L’Italia ha un Debito sovrano molto elevato, anche se è in buona compagnia con molte altre nazioni. Basti citare ad esempio tra le tante: gli Usa, il Giappone e la stessa opulente Germania. Escludo in modo categorico che ci sia una nazione al mondo che non abbia Debito pubblico.
Se solo un decennio fa il rapporto Pil/Debito italiano era poco più del 100%, ora, nonostante le cure da cavallo “montiane” è schizzato ormai sul 140%.
Pure gli Usa hanno un Debito in continua dilatazione, anche superiore in percentuale a quello nostro italiano.
Normalmente il Debito è stato considerato – grazie alle teorie keynesiane – una fonte di sviluppo: investire oggi, ricorrendo al credito, per avere nel domani un reddito maggiore.
Ovviamente Keynes diceva anche ben altro. In pratica che in momenti di particolare difficoltà bisognava ricorrere al credito per incentivare il Pil. Salvo poi ripianare il Debito con gli utili avuti.
Dagli anni ‘70/80, invece, questa semplice deduzione economica è stata stravolta, tanto da far lievitare continuamente i vari Debiti. Con il risultato che oggi vediamo tutti, tanto in ambito Ue che internazionale.
Per cui del Debito si è abusato soprattutto per creare “stipendificio” (fabbrica di stipendi), onde avere in molte regioni tanto assistenzialismo, con il conseguente utile, politicamente, clientelismo. Implementando l’apparato impiegatizio statale oltre ogni logica e necessità e, sul fronte industriale, sostenendo in perdita aziende decotte, si è operato contro ogni razionalità economica e produttiva; quindi creando scompensi – e soprattutto forti costi sociali – dannosi alla sana economia nazionale.
L’imperativo era crescere; e per crescere bisognava aumentare costantemente il Pil. Perché?
Vediamo nel dettaglio come funziona la Crescita.
La Crescita può essere considerata per lo più di 2 tipi.
Il primo – quello vero - si basa sull’accumulo di ricchezza, perciò sul valore aggiunto che una nazione è in grado di produrre complessivamente in risparmio, in strutture e in capacità produttiva.
Il secondo nella crescita costante del Pil, anche se ciò non necessariamente è indice di ulteriore ricchezza.
Il Pil, come si sa, è la somma lorda complessiva di ogni attività produttiva di uno stato. Ma in realtà non sempre il volume d’affari superiore produce utili; talora anche perdite. Basarsi quindi solo sul volume d’affari di uno stato – il Pil – è quindi fuorviante.
Non per nulla dopo decenni di costante crescita del Pil i paesi occidentali sono andati tutti in crisi. Se l’aumento del Pil fosse indice di esclusiva salubrità economica ora non saremmo in questa situazione.
Da annotare che l’aumento del Debito non necessariamente deve produrre perdita.
Facciamo alcuni esempi.
a) Posto che il Pil di un anno sia 1.000 mld di €, ne consegue che per essere aumentato debba superare quota 1.000. Se superiore sarà positivo (crescita), se uguale sarà stabile (stagnazione), se inferiore sarà recessivo (recessione).
Tuttavia un Pil positivo non è indice di ricchezza o di crescita, perché andrebbe detratto dell’inflazione, perciò dell’aumento di costi di prodotti e servizi.
Ipotizzando un aumento di Pil del 2%, ne consegue che il nostro valore d’esempio debba raggiungere 1.020. Se nello stesso anno vi è stata un’inflazione ipotetica del 2,5%, ben si capisce che il Pil, pur aumentando, non ha prodotto ricchezza, ma anzi l’ha ridotta: la capacità economica della nazione ha perso parte del proprio potenziale.
Se oltre a questo nello stesso anno il Debito è stato aumentato, ben si comprende che l’asset economico è stato ulteriormente indebolito. In sostanza si è prodotto di meno e si ha maggiore debito.
Ne consegue che l’aumento del Pil raggiunto è solo nominale e non reale: è fittizio. La nazione ha fatto un passo indietro.
b) Posto sempre il nostro Pil 1.000, supponiamo di avere Debito per 1.200. Il conseguente rapporto Debito/Pil si assesterà al 120%.
Rimanendo invariata la crescita al 2% e il Debito a 1.200, il rapporto Debito/Pil si assesterà non più al 120%, ma scenderà al 117,64.
Tuttavia se nel frattempo si fosse instaurata una recessione del 2,5% - come in Italia lo scorso anno – pur a debito invariato il rapporto salirebbe a 123,07%. Se a ciò si aggiunge – come quest’anno – un’ulteriore recessione di circa il 2% (1,9% per la precisione), a Debito invariato il rapporto aumenterà nel secondo anno al 125,58%.
Ne deriva che a parità di Debito la crescita o la decrescita del Pil influisca in modo positivo o in modo negativo sul rapporto stesso.
Letta pare aver finalmente capito che senza una crescita il rapporto Debito/Pil su cui si basa l’Ue è destinato ad affossare ogni economia nazionale. Anche perché per far fronte alle spese l’Italia deve continuamente indebitarsi sul mercato, avendo sul groppone circa 60 mld di interessi passivi annui a cui far fronte. Diversamente sarebbe già in bancarotta (default).
Ovviamente – mi pare di capire – che intenda puntare sulla crescita per ridurre il rapporto Debito/Pil, onde ottemperare alle imposizioni/restrizioni Ue. Cosa ovvia, ma non scontata.
Monti ha fatto lo stesso errore, ben più grave pur venendo da Economia. Infatti, con le tasse imposte pensò che il Pil, limitando il Debito, potesse essere incrementato, tanto che nel suo discorso programmatico indicò una crescita dell’1,1% (contro ogni logica economica considerati i parametri reali esistenti). Infatti, sbagliò i calcoli di ben il 3,6% (1,1% di ipotizzata crescita + 2,5% di recessione).
Ma se l’errore di Letta ( o di Fassina o Saccomanni per lui) lo si può anche capire provenendo da Scienze Politiche, quello di Monti non è assolvibile se non nell’eventuale buona fede.
I dati macroeconomici affermano che pur cambiando i piloti l’Italia procede ancora in retromarcia.
Quello, tuttavia, che mi pare che Letta non abbia ancora capito è che neppure con una crescita, da lui stimata intorno all’1%, si possano invertire nella sostanza i dati macroeconomici negativi.
Il rapporto Debito/Pil continuerà a salire, perché la vera crescita non è quella solo dell’aumento del Pil, ma quella, soprattutto, della ripresa della macchina produttiva e industriale nazionale. Nulla di strano, perciò, se il rapporto volerà nel prossimo anno verso il 150%.
Per ottenere un risultato ci vuole un Pil almeno oltre il +2%[1] e per un biennio almeno. Solo in questo caso gradualmente si incomincerà ad assorbire la disoccupazione e a rilanciare la macchina industriale smantellata negli ultimi 2 decenni per molte cause: delocalizzazione, globalizzazione, alto costo fiscale del lavoro, burocrazia, effervescenza instabile nei partiti, sprechi, assistenzialismi e … chi più ne ha più ne metta.
La Crescita vera è quella che vede 3 fattori aumentare simultaneamente: risparmio, produzione e redditi. Diversamente si ha solo una falsa crescita che prima o poi si deve pagare.
Non mi pare che negli ultimi anni ciò sia avvenuto. Perciò tutti i vari governi che si sono succeduti sono più o meno – nelle responsabilità – colpevoli.
Il governo Letta, economicamente, è un Governo senza spina dorsale; o, se si preferisce, senza un’idea definita e ben delineata da seguire. Procede tentoni.
Certo, ci sono pressioni e delimitazioni comunitarie; ma queste bisogna saperle volgere a proprio favore per il bene non solo dell’Italia, ma anche di tutti gli altri stati Ue.
Diversamente si dichiara la propria incapacità nel fare il Premier. E l’evocare gli ayatollah del rigore con tanta veemenza serve solo a esacerbare le Segreterie dopo averle tanto riverite.
Alcune misure economiche inserite nel documento programmatico della Legge di stabilità mi lasciano perplesso. Tra queste, in modo particolare, annoto la decisione di vendere beni pubblici per circa 10/12 mld, con la motivazione declamata che serve a ridurre il Debito italiano.
Letta dichiara che con ciò anche l’Ue vedrà che stiamo facendo seriamente sulla riduzione del Debito.
L’affermazione è assurda, anche perché la riduzione di 10/12 mld di Debito - a fronte di circa 2.100; pur ammettendo che questi mld servano solo a ridurre il Debito[2] - sarebbe solo infinitesimale. In realtà un semplice buco nell’acqua della voragine del vortice debitorio.
Ciò che è ben più grave, tuttavia, è il mettere sul Mercato aziende sane che fanno buoni profitti, che riversano poi come dividendi nelle casse dello Stato.
Benché le quote in vendita siano minoritarie, a conti fatti non so se il lume valga la candela. Non credo che con la depressione attuale dei Listini si possano fare buoni affari e incamerare la cifra ipotizzata.
In pratica più che vendere si svenderà.
I Comuni italiani di IMU e di addizionali varie hanno riscosso in media il 30% in più, che la minima riduzione operata sul costo del lavoro – se sarà ratificata dal Parlamento – non compenserà affatto.
Con queste misure dubito che il Pil possa crescere; mentre di sicuro si dilaterà ancora la disoccupazione e la cessazione di attività artigianali, industriali e commerciali.
Il Debito sovrano c’è e ce lo dobbiamo tenere. Appunto perché c’è dobbiamo cercare nel medio termine di ridurlo, onde avere la possibilità di riprendere la strada della vera Crescita, quella che più che guardare al valore espresso dal Pil guardi al calo della disoccupazione e alla crescita industriale.
Diversamente sarà una crescita fittizia che magari ridurrà di qualche punto il rapporto Debito/Pil, ma che sicuramente ci vedrà con una struttura produttiva statale e privata completamente smantellata. Oltre, ovviamente, con la palla al piede di un Debito sempre maggiore.
Politicamente bisogna assumere quelle decisioni di regolamentazione finanziaria atte a ridurre drasticamente il monte interessi, perciò pure lo spread. Con uno spread intorno a 100 ptb si pagano circa 21 mld annui di interessi passivi, con uno sui 250 ptb ben 52 mld. Con uno di 500 ptb oltre 100 mld.
La spending review di Monti, pur con Bondi commissario, è fallita, dando in risultato solo briciole. Non si sa, eufemismo, se è stato maggiore l’esborso per il compenso dei commissari o il risparmio alla fine avuto.
Quella di Letta è programmata solo per briciole, visto che intende recuperare circa 600 mln per il 2014. Una cifra risibile se rapportata alla spesa statale.
Ovviamente il contentino è che nel biennio successivo si dovranno ottenere altri 30 mld, in pratica passando la palla bollente a chi succederà a questo Governo.
[2] - Si ricorda che, secondo i dati pubblici, nell’ultimo decennio l’Italia ha fatto dismissioni (vendite) per ben 157 mld, senza con ciò ridurre il proprio Debito sovrano.
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