I fatti di questi ultimi giorni dimostrano che nella cronaca si rincorre il plateale e in politica il diversivo compensativo.
In entrambi i casi, anche se i soggetti interessati hanno un’istruzione superiore alla media, il fatto in sé stesso diventa o un mezzo di successo o un fine. Manipolando (studiando) questi in modo analitico si ottiene uno spaccato simbiologico di quanta Cultura reale – perciò non nozionismo - ci sia in una nazione.
Pur senza entrare nel merito delle vere questioni – che non sono di mia competenza non avendone i veri dati – mi voglio occupare del linguaggio e dell’atteggiamento posto comunemente in essere in alcune circostanze.
Come si sa la Concordia ha fatto naufragio sugli scogli dell’isola del Giglio.
Vi è stato sicuramente un errore umano che, oltre a creare morti, ha necessariamente poi coinvolto anche responsabilità di terzi: equipaggio, passeggeri, armatore, soccorritori e … media e magistratura.
Quando un fatto avviene, questo innesta sempre delle reazioni che in alcuni possono essere positive e in altri negative. Chi vive l’evento deve comunque padroneggiarlo, in modo da ridurne al minimo gli effetti negativi. Vi sono sempre alternative possibili; ma più errori si fanno tanto più queste si riducono.
Questa mia convinzione la traggo dalla mia esperienza vissuta, non solo in alta quota dove il pericolo è sempre costante e reale, ma pure in situazioni operative particolari di comando che mi hanno visto soggetto primario nei decenni scorsi. Sempre con preparazione, con analisi, con pianificazione plurima e con attenzione ho vissuto mai da vittima sacrificale gli eventi, neppure quelli che non potevano dipendere dalla mia azione e volontà.
Nella vita vi sono sempre più scelte possibili, seguendo una delle quali si attiva un particolare circuito operativo.
In primis mi vorrei interessare della telefonata intercorsa tra la capitaneria di porto e il comandante della Concordia, emblematica di un certo modo di fare oggi, imperante e paradigmatico di una cultura che dire volgare sarebbe poca cosa.
Premetto che ho sentito più volte a voce il testo, oltre che averne analizzato con calma il contenuto.
Chi prende (dovrebbe prendere) in mano la situazione – perciò la capitaneria di porto – dovrebbe in primis vivere l’evento in modo asettico. Infatti, come dico spesso, se il medico viene coinvolto nel pathos del paziente, costui sarà inevitabilmente morto.
Paradossalmente chi è maggiormente calmo è proprio il comandante che ha commesso l’errore; infatti, manifesta una correttezza di linguaggio che sta sempre nei confini del giusto rapporto di dialogo: ascolta, lascia sbollire la furia della controparte, sopporta gli insulti senza mai replicare e … fa ovviamente di testa sua, magari sbagliando ma in piena libertà d’azione.
Quello della capitaneria, invece, segue un copione tutto suo particolare, dove la responsabilità del comando lo porta a reiterare il deus ex machina della situazione, perciò l’eroe che tutto redime e tutto salva. In effetti, non salva né gli altri né se stesso, dando solo una dimostrazione di volgarità procedurale, di incapacità di prendere in mano la situazione e di impartire comandi efficaci: la controparte, infatti, non seguirà le sue perentorie … intimidazioni.
Ovviamente il soggetto non conoscerà né la psicologia dell’analisi transazionale – perciò la giusta comunicazione imperniata sul mutuo consenso – né quella dell’educazione vocale, tanto più se – come afferma – sta registrando la comunicazione … per poi divulgarla pubblicamente ai posteri per sua “somma e postuma laude”.
Il suo monologo – chiamarlo dialogo sarebbe improprio non considerando egli la controparte un soggetto operativo ma solo un “proprio” oggetto – evidenzia un crescendo agitato del volume vocale, che dalla concitazione iniziale va al furore e alla protervia impositiva, che diventa infine iattanza pur tra pari grado, condito da eccessi volgari che potrebbe benissimo risparmiarsi, non avendo nulla a che fare, questi, con la vera situazione. Infatti, sono ininfluenti allo stato delle cose, non potendo né migliorare, né peggiorare la situazione. Sono solo sistemi trogloditi da look culturale cafonal.
Un piccolo accenno in questo caso va pure ai media che, riprendendo la comunicazione e traducendola, si sbizzarriscono in epiteti offensivi, sinonimi chiari, in effetti, solo della loro … immensa educazione, volgarità e cultura, a spregio di una realtà che non sono ancora in grado di poter correttamente valutare. Più il contenuto è grasso, perciò volgare o blasfemo, tanto più oggi fa audience.
Un capitolo a parte dovrebbe essere riservato alla preparazione e alla competenza che dovrebbe essere stata data – perciò che dovrebbero possedere - a persone che rivestono importanti ruoli dirigenziali, ma che nella maggioranza dei casi – come in questo frangente – appare proprio … inesistente.
Per comandare bisogna essere capaci e non fruire solo delle nozioni professionali tecniche, pure se basilari e importanti. Il saperlo fare significa anche prendere atto della situazione esistente, dello stato d’animo e delle capacità momentanee della controparte, delle variabili che in loco possono manifestarsi, essendo ben diverse da quelle di un caldo e ovattato ufficio.
Chi comanda, in sostanza, deve essere fermo e deciso, ma sempre chiaro, calmo e disposto a comprendere le difficoltà. L’alterarsi porta solo confusione, perché arreca concitazione in sé e in chi dovrebbe ricevere e poi rendere pratici gli ordini. Bisogna che tra comandante e esecutore vi sia una stessa linea d’azione comprensiva e partecipata. Chi impartisce l’ordine non deve criminalizzare né l’errante, né il peccatore; deve fare gruppo con lui.
Il contenuto e il testo del dialogo parlano però da soli, facendo diventare, il tutto, il volo in picchiata del falco rapace di gloria sulla vittima designata.
Un discorso parallelo e diverso può essere applicato alle recenti liberalizzazioni governative, non tanto in quanto tali, quanto per il contesto che le accompagna.
Il parto è stato sicuramente laborioso, perciò indice di continui nuovi assetti strategici che coinvolgono una preparazione adeguata anche nei tanto decantati tecnici. I tecnici, tuttavia, non sempre sono necessariamente uomini, perciò in certi casi solo … macchine nozionistiche.
Emblematica al riguardo è la conferenza stampa seguitane, su cui vale un attimo … attardarsi.
Prendiamo prima in esame la manovra precedente, onde vedere chi più ha colpito.
Il salasso è venuto da un notevole aumento delle accise sui carburanti, dall’Iva e sulla prima casa, interessando quindi beni e prodotti primari di largo consumo, colpendo perciò chi meno ha. I benestanti, infatti, possono sopportare benissimo e con poca fatica (non sacrificio) un tale costo aggiuntivo e hanno per lo più professioni che fanno ricadere gli ulteriori costi sulla parcella (prodotto, fattura) finale.
In base al contesto del discorso nella conferenza stampa, le liberalizzazioni dovrebbero portare molti risparmi al contribuente e rilanciare di un (assai fantasioso) 11% il Pil nazionale. Se così fosse grazie al “miracolo Monti” quest’anno sopravanzeremo la … Cina.
In effetti, i tanto decantati risparmi – se mai ci saranno, essendo per ora solo nelle buone … intenzioni – chi vedrebbero coinvolti? Sicuramente non il popolo che poco ha a che fare con certi servizi fuori dalle sue disponibilità economiche e di bilancio, se non in casi eccezionali, perciò molto limitatamente.
Gli operai molto raramente prendono taxi, si rivolgono ad avvocati, a notai o a professionisti in generale, che comunque non per l’abolizione del minimale si faranno pagare di meno. In compenso, non essendo più soggetti ad un massimale, potranno eventualmente farsi pagare di più in base alla legge di mercato che se vuoi il meglio lo devi pure profumatamente pagare.
In pratica gli eventuali benefici andranno a favore di quelle categorie che sono state “meno” vessate dalla manovra precedente.
La riduzione delle tariffe professionali non segue dei D.L. governativi, ma si basa su ben altro: su una cultura personale e sociale che metta le competenze al servizio degli altri con il minor costo possibile.
Ciò significa che i nostri tecnici attuali, chiamati a ricoprire incarichi ministeriali, in barba al loro essere eventualmente ligi e osservanti cattolici hanno finora occupato ruoli altamente retribuiti, proprio in spregio a quella riduzione dei costi che ora vorrebbero favorire. In pratica sono in controsenso esistenziale e comportamentale, oltre che … culturale.
Come poi la crescita dell’economia di una nazione possa essere rilanciata da simili provvedimenti è tutto un mistero, che solo il grande sapere di un insigne cattedratico può capire (?).
Una piccola e interessante parentesi la vorrei dedicare alla possibilità di formare – per gli under 35 – nuove s.r.l. con il capitale minimale di € 1.
La cosa non solo mi lascia scettico, ma mi fa presagire che questo escamotage verrà usato anche dai soliti bidoni che, usufruendo di prestanome creeranno aziende ad hoc per infinocchiare eventuali possibili creditori.
Per formare una s.r.l. ci vorrà sempre un atto notarile. Sicché o il notaio, in ossequio alla liberalizzazione delle tariffe, si farà pagare solo 1 €, oppure la società sarà già in profondo … rosso, anche non considerando le varie imposte di registrazione e di iscrizione alla C.C.I.A.A.
Un mistero rimane poi quella del ricorso al credito per queste società che, non avendo nulla, quasi sicuramente riceveranno … nulla, anche se oneste e con ottime idee e intenzioni.
La politica economica di una nazione non la si fa con dei palliativi fumogeni, ma con ben altre formule, specie in un contesto difficile e quasi tragico finanziariamente come il nostro attuale.
Perché se non metteremo prontamente mano a quelle “reali” e indilazionabili riforme delle regole di mercato e dei mercati mobiliari stessi, allora ci trastulleremo con balocchi tecnici fino a quando saremo sprofondati definitivamente in un disastro annunciato. I danni sono venuti da lì; e proprio lì bisogna rimediare per poter ripartire; e da subito!
Suvvia, Monti, da un professore tanto decantato ci si aspetta molto di più e non solo … quisquilie dialettiche del suo personale intendere in eclatanti conferenze o trasmissioni televisive; magari condite da “calde” battute in inglese, stile cafonal, davanti a prestigiose assemblee estere.
Poi ben vengano anche le liberalizzazioni, che male alla nazione non fanno di sicuro. Diversamente avranno solo il ruolo di cortina fumogena, atta a far ignorare al popolo la vera realtà e necessità degli eventi: un diversivo dolciastro utile non a far prendere la medicina, bensì il … veleno.
Sui media compare sempre più frequentemente la voce di titolati economisti – italiani ed esteri -, spesso anche cattedratici, che, oltre a proporre continuamente importanti linee operative, sottolineano il proprio dissenso all’attuale incedere governativo.
Un buon professore non solo sa insegnare, ma pure sa ascoltare ed aggiornarsi dove è carente.
Forse, però, questo Governo legge solo il suo libro, incapace di ascoltare o di leggerne altri.
Faccio questa aggiunta citando questo detto popolare, fattomi pervenire ora da un amico dopo aver letto questo post, che ben si coniuga con la situazione e con l’articolo attuale.
Dice sinteticamente:
Chi sa fa, chi non sa insegna; e chi non sa fare ad insegnare fa il professore universitario!
Mi pare assai pertinente, specie se fattami pervenire da un docente. Speriamo che chi sa fare proprio nulla, non finisca poi a …
Ovviamente è solo una battuta, che non intende essere offensiva verso alcuno.
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