sabato 9 luglio 2011

Nessun "drago" ci salverà: finanziaria e mercato.



La settimana borsistica italiana è stata particolarmente turbolenta dopo l’attacco londinese di 15 g fa. I titoli non sono riusciti a rimbalzare se non brevemente, di norma continuamente attaccati da vendite allo scoperto. Perciò hanno flesso. Quasi ogni giorno vi sono stati titoli singoli selezionati per un forte attacco pianificato.



Ieri è stata ancora una giornata estremamente balorda per i finanziari con perdite tra il 5% e l’8%, nonostante lo spunto iniziale positivo.



È da annotare che le altre principali borse reggono il mercato pur con sporadici ribassi giornalieri che al massimo sono meno di 1/3 o della metà delle perdite del nostro FitseMib.



Nelle ultime 2 settimane gli indici generali han seguito questo corso:



FitseMib: 19100, 20500, 19000



Dax: 7100, 7500



Ftse: 5650, 6000



Dow: 11980, 12650



In pratica tolto Milano che ha rimbalzato e poi è scesa di nuovo sotto il minimo precedente, le altre si sono tutte rafforzate.





Il differenziale con il Bund è giunto ad un nuovo massimo sotto i colpi della speculazione, raggiungendo i 248 punti.



Vi è una costante in questi attacchi speculativi, che coinvolge simultaneamente i titoli azionari finanziari e i Titoli sovrani.



Il fatto che vi sia sempre congiunzione tra i 2 reparti significa che per bloccare gli uni vi è la necessità di farlo anche con gli altri.



È possibile? Certo. Vi è solo la necessità della volontà politica dei governi e delle banche centrali.



Il problema è un altro: i politici, nella quasi totalità, non capiscono nulla di economia e molti dei presidenti delle banche centrali o non hanno visto (previsto) il virus della crisi, o proprio – e mi pare più ragionevole (basti ricordare una datata frase di Tremonti) – non l’hanno proprio capita.



Se fosse stato diversamente oggi non saremmo in questa situazione tanto nel mercato mobiliare quanto nel Debito sovrano, perché si sarebbero subito messi in atto quei correttivi atti ad impedire il crollo finanziario/economico attuale.





La Finanziaria non piace a molti, però è necessaria e avrebbe dovuto essere identica nella sostanza corposa anche se fosse stata fatta da un governo diverso. Si potrebbe anche definire sostanzialmente equilibrata.



I conti italiani son quelli che sono, anche se guardandoci in giro siamo in buona compagnia: urge correggerli nel Debito sovrano per evitare il disastro.



Si può discutere sulla modalità, ma non sull’importo. E con queste cifre il reperire risorse per rilanciare la produzione, perciò il Pil, è solo utopistico.



Una manovra di tali dimensioni venne fatta circa 2 decenni fa dal Governo Amato (90.000 mld £), anche se, a differenza di quella, questa è spalmata sul quadriennio 2011/2014.



Le economie occidentali per la necistà di correggere i conti resteranno deboli per lungo tempo.





La Bce ha alzato ancora di 1/4 di punto il tasso, aumentandolo del 50% rispetto ad inizio anno.



Si teme - a detta di Trichet – la crescita dell’inflazione; però negli Usa la Fed dichiara che lascerà ancora a lungo il tasso stabile, cioè a zero, pur con problematiche uguali alle nostre.



L’uso del tasso e l’inflazione devono essere una fissa del presidente Bce e dei suoi collaboratori: forse una scelta obbligata (miope) per un univoco modo di vedere l’economia, il costo (oscillazione) delle materie prime e i mercati.



Per l’Italia un tale aumento significa ben 9 mld € in più di soli interessi passivi; e se, come sembra, vi sarà un altro identico aumento entro fine anno andremo a 13,5 mld €. Di questo passo serviranno altre finanziarie correttive e non solo in Italia.



Draghi ha approvato la finanziaria e lo farà pure l’Ue. C’è però da annotare che di approvazioni similari in questi ultimi tempi ve ne sono state molte, senza però che queste abbiano risolto il problema alla fonte: i mercati e i conti continuano a peggiorare nei vari stati.



Interessante sarebbe avere i dati ufficiali su quanto ieri la Bce abbia immesso sul mercato per contrastare l’attacco ai Titoli sovrani italiani.





Pare che molte dichiarazioni più che essere spontanee siano messaggi trasversali di intenti per calmare la furia ribassista.



In questi giorni alti esponenti istituzionali hanno pure attaccato le società americane di rating con dure prese ufficiali, non modificando nulla allo stato delle cose.



Si ricorda che già all’inizio della crisi si vociferò sulla costituzione di un’apposita società europea per spezzare il monopolio americano: cosa mai avvenuta.



Perciò è chiaro che vi è un’incapacità procedurale e organizzativa impressionante.



L’attacco (accusa) a Strauss-Kahn - per quanto l’uomo possa essere patologicamente soggetto - indica che ad alti livelli si è più interessati alla suddivisione delle mansioni che al valore del prescelto, viste anche le pressioni esercitate su Bini Smaghi.





Giulio Tremonti – e mi trova in grande disaccordo – ha introdotto una patrimoniale spuria: il notevole incremento di bollo sul c/titoli.



La tassa, se non verrà rettificata in Parlamento, dai 34,20 € annui attuali raggiungerà l’anno prossimo i 150 per importi inferiori ai 50 ml e 380 per importi superiori.



La trovo particolarmente odiosa perché non colpisce il reddito, ma solo il materiale possesso di un semplice c/titoli.



Sarebbe stato più giusto, nel rispetto della costituzione sul dovere contributivo in base al reddito prodotto, che vi fosse stata o una patrimoniale secca sul capitale posseduto, oppure un aumento dell’imposta sul capital gain.



Il colpire con 2 soli scaglioni il semplice possesso di un c/titoli rende pesante la tassa per chi ha poco, e quasi nulla per chi ha moltissimo.



Ecco perché la ritengo iniqua!



Dai conti inseriti nella finanziaria dovrebbe produrre un gettito di 8 mln €; su 51 mld è in pratica risibile e quasi insignificante.



Porterà, pertanto, molte persone o ha unificare c/titoli aperti in banche diverse, oppure a chiudere posizioni minime che verrebbero mangiate dalla tassa stessa. Basti pensare ai piccolissimi azionisti di banche popolari o di credito cooperativo.



Ciò indirizzerà i piccoli risparmiatori a lasciare anche l’investimento in titoli sovrani, essendo più il dare che l’avere.



Creerà, pertanto, un contraccolpo al rifinanziamento periodico del Debito sovrano, anche se ciò sarà solo d’immagine e non sostanziale, perché verrà comunque assorbito e garantito dai grandi gruppi finanziari; ma, appunto per questo, ulteriormente soggetto ai grandi attacchi speculativi che pure in questi ultimi tempi hanno coinvolto in modo referenziale i nostri titoli sovrani.





Elevare l’imposta sul capital gain oggi non avrebbe prodotto molto per una ragione precisa: i titoli si sono fortemente deprezzati e perciò l’investitore (privato o istituzionale) all’atto del realizzo sarebbe stato in perdita. Reddito in perdita tassa zero, a rendere su profitti futuri.



Osservando il fluttuare dei diagrammi di alcune big finanziarie si ha:



Unicredit: quotazione primavera 2007 6,1 – aprile 2009 0,85 – luglio 2011 1,23 - rimbalzo massimo avuto 2,60.



Banco Popolare: rispettivamente 15,10 – 1,38 – 1,42 – 5.



Ubi: rispettivamente 21,5 – 5,50 – 3,58 – 12.



I titoli hanno perciò perso moltissimo con punte anche oltre l’80%. E se non vi sono state perdite pregresse si può tassare solo l’utile intraday.



Tassare gli investitori/speculatori esteri, operanti da piazze diverse, è improponibile, anche perché operanti su regimi fiscali diversi.



Perciò: i danni (perdite e imposta c/titoli) agli italiani e il valore aggiunto agli altri, compresi eventuali capitali nostrani operanti in dislocazioni estere.



Ciò che però rende pochissimo oggi potrebbe tornare utile in futuro se si volessero mettere in atto quei correttivi adatti a trasformare il mercato borsistico da quasi solo speculativo a investimento e potenziamento patrimoniale delle aziende.



E la stessa cosa vale per il Titolo sovrano.





Vi sono 2 riforme strutturali importanti e a costo zero che possono salvare l’Ue e le nostre economie (mercati) prima che finiscano nel baratro.





La prima è quella di proibire per sempre la vendita allo scoperto (e tutti quei marchingegni atti ad aggirarla come lo short selling). In questo modo l’oscillazione di mercato sarebbe soggetta solo ad operazioni realmente in essere e non virtuali.



E mi spiego meglio.



La tecnica che di norma gli speculatori usano è quella di controllare un book di almeno 20 livelli. Ma le grosse società ne hanno anche di oltre 100 o impostabile a valori predefiniti.



Poi, con un semplice click il sistema indica la quantità di bid o di ask, perciò della totalità di azioni in acquisto, o di vendita, situate in un determinato range che si voglia pianificare.



E su ciò ci si basa per effettuare l’attacco ribassista.



Avendo la somma dei titoli in acquisto è ovvio che per far precipitare la quotazione ci voglia almeno un’analoga quantità in offerta.



Quantificata questa si sa già quanto il titolo potrà scendere e se andrà in sospensione per troppa volatilità (eccesso di ribasso).



Avuta la sospensione la trattazione si ferma per 15’ e si riparte con la stessa metodologia dell’apertura e della chiusura.



A questo punto basta bilanciare l’offerta in vendita con analoghe quantità di quelle che possano sommarsi in acquisto, imponendo alla fluttuazione del titolo un determinato range al prezzo corrente, che è quello derivante tra il miglior bid e il minor ask.



Fare un’offerta non significa necessariamente comprare o vendere. Lo diventa solo se in quel momento si accetta il prezzo praticato.



Lanciare offerte di vendita di grandi quantità di titoli, anche se a livello superiore di quello trattato, non sarebbe possibile se la vendita allo scoperto venisse abolita, per il semplice motivo che ad un’offerta dovrebbero corrispondere un’analoga quantità di titoli materialmente posseduti, proprio come ad una certa quantità di titoli in acquisto dovrebbe corrispondere un’analoga disponibilità liquida.



Verrebbe perciò eliminata quella causa di pressione che impedisce una corretta oscillazione naturale del titolo.





La seconda è quella di eliminare i titoli sovrani nazionali, convertendoli in analoghi titoli Ue.



L’operazione è tecnicamente possibile a patto che poi l’emissione dei vari titoli utili a finanziare il Debito sovrano sia vincolata al benestare (nulla osta) di un’apposita commissione Ue/Bce, titolata a vigilare in modo che non vengano emessi bonds oltre il bilancio consentito.



Avendo già ora le varie nazioni Ue la stessa moneta, è ovvio che per necessità comunitaria i debiti (bonds) altrui debbano essere garantiti anche dagli altri stati. Lo è già stato per Grecia, Irlanda e Portogallo con i vari interventi di salvataggio.



Diversamente l’Ue e l’€ si sarebbero già dissolti.



Attaccare un Titolo sovrano comunitario sarebbe molto più difficile che violare i singoli Titoli nazionali; oserei dire quasi impossibile, specie se anche qua l’offerta di vendita dei titoli dovesse essere vincolata al reale possesso.



Si taglierebbero le mani alla speculazione!





I mercati ne trarrebbero giovamento e l’investimento diverrebbe reale perché, solo allora, l’andamento dei diagrammi dei vari titoli mobiliari sarebbe soggetto non agli umori dei mercati (attacchi speculativi referenziali), ma solo ai dati macroeconomici che l’Ue e le varie aziende saprebbero esprimere.



Un grande beneficio economico si otterrebbe dall’ovvia riduzione e appiattimento dei tassi passivi, la cui somma potrebbe essere investita nel rilancio e nel potenziamento della produttività.



Ovviamente le nazioni più ricche si opporranno a queste semplici riforme strutturali, intente come sono a coltivare il loro orticello, anche se poi su quello giunge la grandine delle tempeste (sostegno finanziario per evitare il default) speculative che affossano le quotazioni e che impoveriscono il patrimonio di tutti.



Credo che per le nazioni ricche il dover pagare un tasso leggermente superiore di quello attuale sui propri Titoli sovrani possa essere ampiamente ripagato dalle somme comunitarie che ora si debbono addossare per impedire il default degli stati in pericolo.



Perché, checché se ne voglia dire, la Grecia è praticamente fallita, non essendo più in grado di far fronte alla restituzione dei bonds in scadenza emessi.



Che poi si voglia parlare di formalizzazione volontaria del debito greco da parte dei privati (banche), piuttosto che di forzosa ristrutturazione, questo è solo un cavillo discorsivo che in pratica sancisce il fallimento reale di quello stato e degli altri che navigano in similari acque.



Le società di rating americane avvertono che una tale formalizzazione/ristrutturazione equivale ad un vero default. E, su ciò, ne do pienamente atto.



Ciò, tuttavia, non cambia la sostanza delle cose, né potrà in alcun caso risolvere il problema, ma solo procrastinarlo.





Tremonti già tempo fa propose l’emissione di Eurobonds per rilanciare lo sviluppo.



Ciò può essere utile; ma, con tutto il rispetto per Giulio Tremonti, se i titoli sovrani nazionali non saranno convertiti tutti e presto in Eurobonds, lo sviluppo sarà solo quello del default generalizzato dei vari stati, destinati a cadere sotto i colpi della speculazione finanziaria e dei propri Debiti sovrani.



L’attuale finanziaria, pur se criticabile in alcuni particolari, deve essere considerata una responsabile, equa e doverosa, oltre che coraggiosa, presa d’atto delle nostre impellenti difficoltà non più procrastinabili. Può essere odiosa come tutte le finanziarie restrittive.



Servirà comunque a ben poco se l’attuale classe politica non recepirà il messaggio che proviene dai mercati e se penserà anche per il futuro – maggioranza e opposizione accomunate – nel singolo interesse di bottega.



Ecco perché nessun “drago” ci salverà, neppure se tra poco Draghi assumerà la presidenza Bce.



La Bce finora ha tamponato solo il problema in conserva con gli stati membri; non è stata però capace di risolverlo.



Ne, proseguendo sulla stessa riga, lo saprà risolvere.

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