Chi segue gli indici di mercato non può che condividere che la crisi è partita da quello. In pratica dalla speculazione selvaggia basata su leve spropositate e condotta senza alcun freno inibitore.
Il primo dissesto avviene nell’estate 2007, per poi contagiare velocemente prima gli indici americani e poi quelli europei.
Vediamo 2 esempi:
a) FitseMib: estate 2007 45.000 punti, primavera 2009 15.000, estate 2011 23.000, odierno 14.000 circa.
b) Dow Jones: rispettivamente 14.000, 7.000, 13.000, 13.000 circa.
I dati affermano chiaramente che la politica americana di sostegno al mercato è stata più appropriata di quella Ue. Infatti, l’indice americano si è solo dimezzato per poi riportarsi quasi ai massimi precedenti. Quello italiano – lo stesso discorso vale per gli altri indici Ue – si è invece ridotto ad un terzo. Si è riportato sui 23.000 ed ora è addirittura sull’indice minimo precedente.
Soffermandoci maggiormente sui dati si nota che i minimi si sono ottenuti nell’agosto 2011, sotto attacchi speculativi settoriali, ingenti e allo scoperto, provenienti perlopiù da oltreoceano via Londra.
Alcuni governi di stati Ue – Francia, Spagna, Belgio, Italia[1]-, in sintonia con le autorità di controllo, hanno provveduto in quel periodo a proibire lo short selling – vendita allo scoperto – su un paniere dei maggiori finanziari, stabilizzando subito la discesa degli indici che poi hanno iniziato a risalire fino a febbraio 2012, dove l’indice FitseMib ha raggiunto i 17.000 punti.
Inoltre, l’avvento di Draghi alla Bce ha promosso 2 operazioni di quantitative easing in favore delle banche Ue per circa 1.100 mld di € passando ad una politica monetaria, dando un segnale importante al mercato e offrendo liquidità a basso tasso onde sostenere i Titoli sovrani di Italia e Spagna.
I Governi, tuttavia – compreso quello targato Monti – hanno peccato di presunzione pensando che la bufera fosse passata. Perciò, revocando il divieto di short selling a fine febbraio, hanno fatto ripiombare i mercati nella speculazione più nera.
Negli U.S.A., nel momento acuto della crisi di mercato, Governo e Fed si erano attivati più volte immettendo nel mercato ingente liquidità, riuscendo in questo modo a calmare i corsi e limitandone la discesa. Contrariamente ai governi Ue, il Governo degli States non ha puntato sull’austerità, sui tagli indiscriminati e su un forte nuovo prelievo fiscale. Ha provveduto a finanziare i consumi e il sostegno alle aziende; perciò all’economia reale, pur provvedendo a limitare anche la spesa pubblica che, comunque, si è ulteriormente dilatata. La Fed, inoltre, ha ridotto a zero il costo del danaro, contrariamente alla Bce che prima, con Trichet, l’ha innalzato e poi ridotto, correndo ai ripari solo a danni arrecati.
Perdere 2/3 di capitalizzazione significa non solo impoverire privati e finanziarie, ma, soprattutto, sottrarre al mercato un’ingente liquidità, che si ripercuote necessariamente sulle aziende produttive. Da qui contrazione dei consumi, disoccupazione, recessione e inflazione.
Se, come negli States, il mercato perde metà capitalizzazione e poi torna sugli indici precedenti, ciò significa che mentre gli U.S.A. con la loro politica monetaria e sociale hanno resistito alla crisi – anche se non superato –, gli stati Ue, da parte loro, hanno sbagliato sia tutta la politica monetaria che quella sociale e fiscale.
La politica Ue ha pensato bene di fare pressioni sotterranee per eliminare un Governo – Berlusconi – che pur non facendo faville manteneva comunque la nave in linea di galleggiamento, anche senza effettuare quelle manovre che i vertici Ue richiedevano; le stesse che già avevano sprofondato la Grecia e il Portogallo.
Monti (che ha una mentalità calvinista) è stato il loro strumento – del radicalismo penitenziale luterano –; non per nulla si è affossato il mercato e l’economia, prodotto recessione e tagli, e innalzato alle stelle la pressione fiscale.
La Grecia è persa, il Portogallo quasi, Italia e Spagna, seguendo le linee Ue, hanno imboccato la stessa via di dannazione. E se saltano queste saltano pure anche le nazioni ancora economicamente forti: Germania e nazioni nordiche con bilanci sani.
I Debiti sovrani hanno un grande peso sull’economia, ma è ovvio che con un’imponente crisi in atto non possano essere tagliati se non con una ristrutturazione del debito, che, comunque, dovrebbe essere pareggiata in altro modo, come il caso Grecia insegna.
Dire che la leadership radicale della Merkel stia rovinando l’Europa tutta è perfino troppo ovvio. Basti pensare che l’Efsf, nonostante i vari potenziamenti, non abbia mai prodotto risultati non dico apprezzabili, ma neppure visibili.
Si afferma che le riforme strutturali nelle varie nazioni, specie in Italia e Spagna, produrranno un rilancio dell’economia e del Pil. Con quali risorse, se il mercato ha perso circa il 70% di capitalizzazione, non si sa; dove le si troverà è ancor più arduo capire, visto che in molti stati la pressione fiscale è già troppo elevata e assassina dell’economia.
A capo di alcuni governi sono stati imposti, forse perché al servizio indiretto di potentissime finanziarie, dei tecnici carenti nell’esperienza politica e sociale, che in passato, oltre ad insegnare, non hanno prodotto altro che piccole formule economiche empiriche.
Il mercato non ha regolamentazione; ma ciò è proprio del neoliberismo moderno che pensa che il mercato si possa purgare da sé nell’altalenare dei corsi. Ciò poteva essere valido nel secolo scorso, quando i vari mercati erano ristretti, in parte slegati da sé e per lo più a carattere locale.
Gli stessi paesi emergenti – Cina e India – hanno una forte contrazione produttiva, frutto della crisi che ha investito l’Occidente consumista. Il rilancio occidentale non potrà pertanto puntare sul loro mercato interno, neppure basandosi sulla tecnologia avanzata.
La crisi è strutturale è di mercato; e chi non lo vuol capire – politico o governante – sarebbe bene che lasciasse, visti i danni che già si sono prodotti.
Perciò non si potrà rilanciare l’economia se prima non verranno regolamentati i mercati.
La vera e ineludibile riforma strutturale del nostro tempo è questa!
Le altre possono sempre essere utili, ma non sono basilari quanto questa.
Il divieto di short selling ha prodotto benefici finché è stato attuato. Non solo occorrerebbe ripristinarlo subito e in modo perpetuo, ma pure estenderlo a tutti i prodotti finanziari di mercato. Il concederlo, oggi, è sia contro l’etica cristiana, sia contro l’utilità di mercato, appunto perché specula sulla rovina altrui.
Una trattazione a parte andrebbe riservata ai Titoli sovrani, la cui quotazione andrebbe rivista, corretta e modificata nel contratto bilaterale finanziatore/finanziato, trasformandoli anche da locali a transnazionali. Gli agognati Eurobonds.
Analoga lunga trattazione andrebbe riservata sia ai Futures (materie prime), sia a tutti i prodotti riassumibili come Derivati, che sono lo spam della finanza mondiale.
Ma ciò ci porterebbe troppo lontano.
Le grandi lobby finanziare premono in altro modo, perciò contrariamente alla logica. Però il loro interesse non coincide con quello del Popolo e delle nazioni, proprio perché vogliono assoggettare tutto al loro business.
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