ovvero:
Simbiologia del boy scout.
Pochi decenni fa la gente delle mie valli natie era solita indicare (chiamare) i filibustieri della Dc con l’appellativo variato del partito. Perciò dalla Democrazia Cristiana si giungeva ai Demoni cristiani.
Ovviamente con tale appellativo si intendevano quei politici che usavano lo scudo crociato per tutt’altri fini che quelli dell’essere, operativamente, … “cristiani”.
Nella Bibbia, perciò anche nei Vangeli, il lemma “demone” non coincide con quello di “diavolo”. Sono 2 entità diverse.
Diavolo è il tentatore, perciò il maligno che si contrappone a Dio. In principio Lucifero era il più bello degli Arcangeli; ma dopo la sua ribellione a Dio fu precipitato da costui negli Inferi. Da questa lotta primordiale nasce la sordida guerra tra Dio e Lucifero, principe dei diavoli.
Demone è un essere malefico perverso che pervade e invade corpi e spiriti (menti), portandoli a comportamenti e azioni fuori della norma.
Pure in italiano vi è una differenza in tal senso, riassumibile nella diversità d’uso comune tra indemoniato e indiavolato.
Per semplificare il diavolo è il tentatore, colui che cerca di portare alla dannazione le anime circuendone la volontà e la ragione. Mentre il demone è uno spirito maligno che si impossessa dei corpi, sia degli uomini sia degli animali, indipendentemente dalla loro volontà e consapevolezza.
Gli eventi politici di questi giorni hanno lasciato sconcertate molte persone, soprattutto tra gli aderenti del Pd. Un tesserato da decenni – dal Pci al Pd – mi confidava nauseato nei giorni scorsi che il Pd è invaso da “demoni e fantasmi della vecchia Dc”. Ragion per cui non avrebbe più rinnovato la tessera, chiedendosi: “Dov’è finito il partito di Sx?”. E aggiungendo: “All’inizio credevo che fosse l’uomo del cambiamento. Ora ho capito che è come gli altri; anzi è anche peggio di tutti gli altri.”
L’uomo, ovviamente, è Matteo Renzi.
Non per nulla le adesioni alle primarie Pd in Lombardia hanno visto una scarsa affluenza, pur a solo un bimestre di distanza da quelle per la segreteria del partito.
Ho ascoltato il discorso programmatico fatto al Senato e mi ha fatto … pena. Di programmatico, ovviamente, conteneva solo idee generali: ripetitivo, ridondante, attaccabrighe, supponente, arrogante, sbeffeggiante e … via dicendo. Un discorso da comizio elettorale, forse idoneo ad un posticcio palco d’assito in pubblica piazza per arringare la plebe, fatto non da un politico maturo ma da un saccente ragazzo arrembante.
Il contorno dei senatori è stato ovviamente pari all’intonazione del discorso, con un solo vero breve applauso quando Renzi ha citato i 2 marò ancora trattenuti in India. Ovviamente l’applauso era per i marò e non per Renzi.
Alla fine un brevissimo accenno d’applauso di un paio di secondi, fatto per lo più dai deputati renziani.
Al di là delle impressioni che Renzi ha suscitato in questo ultimo periodo, l’uomo – forse sarebbe meglio: ragazzo - un piglio autoritario, con tendenza al dittatoriale, ce l’ha. Come ha tante idee in testa sul fare, quanto la confusa ideologia per realizzarle che manifesta. Ha poco di politico; ha molto di grimpeur partitico.
È un corpo avulso del Pd. Un demone – per prendere in prestito la citazione del tesserato – che si è impossessato del Pd, snaturandone la natura e l’impostazione. Un demone che trae la sua origine politica non a caso dalla Dc. Un fantasma tornato sul luogo del … delitto.
Nel Pd vi sono molti ex Dc. Sono il retaggio della malriuscita fusione voluta da Veltroni nell’intento di formare un grande partito in grado di fronteggiare Berlusconi. L’Ulivo fu il tentativo maldestro di coalizione/partito, naufragato ben presto nella palude di concezioni e interessi diversi tra mondo cattolico orientato a sinistra e Pci (poi Ds) in lenta disgregazione. L’Ulivo è l’antesignano amorfo e grezzo del Pd.
Basti citare come origine Dc, in decrescenza d’età: Prodi, Letta, Renzi. Tralasciando gli altri comprimari.
Da esperto simbiologo e da analista sottolineerei il naso particolare di Renzi, assai simile a quello di Pinocchio, per di più accentuato dalla tipologia del suo mento. Oltre all’attaccatura dei capelli sulla fronte, che lo fa apparire più che un bullo di periferia un violento del sottobosco sociale. Non per nulla predilige: le mani in tasca, il presentarsi in maniche di camicia arrotolate, l’aggredire il discorso e l’ascoltatore con quella modalità discorsiva che è sì toscana nella dizione, ma soprattutto bifolca e “bullista” nella terminologia.
Dire che Renzi sia un bugiardo non è esatto. Sta però di fatto che, come il deputato grillino alla Camera ha ben espresso nelle dichiarazioni di voto – citandole tutte esattamente con tanto di data -, la sua coerenza rispetto alle sue dichiarazioni ufficiali con Letta – perciò col Governo precedente, peraltro gestito dal Pd - sia proprio l’esatto opposto. E non solo per Letta.
Se Pinocchio è stato idealizzato nella testa con una certa somiglianza a Renzi, la fisionomia avrà pure le sue buone ragioni tratte dall’esperienza sapienziale. Per non parlare della simbiologia analogica.
Perciò, come alcuni articoli apparsi sui media hanno evidenziato, le parole di Renzi spesso (sempre) bisogna intenderle l’esatto opposto. Dice bianco? Bene; allora intendiamo tutti nero!
Prendendo lo spunto dal suo discorso al Senato intendo ricordare la sua giustificazione alla “presa del potere” nelle Idi di febbraio ai danni di Letta.
Lui afferma che questo è l’ultima chance che rimane all’Italia per non sprofondare e per riformarsi in tutto. E appunto per questo il “suo” governo è nato. Con lui mai più vi saranno larghe intese. Ragion per cui si propone di governare fino al 2018 (Sic!) proprio grazie alle larghe intese.
Degni di sottolineatura sono i suoi lapsus/gaffe, inserti subliminali del suo incontrollabile inconscio.
Il primo lo pronuncia poco dopo aver ottenuto la nomina ufficiale a premier, nella conferenza stampa al Quirinale.
Dilungandosi sui pregi della sua età e delle nuove generazioni, dice che ciò è di incentivo alla politica per tutti i giovani, perché se uno come me può in questo paese diventare premier, allora lo possono fare tutti (i giovani).
Sicché se ne deduce, secondo logica, che l’Italia debba essere per lui il paese dei gonzi, dove tutti, basta che siano giovani arrembanti, possono fare il Capo del governo. Nel suo falso perbenismo Renzi con “uno come me”, che intende forse la normalità sua anziché l’eccellenza delle capacità?
Il secondo, ancor più significativo, lo esterna alla fine del suo discorso programmatico quando afferma che Questa è l’ultima chance che abbiamo. Non vi sono più alibi. Se falliamo la colpa e mia.
Già! Perché il fallimento (preannunciato di questo esuberante rampollo) sarà la fine della sua carriera politica. Non per nulla le opposizioni minoritarie interne lo hanno incitato a entrare nella mischia, per bruciarlo facilmente, togliendoselo definitivamente di torno.
Ma se la colpa per tanto audace orgoglio di Renzi sarà solo sua per molteplici ragioni – arroganza, protervia, presunzione, supponenza, iattanza del potere, … - c’è di sicuro che il conto assai salato dei guasti sarà quello degli italiani.
Infatti non basta attorniarsi di “squinzie e di squinzi” – per usare un’espressione toscana – per garantirsi il successo. Perché le pari opportunità vanno bene, ma in un governo nazionale sarebbe meglio preferire la capacità, l’esperienza e la competenza nella … pari opportunità.
Alibi non ce ne sono più, ma l’inesperienza avanza e pretende giustificazioni populiste d’ammansire ai golosi media. Il caso sul Decreto Roma capitale ha già posto in essere il violento contrasto nel Pd tra le varie correnti. Non per nulla Marino fu a suo tempo, prima di diventare sindaco della capitale, un diretto concorrente di Renzi alla segreteria. Sicché Palazzo Chigi l’alibi lo prende subito al volo, ripetendo lo scaricabarile consueto: il pasticcio non lo abbiamo fatto noi. Vero, quello ha molti padri; però ora lo ha “cucinato” Renzi & C.
Il suo discorso programmatico è un populismo da piazza, dove parole chiave come coraggio, sogno, visione, audacia, velocità e innovazione ridondano continuamente ad ogni frase. Il discorso ha messo in risalto che Renzi è un affabulatore scontroso, non un oratore.
Quando fu eletto segretario dichiarò che nella prima settimana dell’anno si sarebbe chiuso con la nuova Legge elettorale. Poi, con l’investitura a Premier, che questa sarebbe diventata operativa entro la fine di febbraio. Per cui ora ci si aspetta che il 28 venga approvata a tempo di record … mondiale.
La realtà, tuttavia, è molto diversa, perché Renzi a parole promette ciò che poi non può mantenere. E questo non può essere catalogato come una semplice ragazzata, ma la dichiarazione inconscia della propria incapacità ad operare.
Gli ultimi discorsi programmatici, dei vari governi succedutisi, sono stati tanto ariosi quanto imponenti. Quasi secolari nella tempistica necessaria all’attuazione, come lo erano quelli dei governi Dc, che duravano così tanto d’essere spesso definiti balneari. Non sfugge a questo andazzo pure il discorso di Renzi.
Letta promise un governo fino al 2018; e nonostante le sue continue dichiarazioni di grande compattezza e solidità abbiamo visto come sia finito per una congiura da palazzo. Prodi fece lo stesso, anche se aveva una maggioranza striminzita e risicata.
Monti l’ebbe più ampia, ma nonostante la spocchia finì soprattutto per la propria insipienza.
Tutti “promettevano” cambiamenti e sanificazione dai mali nazionali, senza però fare il conto con l’oste. Oste che sarebbe poi l’Ue e, soprattutto, la capacità di saper leggere e risolvere la crisi economica, derivata da quella finanziaria.
Renzi, con la baldanza, l’entusiasmo e la vitalità propria dei giovani potrebbe essere una risorsa per la nazione. Potrebbe esserlo se avesse maggiore rispetto della democrazia e delle istituzioni, maggiore sagacia, maggiore educazione e predisposizione a imparare e a capire dove non funziona la macchina statale. Oltre, ovviamente, a maggiore preparazione e cultura.
Potrebbe esserlo se abbandonerà quell’insipienza culturale che lo ha spinto ad andare in Senato a tenere una Lectio magistralis a quelli che nella realtà politica e istituzionale ne sanno molto più di lui.
Capire e vedere i guai nostri è cosa ovvia per tutti. Il correggerli e saper far funzionare ciò che è inceppato da decenni è solo per pochissimi.
Renzi con questo governo promette sfracelli. Ma se le sue baldanzose promesse non avranno un riscontro immediato e positivo, il suo durare dipenderà solo dal tempo di approvazione della legge elettorale e dalla paura di Alfano di subire la stessa sorte di Fini. Oltre, per di più, alla possibile disgregazione del Pd.
Come Letta e Monti avrà, subito, un tracollo di consenso nel popolo; consenso che pure ora non è alto nella società civile e neanche nel partito.
Personalmente credo che l’assetto istituzionale vada variato gradualmente e con ponderazione, perché al Paese non serve alcuna dittatura finanziaria o politica, pur se ammantate dalla patina istituzionale di democrazia. Meno che meno quella di un nuovo “ducetto”, intento solo a fare di testa sua fregandosene sia del partito, sia della maggioranza, sia dell’opposizione.
Perché, se alla fine la colpa – ma ne dubito assai – se l’accollerà Renzi, i guasti all’istituzione e i danni economici alla nazione li dovranno subire e pagare i cittadini.
Un ultimo accenno alla promessa riduzione a 2 cifre del costo del lavoro, intesa come tassazione del lavoro. Fermo restando che per 2 cifre si possono intendere sia il 10% che il 99%.
Tutti la vogliono realizzare, ma ciò imporrà per il Fiscal compact il dover reperire tali risorse altrove. Il che significherà … nuove tasse.
Renzi non ha la bacchetta magica per risolvere d’incanto i problemi italiani; e neppure è Dio da poter fare miracoli. In compenso è un cattolico praticante “sui generis”, considerato cosa dice e cosa fa.
Miracolo non è che lo Stato paghi i propri debiti dovuti alle imprese, cifra che comunque già di per sé e rilevantissima (quasi 100 mld). Il fare ricorso alla Cassa depositi e prestiti non è altro che un giroconto interno che sposta il debito da un cassetto all’altro dei contenitori. I debiti, oltre ad esserci, resteranno attivi sul groppone di tutti.
Altri, più titolati e preparati di lui, hanno fallito in precedenza. Pare improbabile che lui ci riesca; anche se certi tecnici si sono rivelati tali solo nella nomea, risultando rettori solo per lignaggio.
Voglio chiudere con una vignetta umoristica.
Mi immagino Renzi recarsi al prossimo convegno Ue per “istruire” la Merkel, come ha fatto con i senatori.
Me lo immagino con le braghette corte di boy scout, con il fazzoletto al collo e il gagliardetto in mano.
Su questo, ovviamente, vi sarà l’effigie della … giovane marmotta.
Dietro a lui il codazzo ossequente e pimpante delle altre … giovani marmotte.
Per il bene dell’Italia mi auguro di aver sbagliato totalmente analisi e studio.
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