Le elezioni ormai sono alle porte e le voci su candidature o già ratificate (Bersani), o già declamate ma non ancora certe (Berlusconi), oppure solo auspicate (Monti) si stanno sprecando.
La situazione è grave, perché chi dovrà prendere in mano le redini di questo disastrato paese, che è l’Italia, dovrà soprattutto fare una cosa: non sbagliare una sola mossa, pena andare tutti irrimediabilmente a fondo.
Seguo spesso per analisi il pensiero economico di Paul Krugman, nei giorni scorsi per nulla tenero col “good boy Monti”. Definizione che non ha messo in dubbio la bontà dell’uomo persona, bensì che sottolinea – con boy - la sua totale incapacità ad essere un Premier adatto e utile alle disgrazie italiane: un premier ancora … ragazzo.
Giudizio cha fa il paio con il suo precedente e datato monito “Convertitevi peccatori!”, rivolto a quasi la totalità dei governanti Ue, Merkel in testa.
L’esposizione del ragionamento è maggiormente interessante se si considera che Krugman lo esprima su un giornale – New York Times, quotidiano che difficilmente pubblica testi contro la sua linea editoriale – che non solo sponsorizza da tempo Monti (vista la proprietà), ma che ne caldeggia pure la sua permanenza a Palazzo Chigi.
Il Debito sovrano nazionale ha, nel frattempo, passato di slancio i 2.000 mld di € (2.014 a ottobre), per cui di questo passo (oltre 10 mld al mese) alla fine dell’anno arriverà probabilmente quasi a 2.050 mld, portando il rapporto Debito/Pil nella forbice 126%/128%. Mentre la recessione si attesterà sul -2,5%.
Dati talmente preoccupanti che pongono l’Italia di fatto in un’economia sempre più velocemente avviata verso la morte: il default strutturale.
Risalire ad Adamo ed Eva (dopoguerra in avanti) per trovare le colpe di tutti servirebbe a poco, e neppure fermarci solo ad Abramo (Berlusconi). Perciò si prende drammaticamente atto che l’attuale Governo dimissionario non è riuscito a contenere il Debito, nonostante abbia prodotto un’imposizione fiscale abnorme.
Ne, facendo parte dell’Ue, a poco serve sottolineare che se il Debito è esploso in modo tale è dovuto per lo più alle quote associative atte a salvare (finanziare) Stati e banche perlopiù estere.
Il Debito c’è e è nostro da pagare. È un macigno che schiaccia sempre più l’economia, polverizzando il benessere a suo tempo acquisito.
La mia critica al governo Monti non è mai stata fatta sulla simpatia, o antipatia, per l’uomo, bensì all’impostazione economica generalizzata che pervade tutta l’Ue stessa: austerità e rigorismo penitenziale.
Da sempre, infatti, sostengo che il rigore di bilancio è necessario; ma che, comunque, non vada praticato a senso unico, pena l’affondare l’economia reale e andare in recessione. Non per nulla pure la Germania è ora in stagnazione e avviata verso la recessione.
Perciò, visti i risultati, non posso fare altro che bocciare l’attuale Governo per aver fallito tutti gli obiettivi prefissati: sviluppo, utilità riforme, contenimento Debito, occupazione.
Bocciatura che ovviamente va estesa a tutte le forze politiche che lo hanno appoggiato, avendo approvato, obtorto collo, tutti i voti di fiducia senza saper ideare alternative politiche valide.
Non vi è stato, infatti, un solo provvedimento per cui Monti non abbia fatto ricorso alla fiducia.
Monti viene ora pressato da più parti perché entri nell’agone politico quale candidato premier, considerato che la Legge elettorale rimarrà il Porcellum. Ciò costringerà le forze politiche a coalizzarsi. Pena l’essere emarginate. O, per le minori, l’essere annientate per lo sbarramento.
Monti, per il suo neoliberismo economico, garantirebbe pure ai vertici Ue una certa continuità politica, che però a ben guardare farebbe soprattutto il danno del Popolo italiano. Non per nulla Hollande e Merkel auspicano tale passo. Mentre il Ppe ne sarebbe addirittura entusiasta.
Monti, tuttavia - come dicevo giorni fa[1] -,
“è il garante della “costituzionalità finanziaria”. Visto che a ideare, scrivere e progettare quel programma sono gli stessi ambienti finanziari e istituzionali di cui da decenni fa parte.
Non è la Democrazia del Pubblico, bensì l’Aristocrazia finanziaria che si ammanta di democrazia.”
Sarebbe pur vero che l’appoggio dei partiti (forze) che lo candidano gli darebbe una patina di democrazia diretta per il voto. Tuttavia per il suo passato e per la sua linea economica fin qua perseguita resterebbe sempre tale.
Ammesso che accetti di candidarsi – come Premier, non come parlamentare essendolo già a vita –, nasce il problema con chi e come farlo. Con un’ampia coalizione in grado di unire il Centro alla Dx, Lega compresa come dice Berlusconi, oppure col tentare l’avventura con una sola coalizione di Centro (Casini, Fini, Montezemolo), potenzialmente minoritaria e quasi senza speranza nel paese?
Nel primo caso si avrebbe una coalizione potenzialmente vincente, ma poi sicuramente rissosa in legislatura. Si ripeterebbe a Dx l’esperienza politicamente fallimentare dell’Ulivo di Prodi.
Nel secondo, una forza utile solo a fare da supporto futuro alla debolezza numerica al Senato del possibile vincitore. Che, considerate le aspettative dei sondaggi, sarebbe la riedizione – post elezioni – dello stesso Ulivo, però ancora a Sx.
Comunque sia per gli elettori sarebbe difficile comprendere perché le 2 maggiori forze politiche (Pd e Pdl) possano sostenere ancora un Premier che, di fatto, hanno affossato per ragioni diverse.
Un piccolo interrogativo sorge nell’ipotizzare il grado d’apprezzamento che potrà avere una simile ipotesi nell’elettorato di massa, considerato che presso il ceto popolare – il più colpito dalle manovre montiane – il consensus è ridotto ai minimi termini.
Oggi l’elettorato è volubile e guarda ai risultati sulla base di come si vive; perciò considerando se c’è reddito, lavoro, benessere. Diversamente migra verso un’altra forza che è in grado di prospettargli ciò.
Analizzando i flussi elettorali di questo ultimo lustro si nota come i partiti maggiori abbiano perso o guadagnato parte del proprio elettorato per queste cause in breve tempo. Le stesse per cui Monti ha dilapidato il suo gradimento pubblico in un solo anno di governo.
Berlusconi tenta il riaggancio con la Lega, o candidandosi come Premier – pur con poche speranze – o facendolo tramite un suo uomo: Alfano.
Sempre che Monti non raccolga la candidatura offertagli. Quasi impossibile alle condizioni attuali, perché la Lega non lo accetterà mai.
Berlusconi, tuttavia, sia per età che per potenzialità non è più l’uomo anche solo di un lustro fa. È una persona logorata dall’età e da una vita intensa, pure deficitario sul piano fisico. Ha ancora dalla sua la potenza mediatica di fuoco delle sue aziende, però è ovvio che con l’appoggio al governo Monti la sua credibilità presso l’elettore sia quasi del tutto scemata. Senza contare poi le sue pendenze giudiziarie, tese - a ragione o a torto - a dipingerlo come uomo vizioso, amorale e fortemente … maneggione.
Più che l’uomo delle idee ha dimostrato d’essere solo un buon coordinatore e di non saper condurre da sé una valida politica economica, demandata a suo tempo al capace Tremonti.
Il suo ritorno sarebbe anacronistico in ogni senso; e in ambito Ue si troverebbe subito contro la dirigenza capitanata dalla Merkel.
Bersani, a sua volta, dopo lo scontato risultato delle primarie pensa d’essere già il vincitore, ma dalla sua non ha ancora neppure un programma e neppure una coalizione certa.
Grazie al premio di maggioranza otterrebbe il numero sufficiente alla Camera, ma difficilmente (o risicato) al Senato. Governare gli sarebbe problematico. Oltre al fatto che dovrebbe dimostrare le sue doti carismatiche soprattutto all’interno del suo Pd, dove la corrente renziana potrebbe creargli notevoli problemi con, non ultimo, una possibile scissione.
Bersani è uomo con cui si può dialogare, ma non un pensatore eccelso. È uno che ha fatto ed è cresciuto (vissuto) nella politica, ha ricoperto ruoli ministeriali, ma non ha mai dimostrato finora una statura carismatica e internazionale. È troppo vincolato alla vecchia dirigenza dell’ex Pc/Ds, senza il cui appoggio non farebbe neppure il segretario.
È, in sostanza, un buon dirigente organico della sx, assurto alla leadership soprattutto per il fallimento politico dei suoi predecessori. Ovviamente deve dimostrare ancora ciò che può valere. Potrebbe anche essere una felice sorpresa, come anche un fallimento annunciato.
È però l’unico che ha già una linea politica propria, non subordinata al quesito Monti.
Berlusconi rappresenta un nostalgico passato che vorrebbe ritornare, con Alfano quale possibile viceré nominale.
Monti, una linea economico finanziaria che ha prodotto disastri in tutta l’Ue, asservita alla linea teutonica del puritanesimo penitenziale luterano della Merkel.
Bersani il ragazzo di paese che ha agguantato i gradi di capitano più per carenza di alternative che per capacità propria. Ovviamente sarebbe, anche, quello capace di difendere lo status quo sociale, che però ha bisogno d’essere più rivoluzionato che aggiornato, sia nel welfare che nel finanziario.
I tre, finora probabili candidati, fanno parte di un’Italia che non si rinnova e che non è ancora in grado di recepire le istanze della gente e della nazione. Un’Italia ferma in idee e concetti su sé stessa, incapace di trovare e proporre un nuovo grande leader alla De Gasperi o alla Togliatti. Un’Italia occupata dalla … casta.
Le elezioni ci diranno sia il consensus che i “movimenti” emergenti potranno coagulare, sia la capacità dei partiti tradizionali di reggere l’impatto del dissenso sociale, ormai dilagante non solo nell’astensionismo di massa.
Perché è probabile che dopo le elezioni – nonostante il Porcellum – si assista ad una pericolosa frammentazione politica di tipo greco, incapace di dare un Governo stabile e omogeneo al Paese.
M5S di Grillo e lo stesso Manifesto 3L di Giulio Tremonti, in coalizione con la Lega, potrebbero essere gli outsider non tanto in grado di vincere, bensì di rendere difficile al possibile vincitore una maggioranza parlamentare granitica nei 2 rami del Parlamento.
Senza considerare il fatto che il programma completo di Tremonti sia, da una parte un buon e interessante progetto di una nuova società nazionale bilanciata tra economia e finanza, dall’altra la visione di una nuova Europa basata sulla democrazia popolare e non sull’aristocrazia finanziaria.
Le sorprese possono essere dietro l’angolo, positive o negative.
Per cui, scorrendo gli attuali candidati, non si vede ancora lo statista in grado di rilanciare l’Italia.
Le elezioni sono vicine, ma nello stesso tempo lontane; mentre la politica pare una falena impazzita che non sa su quale Re Sole puntare.
Per cui ciò che oggi appare scontato – come la vittoria di Bersani – domani potrebbe magari dimostrarsi il tallone di creta che fa crollare il Colosso di Rodi.
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