Alcuni lettori mi han chiesto perché, nel momento attuale, serva all’Ue, per la salvezza dell’Unione e dell’€, il rigorismo e il monetarismo simultaneamente; altri perché non è possibile una politica di vero keynesianismo.
Ovviamente il riferimento diretto era principalmente al mio precedente articolo (Viaggiando tra neoliberismo, liberismo, monetarismo, rigorismo e keynesianismo.).
Cercherò di rispondere brevemente, evitando di inoltrarmi in quei tecnicismi che potrebbero essere non facilmente recepibili, con l’aiuto di pratici esempi.
La Germania col crollo del muro di Berlino “ha comprato” l’ex Repubblica democratica tedesca, praticamente finita in default.
Per farlo ha speso in assistenza (welfare), innovazione industriale e strutturale ben 1.500 mld di €. In pratica una somma superiore, in quel periodo, a quella del Debito sovrano italiano.
Si è organizzata nella programmazione della spesa e è andata sul Mercato a raccogliere i fondi occorrenti con varie emissioni di Bunds.
Attenta al rigore di bilancio, ha comunque prodotto un grande Debito sovrano, che con una superiore pressione fiscale e con l’innalzamento progressivo del Pil è riuscita negli anni a ridurre in modo notevole. Simultaneamente ha operato riforme strutturali in vari settori sociali, ammodernando in efficienza il sistema burocratico dello stato.
Si può dire con certezza che la Germania, in quel periodo, ha praticato del keynesianismo vero: ha attinto al risparmio privato investendo, e, con gli utili, ha ridotto progressivamente l’esposizione finanziaria.
Attualmente la Germania ha un Debito sovrano superiore a quello italiano; in pratica il più alto d’Europa.
Non avendo a disposizione i dati consolidati relativi al 2011, si fa riferimento a quelli Eurostat del 2010: il debito ammontava a 2.080 mld di €, pari all’83,2% del suo Pil. Però con un … ma estremamente importante.
Il monte complessivo è stato ottenuto, infatti, riducendolo artificiosamente; quindi non computando la spesa pubblica inerente pensioni e servizi sociali. Conteggiando i quali si sfiora circa il 100% del Pil teutonico.
Ognuno ha i suoi trucchi contabili, dovuti spesso a cavilli procedurali. Uno di questi è che le amministrazioni dei Lands non hanno bilanci consolidati unitari, comprensivi dunque degli enti locali e degli istituti previdenziali.
Grazie a questa furbizia contabile la Germania conserva ancora la Tripla A nel rating, nonostante il proprio Pil sia ormai in stagnazione.
Vale ricordare a proposito che questo vizio coinvolge un po’ tutti, seppur in modo diverso.
La proposta di Monti di Golden rule, bocciata in questi giorni a Strasburgo, non era altro che un escamotage contabile per non conteggiare nella parità di bilancio le spese inerenti agli investimenti, che, comunque, avrebbero accresciuto il Debito sovrano.
Relativamente all’Italia molti affermano falsamente che il Debito sovrano è sempre aumentato. Ciò non è vero!
Osservando i dati sempre forniti da Eurostat si nota che, pur lievitando leggermente sulla base della regolarità dei trattati Ue, il debito effettivo netto[1], rispetto al Pil si è ridotto dal 2000 al 2008, anno in cui si sono scatenati gli effetti della crisi finanziaria globalizzata, generata negli U.S.A. con i Subprime.
Il Debito sovrano viene composto da 2 fattori finanziari: i Titoli sovrani (di stato) e da voci diverse. Dalle voci diverse sono esclusi gli strumenti finanziari derivati.
A queste si dovrebbero però aggiungere quelle che vengono considerate Partite di giro, corrispondenti ai vari contributi comunitari o internazionali, tra i quali si annoverano come principali le quote: Bce, Esm, Efsm, Fmi, Bei, Ue ...
Somme che per convenzione pattuita non entrano nel rapporto Debito/Pil e denominate Conti a rischio come semplici partite di giro.
Relativamente al bilancio consolidato italiano si hanno, sempre secondo Eurostat, dal 2005 ad oggi questi dati:
Anno
|
Debito
|
PIL
|
% sul PIL
|
1.512.779
|
1.429.479
|
105,83%
| |
1.582.009
|
1.485.377
|
106,51%
| |
1.602.115
|
1.546.177
|
103,60%
| |
1.666.603
|
1.567.761
|
106,30%
| |
1.763.864
|
1.519.702
|
116,10%
| |
1.843.015
|
1.548.816
|
119,00%
| |
1.897.900
|
1.580.220
|
120,10%
|
Considerato che il 2012 sarà un anno recessivo di Pil, è ovvio comprendere che il rapporto Debito/Pil aumenterà tra i 3/6 punti %, sulla base di 2 cause: la riduzione del Pil e l’aumento dello spread.
Se si aggiunge che nel 2010 gli enti locali (Comuni e Province) hanno raggiunto i massimi storici dell’indebitamento proprio, pari al 3,9% del Pil, ben si capisce la gravità della situazione.
I dati citati indicano chiaramente che dal 2009 in avanti il conto interessi (spread) ha elevato notevolmente il debito e con questo la percentuale di rapporto. Spread manovrato soprattutto dalla speculazione globalizzata: originata, ideata e organizzata oltreoceano da importanti finanziarie globalizzate, e transitante per Londra prima di abbattersi sulle borse Ue. Speculazione alla quale si sono, con piacere, spesso accodate molte banche Ue.
Speculazione alla quale l’Ue non sa opporsi, sia per la carenza di un’unica autorità economica/finanziaria centrale, sia perché la Bce non ha i poteri della Fed, sia perché i vari Stati dell’Unione non hanno una politica condivisa, sia perché, infine, diversi governanti sono stati in passato al soldo di queste potentissime finanziarie.
Con debiti tanto elevati – e per brevità non si citano i dati di altri Stati Ue, alcuni dei quali con percentuali assai più elevate – ben si capisce che fare del keynesianismo per investire porterebbe i bilanci al default sicuro, anche usando l’alchimia contabile della Golden rule.
La Grecia, inoltre, ha dimostrato che il “bombardamento” fiscale fa contrarre ulteriormente il Pil, togliendo ad industrie, società e famiglie il credito necessario per potersi finanziarie. Porta lo stato al disfacimento totale.
Non a caso i pochi mesi del governo Monti hanno prostrato in Italia, con una politica fiscale dissennata (a mio parere), tutta l’economia reale che ancora reggeva l’urto della crisi.
Le banche, inoltre, nonostante la forte iniezione di liquidità fatta dalla Bce, non sono state in grado di ridurre il proprio rischio sul mercato, elevandolo pure nonostante alcune operazioni di ricapitalizzazione, per il ricorso al prestito Bce a tasso ridotto.
Ora è probabile che si innesti la turbolenza delle elezioni greche, con la probabile fuoruscita della Grecia dall’€.
Le banche centrali pare che si siano accordate per una risposta coordinata a questa più che probabile eventualità; perciò immetteranno nel sistema forte liquidità a getto continuo per evitare default a catena sia di stati che di banche.
A questo punto nasce un problema: la Bce non ha la giurisdizione legale per emettere moneta, ma solo quella di conteggiare le somme che le varie banche centrali mettono in circolazione.
Nei trattati Ue – Art 128 -, infatti, le banconote appartengono durante l’emissione all’Eurosistema[2], ma poi durante la circolazione appartengono al titolare del conto su cui vengono conteggiate, perciò alla Bcn di competenza.
Perciò è facoltà sia della Bce che delle Bcn produrre moneta in modo materiale – moneta fisica – oppure virtuale – addebito nominale telematico sul conto interessato -.
Fare prestiti alle banche significa per la Bce produrre moneta, perciò attingere ad un risparmio virtuale che non esiste sul mercato: si crea un debito che essendo del sistema diluisce la ricchezza/risparmio esistente, creando quindi una svalutazione strisciante, non percepibile al momento, ma deleteria nel medio termine. Indi inflazione.
La stessa cosa possono fare anche le varie Bcn, che con una semplice contabilizzazione telematica – a costo zero – si assumono ulteriore debito presso l’Eurosistema, assumendo la proprietà della moneta (in questo caso) virtuale.
Emettere moneta è fare monetarismo per non far saltare il sistema; ma ciò impoverisce il risparmio vero: quello privato depositato sui c/c delle varie banche.
Perciò per salvare il sistema – che sarebbero poi i Debiti sovrani e le banche – si farà pagare il tutto al risparmiatore.
Diversamente il risparmiatore perderebbe tutto, o buona parte del tutto.
Il monetarismo non può essere infinito; e per non far saltare il banco ha bisogno che vi sia un certo bilanciamento dei conti. Quindi serve il rigorismo di bilancio: nello stato e nelle banche. Diversamente il ciclo diventa perpetuo fino alla distruzione totale.
Il rigorismo non deve essere inteso solo come pareggio dei conti, ma anche come modo per impedire che questi si dilatino fino all’implosione. E ciò che oggi ha innestato l’implosione economica della Grecia è stato soprattutto lo spread, dovuto alla speculazione internazionale.
Altri stati, tra cui l’Italia, stanno subendo sulla propria pelle questi attacchi di mercato; e pure la Germania ha subito in questi giorni un innalzamento del tasso di interesse di 15 ptb.
La speculazione selvaggia globalizzata attacca gli stati in modo referenziale, perciò coordinato e programmato, abbattendoli uno ad uno nella loro economia, onde poi “comprarli” a costo zero, partendo dai più deboli per investire infine anche i più forti.
Se lo spread teutonico venisse attaccato e portato a quello attuale italiano e spagnolo, pure la Germania affonderebbe, non potendosi permettere, col debito che ha, interessi tanto elevati. Infatti, ora come ora, è la finanza d’assalto che condiziona l’economia degli stati e non la ricchezza o il Pil prodotto.
Rigorismo significa impedire la speculazione, combatterla e annientarla. Diversamente si muore. Significa riformulare i mercati in modo che non facciano danni, ma diventino il perno del finanziamento alle imprese.
Questo è l’obbiettivo che devono porsi gli Stati dell’Ue; e non il rigorismo penitenziale luterano della Merkel. E devono farlo facendo ricorso, in caso di bisogno, al monetarismo, onde ricomprarsi i Titoli sovrani classati fuori dell’ambito Ue.
Il monetarismo – come già detto – non può essere infinito; perciò deve essere graduato solo all’emergenza attuale, onde farci uscire dalla gravissima crisi finanziaria in cui la speculazione ci ha fatto piombare.
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