Non condivido l’idea del Maso chiuso (Il maso chiuso dei cattolici) perché per il cristianesimo è impropria per 2 grandi e ineccepibili motivi.
Il primo è che il maso è (era) una struttura montana autosufficiente e di norma isolata, anche se talora affiancata da altri masi vicini, in piccole comunità comunque ristrette e mai popolose. E autosufficiente non significa autarchico.
Il secondo perché l’idea del chiudersi non è prerogativa del cristianesimo, che in verità è aperto al mondo, perciò al Prossimo.
Prima di parlare di maso bisognerebbe conoscerne a fondo la sua architettura.
Il maso, infatti, di norma si presentava come un grande parallelepipedo la cui apertura era sempre posta a sud, oppure sul lato che consentiva in inverno di ricevere maggior luce/calore.
Ai lati aveva dei vani con prerogative particolari, di solito usate come camere di compensazione del calore. Infatti, ospitavano stalle, fienili, legnaie o vani dove si ponevano granaglie, provviste e attrezzi di lavoro. Al suo interno vi erano i vani residenziali, spesso protetti verso il tetto da altri vani di compensazione calore.
Era una struttura funzionale atta a proteggere dai rigori dell’inverno o del freddo alpino. Di norma atta ad ospitare un nucleo omogeneo di famiglia patriarcale; o più nuclei parentali.
L’idea espressa da Ernesto Galli della Loggia è come scoprire dopo millenni l’acqua calda. Infatti, è impropria sia nell’evoluzione discorsiva logica, sia nell’analisi, mostrando la differenza sostanziale esistente tra un commentatore/opinionista interessato – seppur di grido – e un profondo pensatore. Diversamente l’autore potrebbe essere un ottimo … governante!
In effetti, potrebbe magari adattarsi a Cl, però se fissata ai soli parametri di alcuni esponenti particolari.
Questo discorso, tuttavia, si contagia non solo al cristianesimo in generale, o ciellino in particolare, ma bensì anche a qualsiasi altra formazione politica o religiosa, oppure di sola aggregazione sociale (mettiamoci pure i sindacati).
La controprova dell’errato discorso del Galli è la sua citazione di De Gasperi. Tuttavia De Gasperi era cattolico; e pur con tutti i distinguo, coraggio e determinazione dovrebbe essere inglobato nel maso del cattolicesimo italiano.
In verità De Gasperi era un grande statista, forse l’unico eccelso che l’Italia abbia avuto dal dopoguerra in poi.
De Gasperi – si sottolinea – ebbe coraggio e resistette a spinte corporative interne ed esterne. Ciò è vero, ma va da sé che poi dovette lasciare più avanti soprattutto per la pressione interna che esercitava Dossetti con la sua linea politica, oltre ad altri.
Tutto ciò è né scandaloso, né ristretto, ma va inquadrato solamente in visioni di strategie politiche diverse all’interno di un movimento o di un partito, giuste o sbagliate che siano. È uno dei grandi limiti della democrazia moderna.
Il dilemma amletico allora è: De Gasperi era nel maso, oppure stava fuori?
Parafrasando: era un cattolico o un agnostico (lemma forzato e forte portato al paradosso), visto che non ottemperava a certi consigli – o imposizioni - della gerarchia ecclesiastica?
Ogni partito oggi ha i suoi guai interni ed esterni. Perciò la degenerazione è del sistema in senso lato e non di un singolo raggruppamento o forza politica.
Proprio come le degenerazioni di un’ideologia o di una religione sono il frutto di un processo temporale transitorio, che comunque non intacca la bontà dell’Idea stessa che le muove.
Il cattolicesimo (cristianesimo) ha in sé il germe concettuale di peccato, generato a suo tempo dal peccato originale. Che, a ben guardare, non è poi l’aver mangiato la mela (disobbedienza), ma l’errore di Dio del non avergli immesso nell’atto creativo la capacità discernente del bene e del male, perciò dell’utile e del dannoso.
Infatti, il Dio del Pentateuco non è proprio il Dio di Gesù; e procedette pure lui per gradi. Dunque fu pragmatico nel suo ideare e costruire o - impostandolo sulla Logica di Hegel – nel suo divenire e progredire.
Divenire e progredire che fa parte del cammino culturale e procedurale umano, perciò capace pure di sbagliare (peccare), ma pure di modificarsi e di correggersi.
Si potrebbe dire, con buona sicurezza, che la cultura analitica e discorsiva massima il mondo occidentale l’abbia raggiunta con la Logica di Hegel. Dopo di che singole e settoriali migliorie discorsive, oppure degenerazioni ideologiche, hanno prodotto la cultura attuale anche e soprattutto in campo sociale. Dove, a ben guardare, i genitori sono culturalmente più istruiti dei figli, anche se con meno padronanza tecnologica.
La stessa cosa vale per la politica e per la Chiesa, con le rispettive emanazioni annesse.
Il periodo hegeliano è in pratica il secolo culturalmente più vivace e innovativo degli ultimi millenni. Infatti vi sono “rivoluzioni” che modellano una nuova società sia nel campo culturale, sia in quello religioso, sia in quello politico. Produce anche la rivoluzione industriale, perciò un modo nuovo di superare l’autarchia bucolica del vivere sul solo commercio, agricoltura o artigianato, seppur di valore.
L’Occidente è in crisi perché ancorato al modello economico del liberismo, poi evolutosi nel neoliberismo, anche a matrice cristiana. Basa la priorità di tutto sul consumismo e sul mercato, perciò sugli aggiustamenti che domanda e offerta possono produrre, pur se spesso manipolate.
Lo sviluppo diventa una conseguenza marginale, tanto che i mercati mobiliari hanno spinto le economie a degenerare sotto una finanza artificiosa, basata su prodotti teorici inesistenti (Derivati) e senza alcuna utilità sociale se non quella di accaparrarsi ricchezza a spese altrui con la speculazione.
Abbiamo avuto la globalizzazione, ma questa non serviva ai popoli, bensì alla grande finanza che da patrimonio individuale/familiare si è trans-mutata in persona giuridica sulla base dell’azionariato di massa.
Tuttavia chi detiene ricchezza – in pratica che la gestisce e manovra – sono pochissime persone che usano un sistema di potere a circuito chiuso, perciò autoreferenziale. Le quali si attribuiscono annualmente compensi regali che il comune mortale neppure può immaginare come entrate in una vita intera.
Tutto ciò, ovviamente, è una degenerazione, perché ha sostituito l’interesse corporativo/individuale a quello social/popolare. Ha spostato la priorità della comunità sul singolo interesse individuale, personale o di gruppo.
La crescita dei Debiti sovrani, il crollo degli indici borsistici, la crisi nera degli istituti di credito, che sono passati da finanziatori di attività produttive a investitori dediti alla speculazione, hanno distrutto immani ricchezze e stanno generando povertà quasi ovunque in occidente. La quale ha, come contraltare, che sempre più pochi individui – in pratica quelli autoreferenziali che gestiscono potere e finanza – usurpano la ricchezza di tutti per farsela diventare propria in un modo singolare: speculando selvaggiamente e distruggendo il patrimonio di tutti.
Guardando gli organigrammi di governi e grandi finanziarie si può notare che solo pochi uomini – e sempre in modo autoreferenziale – si sono impadroniti di ricchezza e potere democratico, sfruttando quell’autoreferenzialità reciproca che trasforma di fatto la democrazia in oligarchica plutocrazia. Ciò è avvenuto in tutte le nazioni.
Monti, cattolico professo e conclamato, appartiene a questa cerchia. È stato imposto al popolo da un Presidente della Repubblica che ha rispettato i commi costituzionali, ma che ha prodotto uno squarcio procedurale che forse affonderà la nazione. In pratica ha esautorato il Popolo dall’esprimere il suo diritto di potere, in democrazia, con lo strumento del voto, ascoltando le pressioni dell’alta finanza e politica internazionale, retta e occupata da una stretta elite autoreferenziale.
Il sistema è marcio e avviato alla cachessia strutturale.
Carròn (Cl) dice giustamente che il singolo non è il movimento; proprio come un Presidente non è il Popolo, né la sua esatta espressione di volontà.
L’analisi del maso va perciò inglobata in un ambito culturale che oggi ha avuto il sopravvento; ma che comunque in ogni secolo ha avuto gruppi associativi cultural religiosi, intenti sia a difendere le proprie identità che interessi o privilegi. Non per nulla siamo una società che pretende diritti, spesso dimenticandosi di conquistarseli con il dovere.
Nel maso – a sconforto del discorso del Galli – si sono prodotti pure atti innovativi interessanti a carattere sociale, politico e democratico. E mi limiterò a citare solo la Rerum Novarum e la Populorum progressio.
Perché, per concludere, nel maso non vi era solo un’autoreferenzialità civica e di potere, ma anche quella dedizione verso gli altri che sovrintendeva al Bene comune, sia di gruppo che della società tutta.
Non per nulla i masi erano strutture abitative e sociali che intratteneva rapporti con altri masi, i quali intrattenevano, come gruppi omogenei etnici, altrettanti rapporti con altre diverse comunità più o meno viciniori.
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