domenica 8 gennaio 2012

I Beccamorti.

Sesac, oggi, venne a farmi una visita veloce per consegnarmi questo secondo racconto che pubblico assai volentieri.


È la prosecuzione del precedente[1], anche se la tematica sviluppata parla della grave situazione della foresta e delle vicissitudini degli animali.



Sam Cardell


Tratto da “i Dialoghi” di Sesac


I Beccamorti.



Bipperino viaggiò ancora assai: scese nelle valli e risalì valichi, per imboccare infine, in quota, una carrareccia che dava su una dorsale poderosa.


Poco più in alto, tra il sole incastonato in un carico cobalto, faceva bella mostra di sé l’immacolato manto della prima neve, il cui riverbero infastidiva gli occhi, quasi accecandoli.


La carrareccia proseguiva a lungo in piano tra alcuni radi e panciuti cespugli di ginepro, carichi di bacche verdi e bluastre, posti qua e là come i cani maremmani a guardia in altura. Poi, dove la dorsale si impenna, Bipperino attaccò deciso la salita puntando dritto verso la neve poco sopra. Trovò un bivio e svoltò sicuro a dx, immettendosi in una lieve discesa tra vasti pascoli alpini.


Lassù il terreno era ghiacciato e procedette con prudenza; mentre ai lati candide chiazze di neve coprivano in parte grandi zolle di erica, pronta a mostrare tra non molto la miriade dei suoi piccoli e variopinti fiori.


Da lassù lo sguardo spaziava ovunque fino alla lontana piana, in parte nascosta da ben tre dorsali parallele. Pure i laghi si intravedevano lontani e soli a tratti, ora apparentemente piccoli e dello stesso colore, mentre più a nord scorreva, con ampie anse, il grande fiume che si getta nel freddo mare.


Superò una costiera, poi un’altra e infine ci ritrovammo su uno spiazzo. Rallentò quasi impaurito dal vuoto che la carente visuale faceva presagire; ma era una falsa impressione.


Puntò con calma e sicurezza il muso verso il basso e … vedemmo la grande cascina sotto di noi a circa 500 metri, posta in mezzo ad un ampio ballatoio, sostenuto a sud da un’imponente bastionata rocciosa. Molto più a valle vaste foreste nerastre d’aghifoglie ammantavano monti e colli, imbacuccati nel capo con una berretta bianca di lana.


Una grossa libellula stava sonnecchiando al sole laggiù, accanto alla cascina, forse stanca per il lungo volo a cui i suoi ospiti l’avevano costretta.


Ad una curva trovammo dei gorilla imbacuccati. Scrutarono Bipperino, lo riconobbero subito e ci fecero cenno di passare. Pochi metri ancora e … si fermò accanto alla libellula.


Dall’alto non si vedeva, ma laggiù, celato dietro l’angolo della grande, bella e accogliente cascina, trovammo pure il possente Terra ad attenderci, felice di rivedere l’amico Bipperino.


Proprio cascina non sembrava, piena di comignoli com’era che parevano tanti svettanti e fiabeschi campanili: era una nobile e imponente magione, tanto appariscente da lontano quanto accogliente da vicino, capace di alloggiare comodamente anche più di cento ospiti.



Scendemmo; e capimmo che la temperatura era rigida nonostante il sole raggiante. Si stava comunque bene perché l’aria era secca, anche se era opportuno non abusare troppo dello stare all’aperto.


Una coppia di cani fox terrier ci corsero festanti incontro, bianchi nel mantello, marroni e neri nella testa, uscendo da una porta laterale della cascina. Forse cercavano l’amico Billy, ignorando la sua recente scomparsa. Perciò capii che oltre a Leone vi doveva essere pure Lyestar, Walchiria discendente da un potente e antico casato, amico di Leone da lunga data.


Seppi poi che la bella cascina era di sua proprietà e per l’occasione l’aveva messa a disposizione degli ospiti.



… Entrammo nella grande sala dove trovammo Leone intento a preparare la polenta taragna nel vano cucina, mentre le donne dell’avvenente Lyestar si dedicavano alla pasta e allo stufato, sotto la direzione di MaryAnne la valente cuoca.


La sala era ben illuminata da grandi finestre a doppia camera di compensazione, poste solo a sud e a ovest, dalle quali penetrava il gagliardo sole. Si snodava quasi serpeggiante a mo’ di greca. L’estremità ad ovest immetteva nella cucina, parte integrante estrema della sala; quella intermedia, invece, nella ben fornita biblioteca.


Sulla parete est della sala campeggiava un grande crocefisso che mi parve di larice. A metà parete, poco sotto, un grande poster di Leone, ritratto nel suo sport giovanile preferito e, più sotto ancora, un monitor ultrapiatto di grandi dimensioni.


Al centro un’enorme tavola ovale, lucida, massiccia e finemente intarsiata, in grado di ospitare comodamente almeno 30 persone, già apparecchiata e fornita di svariate bevande onde appagare il gusto di ogni ospite; era sormontata da 2 pregevoli lampadari dell’800, forniti ognuno da innumerevoli bocce di cristallo finemente cesellate in oro.


All’angolo sud/est un bell’albero natalizio già addobbato di pino azzurro d’Austria, per l’occasione travasato in un enorme e artistico vaso bronzeo, era abbellito sotto i suoi possenti rami da un piccolo abete bianco e da alcuni succhioni di agrifoglio stracarichi di rosse bacche. Annunciava agli ospiti la sacra festività vicina.


Il soffitto era ricoperto da pregevoli cassonetti in legno intarsiato, dorati in modo alternato, opera di valenti artisti del passato; taluni riproducenti animali, altri facce umane e alcuni forme geometriche.


Alla parete nord antichi e preziosi quadri fiamminghi ornavano la grande stanza che, al suo primo snodo della greca, aveva una grande stube cilindrica a più settori, posta quasi al centro e ricoperta di preziose maioliche colorate. Il tubo dei fumi era di fusione e artistico, ricoperto da mitiche figure di fauni, ninfe e dei nordici.


In mezzo a questi antichi quadri ve n’era uno recente – provvisoriamente in trasferta e opera del fiammingo Goeringhen -, che rappresentava un filosofo moderno caro a Lyestar. Lo si distingueva perfettamente dagli altri non tanto dallo stile, quanto dalla cornice che faceva un tutt’uno con il quadro stesso.



Tra gli ospiti ebbi il piacere di rivedere tra gli altri il riservato e sempre aggiornato Larco - in compagnia di Red -, Gitré, Malaparte, Kurt, Bianco, Maximilian - valente uccello migratore e conduttore di libellule - e Hans; tutti animali che di rado avevo visto insieme a Leone. Perciò ne dedussi che l’evento dovesse essere eccezionale, data la loro importanza sociale.


Brillava l’assenza degli abituali amici, quelli che ogni settimana erano soliti passare un po’ di tempo con lui a conversare. Tuttavia si era assai lontani dai patri lidi e poco avrebbero potuto dare, oltre al folclore, alla selezionata compagnia.


Trovai pure facce nuove, che comunque mi salutarono calorosamente quando Leone mi presentò loro. Li conoscevo per i media e per notorietà, ma mai li avevo incrociati di persona.



Castagne, che non aveva nulla a che spartire nel nome con quella frazione montana situata sui primi contrafforti dei Lessini, era un politico con la faccia un po’ ispida e occhialini alla moda da spiritato, seguace di Lama. Dal potere era passato all’opposizione per le manovre sotterranee del Nano del Tirolo e, a lungo, era stato con Bausia in un posto chiave. Lo collegai a Leone per il defunto Becchime.


Trovai pure Profitto, altro politico e seguace di Bausia, pure lui nella precedente compagine anche se con un ruolo minore, profondo conoscitore della realtà e felice conversatore. Se per causa di partito Castagne aveva negato la fiducia a Becca, Profitto lo aveva fatto invece a titolo personale, non condividendo affatto le nuove impostazioni di partito. Mentre Gitré e altri se n’erano stati assenti … appositamente.


Conobbi pure Scalogno, insigne cattedratico ed economista, assai vicino a Malaparte come concezione e critico pubblicamente con le direttive di Becca. Era tuttavia in dissenso con la sua Spada, che stravedeva per Becca rischiando assai la faccia e - come disse poi Larco – anche la pelle. Costei aveva seguito il taurino Passero, che oltre a lei s’era tirato dietro pure Olezzo nella nuova esperienza; tutti e 3 erano compagni di ventura in alcuni Consigli d’amministrazione dì importanti finanziarie della Foresta. Sicché molti animali malignavano, ironicamente, dicendo che nella compagine vi erano 2 clan: quello dei taurini e quello dei mediolani, che insieme formavano la compagine dei Beccamorti.


Se Becca, infatti, era tanto tetro e con il ghigno da conte Ugolino da ispirare poca fiducia, tutti insieme, visto le loro facce e le loro prime mosse, parevano quegli animali necrofori che alla carogna strappano anche le ultime once di carne, non seppellendola neppure perché la pietà costa e la situazione imponeva di tirare la cinghia. Quella dei comuni animali, ovviamente, e non la loro, grassi com’erano di lauti compensi.



Becca - ormai da tutti soprannominato Beccamorti - non rideva mai, non sapendo neppure come e perché si facesse. Al massimo faceva un lugubre ghigno. Era un gatto … grigio nell’aspetto, assai pieno di sé stesso, che traeva la sua sociale insipienza umana dal fariseismo druido, atteggiandosi sempre, nella realtà sociale, a Giove Olimpo. Riteneva in sé d’essere l’unico eletto e perfetto … gatto di questo mondo; era solito canticchiare spesso “Come me non c’è nessuno” davanti allo specchio magico del reame.


Il divino toscano s’era ispirato sicuramente a lui nel comporre il XXXIII canto dell’Inferno – La bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator, forbendola a’ capelli del capo ch’elli avea di retro guasto -.


Infatti, si mormorava che lui fosse la metempsicosi del Conte Ugolino. Il quale, se un tempo rosicchiava il cranio di un arcivescovo, ora, per l’appetito, s’era messo addirittura a rosicchiare quelli del popolo, conscio del fatto dell’aver vissuto per diversi decenni alla Battona, importante e rinomata scuola della Foresta dove i benestanti figli di papà confluivano per apprendere come prostituirsi alla finanza globalizzata d’assalto. Alcuni lo chiamavano pure “la battona del Bolschoi” – per la sua eminente cultura -, per il fatto che nel fendere l’aria si inclinava sempre all’indietro, come una leggiadra ballerina, per la fatica di vincere la resistenza aerodinamica. Molti, infatti, giuravano che non fosse mai riuscito in vita sua a piegare la spina dorsale in avanti perché l’aveva … di puro cristallo di Boemia.


Era uno dei tanti privilegiati della foresta. Il rustico Gini avrebbe detto “nato col culo nel burro e la schiena nella bambagia”, mentre il colorito Era avrebbe aggiunto “pensa d’essere l’unico munito tanto di cervello quanto di pisello”.


Infatti, per discutibili intrallazzi paterni era stato esentato per cagionevole salute pure dal militare.


La sua carriera era stata tutta all’ombra della grande finanza, compresi i 2 lustri che lo avevano visto ad Eustachia.


Era assai legato ad una tra le più importanti banche della Foresta, che tutti chiamavano l’Uomo dai sacchi d’oro, tant’è che era solito darne uno all’anno anche a Becca per i suoi servigi.


Ovviamente non si avvaleva solo di lui, ma pure di Tetù e Grisù, perché i tre stavano da tempo nel suo cono d’ombra, assi intercambiabili per ogni necessità.



Quasi tutti i Lands di Eustachia erano da tempo in crisi, anche se pure quello dei Bisonti non stava meglio di loro.


Tutti volevano porre rimedio al tracollo vicino; ma per quanto ci provassero erano capaci solo di peggiorare la situazione e di ingrandire il proprio debito. Perciò il futuro si profilava sempre più drammatico.


In Itachia, come si sa, da tempo imperava Bausia, dalle Walchirie vi era Patatona e dai Galli vi era il Bullo slavo. Se uno voleva procedere in un determinato modo, l’altro provvedeva subito a stopparlo. Più di tutti in ciò si distingueva Patatona, sicura del fatto che non andava a cavallo e che perciò non poteva essere disarcionata. Non vi era cavallo al mondo, infatti, capace di … reggerla.


L’Uomo dai sacchi d’oro aveva già preparato i suoi piani; perciò pensava di volgere la situazione a suo favore onde moltiplicare il suo metallo prezioso. Probabilmente Patatona, avendo visto alcuni devastanti attacchi di costui al suo regno, considerò più opportuno copiare in parte le sue strategie per un’eventuale sinergia. Perciò cominciò a fare pressioni sul Nano del Tirolo onde disarcionare Bausia e sostituirlo con un animale fidato, quindi servizievole ai loro intenti.



Costui, il Nano del Tirolo, proprio nano non era, anche se valeva come il 2 di coppe in briscola. Vantava una discendenza regale, anche se adulterina. Il padre, infatti, non avendo molto da fare come giovane principe, amava essere dilettato ovunque con auto americane di un certo tipo, che i dirigenti locali non gli facevano mancare.


Sicché un giorno, avendo perso il controllo della retro, come spesso gli capitava non essendo forte in retromarcia, avvenne … l’incidente.


Era, il Nano, una volpe un po’ spelacchiata per l’età e il cervello. Il profeta Fedro l’aveva vaticinata benissimo, anzitempo, mentr’era intenta a cercare di cogliere dell’uva.


Tempo addietro, essendo rappresentante nella Dieta di Roncaglia, s’era distinto assai nel fare in modo industriale la cresta ai suoi viaggi, in modo da racimolare un po’ di sostanze, non parendogli congrue quelle che già aveva.


La tv di Patatona aveva fatto un’inchiesta su ciò, rendendola pubblica in una trasmissione e cercando d’intervistarlo onde avere la sua giustificazione su ciò. Lui, in modo ineffabile, aveva dichiarato che doveva spiegazioni – se del caso – solo ai suoi elettori itachesi e non ad un media d’un altro Land. Aveva, infatti, il Dna zeppo degli attrezzi del fabbro e del mietitore, innamorato com’era … di queste professioni.



… Si pranzò affabilmente conversando.


Leone era capotavola ad Ovest, mentre Lyestar lo era ad est. Gli ospiti si posizionarono casualmente. Sicché avvenne che Leone avesse accanto Gitré e Malaparte a dx, con Profitto e Castagne a sx; Scalogno, invece, non potendolo vedere la sua Spada, era orgogliosamente alla dx di Lyestar e vicino a Bianco, dirimpettai di Maximilian, che … vigilava, e di Larco. Io, Sesac, ero posizionato a mezza tavola, insieme a tutti gli altri.


Mentre le donne sparecchiavano, Larco - su invito di Leone - cominciò ad snocciolare a tutti il suo sapere, usufruendo dell’aiuto di Clio – fidata segretaria di Leone – per mostrare dati e immagini sul grande monitor ch’era alla parete.


Per farci intendere la realtà cominciò con i nuovi Eustacchi – moneta ufficiale di Eustachia – che Patatona e i suoi stavano preparando con poco segreto da tempo, marchiandoli con il fondente neutrale Schwyz a sud e con il cloruro di potassio walchiria delle Pai a nord. Tutto ciò perché, essendo più larga che lunga nella cervice, aveva una visione politica molto ristretta, assai impregnata di acrazia per la federazione e di autoritarismo egemone per il proprio Land.



Così Larco parlò.



Bausia era inviso a Patatona. Perciò costei fece pressioni sul Nano - la volpe -, in modo di sostituirlo con Becca –il gatto -, pensando in questo modo che i due potessero ripetere la formidabile coppia del Gambero Rosso, l’uno cieco e l’altro zoppo per il troppo … studiare. Entrambi, infatti, essendo animali taumaturgici e … divini, dovevano convincere gli itachiani a seppellire i loro risparmi nel Land dei Barbagianni, posto al centro di Eustachia dove regnava da poco Grisù, in un terreno prodigioso detto il Campo dei Miracoli.


Per farlo usarono lo spread onde creare apprensione. Ma essendo per loro cosa impossibile usufruirono per ciò dei servigi dell’Uomo dai sacchi d’oro che, per la verità, li manipolava a loro insaputa da molto tempo, come se fossero marionette. Il bisonte, non avendo una visione ristretta come loro, già da tempo si era attrezzato all’uopo, imperando sul mercato ovunque.


In Itachia vi erano dei principi che odiavano Bausia; tra questi si distinguevano per totale idiozia manifesta Sanmarzano e Bordello. Perciò, su sollecitazione del Nano, digerirono pure Becca, che in un colpo solo tolse loro l’agognata poltrona da sotto il deretano.


L’Uomo dai sacchi d’oro, essendo un bisonte, ben si ricordava di Honest John e di Gideon. Perciò per imporre il gatto Becca, parco di parole e ottuso, lo affiancò alla volpe Nano, parlatore di professione e venditore di fumo.


Sicché, con l’ausilio di Patatona, interessata ad assumere da capace e avvenente attrice il ruolo di Stromboli, detto Mangiafuoco, si misero all’opera. Personaggio per lei ch’era … perfetto.


L’Uomo dai sacchi d’oro attaccò lo spread, mentre il Nano cominciò a vaticinare a Cuma, sua patria natale, onde preparare gli eventi. Bausia un po’ resistette, ma poi ci cascò e ruzzolò; il Nano lo aiutò a rialzarsi, gli prese la mela, che mangiò rendendogli il torsolo, e l’abbecedario per darlo a Becca. Il resto lo fece … Patatona.



Larco tacque e … Gitré annuì, avendo vissuto in prima persona gli eventi. Scalogno aggrottò le ciglia con la bocca aperta, quasi incredulo, mentre Castagne cercò di arricciarsi gli ispidi peli, guardando interrogativamente Profitto.


Malaparte si grattò la nuca disadorna, da bravo itachiano; mentre Bianco, non sapendo che fare, bevve un sorso di Pinot bianco del Reno.


Leone, apolide qual’era, li osservava divertito e interessato, come se stesse procedendo con uno studio di simbiologia su cotanti soggetti.


Lyestar prese al balzo l’occasione per far portare il caffè, compreso il milk atto a diluire a Leone la bollente bevanda.




Si discusse a lungo, pacatamente e sapientemente, e ognuno degli ospiti disse la sua, porgendo il proprio pregevole contributo al sapere di tutti.


Perciò il sole volgeva, ora, molto a ovest, inarcando il suo lucente carro verso l’orizzonte, tra un rosso fuoco che pareva divorarlo.


Prese, infine, la parola Leone, mentre MaryAnne si accingeva a servire il the sotto i due lampadari che illuminavano la grande sala, atti a sostituire il sole che si spegneva velocemente sull’orizzonte dei galli.



Siamo qua, graditi ospiti, quasi in terra ostile e lontani da occhi e orecchi indiscreti. Il luogo incantevole, l’ospitalità calorosa e gli eventi sono la nostra giustificazione, oltre che la nostra ponderata scelta. Non siamo animali di un solo Land!


Qua ci riunisce il nostro amor di patria per una terra nuova e più vasta, che non abbiamo né voluto, né condiviso, in una tanto insana e oligofrenica coagulazione. Tornare indietro costerebbe a tutti più di quanto si potesse immaginare, in un disastro che nessuna mente, per quanto eccelsa, potrebbe ora quantificare. Ben sappiamo, perciò, chi dobbiamo ringraziare, pur senza alcun rancore.



Non temiamo, comunque, il disastro generale; perché in tutti noi vi sono quelle capacità in grado di farci risorgere. Però siamo preoccupati per tutti quelli che sono assai meno protetti e che già soffrono assai. L’aiuto filantropico o caritatevole di tutti noi, già in atto e in modo assai riservato da tempo, in un tale ipotetico e realistico disastro sarebbe solo una goccia in mezzo all’oceano della necistà assoluta.


Beccamorti non è un idiota e la nostra discussione lo ha posto bene in risalto. È, tuttavia, un nozionista incapace, nel suo rude e complesso pensare, di andare oltre ciò che già sa. In pratica è uno statalista classista che non sa concepire altro che la casta in cui vive, totalmente ignaro delle difficoltà del popolo tutto. Se così non fosse, infatti, non avrebbe prodotto una manovra tanto demenziale con un appellativo tanto pomposo.


Lui si crede un massiccio himalaiano, mentre in realtà non è altro che una piccola protuberanza.


Potrebbe però essere migliore di ciò che è, proprio come Gitré ha dimostrato dopo averci sbattuto inizialmente il naso. Perciò, non potendo fare altro, … speriamo … di potercela fare.


Con la condiscendenza della volpe ha già impiccato gli itachiani ad una quercia, onde prelevargli gli ultimi zecchini d’oro; per seminarli, indi, nel giardino di Grisù, per il diletto di Patatona che li vorrebbe tanto innaffiare.


Noi tutti possiamo poco divisi, molto di più uniti. Dalla nostra abbiamo operatività, sapere, collegamenti e capacità di ideare una società della foresta nuova, svincolata dal capitalismo d’assalto globalizzato, che ha prodotto questi guasti avviandoci verso il tracollo globale.


Siamo consci delle difficoltà, ma fiduciosi nel futuro.



Ciò che i nostri re, e ministri, non intendono – e che anzi servono nella loro nefandezza istituzionale – è il servilismo al mercato, come se questo non lo si potesse riformulare al servizio di tutti.


Proprio quel mercato che con Bausia indicava uno spread sui 200 e che ora si è più che raddoppiato; e che, tra breve, potrà anche triplicarsi, per puntare subito a quadruplicarsi. Sarà, allora, uno dei segni dell’apocalisse della disgregazione totale.


Il mercato non crede a Beccamorti, proprio come a lui non crede nessuno dei suoi sudditi. Gli indici di riferimento, innalzandosi da una parte nello spread e flettendo continuamente dall’altra nell’indice di capitalizzazione, ci condannano.


Solo lui crede in sé stesso, tronfio com’è del suo nozionismo neoliberista: novello dio, tornato sulla terra per salvarci. Forse ritiene solo di crederci, avendo oltre al suo l’appoggio dell’Uomo dai sacchi d’oro.


Non si può più procedere così!



La nostra speranza futura è il nostro impegno, supportato dalle nostre conoscenze e dalle nostre giuste previsioni stilate tempo fa.


Abbiamo bisogno di una nuova società sia a livello civile che economico/finanziario. Una società diversa e non fondata sul solo profitto, dove il Pil non sia l’unico parametro di riferimento da rincorrere ad ogni costo.


Una società non cresce solo con la ricchezza monetaria, ma basando le proprie radici e fondamenta su una cultura diversa in grado di distribuire armoniosamente la ricchezza disponibile. Se non vi è una partecipazione globale di tutti, partecipativa e distributiva, si persegue solo l’accumulo individuale, perciò il solo capitalismo globalizzato: il dio business.


Nel nostro piccolo tutti noi abbiamo già sperimentato ciò: chi con l’opera, chi con le idee e l’impegno, chi con il proprio lavoro, chi con le proprie sostanze e chi con la propria imprenditoria. Abbiamo creato un piccolo circuito virtuale che funziona e che è in grado di dare sostegno, fiducia e sicurezza nel futuro a chi è molto meno fortunato o capace di noi.


Siamo coscienti e capaci di donarci agli altri! Ci sentiamo Popolo della foresta: uguali, pur se dissimili, a tutti gli altri nostri fratelli animali.


Dobbiamo batterci in modo che queste idee si radichino nella nostra società.



Prima abbiamo indicato delle strategie variabili, contingenti alle future evoluzioni politiche e sociali, comprese quelle eventualmente traumatiche e - speriamo di no – pure violente.


Siamo in un momento grave, pregnante di nebulose incognite.


Gli animali della Foresta sono stufi di tutti e non hanno più fiducia in nessuno, neppure dei vari gatti e volpi che infestano ogni Land. È probabile che pacificamente col voto, o con ribellioni di massa, li mandino tra poco in … contumacia. Però i sostituti potrebbero essere anche peggiori di chi li ha preceduti.


L’antipolitica e l’avversione alla casta sono palpabili ovunque, sia dove vi è crisi, sia dove vi è ancora un certo benessere. E in questo pessimistico caso il popolo non sarà più in grado di riconoscere l’amico dal nemico; perciò pure … noi.



MaryAnne aveva già servito il the; per cui Leone tacque.



… Era già buio; e Lyestar ci pregò di visionare ognuno la stanza assegnataci per la notte, prima di passare alla cena.


Non potevo però fermarmi e fuori tutto era ormai un blocco di ghiaccio. Perciò salutai tutti.


L’esperto Maximilian mise perciò in azione la libellula e …, con un perfetto volo, mi depositò fuori dell’uscio di casa.




Sesac


Nessun commento: