domenica 9 dicembre 2012

Montismo e antipolitica: viaggiando tra 2 fattori strettamente connessi.


Un anno di governo Monti ha decretato la fine di un’Italia di privilegiati: banche, Alta finanza, oligarchi e tecnocrati borghesi. Una congrega perlopiù finanziaria che ha dettato – e probabilmente fino alla caduta della Merkel – detterà ancora legge nell’Ue a scapito dei cittadini e non di chi, speculando assai, ha prodotto gli ingentissimi danni che stiamo subendo.
Per capire bene il montismo[1] bisogna tornare a fatti conosciuti solo da pochi analisti e addetti ai lavori, che i media non rendono pubblici al popolo. Il perché ciò succeda è subito detto: i Media sono controllati dall’alta finanza che è intenta soprattutto a spargere ovunque il terrore mediatico, onde favorire i propri interessi.

Fin verso l’estate dello scorso anno, da quando il governo Berlusconi s’era insediato, lo spread italiano ebbe una media fisiologica di circa 115 ptb.
Nei periodici Vertici Ue i capi di stato e di governo stavano cercando – fallendo - di fermare la recessione ormai alle porte. I Pil nazionali reggevano a mala pena, soprattutto perché dovevano sostenere i danni di errori pregressi: in Grecia un Debito sovrano allegro, in Irlanda le banche espostesi contro ogni logica nella gold economy, in Spagna l’irrazionale bolla speculativa mobiliare, in Portogallo la cronica carenza di risorse per l’arretratezza strutturale.
Un problema a parte e sostanzialmente molto diverso era quello dell’Italia: vi era un alto Debito sovrano da anni, ma comunque i conti di bilancio sotto l’attenta guida di Tremonti erano addirittura positivi nel saldo primario e in pareggio, con costante e lieve decremento, in quello consolidato (entrate, uscite, contributi Ue, interessi). L’Italia era perfettamente in linea con le direttive europee.
Le quote associative Ue ponevano però problemi a tutti gli stati membri, soprattutto perché la crisi sempre più forte, e la speculazione, mettevano alle corde i paesi Piigs: non solo tributi per il solo bilancio Ue, ma forti esborsi per finanziare gli stati in difficoltà e le banche.
Con l’abituale politica del procrastinare si optò inizialmente per scorporare dal rapporto Debito/Pil, piazzandoli in partite di giro, i contributi straordinari, perciò quelli che dovevano poi formare i vari fondi atti a finanziare gli stati in difficoltà.
Ben presto però ci si avvede che questi contributi erano maggiori di quelli ordinari per il bilancio strutturale Ue e che tendevano a gonfiare in modo abnorme i bilanci degli stati con ulteriori spese e interessi.
Si poteva fare del monetarismo – stampare virtualmente o materialmente moneta per sopperire alle spese straordinarie -, ma ciò non fu possibile perché l’Ue non è né un vero stato, né una vera confederazione. Perciò la Bce non è una vera banca centrale, ma solo un istituto centrale delle varie banche nazionali. Le quali, con l’avvento dell’ come moneta comune, non possono fare del monetarismo diretto perché essendo l’€ la moneta sovranazionale, in quanto tale non è di loro pertinenza.

Tremonti, fatti i debiti conti, si avvide che questo andazzo contributivo era soprattutto a danno della nazione e in favore di quelle forti (Francia, Germania), le quali lucravano assai sugli stessi contributi.
L’Italia aveva in portafoglio quote minimali delle nazioni in crisi e che bisognava finanziare, perciò un’esposizione irrisoria da difendere; mentre Germani a Francia, soprattutto con le loro banche, avevano una forte esposizione sia con la Grecia che con l’Irlanda.
Ne conseguì che chi, in effetti, speculò assai, in spread e in titoli, ne traeva grande beneficio, facendo pagare ad altri – chi non lo fece – quote ingenti.
Un piccolo esempio esplicativo[2]: ammettendo per comodità di calcolo che la Germania fosse esposta con Irlanda e Grecia per complessivi 1.000 mld e l’Italia solo per 100, usufruendo delle quote associative reciproche (Italia 18%, Germania 20% in Ue – in Bce: Italia 12,49%, Germania 18,93%; e per conoscenza: Francia 14,22%, Grecia 1,96%, Irlanda 1,11%), e calcolando sempre per comodità che 500 mld fossero attinti da fondi Ue e 500 mld da fondi Bce, si aveva che l’Italia dovesse contribuire con 96,245 mld, per difenderne 100, mentre la Germania contribuiva con 109,465 mld per difenderne 1.000. Una sproporzione enorme destinata ad accrescere il Debito sovrano italiano per favorire gli interessi tedeschi.

Tremonti, da bravo stratega attento all’interesse nazionale, sia in Ue che in Bce cercò di proporre una nuova linea associativa, riassumibile in: per i contributi strutturali si procede come prima, per quelli finanziari si procede in base al rischio espositivo, in modo che tutti paghino secondo i danni che hanno arrecato e gli utili che hanno precedentemente incassato speculando.
Però - secondo l’esempio esplicativo precedente - la Germania doveva accollarsi circa il 90% dei contributi.
Ciò, ovviamente, attirò le ire sia di Trichet (Bce) che della Merkel.
Conseguenza: per forti pressioni politiche internazionali Berlusconi esautorò, di fatto, Tremonti, mentre lo spread italiano venne attaccato su più fronti e iniziò a incrementarsi in modo abnorme, senza una specifica relazione con i dati macroeconomici.
Berlusconi fece l’errore di non difendere Tremonti e gli interessi italiani; Tremonti quello di stare comunque nella compagine senza dimettersi, sbattendo sonoramente la porta.
Il resto – gli antefatti del governo Monti – sono storia in parte conosciuta.

Monti viene scelto per assolvere un compito particolare: ottemperare agli interessi dell’alta finanza, perciò di quelli teutonici – e non solo -.
Monti è un tecnocrate, da molto al servizio dell’oligarchia plutocratica, perciò dell’alta finanza. È il tecnico che fa e ha fatto politica anomala per carriera ed interesse (reddito): un fedele servitore del pensiero neoliberista.
In pratica un uomo fidato. Che però, fino a poco prima d’essere “creato” premier, condivide e plaude all’impostazione finanziaria di Tremonti - con propri articoli specie sul Corriere della Sera -, salvo smarcarsi subito quando si prospetta la sua chiamata.

Per renderlo ben accetto – taumaturgo necessario – i media si scatenano in una campagna mediatica che, spargendo terrore a piene mani, fa apparire l’Italia come carente in credibilità internazionale e sul baratro della bancarotta, mentre alcuni capi di stato esteri fanno forti pressioni – illegittime – su Napolitano, che ben si presta ad assecondarli facendolo subito senatore a vita.
Perciò ecco nascere il governo Monti, con la sofferta e forzosa partecipazione del Pdl e il felice e insperato passaggio dalla minoranza alla maggioranza di Pd e Centro, anche se gli attori del sostegno parlamentare non si rendono conto del disastro che stanno arrecando.
Il montismo diventa di conseguenza l’antipolitica per eccellenza: quella autoreferenziale atta a difendere gli interessi della finanza contro quelli del popolo, facendo pagare ai cittadini i danni speculativi arrecati da altri. La trasposizione da res pubblica a res privata e interessata. Il Bene comune anteposto all’alta finanza.
Monti è accreditato – un servo non è mai stimato, ma solo usato – negli ambienti che contano: in Italia nelle banche, in Europa e nel mondo nelle istituzioni e nell’alta finanza globalizzata e d’assalto.

Monti assolve il suo impegno con un imponente sostegno mediatico, diffondendo subito terrore con il suo discorso programmatico in Parlamento: Non vi è più neppure un € in cassa per pagare gli stipendi e neppure … le pensioni!
Perché la Verità non è oggi quella risultante dai dati macroeconomici e dai bilanci, ma solo quella declamata e conclamata a piene mani con ogni mezzo per influenzare l’opinione pubblica.
Monti non è un eletto; e, infatti, marca subito la sua aristocratica distanza dal popolo e dai politici che lo sostengono, sia non dando del “tu” al popolo, sia rimarcando in Parlamento, con il suo ripetuto e ossessivo Noi e Voi, il ritorno al governo oligarchico di coloro che si distinguono dal popolo e dal politico: gli esperti (tecnici).

Monti è il garante della “costituzionalità finanziaria”. Visto che a ideare, scrivere e progettare quel programma sono gli stessi ambienti finanziari e istituzionali di cui da decenni fa parte.
Non è la Democrazia del Pubblico, bensì l’Aristocrazia finanziaria che si ammanta di democrazia. È l’esperto lontano e distante dal popolo sia per concezione sia per benessere, colui che per interessi superiori e particolari tassa il cittadino per salvare le banche e il sistema.
Con il popolo non ha nulla da spartire, neppure la tanta sbandierata fervenza religiosa, fino al punto – alla morte di Martini – da confondere la magnanimità del Cardinale con l’esaltazione teocratica di sé stesso.
La sua è una concezione religiosa elitaria di stampo medioevale, quando vescovi, abati, principi, marchesi e conti traevano il loro imprimatur dalla teocrazia aristocratica: i diversi dal popolo e gli Eletti di Dio.
Il montismo non è la fine, né la contrapposizione al berlusconismo. Semmai è la prosecuzione naturale delle direttive Ue e Bce, già insite (o subite ma non ancora realizzate) nel programma del governo Berlusconi.
È diverso perché aristocratico (tecnocratico) e non popolare, perciò non elettivo. Impone il consenso invece di ricercarlo. Guarda il popolo dall’alto in basso con estrema freddezza e con la massima distanza.
A colpi di fiducia impone al Parlamento e ai politici i dettati del suo volere, cioè del suo servilismo al neoliberismo, con decreti, leggi e riforme.
Il suo è un governare condiviso anche se imposto, non diviso. Perciò è ben attento a non contrastare quegli interessi della casta che potrebbe rivoltarglisi contro. Non per nulla Casini (Signorsì) è il suo più strenuo sostenitore, mentre Bersani e Alfano spesso strepitano attorno a lui, bloccandolo solo nelle sortite più dannose.

Monti si serve del consenso mediatico per governare e per imporre il suo volere alla maggioranza, rimarcando continuamente il suo più alto gradimento popolare rispetto a quello in caduta dei partiti.
Senza di quello non avrebbe neppure quello iniziale del popolo, che se lo ritrova senza averlo votato.
Infatti, lui e i suoi tecnici frequentano assiduamente i media, affollando le reti e i talk show politici con maggiore audience. Sono consapevoli dell’importanza della comunicazione e non vanno tanto per il sottile per bloccare o eliminare quelle trasmissioni che, essendo indipendenti, hanno una voce democratica e analitica diversa dalla loro.
Il consenso, tuttavia, si spegne insieme a quelle bugie/verità che vengono continuamente usate quali inserti subliminali. Con un decreto dopo l’altro, oppure con una tassa dopo l’altra, costringe la nazione in profonda recessione.
Il popolo lo si condiziona infinocchiandolo facilmente; ma quando lo si priva di reddito, lavoro e sussistenza, allora solo gli irriducibili ottusi rimangono fedeli a quel manipolato consenso che si basa sul mentalismo settario.

Il montismo cerca di restaurare la vecchia Prima Repubblica, proprio perché ha un consenso trasversale che unisce forze opposte, tese da 2 decenni tra bipartitismo e bipolarismo. Ma, diversamente da quelli, il suo consenso è solo contingente e forzato, favorito dall’incapacità politica di ideare e proporre alternative valide ai dettami esterni.
Rompe il bipolarismo estrapolandone le ali parlamentari estreme – Idv a sx e Lega a dx – con l’obbiettivo di perpetuare sé stesso con una nuova Legge elettorale, che si ipotizza persino di imporre con decreto. Riesce quasi a spegnere e a annientare il berlusconismo.

Il consenso[3] però scema gradualmente ai minimi storici in un anno di governo, alimentando forte astensionismo in Sicilia e progressive recrudescenze di dissociazione civile da parte di molte forze sociali (Confindustria, Cgil, Confcommercio). Pure i partiti infine si smarcano, affondando il governo aristocratico di Monti, con il rifiuto di una nuova legge elettorale sfavorevole alla governabilità democratica (Pd) e con l’abiura di una disastrosa linea economica (Pdl).
Il montismo da voce, sostanza e corposità al dissenso sociale. L’astensionismo si raddoppia. Il grillismo (M5S) esplode.
Il popolo comincia a rifiutare i vincoli esterni, identificabili in: mercati, autorità monetarie, istituzioni internazionali e … napolitanismo. Vuole lavorare e vivere con decoro, non essere ridotto a paese terzomondista e in fallimento come la Grecia. Non crede più nei tecnici e nelle loro capacità che si sono rivelate deleterie.
Il tramonto del montismo da nuovamente forza al berlusconismo, perciò in quel modo di governare che si basa sul consenso popolare e non solo su quello coercitivo parlamentare. Un berlusconismo che non è solo prerogativa della Dx, ma pure della Sx che, con Bersani, cerca di riprendere il potere.

Monti rimane solo, altezzoso e aristocratico, a diffondere la sua “verità” di taumaturgo redentore, come colui che a forza di gridare al lupo alla fine fu sbranato dal lupo stesso.
Non è ormai più credibile presso il popolo, né per le forze esterne che lo hanno voluto. Ora non serve più e se ne deve andare. Dopo le elezioni si vedrà.
Perciò ne prende forzatamente atto e toglie il disturbo.

Non condivido l’idea di molti che il berlusconismo abbia prodotto la dissociazione della democrazia rappresentativa. Di cui Monti e Grillo sono i due lobi opposti dell’ancile di Numa Pompilio: montismo e grillismo (renzismo).
Il primo dell’aristocrazia democratica: l’élite non elettiva, il ceto degli Eletti non eletti, la Tecnocrazia finanziaria autoreferenziale, l’Alta finanza globalizzata. Il distante e diverso in tutto – sapere, benessere, reddito, possibilità - dal popolo.
Il secondo il predicatore della democrazia diretta, capace di renderla interessante grazie alle tecniche della comunicazione propria dello spettacolo comico e teatrale, soprattutto grazie alla Rete. Un dare voce, sostanza e corposità a quel cittadino spettatore/attore che ricerca sia la fiducia nei rappresentanti, sia la partecipazione dei rappresentanti.
Il lemma “Partito” tende a spegnersi in politica, relegato in quell’oligarchia autoreferenziale e di casta che è incapace di ideare soluzioni valide specie al Centro, dove vi sono refusi contrapposti capaci di coesistere solo per sopravvivere.
Esplodono però i “movimenti”, proprio perché più che proporre idee cercano di intercettare consenso in modo trasversale. Alcuni con programmi operativi veri (Tremonti con il Movimento 3L[4]), altri solo con della pura demagogia popolare.

L’Italia e tutto il mondo occidentale hanno bisogno di trovare una nuova via di sviluppo economico sostenibile, nella consapevolezza che i danni provocati dall’attuale politica economica – di cui Monti è il braccio operativo italiano – necessiteranno di diversi anni di decrescita.
Perciò chi intenderà governare – ottenendone il consenso – dovrà imbrigliare e assoggettare all’economia nazionale, e comunitaria, tutte quelle forze rappresentate dall’aristocrazia democratica che finora hanno imperversato sia nei mercati che nei governi.
Perché l’Alta finanza non è nemica degli stati, ma li dissangua uno alla volta svuotandoli della loro ricchezza. Servendosi proprio di tutti quegli uomini aristocratici, alla Monti, che ha piazzato ovunque nei principali punti di potere del globo.
Quell’Élite non elettiva che si basa sul ceto tecnocratico e aristocratico degli Eletti non eletti.
Infatti, non per nulla il montismo è diventato l’antipolitica per eccellenza nell’operatività e nella comunicazione.



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