sabato 28 gennaio 2012

Crisi finita? Aspettiamo a dirlo; la fluttuazione dei mercati lo nega.


In ambito Ue ogni giorno ne sentiamo una; e sempre in dichiarazioni ufficiali. Ormai la solfa dura da un lustro, cioè da quando nell’estate 2007 sono comparse le prime avvisaglie di default negli States.


Pure allora si diceva al popolo che la nostra situazione era protetta perché: le nostre banche erano sicure, la nostra situazione era diversa, la nostra economia poteva reggere all’urto, … e chi più ne ha, più ne metta.


Poi si sa come andò … a finire.



La scorsa settimana le dichiarazioni erano particolarmente preoccupate; in questa, alcune addirittura ottimistiche.


Si è forse voltato pagina ed è iniziata la risalita? Non credo, se non nelle intenzioni propagandistiche di alcuni governanti che, non sapendo più a che santo votarsi, cercano di calmare il popolo, specie dopo averlo ben castrato (aizzato a scioperare) nelle tasche e nell’economia reale con un’austerità punitiva.


Fitch, ieri ha ribassato il rating italiano di 2 posizioni, in pratica seguendo l’esempio (analisi tecnica) di S & P.


Alcuni gridano al complotto internazionale, altri – chi di dovere – afferma di guardare a questo giudizio con composta impassibilità. Ovvio, tanto … ha le tasche ben piene, anche se ha sempre venduto fumo negli occhi a tutti. Provare a chiedere al alcuni suoi … colleghi.


La Borsa di Milano ha visto i bancari recuperare forti posizioni, con rimonte importanti che seguono però ribassi ancor più consistenti. Come sempre, dopo un certo affossamento, chi comanda il mercato decide che è l’ora di pascere i buoi, perciò di incamerare guadagni dopo aver fatto schizzare all’insù le quotazioni. Ciò, ovviamente, vale anche per i Titoli sovrani, perché diversamente a situazione inalterata non si spiegherebbero certe forti fluttuazioni, neppure con consistenti interventi a sostegno della Bce.



Le colpe in sé non sono solo dei governanti, ma di tutta una classe politica che li sostiene e che li “tiene” al governo.


L’Italia sarebbe dovuta andare eventualmente ad elezioni anticipate; ma, per un gioco di pressioni politiche internazionali e per una certa cocciuta “ostinazione” costituzionale, ora abbiamo ciò che ci siamo … voluti. In pratica ciò che il Parlamento sostiene, ma che il cittadino – quello che scende in piazza – non vorrebbe proprio: uno strappo procedurale … violento.


Intendiamoci, liberalizzazioni e semplificazioni sono sempre ben accette; solo però se non rimangono inapplicate.


Emblematiche di tale situazione sono le nuove procedure on line, già a suo tempo promosse da Brunetta, che però sono rimaste lettera morta perché molti (impiegati) non sanno usare la linea telematica e molti altri – gli uffici statali – non sono tecnicamente preparati per darvi seguito.


Sicché con i tecnici professori si naviga bene nell’empireo intellettivo (nella teoria), ma si razzola male nell’applicazione effettiva (nella realtà), spesso aggiungendo confusione a quella già di per sé esistente.


Tutto ciò nonostante siano in grado di sapere chi – e come - hanno istruito in lunghi anni di docenza accademica.



Dire che siamo in una condizione altamente drammatica è poco: siamo in piena recessione, ulteriormente incentivata da un aumento sconsiderato dell’imposizione fiscale. Siamo in una situazione che vediamo tragica, ma che, pur con notevole ottimismo, non siamo in grado di quantificare nell’immediato e nel medio futuro come eventualmente positiva.


I vertici Ue si susseguono a ritmo intenso e periodico, risolvendosi però nella pratica ad un nulla di fatto, atto solo a peggiorare la situazione con un puritanesimo austero.


Ora si vorrà rilanciare lo sviluppo. Quale non si sa, se quello che c’era è stato distrutto da manovre impositive il cui unico risultato è stato quello di rovinare tutto ciò che ancora funzionava bene o male: industria, commercio, artigianato, agricoltura e trasporti.


Non si è ancora capito che l’alta finanza ha assunto in economia il ruolo di guida, usurpando l’essenza dell’economia reale produttiva che è la sola in grado di garantire sviluppo e ricchezza.


Sicché il capitale ora sta distruggendo tutta l’economia e gli stati, per poi, non avendo più nulla su cui avventarsi, dilaniare la ricchezza di sé stesso. Ed allora sarà l’apocalisse totale e globale.



L’indice Dow Jones ha toccato di nuovo nei giorni scorsi la resistenza di 12.750, che in un anno per ben 3 volte non è riuscito a superare, invertendo perciò la rotta nelle ultime 2 sedute con lievi ribassi.


Il FitseMib ha tastato a sua volta la resistenza posta a 16.000/16.500, non riuscendo per ora a vincerla. Se si considera che questa resistenza sia stata raggiunta soprattutto grazie all’exploit dei titoli finanziari (bancari) – predominanti nel paniere - nelle sedute di questa settimana, ben si capisce che il settore industriale è stato indotto al traino dei corsi in modo marginale.


In Italia chi è stato “premiato” – per ora – dalla cura Monti è stato proprio il settore finanziario, ulteriormente favorito dalla liquidità immessa nel sistema bancario dalla Bce a tasso stracciato e fuori della logica di mercato.


Nonostante ciò l’Eba prevede che le banche debbano sopportare una forte ricapitalizzazione a breve, anche se molte hanno optato per una falsa ricapitalizzazione dovuta a partite di giro su bonds o su eventuali cessioni di assets non strategici, nella convinzione che un ricorso al mercato avrebbe ulteriormente affossato il titolo.


Le quotazioni dei finanziari sono notevolmente cresciute con medie comprese tra il +30% e il +60%. Anomalo risulta l’andamento di Unicredit, prima più che dimezzato e poi in forte recupero per la contingenza del mercato, proprio in seguito all’aumento di capitale in atto.


Ovviamente questo forte recupero non può reggere a lungo, proprio perché la situazione di mercato non è cambiata; semmai è peggiorata.



All’orizzonte prossimo immediato vi è la situazione greca e portoghese del Debito Sovrano, ormai totalmente croniche e ingestibili, che la dirigenza Ue non ha mai saputo risolvere con rimedi efficaci da quando le difficoltà sono iniziate, provvedendo solo con tamponi tardivi a sorreggere la situazione drammatica.


Sta di fatto che altre draconiane manovre impositive (tasse e tagli al welfare) non si possono più fare in molte nazioni, perché già hanno rovinato l’economia esistente con le precedenti e a ben poco ci si potrebbe attaccare. Se si facessero si assisterebbe a sollevamenti di massa, i cui germi sono già ben visibili con gli attuali e sempre più frequenti scioperi, blocchi e manifestazioni.


Nazioni come Grecia, Portogallo, Spagna, Italia, Ungheria … – pur con gravità diverse -, sono ormai al tracollo finanziario, specie se il differenziale anziché stabilizzarsi continuasse a crescere.


Puntare ad una crescita immediata di queste sarà arduo, soprattutto perché se la disoccupazione rimane stabile è per lo più perché vi sono ancora in essere degli ammortizzatori sociali. E senza salari non vi può essere consumo, perciò neppure sviluppo dovuto al mercato interno. Perciò rimarrà alta la disoccupazione già in essere.


Il sistema industriale o è stato invogliato ad emigrare, oppure è stato quasi smantellato da imposizioni, leggi e leggine. Rilanciarlo potrebbe essere possibile, anche se bisognerà fare i conti con la mentalità di quegli imprenditori che han deciso di lasciare perché non più redditizio.


Bisognerebbe aver però già in mente una nuova mentalità di fare impresa e sviluppo radicati sul territorio. Ciò che non si è mai promosso e neppure abbozzato.



Pensare che in tale situazione le cose vadano meglio non è un fatto di utopia mentale, ma di ottuso realismo politico.


Tutto ciò ci riporta ai continui e periodici declassamenti del rating che le società abilitate eseguono con meticolosa precisione su grandi aziende e nazioni.


Il mercato mobiliare può scontare come già in essere alcuni di questi, perciò quasi ignorarli; tuttavia non può fare altro che flettere nel tempo l’indice di capitalizzazione per la situazione che da anni continua a peggiorare. Se lo fa il politico – l’ignorare - specie con dichiarazioni ufficiali, allora è indice di assoluta ottusità e noncuranza mentale, pur se costui è prevalentemente “tecnico”.



Troppa ricchezza si è bruciata con manovre tardive o improprie, con errate valutazioni politiche e di spettanza costituzionale, con noncuranza operativa celata dietro il rigorismo puritano e farisaico.


Parlando poco fa con un religioso amico ci chiedevamo quale sarebbe stata la sorte del malcapitato viandante se il samaritano fosse stato uno dei politici attuali, protestante o cattolico indifferentemente. Sicuramente sarebbe morto, denudato e marcito in mezzo alla strada.



La crisi non è risolta e pure gli U.S.A. hanno segnali altalenanti di macroeconomia. Se la Fed interrompesse le sue continue e imponenti iniezioni di liquidità nel sistema, pure gli States sarebbero votati al disastro immediato. Il fatto che con queste per ora reggano è già un buon segno, anche perché possono importare beni dai paesi in crisi, dando loro se non altro ossigeno.


Un indice della situazione generale globalizzata viene dal Pil della Cina e dell’India, fortemente ridimensionati rispetto ai precedenti dal crollo delle esportazioni verso i paesi occidentali, destinatari classici dei loro prodotti a basso costo. Crollo non compensato dall’incremento del consumo interno.



La crisi sarà ancora lunga, imprevedibile nei suoi scenari e difficile da gestire, oltre che da risolvere, specie con la mentalità degli attuali politici.


Nuove idee e progettazioni sociali hanno tuttavia bisogno di una lunga incubazione, perché coinvolgono uno stato culturale e ideologico/politico che non può essere prodotto su vasta scala dall’oggi al domani. Deve prima avere tecnici e politici già preparati a ciò.


Le idee ci sono, ma gli attuali politici e governanti non sono in grado di recepirle soprattutto intellettualmente.



I mercati mobiliari continueranno perciò la loro fluttuazione ad elastico e tenderanno a salire decisamente solo quando la situazione Ue darà ampi segni positivi di ripresa. Segni che per ora tutti gli indici di macroeconomia negano: occupazione, indice di capitalizzazione, consumi, uso impianti industriali, differenziali, finanziamenti, sviluppo, liquidità, impresa, Debito sovrano, commercio, e … Pil.


Perciò debbono essere intesi come eufemistici e interessati tutti quei discorsi ottimistici che certi politici e governanti vogliono propinare pubblicamente alla pubblica opinione.


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