domenica 22 aprile 2012

La velocità in filosofia.

(Questa mia riflessione trae la sua origine dalla lettura di un post di un amico, facilmente visionabile cliccando sul seguente link: "La rivoluzione della velocità"

Per comodità, data l’ampiezza del documento, non l’ho contestualmente riportato insieme all’articolo.)


La velocità in filosofia.


Vi sono pensatori che ritengono che la velocità sia utile quando è interconvertibilità, dannosa quando sia solo fine a sé stessa.
Il tuo è un discorso interessante e complesso che segue un sillogismo logico nell’analisi contingente, ma non la logica del sillogismo nella costruzione complessiva. Ciò significa che, come tutti i discorsi, deve avere una controprova: in pratica un simultaneo discorso parallelo  - binario - che punta allo stesso risultato finale. Quando ciò non avviene - cioè si ottiene una divaricazione tra finalità ultima e discorso - significa che lo sviluppo della tematica ha delle falle, perciò segue solo dei sillogismi logici.
Ovviamente – tu - ti soffermi su una tematica sollevata da altri, ponendoti degli interrogativi a cui, se non in modo solo larvato, si danno risposte germinali e istintuali, ponendo come finalità il Bene comune.
Il Bene comune non può prescindere che dal proprio, sulla base del comandamento “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Nessuno, infatti, può amare gli altri più di sé stesso. E nel comandamento succitato gli antichi intesero e intuirono ciò nel loro ancor primitivo filosofeggiare.
L’uomo non è al centro dell’universo, ma appunto perché “è” e “cogita” ha come pietra di paragone sé, quindi la propria esistenza, sapere, cultura e modalità di vita. Diversamente non vi sarebbe capacità di pensare, quindi di sviluppare idee e di scambiarle con altri. Si sarebbe in mondi chiusi – le sfere d’acciaio -.

La velocità va improntata pure in quest’ottica filosofica complessa, perché diversamente si falla il discorso. Il porla come “rivoluzione” in base alla progressiva potenza raggiunta di moto è solo degenerante, appunto perché questa – la velocità – dovrebbe essere indipendente da altri parametri - (con buona pace di Zavoli) -.
La velocità in natura è sempre esistita ed è sempre stata commisurata ad altri fattori: spazio, materia (massa), tracciato, vuoto, gravità.
La stessa cosa vale anche per l’economia – velocità economica/Pil -, quindi per il profitto e la resa globale finale, che, comunque è sempre legata ad un certo disegno, perciò al fine per cui questa esiste: creare reddito vero e non degenerante.

La luce viaggia a 300 mila km al secondo, ma non è quella massima esistente. Infatti, se inglobata in un buco nero, lo può vincere – cioè uscirne – solo se la sua potenza di movimento è superiore alla gravità. Diversamente non solo decresce, ma anche viene compressa versa il centro del buco come ogni altra materia.
Inoltre la velocità è condizionata dalla composizione dello spazio – altra materia con massa più o meno complessa -, perciò dal fatto che sul suo percorso non vi siano altri ostacoli. E il buco nero è un fattore preponderante che può essere considerato ostacolo, come lo è un oggetto compatto – albero, monte, roccia, pianeta – che alla luce impedisce di procedere, creando un cono che più si va in profondità, più si estende.

Un problema collegato alla velocità – comunque intesa – è quello di come padroneggiarla, perciò come assoggettarla al proprio fine. Questo problema è sempre esistito, perché da che mondo è mondo l’uomo non è mai riuscito a cambiare il corso dei giorni, neppure il biblico Giosuè con il suo “fermati o sole”, giacché si trattava di un’eclisse. E i giorni, come si sa, sono collegati alla luce, alla sua velocità e ai coni d’ombra che un oggetto – statico o ruotante - può generare.
Per assoggettare la velocità ad un fine vi sono 2 sistemi pratici: o impostare le nostre finalità sul suo corso naturale – cioè sfruttarla -, oppure avere la tecnologia – i mezzi – per ingabbiarla a nostro uso e consumo.
Tutti gli altri mezzi sono puri surrogati che possono raggiungere uno scopo immediato pratico, ma non uno stabile e definitivo.

Basandoci su quest’ottica possiamo dire, ad esempio, che il fotovoltaico o l’eolico sfruttano non solo la velocità della luce, o dell’aria, ma che la usano per una finalità ben precisa: produrre energia.
Nel secondo caso che la potenza di macchine costruite all’uopo – computer, treni, aerei – “creano” velocità per un fine ben preciso: trasporto intellettuale o fisico.

L’economia ha un corso analogo che si basa anch’esso sulla velocità. Qua, tuttavia, la velocità è spesso collegata al fine e a tutti quei fattori che possono condizionare il fine: business, concorrenza, produzione.
Se, però, il fine sfugge a quel doppio binario di progettazione filosofica che ho citato all’inizio, allora è facile che degeneri e che possa produrre sì un bene immediato – un surrogato contingente – ma un danno finale reale. E potrei citare la speculazione selvaggia dei prodotti virtuali di mercato che ci hanno gettato nella gravissima crisi attuale.

Chiudo con un semplice pensiero, basandomi su un’affermazione errata che riporto: “La rivoluzione non è più il cambiamento, ma la velocità con cui questo avviene”.
La vera rivoluzione – invece - è il padroneggiare sempre il cambiamento, a qualsiasi velocità questo avvenga.
E in ogni campo: culturale, economico, finanziario, produttivo e anche intellettuale.

L’uomo ha dei limiti naturali – giovane o anziano che sia -; se lo si dimentica è ovvio che diventi un mezzo passivo di un ingranaggio che lo può stritolare.

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