Oggi, venne in visita da me Sesac per gli auguri; e mi
consegnò questo racconto che pubblico, come sempre, assai volentieri.
Tratta,
come consuetudine, della vita degli animali della foresta e dei fatti di un
tempo che fu.
Sam Cardell
Tratto da “i
Dialoghi” di Sesac
Non abbandonarci alla tentazione.
La notte era già calata da tempo,
favorita in ciò dal solstizio invernale.
S’era alla vigilia di Natale. Di uno di quei natali che si rincorrono
periodicamente quasi alla fine d’ogni anno solare. Un tempo per la gioia
interiore di grandi e piccini; ora, quasi per la sola felicità di molti stomaci
e degli affari di innumerevoli aziende, anche se la crisi mordeva i portafogli
di tutti.
Leone
aveva avuto una di quelle sue mitiche giornate che ormai lo prostravano nel
fisico, ma lo ringalluzzivano nella mente, rendendolo partecipe d’essere una
persona anomala: molto atipica, e sfuggente a ogni comune considerazione.
Da tempo, infatti, stava
eseguendo lavori in casa propria; che benché per lui fosse una piccola badia,
per gli altri era un grande appartamento di oltre 200 mq calpestabili.
Da oltre un anno procedeva nei
lavori, intramezzati da lunghe pause per via degli acciacchi fisici che da
oltre un lustro lo avevano colpito. Colpito, ma non prostrato o ridotto a miti
consigli.
Di ciò spesso la Leonessa ‘rompeva’, in ogni senso: sia per la casa
ch’era un cantiere, sia per l’impegno fisico cui Leone si sottoponeva,
nonostante il suo stato. Anche se Leone rammentava in sé pure il mugugnare di
lei, quando gli aveva ribaltato un paio d’anni prima la casa etrusca, tanto che
quella temette seriamente d’essere … rimasta senza dimora. Salvo poi
riprendersi quando se la vide rinascere … totalmente nuova. Ripresasi sì, ma
comunque scioccata dal pericolo … corso. Perché, in sostanza, la Leonessa
ignorava, come Tommaso, le capacità reali di Leone: non ci credeva finché non
ci sbatteva il naso. E pure anche dopo.
Era tuttavia lontana, anche se
ormai prossima all’arrivo.
Leone aveva due massime, di cui
la seconda era sequenziale alla prima: a) la casa
dev’essere al mio servizio e non io schiavo a questa; b) in qualsiasi stato questa sia, se uno vuole vi entra, se
non gli sta bene se ne stia pure fuori.
Per la Leonessa, invece, era più
importante il decoro. Quel decoro fine agli altri e non a sé stessi, perciò
all’apparire diversi da quel che si è.
Fuori il borgo era un brusio di
gente che andava e veniva per il presepio vivente, bighellonante come solo i
beoti in attesa della novità fantasmagorica sanno fare.
In giornata, molte persone
indaffarate avevano impiastricciato alla carlona le antiche vie, rendendole
quasi un … cesso di paccottiglia. Un kitsch miserevole che però inorgogliva il druido burino, convinto, come il pollo del Mugello,
che il solo correre e fare fosse di per sé già una … perfezione degna del
paradiso.
Costui, tuttavia, da quando Leone
gli aveva rifilato una propedeutica e metaforica tirata d’orecchie, s’era
ammansito assai, migliorando e affinando il suo modo di essere, tanto
comportamentale che verbale.
Leone, uscendo per commissioni in
mattinata, non aveva potuto che rilevare che tra gli addobbatori molti
‘bestemmiatori’ di professione erano all’opera, non si sa se per invocare il
bambinello o se colpiti, come Paolo di Tarso, sulla via di Damasco. Gente che,
per inciso, vedeva l’interno della pieve al massimo un paio di volte l’anno;
oppure in quel paio, o poco più, di rade occasioni in tutta la vita nelle quali
gli occhi sono ancora per lo più chiusi: battesimo (barlume di conoscenza),
matrimonio (occhi velati dai sensi) e funerale (occhi chiusi nella pace
eterna).
In giornata Leone s’era dedicato
all’atrio.
Per tutti gli altri sarebbe già
stato finito, ma non per lui. Lo stava, infatti, perfezionando con bordini e
battiscopa pregiati in rovere massello, con quella sua meticolosa e pignolesca
cura dei particolari che differenziano sempre il lavoro comune da un’opera
d’arte. La sua massima in proposito era: un
professionista non deve mai eseguire un lavoro allo stesso modo due volte, ma
dall’esperienza del fare deve sempre trarre lo spunto per migliorare.
Perciò era stanco e tutto un
dolo.
Assiso sulla sua poltrona, dopo
cena, stava rivedendo sul monitor alcune foto della cascina,
che da tempo lo vedeva assente. Non che questa gli mancasse, ma lassù gli
pareva di respirare un’aria diversa. La natura, infatti, non è mai effimera
come molti mortali.
Fu così che, nel tepore di casa,
Morfeo sopraggiungesse e che lo screensaver abbuiasse il monitor.
Sonnecchiando, Leone era come se
fosse in vetta allo Sparavento. Il suo
guardo planava a sud sul freddo mare nebbioso della piana, per poi virare ad
est sugli scintillanti e tersi laghi, per puntare infine a nord sulle candide e
raggianti creste solive innevate dell’Alpe.
Come quasi sempre, Leone faceva
due cose simultaneamente. Infatti, pure quando dormiva, era solito svolgere
alcune delle sue lectio magistralis filosofiche o scientifiche che in passato
lo avevano reso famoso in importanti tavole rotonde, in conferenze di livello o
in rinomati atenei del globo.
Perciò, dormendo, gli parve di
sentire come bussare. Non alla porta di casa, ma dall’interno del monitor sullo
schermo. Questo, pur senza l’uso del mouse s’illuminò e un bambinello
splendente e raggiante di gioia cominciò a dialogare con lui, che tuttavia
continuò a dormire.
Dormiva; ma comunque Leone lo
vedeva dentro di sé.
“D: Scusa Leo, ti
disturbo?
L: Nient’affatto! Basta che non mi svegli. Come sai, Buon Dio
Bambinello, ho bisogno di recuperare. Solo in casi estremi faccio ricorso alla
chimica; nella normalità preferisco il metodo naturale.
D: Sai, non vedendoti nella pieve alla Mia Natività, ho pensato
bene di lasciare ai loro oremus i Miei fedeli e di venire a visitarti, per
stare un po’ con te. Tanto loro, che Io ci sia o non ci sia, manco se ne
accorgono. A loro basta un’effige o una statua. Tutto il resto è superfluo.
L: Quanto onore Buon Dio! Dimmi: non vorrai forse imitare
Maometto?
D: Capisco che intendi, secondo il detto: se la montagna non va
a Maometto, allora Maometto andrà alla montagna.
L: Già; proprio così. Il miracolo ha sempre le due facce della
medaglia.
D: Vero. Però devi anche tener presente che Io sono in ogni
luogo. Io sono l’Immenso.
L: Beh, se la metti così allora Ti dirò: io, invece sono il tuo
contrario. Infatti sto qua e non anche nella Tua pieve.
Però, dimmi: quante volte mi hai visto nella pieve alla Tua Natività?
D: Leo, oggi è la Mia festa. Perciò non accetto provocazioni.
L: Capisco. Allora riformulo la domanda: sei appena nato e parli
meglio di quando predicavi. Sei un portento di precocità, considerato che hai
appena emesso il primo vagito. Hai già sorbito pure il colostro dalla vergine?
Sai, quello è pesante e molti infanti poi lo vomitano.
D: Tranquillo, Leo. Vedo che sei sempre uno scanzonato
mattacchione. Non ti sporcherò la tavola, stanne certo.
Tuttavia sono venuto per un’altra questione, essendo molto che
non ti vedo lassù a dialogare con me.
L: Non sarai venuto a sincerarti se fossi schiattato? Infatti,
discolo come sono, mica sono destinato al Tuo Regno.
D: Questo non si sa. Solo il Padre lo sa. Al Figlio non è dato
saperlo.
L: Vero, secondo i Tuoi teologi. Però non essere così modesto,
che poi la Tua Onniscienza va a ramengo. Vai, comunque al sodo e non divagare
troppo.
D: Ricordi la nostra ultima discussione sulla Redenzione? Ebbene, mi ha sconvolto! Ovviamente in senso positivo.
Pure il Padre, poi, è rimasto … perplesso. Ho avuto
l’impressione che pensasse che gli sia sfuggito, allora, l’essenzialità della
cosa. L’ho visto molto pensoso e a tratti accigliato, come se ce l’avesse con
sé stesso. Un po’ come quando tu fai un errore e ti maledici dandoti del
rimbambito e del rincoglionito mille volte.
L: Meno male che hai specificato. Da quanto dicevi m’era venuto
il dubbio che si fosse assai incavolato con me.
Non mi dire così, però! Che poi va a finire che devo riformulare
i Vostri trattati teologici. Non ho alcuna voglia di cimentarmi in un’opera
così titanica e … inutile.
D: Non credo, Leo. Tu, se del caso, non faresti teologia, bensì
vera teosofia.
L: Capisco che sia la Tua festa, capisco che sia pure Natale,
capisco pure che Tu oggi possa essere ‘più buono’ del solito; tuttavia non
vorrei poi darTi il lecchino d’oro per tale esternazione di stima.
D: Burlone!
Che ti scrisse quel Mio eminente alto prelato e monsignore dopo
aver letto l’articolo: lei mi ha sconvolto
in senso positivo. Lei mi ha proiettato in un mondo teologico nuovo che non
avevo mai neppure ipotizzato.
E l’altro, sempre di pari rango, che ti disse dopo aver letto il
tuo ‘E non
ci indurre in tentazione’
Ricordo bene che così ti si espresse: mi sa che qualcuno lo ha stampato e portato al Papa da leggere.
L: Troppa grazia, Sant’Antonio. A pensarci bene non ho mai preso
in considerazione il fatto d’essere tanto importante e influente. Credo che
dovrò rivedere il mio status, già alto, sul mio valore. Diventerò un … vanesio:
vanitas vanitatum et omnia vanitas! ( Ecc
1,2; 12,8-12;
Ro 8,20-22)
D: Già. Non per nulla varcasti per ben due volte i legni di
Damaso.
Però, al di là delle nostre supposizioni, avrai visto che ora
han deciso di cambiare la parte incriminata. Ti piace la nuova dizione?
L: Ti dirò: a me non pare che abbiano fatto i Tuoi sommi druidi
molto progresso, promuovendo come nuova dizione e non abbandonarci alla
tentazione. E quando lo dicono in latino, cosa diranno?
D: Spiegati, Leo. Personalmente mi sembrava una buona cosa. Per
il latino è ancora tutto top secret. O, meglio: a questo non hanno mai pensato.
L: E ti pareva? Scusa, ma Tu lo Pneuma non lo hai dato loro in
zucca?
Sai, Divino Bambinello, cosa mi verrebbe voglia di dirTi dopo
questa Tua prolifica esternazione?
D: Dimmi, Leo, senza trattenerti.
L: Ok: va là, pivello. Si vede che sei appena nato per dire
così.
D: Dai, Leo, non essere così drastico. Elucubra invece sulla
nuova dizione.
L: Vediamo se pur ancora “piccolo” riesci a seguirmi. Seguirò il
metodo socratico.
D: Bene, vai che provo a seguirti.
L: Ipotizziamo d’essere in montagna. Io e Te andiamo ognuno per
i fatti nostri. Essendo io più esperto, Tu, che non sei con me, decidi di
seguire le mie orme per non trovarTi nei guai.
D: L’esempio è calzante e mi piace. Per una volta accetterò
d’esserti dietro.
L: Ok. Mentre si ascende su ghiaccio io affronto un percorso
tecnicamente impegnativo. Tu, a distanza, cerchi di imitarmi, ignorando le Tue
capacità, con il bel risultato di trovarTi nei pasticci e incrodato.
D: E allora? Che c’entra questo esempio con la nuova dizione del
Pater noster?
L: Aspetta, Piccoletto. Non ti agitare troppo che poi è peggio e
magari … precipiti
Tu sai che decenni fa fui insignito con la Croce di S. Giorgio
del C.I.S.M.
Ebbene, a questo punto, io che sto andando per i fatti miei, mi
accorgo che, molto più in giù, Tu sei incrodato e in grande difficoltà.
Le scelte che ho, allora, sono due: a) faccio finta di niente e
proseguo per la mia strada; b) torno indietro, Ti assicuro e Ti calo fino al
pianoro. Tirarti su con me, infatti, calcolando le Tue carenze tecniche, significherebbe
mettere in pericolo Tu e me simultaneamente.
Tu che dici che dovrei fare?
D: Beh, Leo, mi pare lapalissiano. Tu porti la Croce di S.
Giorgio; perciò hai l’obbligo morale di soccorrermi e salvarmi.
Diversamente, se precipito e muoio, tu sei responsabile della
Mia morte, sia per la Legge divina che umana.
Ma lo sarebbe pure se tu la Croce di S. Giorgio non ce l’avessi.
Mi hai fatto un esempio di vita vissuto; come quando sulla Via
dei seracchi salvasti quegli alpinisti incauti che avevano pensato bene di
seguirti a distanza.
L: Bravo, Piccoletto. Sei perspicace e intelligente. Pare quasi
che lo Pneuma sia in Te.
Ora, dimmi: se facessi invece finta di niente e andassi per i
fatti miei lasciandoTi nei guai, cosa avrei fatto?
D: Mi avresti abbandonato!
L: Ecco, appunto: abbandonato. Proprio come nella nuova dizione
proposta: non abbandonarci alla tentazione!
D: Scusa, Leo, ma non ti capisco. I miei fedeli mi pregano
appunto perché non li abbandoni alla tentazione. Dove sta il problema?
L: Te lo dico io dove sta il problema tecnico: pivello due volte,
Tu e i Tuoi sommi druidi
D: Spiega, Leo, perché qualcosa a Me e ai Miei, secondo te
dev’esserci sfuggito
L: Infatti!
Ora, dimmi: a Te risulta forse che nonostante tutte le loro
invocazioni i Tuoi fedeli non soccombano spesso alla tentazione?
D: Certo, Leo. Tuttavia poi si pentono ed Io li perdono e li
riaccolgo nella Mia Grazia.
L: Già, su questo non discuto.
Il problema reale è: o non hai accolto la loro invocazione,
perciò li hai abbandonati, oppure non hai potere su ciò.
Nel primo caso sei responsabile dei loro peccati, come io lo
sarei della Tua morte se non tornassi sui miei passi, pur rischiando, per
salvarTi.
Nel secondo caso saresti un Dio fasullo, un Dio di cartapesta,
un Dio che teologicamente può, ma in effetti nulla può. In pratica un Dio
inesistente e solo teorico.
D: Sai, Leo, credo che tu
abbia ragione. Quasi mi dà fastidio dartela, perché ciò significa dar torto ai
Miei illuminati druidi, che a dire il vero proprio tanto illuminati non devono proprio
essere
L: Beh, Bambinello, se lo
dici Tu, io che dovrei dire?
Sai, facci sopra una bella risata, che tanto il mondo andrà
avanti comunque allo stesso modo sia che dicano ‘e non ci indurre’ sia che
dicano ‘non abbandonarci’ o altro.
D: Grazie di tutto, Leo. Ora torno tra i Miei. Mi staranno
invocando su ciò.
Buon Natale!!!
L: Buon Natale pure a Te, Piccoletto. E cerca di crescere bene
in Sapienza e Saggezza. Ciao.
D: Ok, Leo. Ti prometto che cercherò di fare del Mio meglio.”
Billyno, che stava sulla sua
sedia accanto, con un balzo saltò in grembo a Leone per farsi coccolare,
facendolo svegliare.
Leone aprì gli occhi, vide il
monitor acceso e un bimbo luminoso che vi si smaterializzava. Quello stesso
bimbo che vedeva dentro di sé, dormendo.
Come quasi d’incanto gli
altoparlanti stereo fecero sentire delle voci. Le riconobbe come quelle dei
fedeli della pieve che, guidati dalla voce metallica del druido burino, così
declamavano: e non ci indurre in tentazione, ma
liberaci dal male. Amen!
Amen! Disse Leone,
alzandosi per andare in bagno, prima di coricarsi.
Sesac
Nessun commento:
Posta un commento