli effetti catastrofici di un simile evento.
Le banche Ue, in tale contesto, sono il problema maggiore che abbiamo in questo momento. Bce e banche centrali ne hanno lasciato incancrenire la situazione, facendo pagare poi al cittadino gli errori dei manager super pagati e riciclati in modo autoreferenziale, sia nelle banche che nelle istituzioni governative.
Basilea 2 e 3 sono state pensate per periodi più lunghi, quindi per un’ottica diversa di quella che forse è alle porte.
In Grecia, Spagna e Portogallo molti cittadini hanno provveduto a prelevare i propri soldi dalle banche, sia in previsione del peggio, sia per garantirsi per sfiducia nel sistema.
Benché non pubblicizzata dai media italiani, in questi giorni la Banca d’Italia ha dato l’autorizzazione alla BNI[5] a dare inizio al blocco dei crediti, perciò dei c/c (conti correnti) fino a luglio. Ciò significa che, benché l’istituto sia in non buone acque, l’ipotesi di risanamento e relativo salvataggio è forse decaduta del tutto, dopo la proroga del commissariamento che è sfociato nell’autorizzazione alla liquidazione coatta.
Il blocco comporterà l’impossibilità di prelievo anche per somme minime e graduate di sopravvivenza alimentare, di non poter procedere a pagare bollette, fatture, rate, tasse e effettuare bonifici anche con disponibilità di saldo, come se il conto fosse provvisoriamente confiscato. In compenso vi potranno essere entrate con Rid, di stipendi e pensioni, che non potranno essere però prelevate.
Queste manovre di norma precedono il crash finanziario e il successivo switch-off, che con effetto domino contagerebbe e bloccherebbe tutto il sistema bancario, proprio come avvenuto con il default dell’Argentina anni fa.
Solo in quest’ottica si può inquadrare perfettamente sia il prestito da 100 mld alle banche spagnole, sia le voci di un analogo prestito di salvataggio per altre, comprese quelle italiane.
La politica, nazionale e comunitaria, ha fallito nella sua opera, lasciandosi sovrastare (comandare) dalle esigenze della finanza globalizzata. Si è perso troppo tempo; e, se se ne perderà altro prima di intervenire con determinazione, il prezzo da pagare sarà sempre maggiore.
Christine Lagarde, direttrice generale del Fmi, afferma che vi sono meno di 100 giorni per salvare l’€ e l’Ue. Con le elezioni greche di domenica prossima, secondo il risultato che si otterrà, probabilmente saranno molti di meno.
Agendo in modo deciso e immediato la situazione, pur con molte incognite, può essere ancora recuperata. Il problema è che questa Europa non è in grado di trovare sintonia di interessi e di rimedi comuni, essendo ogni nazione chiusa nel proprio steccato come nel periodo dei nazionalismi. Non vi è una politica economica e finanziaria comunitaria, né un’autorità centrale in grado di sopperire a ciò, nel bene o nel male. Si è incapaci di decidere!
È il tempo delle scelte che nessuno vuole o sa fare. In compenso si continua a declamare ottimismo e a snocciolare risultati a cui i mercati non credono.
Mercati che dovrebbero essere i primi a subire un intervento correttivo, non da protezionismo, ma di salvaguardia, almeno in ambito Ue e con il sostegno continuo della Bce.
Attualmente solo l’insieme di rigorismo e monetarismo può scongiurare il disastro.
Il primo – rigorismo – consentirebbe di procedere senza dilatare ulteriormente i Debiti sovrani, agendo simultaneamente con strumenti finanziari in grado di abbattere, stabilizzare e uniformare il costo degli interessi.
Il secondo – monetarismo – sarebbe utile sia a salvare gli istituti bancari, sia a proteggere il risparmio privato in questi depositato.
Ovviamente si creerebbero nel medio termine svalutazione strisciante e inflazione: mali comunque sopportabili e sicuramente contenibili in un momento di grave recessione come quella attuale.
Meglio questi del disastro fallimentare di un’Ue che tanto ci è costata in risparmio e in ideali.
[1] - Cartolarizzazione è lo spostare il rischio (credito/debito) dall’emittente all’investitore. In pratica è la stessa strategia usata per tutti i Derivati e per gli stessi Futures, che pur avendo una scadenza, sono tuttavia rinnovabili e rinegoziabili con altre identiche emissioni anche di segno opposto (off setting).
[2] - Il fallimento si ripercuote solo sul capitale iniziale e non sugli azionisti. Questi fondi hanno la prerogativa di distribuire di norma ogni 3 mesi i dividendi prodotti, i quali rendono il capitale a suo tempo investito o versano gli utili successivi. In caso di default è ovvio che il capitale sia già stato dilapidato e che perciò il danno si ripercuota su tutto il sistema finanziario come il gioco del domino. In pratica un gioco a rischio zero per l’azionista speculatore.
[3] - Non per colpa del Keynes, ovviamente.
[4] - La crisi finanziaria ha prodotto negli U.S.A. circa 4,5 milioni di disoccupati. La continua immissione di liquidità nel sistema – operata dalla Fed e non destinata solo alle banche, ma pure alle industrie – ha permesso di riassorbirne in 4 anni di crisi ben 4,2 milioni di operai. Al contrario, in Europa, la disoccupazione continua a dilatarsi; e là dove l’austerità del rigorismo è maggiore viaggia a 2 cifre con punte che vanno dal 25% circa in Spagna al 45% della Grecia, elevando la media Ue ufficiale oltre il 12%.
[5] - Banca Network Investimenti S.p.A. – Azionisti di rilievo di questo istituto sono, oltre ad altri: Aviva, Banco Popolare, De Agostini e Sopaf.
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