mercoledì 14 settembre 2011

I gravi errori di Trichet e dei politici.


La Grecia sta diventando un problema infinito e gli esperti stanno studiando un piano pilotato per concederle un default graduale. Quanto questo costerà all’Ue si vedrà, considerato che in base al Trattato di Lisbona nessuno stato membro può abbandonare o essere costretto a lasciare l’Unione.


I trattati, tuttavia, la storia insegna che si fanno e si … disfano, secondo le opportunità e le necessità del momento.


Il paese ellenico, che da solo 10 anni sta nell’Unione, ha dilatato oltremisura il suo debito e c’è da sottolineare che glielo hanno lasciato fare, oltre a favorirlo con abbondanti sovvenzioni comunitarie. Il che è tutto dire.


Ora il rigorismo di bilancio, unito a una forte e moralistica punizione (debito/dissolutezza, austerità/pena) stanno producendo un guaio ancora maggiore, sia perché la scintilla greca ha contagiato quasi subito in modo sequenziale i paesi periferici maggiormente indebitati (Portogallo e Irlanda), sia perché ora ha indotto i mercati a colpire in modo referenziale paesi ben più forti (Spagna e Italia) dove i conti non sono, in effetti, tanto catastrofici.


Ciò che li rende pericolosamente tali sono i differenziali alti, che costringono i paesi colpiti dalla speculazione a continue manovre correttive di bilancio. E queste, inevitabilmente, oltre a gonfiare il debito impongono salassi anche strutturali, privando i paesi interessati di importanti risorse, mandandoli prima in stagnazione e poi in recessione.



Se il differenziale greco ha superato i 1700 pb lo si deve al fatto che la banca centrale ellenica non può intervenire sul mercato in difesa dei propri titoli, per più motivi: non ha risorse, non ha più la propria moneta e deve sottostare a dettami comunitari. Perciò su questi 3 punti si innestano sia gli errori di Trichet che della politica, che pensano di poter ricorrere al rimedio con la costrizione, perciò con un commissariamento impositivo: o così o niente aiuti.


Un differenziale tanto alto impone solo il tracollo economico; perciò ben si capisce perché i greci siano restii non solo a risanare il proprio bilancio, il cui sforamento è dovuto anche ad interessi altissimi da pagare, ma pure ad effettuare le privatizzazioni necessarie previste dalla manovra (5 mld nel 2011), in pratica svendendo la Grecia alla finanza globalizzata.



Trichet, fin dal suo avvento alla presidenza della Bce, ha messo in chiaro la sua psicosi maniacale per l’inflazione e per la stabilità dei prezzi, usando il tasso come arma impropria. Sicché, mentre gli Yankee lo abbassavano per favorire l’economia, lui lo innalzò costringendo stati ed aziende ad una forte contrazione di liquidità. Proprio l’esatto contrario di quanto sarebbe dovuto essere fatto, perché ciò creò alta disoccupazione che è il male peggiore per un’economia moderna.


Poi, a danno fatto, lo ha ridotto; per procedere poi quest’anno ad elevarlo del 50% ancora per contenere l’aumento dei costi delle materie prime (leggi petrolio) il cui andamento non è dovuto a pure cause inflattive, bensì di mercato.


Trichet, ovviamente, non governa da solo la Bce, perciò la responsabilità è collegiale. E qua si innestano gli errori della politica che piazza propri uomini al centro di comando finanziario dell’Ue.



Le nazioni forti e con bilanci corretti sono per lo più capeggiate dalla Germania, che con la Merkel vede l’economia come una semplice derivazione di una comune legge fisica, facendo del rigorismo morale la regola unica di bilancio.


L’economia non è però statica, ma ha bisogno di continue variazioni che seguono esigenze diverse.


Un sasso lanciato in aria per la legge della gravità cadrà sempre a terra, seguendo un predefinito parametro peso/massa, gravità.


Un bilancio, invece, è soggetto a delle finalità, perciò ad un preciso progetto di espansione, di risorse, di mantenimento o di contenimento. Il basarlo su un puro fatto di rigorismo morale è controproducente.


Nella seconda metà del secolo scorso, grazie anche alla degenerazione interpretativa della teoria keynesiana, moltissimi stati hanno espanso in modo abnorme il proprio debito.


L’Italia, ad esempio, per reperire risorse giunse ad offrire interessi a 2 cifre sui propri titoli, costringendo le proprie aziende a pagare interessi bancari spesso anche superiori al 20%, creando di fatto una situazione insostenibile.


Tali interessi, benché alti, erano però calmierati dalla svalutazione progressiva che la moneta subiva, perciò anche della riduzione sistematica di valore del proprio debito: se i titoli venivano attaccati la Banca d’Italia li acquistava stampando cartamoneta, perciò immettendo liquidità sul mercato e svalutando progressivamente. Ciò creava un circolo vizioso atto ad alimentare un debito (inflazionato) maggiore, ma nel frattempo favoriva l’esportazione e perciò la produzione industriale.


Il grave era che questa tecnica era usata soprattutto per accaparrarsi voti, volta quindi ad una stabilizzazione temporale del potere politico acquisito, spazzato poi via con tangentopoli.



La Grecia sarà costretta in pratica ad uscire dall’€ e dall’Ue, stando così le cose. La liquidità necessaria per non fare default è, infatti, vincolata ad una drastica austerità atta a correggere il bilancio, impossibile da sistemare con tassi tanto elevati.


Quindi: niente aiuti default certo! Fatto che la troika Ue/Fmi/Bce ha ampiamente più volte ribadito.


Tuttavia questa nazione si trova nella kafkiana situazione che non può lasciare la zona €, ma non ha neppure le risorse necessarie per rimanerci. Sarà perciò solo una questione di tempo, sufficiente a trovare la soluzione politica per lasciar andare la Grecia, in pratica costringendola ad estromettersi da sé in barba agli statuti giuridici comunitari.


Ciò creerà ingenti problemi alle banche franco tedesche, i cui stati dovranno provvedere a ricapitalizzare per non farle fallire, perché ben che vada i titoli ellenici subiranno una svalutazione secca superiore al 50%.


La Grecia, infatti, per salvarsi da sé dovrà ridurre il proprio debito dai circa 400 mld attuali ai circa 150/200 massimi.



Ciò che è possibile per la Grecia non sarebbe però possibile per l’Italia, che in pratica è troppo grande per fallire e troppo grande per essere salvata.


1.900 mld di obbligazioni sovrane – il 120% del Pil - sono, infatti, classati per circa il 45% all’estero e ciò porterebbe al fallimento certo di tutte le banche italiane ed estere, o perché direttamente detentrici del debito, o perché controparti del debito stesso.


Il problema greco è perciò quasi irrilevante per l’Ue, in quanto il pericolo vero viene dal mercato, perciò della probabile frattura che l’impatto Italia può creare su tutto il sistema.


La Bce ora ha una sola alternativa pratica, nonostante le fratture di impostazione del proprio board: continuare ad acquistare titoli italiani per mantenere i tassi bassi e battere la speculazione. Il farlo in modo virtuale non è però sufficiente, perché ciò può essere fattibile solo a breve tempo. Bisogna farlo stampando moneta e con questa acquistando titoli.


Ciò creerà svalutazione strisciante e inflazione; anche se è discutibile quanto questa possa essere elevata in un’economia fortemente depressa. L’investitore teme il default e non l’inflazione.


Tutto ciò è l’esatto contrario di quanto il rigido rigorismo di Trichet ha sempre perseguito.



In precedenza (L’Occidente verso un collasso economico e strutturale.) ho affermato:


Non conosco le motivazioni di Stark, né, ben inteso, il suo intendere l’economia/finanza nel grave momento attuale. Tuttavia se fossi stato al suo posto avrei votato contro il riacquisto dei Titoli sovrani, di qualsiasi paese questi fossero.


L’acquistare dei singoli titoli sovrani non è la risoluzione del problema, sia che ciò venga fatto in modo virtuale, perciò provvisorio, sia come regola di tutela del mercato, perciò dell’economia stessa Ue.


L’immettere liquidità coniando nuova moneta, svaluterebbe, di fatto, l’€, ma non salvaguarderebbe con benefici l’economia in difficoltà, perciò quelle attaccate dal mercato: rimarrebbero sempre deboli e non acquisirebbero vantaggi competiti su quelle forti in seno Ue. Perciò senza un sostanzioso incremento del Pil i problemi persisterebbero, come rimarrebbe immutato il singolo debito sovrano stesso.


Serve pertanto puntare su un titolo comunitario – Eurobonds – in grado di parificare i differenziali ovunque, perciò capace di concedere ai paesi in difficoltà, o attaccati dal mercato, di condurre una programmazione sicura atta sia a rientrare dal debito accumulato, sia a potenziare il Pil.


E ciò non può essere fatto se il costo del denaro, perciò del debito, può variare facilmente sul mercato, costringendo gli stati coinvolti a continue manovre correttive.



L’Inghilterra ha un bilancio statale e privato sicuramente peggiore di quello italiano e spagnolo; tuttavia ha mantenuto la sterlina come propria moneta e perciò la Banca d’Inghilterra può proteggere come meglio crede i propri titoli obbligazionari. Tant’è che il surplus commerciale è cresciuto.


Quasi ovunque il rendimento dei titoli sta scendendo, proprio perché il mercato comprende che diversamente il sistema salta, creando quella condanna autoreferenziale che si basa sulla carenza di fiducia: tassi alti corrispondono a maggiore possibilità di default, innestando di conseguenza un pernicioso circolo vizioso


La stagnazione giapponese, iniziata 2 decenni fa, fa testo in proposito con tassi continuamente prossimi allo zero.


L’Inghilterra attualmente sul titolo decennale paga il 2,5%, il Bund tedesco 1,85%, gli US Treasuries l’1,98%. Mai, dopo la seconda guerra mondiale, i tassi furono così bassi; ma Spagna e Italia superano attualmente il 6% e sono fuori dal mercato.


Se la Bce non avesse aumentato il costo del danaro il Bund oggi sarebbe presumibilmente all’1.40% circa.


Le differenze dei rendimenti attuali europei sottolineano che le varie economie hanno costi d’interessi diversi, specie là dove i paesi attaccati dalla speculazione triplicano il tasso rispetto al Bund.


È perciò ipotizzabile che oggi un Eurobonds, con la simultanea riduzione del TUS Bce, si assesterebbe ben sotto il 2%, concedendo anche alla Grecia di riprendere vigore pur con la necessaria solidarietà internazionale.



Il rigorismo morale di molti paesi è deleterio, perché porta ad un’ampia recessione: è uno stoicismo masochistico. Cosa che i governanti europei ottusamente non vedono né intendono. Il Pil della Grecia, infatti, sta viaggiando verso il -4%.


Se un deficit fiscale deve essere necessariamente ridotto, pure l’economia si contrae, perché le eccedenze tendono forzatamente a crollare.


Il privato (cittadino e azienda), infatti, davanti alla prospettiva di nuove tasse tende a risparmiare, contraendo non solo i consumi, ma cosa ben peggiore gli stessi investimenti. Perché maggiore è il surplus del settore privato, più rapidamente il privato riesce a pagare i propri debiti, perciò a ricapitalizzare anche banche e società, dando così linfa anche alle casse statali, proprio perché vi sarà un maggiore deficit fiscale di compensazione.


Diversamente sul mercato si innesta quella turbolenza finanziaria che si alimenta da sé; una fuga privilegiata di capitali verso approdi sicuri in ogni area: il dollaro negli U.S.A., la sterlina nel Regno Unito e il Bund nell’Ue.


Ne consegue che la regolazione finanziaria tra le varie aree valutarie interessate avvenga con i tassi di cambio, piuttosto che con i tassi di interesse, correggendo quindi la disparità pratica delle varie monete.


L’€, tuttavia, è l’unica moneta di una grande regione geografica che non ha un governo unico, un comune bilancio, né una collegiale strategia economica e finanziaria. Perciò è ovvio che la regolazione finanziaria non possa avvenire col tasso di cambio, ma solo con i differenziali tra le varie comunità Ue, privilegiando, di fatto, l’area forte e condannando l’area debole. Proprio il contrario di ciò che dovrebbe succedere.


Il mercato ci indica che privilegia un tasso di interesse basso, perché ciò favorisce il bilancio e l’investimento, per cui l’unico rimedio possibile è quello di tagliare i differenziali là dove sono troppo alti. Proprio perché la debolezza di uno porta al default sistematico autoreferenziale che si ripercuoterà su tutta la struttura economica e finanziaria dell’altro.


La Grecia, finché liberamente non se ne andrà, sarà una palla al piede anche delle nazioni forti, le cui banche hanno fatto l’esatto contrario di quanto il mercato indica da decenni, rischiando assai e portando il mercato a elevare in modo anomalo i tassi. I quali più crescono più fanno fuggire altrove i capitali.



Il Giappone all’inizio della sua lunga crisi ridusse drasticamente il proprio disavanzo, pensando che un decremento virtuoso e doloroso in un primo breve periodo fosse utile a ottenere una maggiore e stabile crescita nel lungo. Cosa che, in effetti, non avvenne portando il paese ad una lunga stagnazione che tuttora persiste.


La stessa cosa propone ora la Germania con alcuni autorevoli membri di governo (ministro delle Finanze), auspicando un necessario rigore dei bilanci e una salutare austerità, come se questa fosse la pena da pagare per l’espansione dei debiti contratti a suo tempo.


Una nazione, tuttavia, non potrà mai ridurre il proprio deficit, né evitare il fallimento, con una continua recessione o stagnazione. Specie se gravata da differenziali alle stelle.


Serve ai paesi in crisi avere un surplus nei conti con l’estero.


L’Ue è, di fatto, un’unione monetaria. Perciò i paesi che hanno un consistente surplus strutturale nei conti con l’estero è inevitabile che debbano finanziarie la controparte, o privatamente o pubblicamente. Diversamente i partners commerciali andranno in default, facendo crollare le loro economie e danneggiando in questo modo anche la nazione esportatrice.


Serve ben altro che il rigorismo morale tedesco e della Bce, atti solo a creare l’ottusità economica.



Si parla molto di riforme strutturali necessarie: alcune ipotetiche, altre abbozzate, altre indefinite, altre … inconcepibili.


L’unica riforma strutturale necessaria oggi è quella del mercato e di un comune titolo sovrano, perciò quella di concedere alle nazioni in difficoltà di resistere e di potersi riprendere, specie in ambito Ue. Per farlo vi è bisogno di coraggio, di altruismo, di coesione, di non addossarsi colpe pregresse e di avere un’unica strategia.


L’austerità draconiana estrema può solo innestare fallimenti inimmaginabili in tutto il sistema, portando seco gravissimi moti sociali.


Diversamente il bilateralismo Sarkosy/Merkel creerà più danni di quanto il mercato possa avere finora fatto con la compiacenza della stessa Bce, sia che si decida di assistere ancora la Grecia, sia di pilotarla verso un fallimento. E non credo che il previsto cambio tra Trichet e Draghi possa cambiare la sostanza del problema.


L’incognita non è la piccola Grecia, bensì l’Italia e la Spagna che da sole producono più del 35% del Pil comunitario, e che, guarda caso, hanno conti (bilanci) migliori di quelli inglesi.


Perché l’unica alternativa possibile oggi alla Bce è quella di rastrellare in continuità i titoli spagnoli e italiani, sperando così di vincere la speculazione e di calmare il mercato con la riduzione del differenziale. Ed è ciò che prima o poi sarà costretta a fare se non si vorrà affondare l’€. Quando e per quanto lo farà?


Ciò costerà troppo a tutti e non sarà un rimedio duraturo. L’unico rimedio sono gli Eurobonds che non possono però essere fatti senza una condivisa strategia comunitaria.


Il mercato ci dice che privilegia i tassi bassi e su quelli punta sicura la transumanza finanziaria, dando fiducia e perciò creando anche sviluppo.


Il non ascoltare il mercato sarà deleterio per tutti.









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