mercoledì 28 settembre 2011

Stato e moneta.


Istituendo l’ ci si è dimenticati che prima della moneta dovrebbe sempre esserci uno stato.


La storia, infatti, insegna che prima vi è uno stato e poi si crea una moneta; diversamente non si sa dove, come, perché e quando una moneta possa essere valida. Perché una moneta priva delle proprie armi di difesa è destinata solo a cadere.


L’Ue non è uno Stato né di fatto, né potenziale, così com’è ora percepito: è una semplice unione di comodo. E l’istituire l’€ parve ai fondatori un possibile rimedio alla crisi economica che un po’ ovunque si stava delineando: crisi che non sapevano contrastare se non espandendo continuamente il debito sovrano.


Infatti, se ben ci si ricorda, molti politici hanno affermato – e alcuni lo dicono pure ora – che l’€ ci ha messo al riparo da crisi ben più gravi.


Il fatto è inoppugnabile. Ci ha protetto facendo incancrenire la situazione e distruggendo ingenti risorse pubbliche e private, togliendo ad ogni singolo stato in difficoltà l’arma convenzionale per poter procedere senza violenti contraccolpi sociali: la svalutazione secca o strisciante.


Se la Grecia avesse oggi ancora la Dracma – Turchia docet -, è ovvio che non sarebbe in un reale default, proprio perché la svalutazione avrebbe corretto sia il tenore di vita, sia l’ammontare reale del debito, perciò anche le spese. Cittadini e investitori avrebbero soggiaciuto ad una svalutazione che comunque li avrebbe in parte tutelati da un secco ridimensionamento imposto da fuori, come ora sta avvenendo, e creando, di conseguenza, sfiducia nel futuro e gravi moti sociali.


Forse (è auspicabile) l’€ non crollerà e il contagio si circoscriverà, ma l’austerità/pena morale potrà innescare una grave turbolenza sociale, già presente in molte nazioni pur se in modalità diverse.


La grande disoccupazione porta molti alla disperazione: in media si è sul 9%/10%, in Spagna oltre il 20%, in Grecia oltre il 16% e in Portogallo oltre il 13%. Cifre estremamente preoccupanti, perché a queste andrebbe aggiunta la percentuale di chi, sfiduciato, vive di espedienti e nella precarietà e il lavoro non lo cerca più.


Chi gestisce l’€? Uno stato? No! Un organismo (quasi) indefinito che non è né carne né pesce, spesso diviso da interessi e su modalità di indirizzo economico, finanziario, strategico e anche politico: quello soggetto ai vari G7, G8, G20, Ecofin o dei capi di stato Ue.


L’€ è di (quasi) tutti gli europei, essendo moneta comune; ma nella realtà è di nessuno perché non è soggetto al popolo, ma solo alla grande finanza globalizzata che lo ha voluto per facilitare senza alcun vincolo i propri interessi.


I paesi in difficoltà hanno bisogno di un aiuto esterno non possedendo più la propria autonomia monetaria in grado di poterli rendere competitivi con la svalutazione; ma questo aiuto è soggetto sia al mercato – che con la speculazione sui differenziali acuisce ulteriormente le difficoltà – sia agli stessi stati economicamente potenti dell’unione che ne dettano le condizioni, in pratica commissionando i vari governi.


Se vi fosse stato un’Ue con un unico indirizzo monetario, economico, finanziario e politico la strategia sarebbe stata chiara e i danni attuali molto minori, perché gli altri paesi con propria moneta pur nelle difficoltà non rischiano il tracollo che nell’Ue si sta manifestando sempre più minaccioso e vicino.


La strategia delineata nei giorni scorsi al G20 è assai tardiva e i 3.100 mld di € messi in campo sono solo la somma dei debiti sovrani dei paesi in difficoltà. Somma virtuale che per essere elargita avrà bisogno di forti ridimensionamenti nazionali, atti solo a generare ulteriore recessione e povertà.



La crisi dei Subprime non è stata la causa del tracollo delle economie occidentali, ma solo la scintilla, perché il sistema di mercato aveva già degenerato, creando quei danni che persistono pure oggi e che via via si sono moltiplicati.


I governi hanno cercato in vari modi di contrastare la recessione usando armi convenzionali vecchie e spuntate, utili solo un secolo fa quando l’economia era molto diversa: i tassi, l’iniezione di liquidità, i tagli e il rilancio della produzione, perciò dei consumi.


L’economia si può espandere e può creare benessere solo se è destinata all’export, in grado quindi di generare quel surplus commerciale atto a motivare e a rendere redditizio l’investimento fatto; ma se tutto è relativo solo al mercato interno si innesta quella spirale negativa che può solo espandere il consumo e con questo il debito, rendendo l’investimento produttivo solo fine a sé stesso. Si potenzia solo la ricchezza di alcuni, aumentando la disparità sociale.


Ora pare che la Bce di Trichet voglia ravvedersi e riabbassare i tassi, in pratica contraddicendo sé stessa. Paventava l’inflazione, mentre i pericoli reali sono la disoccupazione e la recessione.


La Grecia non potrà essere salvata se non o con l’assistenzialismo comunitario a fondo perduto o con una drastica ristrutturazione interna che aumenterà miseria e disoccupazione.


Entrambi non sono la risoluzione del problema, ma solo l’ulteriore degenerazione d’esso. Il primo sottintenderebbe la ristrutturazione del debito, il secondo una prolungata recessione.


Il Governo Papandreou non è libero di decidere, perciò non è soggetto al popolo, ma è solo vincolato alle imposizioni internazionali che lo rendono di fatto schiavo della volontà (interessi) altrui.


Sicuramente alla Grecia sarebbe utile fallire e ricominciare di nuovo, come altri paesi han fatto in precedenza. L’appartenenza all’€ non glielo consente, proprio perché non avendo una moneta nazionale non può intervenire sul cambio. Né può sottrarsi all’€, perché gli equilibri della moneta comune sono delicatissimi e difficilmente quantificabili e divisibili nella complessiva massa monetaria.



Nella società civile ogni anno e in ogni stato vi sono aziende che falliscono. Ciò, ovviamente, crea dei problemi ai creditori, ma non per questo tutto crolla. Vi sono aziende che nascono e altre che muoiono. Se l’azienda è importante si può innescare un effetto domino, ma solo perché oggi tutto si basa sulla leva e non sul risparmio reale, quindi sul capitale proprio.


La Lehman Brothers è fallita, ma pur con grandi sconquassi il mondo non è crollato. Gli sconquassi sono avvenuti perché troppe aziende finanziarie praticano il rischio spropositato.


Lo stesso avverrebbe per la Grecia, pur se altri paesi ne subirebbero delle conseguenze. Molte banche dovrebbero essere ricapitalizzate; ma se non avessero leva eccessiva il danno si limiterebbe ad aver perso solo una parte del capitale.


Ciò invece non avviene per il semplice fatto che il rapporto capitale impegnato/capitale versato è sproporzionato e basato spesso su una leva eccessiva che moltiplica i pericoli e la fragilità stessa dell’investitore, rifacendo cadere il rischio anche sul suo creditore.


Pensare che 3.100 mld di € virtuali siano sufficienti a calmare i mercati mobiliari e a farli rimbalzare può essere un ragionamento condivisibile solo a brevissimo tempo. Diversamente si è solo degli illusi, sia che ciò avvenga al G20, sia in sede Bce, perché i paesi in difficoltà avranno bisogno d’essere assistiti ancora per molti anni se si vorrà evitare il default, perciò … mantenuti.


I titoli finanziari da troppo tempo stanno riducendo il loro valore, proprio perché la grande finanza che opera sul mercato ritiene il pericolo sempre maggiore. Si innesta in forma parallela e contraria lo stesso circolo dei differenziali: maggior rischio/maggior interesse, maggior rischio/meno valore.



Rilanciare il Pil necessita di ingenti capitali che per essere recepiti sul mercato devono offrire allettanti interessi. Ciò rende l’investimento oltre che rischioso scarsamente redditizio.


Aumentare il debito sovrano per rilanciare il Pil, stante il suo ammontare, non è più possibile, perché si innesterebbe, come avvenuto in Grecia, la via del non ritorno.


Sostenere, aumentandolo, i titoli sovrani con l’Efsf non ha alcun senso, perché indebolirebbe gli stati sani, ponendoli sotto la scure di un possibile declassamento, quindi della speculazione.


Perciò, per salvare il salvabile (l’€ e l’Ue) rimane solo la creazione di un organismo sovranazionale atto a sovrintendere bilanci, titoli sovrani, politica finanziaria, economica e monetaria. E con ciò anche un titolo sovrano unico: l’Eurobonds.


L’economia reale non è sempre quella virtuale del mercato che, al massimo, ne anticipa gli effetti e i corsi.


Tuttavia per renderla autosufficiente, perciò compatibile con la probabilità assai prossima alla realtà, ha bisogno di molte riforme strutturali.


Una riforma è tuttavia imprescindibile su tutte: quella della ristrutturazione del mercato, perché questo diventi un punto d’investimento e non di sola speculazione.


È inconcepibile il fatto che il rigore di bilancio inteso a ridimensionare l’esposizione finanziaria (debito sovrano) non venga altresì applicato a tutti quei soggetti che praticano una leva eccessiva.


La Tobin tax, e altro, può essere utile, se inglobata in un progetto atto a far diventare un investimento un suo radicarsi come soggetto su uno specifico territorio. Diversamente rimarrà sempre la speculazione e ogni nuova tassa un balzello utile solo a fare cassa, perciò a ridurre il capitale disponibile sul mercato.



La crisi ha cambiato modalità di vita e ha fatto comprendere a tutti che si è vissuto per lungo tempo come le cicale, facendo leva sul debito sovrano.


Perciò molte aziende saranno superflue e dovranno essere convertite, puntando soprattutto sull’innovazione tecnologica.


In Europa non si capisce perché si persegua ad avere eccessivi doppioni - aziende peraltro in crisi - su determinati prodotti – come ad es. l’auto – quando molte di queste sono costruite usando non solo la stessa tecnologia produttiva e lo stesso progetto, ma anche gli stessi identici pezzi. Serve una vera ristrutturazione e una razionalizzazione anche del manifatturiero.


Il mercato è saturo e la riduzione del benessere sarà lunga e progressiva. Non si può continuare a puntare sul solo consumismo interno.


Perciò servirà non tanto tutelare il posto di lavoro, ma soprattutto l’operaio.



Pensare di risolvere questa crisi aumentando la crescita, facendo affidamento sulla liberalizzazione delle professioni, sulla flessibilità del mercato del lavoro, su un nuovo progetto educativo e formativo, sul taglio a stipendi, pensioni e personale, senza provvedere a creare almeno un’unità decisionale centrale sul sistema economico e finanziario non ha alcun senso. Molte di queste riforme strutturali hanno bisogno di tempo e danno i loro frutti solo a medio lungo termine.


Lo scricchiolio di alcuni paesi Ue però non lo concede e ogni giorno che passa ridurrà notevolmente le possibilità di rinascita ed aumenterà i necessari costi, oltre ai pericoli.


Finora si è provveduto con tardivi tamponi capaci talora di far rimbalzare momentaneamente i mercati.


Ciò, tuttavia, non ha impedito che il crollo delle quotazioni sia sceso ben al di sotto dei minimi storici precedenti.



Una moneta è valida e difendibile quando vi è uno Stato. È solo un oggetto di transazione di comodo quando questo non esiste, perciò destinata a cadere.


Una nazione la si difende specie con il cambio, ma se non ha una propria moneta è ovvio che nel tempo sia destinata a fare solo default, specie se i suoi titoli sovrani sono in balia dei differenziali dettati dal mercato.


Vi è un parametro tra affidabilità e tassi; ma se si innesta la spirale della speculazione quella nazione è solo destinata ad affondare e tutte le risorse messe in campo per tenerla a galla saranno sprecate.


All’Ue per difendere l’€ serve un forte Governo centrale, perciò deve diventare uno Stato!


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