Chi pensava che la crisi del mercato avesse toccato il fondo, perciò che fosse in una fase di laterizzazione, probabilmente con gli eventi borsistici di venerdì scorso si sarà dovuto ricredere.
E la crisi del mercato coinvolge, inesorabilmente, i bilanci nazionali; tanto che or in una nazione Ue, or in un’altra, quasi settimanalmente spunta una manovra correttiva di bilancio.
Caso italiano a parte - dove ormai la pazienza di Tremonti, di aziende e di onesti cittadini è già allo stremo verso tutti (maggioranza e opposizione) - il caso più eclatante è sempre quello greco, dove da un paio d’anni i conti sono fuori controllo e in modo molto virulento influisce sui mercati.
Le finanziarie, in realtà, sono più virtuali che reali, fondate spesso su supposizioni di entrate o di tagli i cui obbiettivi non vengono poi raggiunti.
Il caso greco, relativamente alle privatizzazioni, è emblematico in tal senso, sia perché per la lentezza del parlamento non riesce a quantificare ciò che deve essere privatizzato, né quanto. Sicché la cifra posta a suo tempo in finanziaria rimane un obbiettivo puramente teorico, perciò un buco d’entrate difficilmente colmabile.
Lo stesso discorso vale per l’attuale finanziaria italiana che seppur ballerina, volubile, incerta e non ancora definita, viaggia nella realtà solo nella cifra ipotetica finale, senza che si giunga al dunque.
Le precedenti grandi manovre correttive di bilancio (Amato e Prodi) sono sempre state raggiunte basando il pareggio (eufemismo) sul gettito di nuove entrate, perciò con un ulteriore aumento della pressione fiscale; e mai su dei tagli effettivi, riduttivi dei costi, che appaiono talora nelle intenzioni, ma che scompaiono poi nella realtà. E la stessa cosa avverrà anche con questa.
Tutto ciò si verifica perché vi sono troppe persone al vertice che non si rendono conto della gravissima situazione che sta coinvolgendo l’Ue tutta e che, procedendo di questo passo, porterà al disastro sia dell’€ che dell’Ue stessa. Più che non rendersene conto guardano al loro interesse di bottega, tanto i nostrani in campo nazionale che i governanti esteri nel loro.
Perciò, in si fatto modo, avverrà che il contribuente dopo aver prima pagato assai per entrare nell’Ue, poi per sostenere i paesi in difficoltà, compreso il proprio, si ritrovi sul lastrico totale: senza reddito, senza patrimonio, magari anche senza lavoro e con una tenebrosa prospettiva futura.
Alcune osservazioni, giuntemi da qualificati lettori d’oltralpe, mi portano ad esplicare meglio le attuali correnti di pensiero economico/finanziario che, specie in Germania, dividono gli economisti.
Nessuno, oggi, vuole abbandonare l’€, perché si comprende che sarebbe il disastro totale. Neppure coloro che avversarono aspramente e a ragione tale progetto, non in quanto tale ma per la realtà coagulativa che andava acquisendo.
Perciò il dibattito si impernia sul tema del momento, che sembra l’unico rimedio atto a reggere l’urto dei mercati nei paesi con grosse difficoltà: gli Eurobonds.
C’è chi propende per nuove emissioni di tali titoli in sostituzione di quelli sovrani in scadenza, chi invece punta alla conversione degli esistenti, chi ad una loro ristrutturazione e chi invece ritiene gli Eurobonds addirittura dannosi.
Di certo c’è, e tutti ne sono concordi, che così non si può più procedere.
Il problema che tutti hanno chiaro è che non si può continuare senza che vi sia un organismo centrale in grado di sovrintendere a tutto ciò, sia che venga chiamato Ministero delle Finanze europeo, sia istituendo un vero Governo sovranazionale per le importanti questioni economiche e finanziarie comuni.
In pratica in ogni caso si farebbe fare un notevole salto in avanti all’integrazione dei vari popoli. Fatto inevitabile se non si vorrà il disastro generalizzato.
Urge stabilire che non si può gestire l’Ue solo con il convegno delle nazioni aderenti (Capi di stato), ma in base alla propria effettiva rappresentanza, equivalente come in ogni democrazia ad una testa corrispondente ad un voto.
Il tempo stringe, il pericolo è già sulla porta e la politica … nicchia.
La Germania si è già fatta carico di ben 400 mld di € per sostenere le economie dei paesi in difficoltà; e teme di doversene addossare altri 3.100 mld, onde sostenere l’economia disastrata e i debiti dei così detti paesi P.I.I.G.S., perciò Italia compresa. Il che sarebbe un costo doppio a quello sopportato dalla Germania per la riunificazione e che a suo tempo impose impopolari scelte restrittive.
L’istituzione di Eurobonds, per la stessa Germania e a seconda di come sarebbero strutturati, imporrebbe un costo suppletivo (onere aggiuntivo) interno di interessi da pagare oscillante tra 30 e i 47 mld, cifra notevole che in pratica corrisponderebbe ad un’analoga e annuale manovra finanziaria. Cifra che, però, sarebbe compensata dagli attuali esborsi per sostenere le nazioni in difficoltà, finora però contabilizzati non a fondo perduto, come in realtà sono, ma come importi a rientrare.
Perciò si teme che con tali ipotetici costi la potenza finanziaria e economica tedesca si esaurisca, mettendo in serio pericolo la sopravvivenza dello stesso sistema politico e piombandola in una lunga stagnazione.
Alcuni pensano che vi debba essere una ristrutturazione necessaria dei titoli sovrani di Grecia, Irlanda e Portogallo, quantificabili in un deprezzamento del 50%: un Eurobond nuovo ogni 2 titoli sovrani attuali. In questo modo il creditore avrebbe sì una reale e ingente perdita secca (potenzialmente no perché i titoli sono già deprezzati dalle quotazioni di mercato), ma in compenso avrebbe in mano un titolo sicuro e valido come garanzia per future transazioni.
Ciò, pero, imporrebbe una grande sofferenza (perdita) alle società finanziarie francesi e tedesche che hanno in portafoglio una notevole quantità di questi titoli. Per cui è probabile che i 2 stati debbano poi intervenire per salvare le loro banche dal default. Brucerebbero le banche, pur rimanendo in piedi i muri.
Gli U.S.A., con la Lehman Brothers, pensarono che il fallimento di questa potesse essere una provvisoria tempesta purificatrice che sarebbe stata salutare al sistema; ma la storia recente ha smentito le loro aspettative, tanto che si provvide in seguito (2008) a ideare subito un accordo per salvare tutte quelle banche che erano troppo grandi per fallire.
La Grecia, per salvarsi, dovrebbe ridurre i propri costi di almeno il 30%, essendo troppo alti; ma ciò con l’€ attuale appare quasi impossibile, perché una svalutazione della moneta, essendo comune, vanificherebbe l’operazione.
Così come stanno le cose, infatti, un salvataggio è possibile solo con un lungo e pluridecennale aiuto esterno, troppo dispendioso e incerto nel risultato per tutta l’Ue.
Ciò che non è possibile con l’€, sarebbe stato possibile con la Dracma, che però ora non c’è più e la cui reintroduzione (in sola ipotesi) comporterebbe una fuga in massa di capitali, non solo in Grecia, ma pure in tutta l’Ue.
La Turchia, infatti, ha sempre mantenuto la sua competitività sul mercato svalutando all’occorrenza la propria Lira.
Dal che si deduce che gli allora strateghi (padri) politici della forzosa e frettolosa Ue, abbiano fallito il loro compito portandoci verso il disastro; proprio come i vari governi nazionali con l’esplosione abnorme dei propri debiti sovrani hanno creato le premesse, dagli anni ’70 in avanti, per le ingenti difficoltà attuali.
Il trattato di Maastricht del ’92 imponeva alle varie nazioni di non superare il rapporto Pil/Debito del 60%, ma, ciò nonostante, ora molte nazioni lo superano di gran lunga, quando non lo hanno raddoppiato; e già allora molte erano, di fatto, in deroga. E i Padri (degeneri) lo consentirono, aprendo i confini a tutti, compresi i porci (pigs).
Emettere o convertire Eurobonds nel rispetto del trattato sarebbe possibile, ma poi si porrebbe il problema della rimanente necessità di cassa, per cui le nazioni interessate dovrebbero emettere altri propri titoli per sopperire a ciò. Il che riporterebbe il problema alla situazione attuale.
Sarkosy/Merkel ipotizzano una Costituzione Ue che obblighi ogni stato a rispettare il 60% stabilito nel trattato, ma ciò è solo teorico e impossibile da realizzare stante gli ingenti debiti attuali già consolidati.
Perciò per non far saltare l’Ue e l’€ bisogna trovare un altro modo.
Credo che se si imponesse a chi non è nel parametro Debito/Pil - i paesi P.I.I.G.S. contemporaneamente - un adeguamento immediato al parametro sottoscritto, l’austerità disumana che ne comporterebbe farebbe crollare tutta l’economia della zona €, trascinando nella recessione anche la stessa Germania. E i moti sociali sarebbero difficilmente circoscrivibili ovunque.
Sicché l’unica possibilità che rimane è quella del simultaneo innalzamento della leva fiscale con una contemporanea e sostanziale riduzione delle spese statali, fermo restando una necessaria crescita molto difficile anche solo da prospettare nella realtà.
In Italia si fanno molte ipotesi: patrimoniale, aumento dell’Iva, condoni … Alcuni di questi provvedimenti non sarebbero però strutturali, ma solo un’entrata una tantum.
Di fatto le accise sui carburanti, l’aumento generalizzato dei costi e delle imposte locali, l’innalzamento della cedolare sulle rendite finanziarie, i tagli al welfare, i ticket sanitari … sono da considerarsi solo come un sostanziale aumento della leva fiscale, diretta o indiretta e che ha raggiunto un tasso spropositato, portando l’imprenditore a non ritenere più redditizia un’attività. La crisi ha fatto il resto e moltissime aziende hanno chiuso o chiuderanno a breve.
Tuttavia nella situazione in cui ci si trova non si può abbassare la leva fiscale, onde favorire nuove attività e il rilancio produttivo atto ad innalzare il Pil.
Non esistono ricette miracolistiche.
Nel ’95, poco prima che venisse fissata la parità di cambio con l’€, il differenziale spagnolo e italiano sul Bund tedesco era in media di 5 punti; mentre ora, pur con le sfuriate del mercato, oscilla sui 3,5 punti base. Ciò tuttavia non è sufficiente, sia perché una volta le nazioni interessate potevano stampare moneta in proprio, perciò svalutare gradualmente la propria riacquisendo competitività internazionale, sia perché tali tassi, considerati gli importi di interesse, sono soggetti al capriccio del mercato e non quantificabili. Siamo in una realtà finanziaria totalmente diversa da allora!
Il deprezzamento dei titoli porta a perdite, a chi detiene titoli, che sono in verità solo potenziali; ma che comunque nei bilanci devono poi essere conteggiate con opportune svalutazioni, innestando di conseguenza una riduzione automatica dello stesso gettito fiscale.
Il governo italiano pare puntare, onde recuperare gettito, soprattutto sulla lotta all’evasione fiscale. E su ciò convergono in parte, pur con alcuni distinguo, sia maggioranza che opposizione.
L’evasione reale è tuttavia difficilmente stimabile, sia perché la sua incidenza sul Pil, essendo celata, è difficilmente quantificabile ma solo ipotizzabile, sia perché da statistiche ufficiali questa è soprattutto localizzata al centro/sud, dove in alcune regioni raggiunge cifre tra il 50% e il 90%. Perciò là l’evasione è un fatto culturale e strutturale.
Recuperare gettito al centro/sud sarà problematico, considerato che laggiù oltre all’evasione esistono ben altre realtà, tra cui si può citare un enorme abusivismo edilizio. E se non si riescono a riscuotere delle semplici multe, a far funzionare la macchina amministrativa, ad estirpare l’assistenzialismo e l’assenteismo (soprattutto pratico) generalizzato, ad eliminare il lavoro nero e l’omertà … senza contare tutte le altre pecche sistematiche, mi pare che il puntare sulla lotta all’evasione sia una chimera solo teorica, ma non pratica: un solo buco di bilancio.
Gli Eurobonds non sono il toccasana se visti solo fine a sé stessi. Lo sono, però, se inglobati in un contesto strutturale che veda tutti impegnati in uno slancio costruttivo teso ad un unico progetto finale: la costituzione di una nuova e vera grande nazione Ue.
Diversamente non vi sarà futuro per nessuno, sia per i paesi periferici, sia per le nazioni forti che saranno trascinate nel baratro dalla caduta dell’€ e dal default dei paesi pigs.
E la stessa cosa avverrà anche in Italia, se il Sud non capirà che il tempo dell’assistenzialismo, dell’opportunismo e della furbizia è scaduto, pena la disgregazione stessa della nazione.
La Chiesa, come suo solito, ogni tanto ci mette il becco in questioni politiche o sociali importanti. È ciò è un suo diritto!
Tuttavia preferirei che al puro idealismo aggiungesse in ogni sua estemporanea riflessione anche un sano pragmatismo.
Perché, come ha sottolineato ora Bertone, è ovvio che il diritto e la tutela al lavoro siano inconfutabili, però se l’idealismo etico viene affiancato da idee e azioni concrete atte a renderlo pratico. Diversamente il discorso assurge a pura chiacchiera salottiera senza costrutto.
Pure il preservare il valore delle cooperative è importante; anche se non si capisce perché dopo aver tassato le banche, inasprita la leva fiscale sul cittadino, istituito la Robin tax (che colpisce per lo più le aziende ad alto contenuto innovativo, perciò di ricerca), lo stato oggi non possa elevare l’imposizione fiscale anche sul mondo cooperativo in un contesto nazionale e internazionale molto grave. Ed elevare non significa parificare, perché è naturale che i benefici ci siano comunque.
Lo Stato non è il Regno di Dio dove ci si salva anche all’ultimo secondo. Però se la Chiesa ha in tasca questa ricetta miracolistica la … renda pubblica per il bene di tutti, data la gravità della situazione.
Infatti, non mi pare che se in 2 o più ci si riunisse per chiedere ad Padre la risoluzione immediata della gravissima crisi attuale, ciò automaticamente, seduta stante, avverrebbe (Mt 18, 19.20).
Diversamente il discorso assume sempre quei connotati propri del voler comunque essere dei privilegiati e degli illuminati, al di là delle norme concordatarie che danno alla Chiesa tutta degli innegabili privilegi e benefici anche a carattere fiscale.
Il contribuente onesto deve essere tutelato, sia in ambito nazionale italiano sia in ambito Ue, proprio perché se la baracca ha finora retto lo si deve a lui: alla sua iniziativa e alla sua capacità contributiva.
Tutelarlo significa garantirgli un’adeguata leva fiscale in grado di permettergli di investire, di lavorare, di vivere e di accumulare risparmio. Diversamente non avrà stimolo alcuno a proseguire il proprio impegno.
La lotta all’evasione non solo è necessaria, ma soprattutto è eticamente obbligatoria.
L’analisi di dove e come questa avvenga mette però in rilievo che assume i connotati di un modo di essere affiancato spesso da altre degenerazioni sociali, quali l’omertà generalizzata, la pretesa del diritto e l’assistenzialismo. Perciò per battere l’evasione bisogna soprattutto inculcare nel cittadino una cultura nuova e con questa un’educazione civica adeguata.
Serve soprattutto che sia il cittadino a fare sistema!
Il differenziale con il Bund si sta nuovamente dilatando; e ciò manifesta che la Bce e l’Efsf hanno le munizioni contate (scarse).
La Bce, in verità, potrebbe seguire l’esempio della Fed, perciò operare immettendo sul mercato nuova moneta, praticamente svalutando con progressione l’€ anziché agire con l’attuale sistema di finanza virtuale.
La grande diversità politica e economica tra i 2 mondi è però tanto sostanziale che tale teorico intervento (rimedio) sarebbe improduttivo, incapace in pratica di risolvere i problemi degli stati in difficoltà.
Di certo vi è che se si vorrà avere un futuro bisognerà tutelare in assoluto il contribuente onesto e laborioso, perché morto costui scomparirà anche lo stato. Se strozzi la gallina è ovvio che poi si rimanga senza uova.
Il fucilarlo (con tasse elevate) o il lasciarlo inerme davanti alla speculazione del mercato sarà la fine di tutto il sistema.
I politici mestieranti da strapazzo – quelli che da decenni su opposti schieramenti ci dilettano con le loro demagogiche buriane discorsive – sarebbe bene non rottamarli, ma buttarli nella Geenna. Perché è chiaro che oltre all’inutile chiacchierare sono stati capaci solo di creare ingenti danni e, ovviamente, di trarre per sé degli innegabili benefici anche di carattere economico.
E chissà che forse, in questo modo e con nuove leve, la politica sapesse fare molto meglio e recepire quelle istanze che molti hanno già indicato.
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