giovedì 6 febbraio 2014

Viaggiando in sociologia tra l’applaudire e il contestare.


Mi sono spesso chiesto, da analista, quale sia la molla che fa scattare in un individuo l’applauso. Ovviamente non quello che nasce spontaneo nel cuore improvviso, ma quello che contagia la folla in certi eventi.
Sincerità, contagio emozionale, paura d’essere  additati  o riconosciuti come diversi?
Di certo vi è che spesso ciò avviene anche senza ragione; o almeno non è  percepita nel conscio dall’individuo che esegue l’applauso, trascinato nel gorgo dal comportamento della massa.
La contestazione spesso segue cliché diversi da quello dell’applauso e di norma non è così trascinante psicologicamente, o contagiante.
L’applauso è empatico; la contestazione è motivata: è una dissociazione.
Ciò per un semplice motivo: ci vuole maggior coraggio a contestare, perciò a rischiare, che non con il semplice applaudire. La contestazione ha stimoli di molto maggiori a quelli dell’applauso e di norma non è di una maggioranza, bensì di una minoranza. È un applauso … rovesciato molto più intenso.
L’applaudire è restrittivo, momentaneo e non vincolante. La contestazione, invece, è profonda, causata e quasi sempre progressiva; non è mai subitanea o improvvisa, a meno che la si scambi per un moto fulmineo di ribellione.
E come applaudire non vuol dire condividere tutto, così contestare non significa essere in guerra con tutti.

L’applauso può essere quasi sempre un moto provvisorio interiore, sia che sia forzato sia che sia spontaneo. È un assenso parziale più o meno giustificato. Assai spesso, nei convegni o nelle conferenze, un atto di cortesia: un modo per ringraziare il relatore.
La contestazione, invece, è prodotta da una coercizione sociale che  almeno è tale nell’individuo; il soggetto vi è quasi costretto da eventi o atti che restringono il suo campo operativo fisico, sociale o intellettuale.
Nella contestazione l’individuo esprime il dissenso e spesso pure la rabbia, sentendosi vincolato nel proprio diritto, o molto limitato.           

Il discorso di Napolitano al Parlamento Ue ha avuto entrambe le tematiche in oggetto: applausi a gogò – quasi formali e ritmati da un copione ormai istituzionalizzato – e la contestazione dei Leghisti. Tant’è che sono stati espulsi dall’aula Borghezio e Castelli – (a detta del cronista Rai)   -; ma se Borghezio è incline ad essere protagonista folcloristico, oltre che rozzo come la sua mole, ben diverso è Castelli in ponderazione, tra l’altro in passato anche valido ministro della Repubblica.
La politica ha i suoi ritmati momenti. E la contestazione a Napolitano può essere anche giustificata in modo semplicistico col fatto che contestare il suo discorso equivaleva a contestare l’Ue e l’.
Tuttavia credo che ciò sia abbastanza riduttivo, considerato che la contestazione è avvenuta proprio nel momento più significativo, patriottico e nazionalista di Napolitano, mentre si batteva con veemenza contro l’austerità imposta ai paesi deboli, foriera di povertà, di disoccupazione e di crollo del Pil. Pur se il momento esatto in cui esplode è quando accenna ai vari populismi nazionali.
Perciò, andando oltre il semplice fattore di opportunismo politico leghista, la motivazione reale potrebbe essere recepita nell’avallo, da parte di Napolitano, di precise scelte politiche (sicuramente) piovute dall’alto, compreso l’affossamento da parte dell’Alta Finanza, con l’attacco allo spread italiano, del governo Berlusconi, nel quale la Lega era forza significativa di maggioranza e di governo.
Napolitano bene a fatto a fare quel discorso, pur se già ufficiosamente annunciato nel contenuto generale.
Tuttavia questo discorso appare tardivo, perché da un Capo di Stato mi sarei aspettato più lungimiranza e sagacia nel comprendere i danni che la politica del rigorismo avrebbe fatto sulla Nazione. E, di seguito, aggiungerei pure le firme di avallo su tutti i decreti capestro del governo Monti e, non ultimi, pure alcuni di quello Letta.
Analogo discorso potrebbe essere fatto agli applausi rivolti a Napolitano dai parlamentari europei, con in prima fila il Presidente del Parlamento Ue Martin Schulz. Di costui sarebbe bene pure ricordare la contestazione, che era poi un insulto, ad un Presidente del Consiglio italiano nel 2003.
Sono le stesse persone, comunque, che nel passato, remoto e recente, hanno approvato tutte quelle direttive d’austerità che hanno affossato completamente l’economia italiana.

Un antico detto sapienziale popolare dice: solo gli asini non cambiano mai.
Perciò ben venga il ravvedimento (eufemismo) sia del Presidente del Parlamento Ue, sia di Napolitano, sia di tutti gli eurodeputati che hanno condiviso l’austerità. Meglio capire tardi gli errori fatti piuttosto che mai, pur a frittata non solo cotta, ma del tutto … carbonizzata.
Il problema però è: applaudivano il discorso perché convinti delle parole contro l’austerità, oppure applaudivano come i farisei, secondo il detto “passatu lu giorno, gabbatu lu santo”?

Un’analoga riflessione, assai più significativa, può essere fatta al discorso di Napolitano al Parlamento italiano subito dopo la sua rielezione.
In quel forte e motivato discorso Napolitano strigliò a dovere deputati e senatori, rei in realtà d’avergli sottratto il piacere d’essere nonno a tempo pieno, come s’era ripromesso di fare.
Ricordo perfettamente quel discorso e i tanti entusiastici applausi che i parlamentari gli riservarono quasi ad ogni paragrafo.
Tuttavia le sue parole erano una continua  accusa non solo alla loro inefficienza costituzionale, ma soprattutto alla faida interna che aveva dilaniato il Pd, nello scontro aperto tra renziani e bersaniani.
Come si sa, infatti , la guerra tribale nel partito di Sx non aveva consentito né di formare un nuovo governo, né di eleggere in sequenza  – nonostante i grandi numeri a loro disposizione – 2 loro uomini alla successione di Napolitano: Marini prima e Prodi poi.
A molti, vedendo quegli applausi, sorse spontanea questa riflessione: applaudono la loro ignavia e la loro incapacità di fare.

In politica, specie nelle sedi istituzionali, l’applauso è un cliché tanto abusato da renderlo addirittura anacronistico. Fa parte del protocollo come il vestito con giacca e cravatta.
Proprio come la contestazione è spesso strumentalizzata, sia da chi la fa che da chi la subisce, in un rimbalzarsi le colpe reciprocamente. Perciò basti citare solo l’ancora attuale querelle per la contestazione plateale dei deputati di M5S alla Boldrini e alla maggioranza tutta per l’uso – o abuso - della tagliola/ ghigliottina sul Decreto Bankitakia.

Di certo vi è che pure l’applauso oggi cela nella gestualità molti modi di dire e di fare; proprio come la contestazione, quando è ideologicamente strumentalizzata, diventa un atto qualunquistico destinato ad intorbidire le acque della ragione del semplice cittadino.
Perché se si applaude un discorso contro il rigorismo e l’austerità, dopo averli avallati a lungo, è ovvio che i casi siano due, parafrasando umoristicamente il detto, citato innanzi, solo gli asini non cambiano mai.

a)      o chi applaude è tanto asino che non sa neppure d’esserlo, pur restando sempre tale perché non cambia mai
b)      oppure è tanto asino che non si accorge neppure d’essere cambiato nelle proprie idee, non avendo neppure il pudore di comprenderlo dentro di sé.



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