domenica 29 marzo 2009

L'ignoranza del concetto di laicità e di etica in democrazia.

Al congresso del PDL, ieri, è echeggiata sinistramente questa frase:

Siamo proprio sicuri, amici del PDL, che il DDL sul testamento biologico approvato al Senato sia davvero ispirato alla laicità? Perché una legge che impone un precetto è più da Stato etico che da Stato laico.”.

E se la confrontiamo con quest’altra, sempre dello stesso personaggio, di sole 24 h prima, il computo è subito fatto:

È davvero sbagliato irridere le regole …”.

Anche se, onestamente, ignoro quale possa essere il precetto in uno stato democratico, se non quello, unico, di rispettare le leggi democraticamente approvate in Parlamento, che piacciano o no.

La laicità è una tendenza ideologica che sostiene la piena indipendenza del pensiero e dell’azione politica dei cittadini dall’autorità ecclesiastica. Perciò è l’atteggiamento di chi si oppone ad interferenze della gerarchia ecclesiastica negli affari civili.

L’etica, a sua volta, è l’insieme delle norme di condotta pubblica e privata seguite da una persona, o da una comunità di persone, nel rapporto interpersonale sociale.

Il Parlamento non dipende dalla Chiesa, né è un suo organo subalterno: è l’espressione elettiva e democratica del Popolo italiano, pur con i limiti e i vincoli di una democrazia ancora in cammino e perciò imperfetta.

Ma forse, chi ha pronunciato le due frasi, crede di essere al servizio del Vaticano nella sua carica istituzionale?

Perché è ovvio che se il giorno prima uno si arroghi il diritto di difendere le istituzioni, dal pensiero personale di chi ricopre un’altra alta carica dello stato, non può il giorno dopo attaccarne a suo uso dialettico una, il Senato, che ha democraticamente legiferato su un tema specifico.

Tutto ciò indica una chiara confusione intellettuale che oggi è assai comune anche ai vertici istituzionali, dove l’interesse e la posizione individuale tende ad essere scambiata per un doveroso precetto sociale.

Il cittadino risponde ad una sua morale, la quale è correlata strettamente ad un’etica comportamentale.

Nelle democrazie avanzate occidentali dei gruppi politici si fronteggiano e si alternano al potere, confrontandosi su tematiche diverse, o similari, e su queste raccogliendo il consenso elettorale.

Il Testamento biologico è una di quelle tematiche che non possono essere concepite e ideate se non nell’applicazione di una certa morale, quindi anche di un’etica comportamentale. Ed è ovvio che questo argomento debba avere un “sentire” nazionale suffragato dalla maggioranza democratica dei cittadini.

Ciò dovrebbe essere considerato pure al vertice, giacché la maggioranza che ha approvato (per ora in modo provvisorio) un tale DDL è ampia e non solo della Maggioranza. Anche chi ha votato contro condivide molti punti e le varie votazioni sugli emendamenti trasversali lo provano ampiamente.

Dire, pertanto, che “Perché una legge che impone un precetto è più da Stato etico che da Stato laico”, è non solo un’enorme forzatura democratica all’operato del Senato, ma anche una grande baggianata culturale e dialettica.

Forse, come hanno sottolineato molti, anche politici, una grande furbata.

Cosa si intende per Stato etico e Stato laico? Credo che Fini farebbe bene a spiegare il suo concetto in proposito, considerato il suo procedere politico precedente alla sua adesione al sistema democratico.

Ed è importante sottolineare che proprio tale sistema gli ha concesso, da una parte, di procedere nella sua militanza in una formazione ideologicamente totalitarista e sconfitta dalla storia, e poi di traghettare il suo movimento verso la democrazia.

Vi può essere uno Stato laico senza che abbia un’etica? Sì se lo si vincola al concetto personale verticistico dell’esponente di turno, no se per Stato si intende l’insieme delle forze sociali che lo compongono.

Perché nel primo caso l’intendimento del vertice diventa necessariamente l’etica laica di tutti, ma allora si è nell’autoritarismo totalitarista; mentre nel secondo si ha un’etica democratica basata sulla concezione personale della maggioranza dei cittadini di scegliersi le regole non solo civili, ma pure comportamentali, compresa quella di aderire ad un preciso intendimento religioso, pur se indicato da una Gerarchia ecclesiastica che è, anch’essa, parte sociale in causa nella società.

E la democrazia, come ha garantito al MSI una partecipazione alla vita politica quale minoranza, ha il compito primario di procedere secondo ciò che è l’intendimento della maggioranza degli elettori, specie sui problemi etici esistenziali.

L’avanzare riserve su un DDL, che è sempre perfettibile, è concesso a titolo individuale in un dibattito politico; però è opportuno il rispetto della regola democratica che impone l’esatta concezione della terminologia usata nel rapporto istituzionale tra i vari organi deliberanti.

In pratica il concetto di Democrazia impone l’accettazione della delibera effettuata anche se contrari ad essa, pur salvaguardando il diritto di ognuno di battersi perché quella stessa delibera/legge venga perfezionata o abrogata.

La formula di rito, ad ogni votazione di ogni singola legge, dichiara: “Il Senato (o: la Camera) approva!”, perciò il Popolo italiano tutto.

Non si dice: la maggioranza approva, oppure, la maggioranza e la tal minoranza parlamentare approvano.

Personalmente ritengo il DDL sul Testamento biologico una di quelle leggi inutili che Calderoli potrebbe benissimo eliminare insieme alle altre 39.000. Per me, ma non per altri.

Ciò significa che qualsiasi contenuto questa abbia, burocratico o limitativo, non mi coinvolge affatto, sapendo benissimo cosa fare della mia vita e del suo corso naturale senza che altri me lo dettino.

Questo mio incedere è collegato ad una morale personale e dunque ad un’etica del sapere comportamentale, senza la quale la regolamentazione statale sarebbe necessaria.

Vi sono problematiche che fanno parte del vivere sociale ed altre che coinvolgono anche la sfera personale.

Questo DDL è nato dall’esigenza di salvaguardare la vita individuale dall’eccesso che altri possono operare, a nostro discapito, in casi particolari. Ed è sorto impellente sul caso, non unico, della ragazza lecchese, amplificato nel suo significato dalla volontà del genitore di dare pubblico risalto al caso.

Il caso precedente di Welby era assai diverso perché coinvolgeva un assenso personale, paragonabile, per eccesso di paradosso, ad un comune suicidio.

La legge, ovviamente, non concede il suicidio, ma nella pratica questo è largamente tollerato, anche perché spesso il “reo” è deceduto e, dove questo non è avvenuto, ha bisogno del sostegno della comunità per riprendere il proprio cammino. In pratica non si procede legalmente contro la vittima, che è pure il carnefice.

La problematica inerente alla vita individuale pone una scelta di vita morale e quindi di una specifica valutazione comportamentale etica. È un grande problema antropologico!

In Italia si è già avuto l’aborto; ma questo è da considerarsi un fattore che pone la preminenza dell’essente sul nascituro. In pratica una scelta egoistica di comodo, perché l’addiveniente risulta soccombente all’esistente. Prima “Io” e poi … eventualmente gli altri.

Il fine vita (morte), coinvolge invece l’essente stesso, perciò la singola persona giuridicamente già riconosciuta.

Diversa è la posizione del feto che non ha ancora importanza giuridica sociale se non dopo la nascita stessa. Perciò la concezione religiosa rimane confinata nella sfera dell’intendere individuale.

Ben si capisce, perciò, che la morte, perché di questo, in effetti, si tratta, viola il principio dell’esistere se giunge per “mano”[1] altrui, ponendo in essere non un’etica religiosa, ma un’etica sociale, appunto perché si sostituisce alla nostra volontà.

Se ne deduce, quindi, che il cittadino stesso intenda la sua vita come un bene da salvaguardare, perciò da collegare ad un’apposita etica sociale.

Ecco, dunque, perché uno Stato laico deve necessariamente essere anche uno Stato etico, assecondando democraticamente la volontà della maggioranza sociale. Diversamente l’entità giuridica di Stato sarebbe preminente alla persona, quindi sostituirebbe la democrazia con il dispotismo burocratico, o, talora, con il totalitarismo.

Ogni legge, spesso anche la più inutile, è collegata ad una concezione etica.

Senza morale ed etica non vi può essere Democrazia, ma solo anarchia: quell’egoismo particolareggiato che dà alla Persona l’autorità di fare qualsiasi cosa; ma, appunto per questo, lede inevitabilmente il diritto degli altri cittadini.

L’anarchia, oltre ad essere un’utopia, che cos’è se non la legge della giungla e lo svincolare la persona da ogni autorità, perciò da tutti gli altri essenti?

La Vita, checché ne pensi Fini, non è un affare civile, bensì personale: è uno di quei beni non negoziabili, principio assoluto, che viene vincolato all’essente, perciò al diritto di esistere della persona. È un’esigenza universale e non religiosa o ecclesiale.

Qualcuno, ovviamente, per considerazioni proprie, talora anche dolorosamente affettive, supera lo steccato del diritto altrui, ammantandolo come proprio dovere: si arroga il diritto di decidere per un altro.

Si è creato un problema antropologico nel quale la Giustizia si è inavvertitamente avventurata a deliberare, usurpando, di fatto, anche se solo momentaneamente, un vuoto politico.

Stante questa importante problematica, la maggioranza parlamentare sta deliberando su un’etica largamente condivisa a livello nazionale, piaccia o non piaccia.

La vita, perciò anche la morte, non è una concezione ecclesiastica, ma un dato reale. La vita, infatti, si svolgerebbe comunque anche senza la gerarchia religiosa.

Affermare, per derivazione dialettica, che un tale DDL non sia davvero ispirato alla laicità, ma solo ad un precetto di uno Stato etico è umanamente e filosoficamente fuorviante.

E lo è maggiormente se lo afferma, pur se individualmente, la terza carica dello Stato.

A meno che si analizzi l’incedere progressivo, culturale ed operativo di ogni persona, soffermandoci sui quei particolari di laicità che gli hanno concesso di fare il proprio comodo e interesse personale, talora sostituendolo ai patti liberamente sottoscritti con terze parti.

Perché, come diceva un detto sapienziale dei nostri vecchi, è solo l’asino che non cambia mai.

E una società evoluta ha il dovere di tutelare i suoi cittadini da possibili abusi in situazioni particolari, specie su quelle tematiche esistenziali e antropologiche che, in menti non preparate, pongono dubbi e interrogativi quasi umanamente insormontabili.

A meno che, se mi è concesso, la Società non voglia essere l’asino che non cambia mai, dando adito ad uno Stato laico che sfiora l’anarchia operativa, dettata dall’egoismo contingente; quando non sostituisce questa (l’anarchia) con il totalitarismo.

Ma ciò avviene solo se non si rispettano le regole democratiche: quelle che consigliano a tutti di attenersi alle disposizioni approvate dal Parlamento, specie se ottenute con parte dei voti dell’opposizione.




[1] - In quanto, comunque questa avvenga, è indipendente dal volere momentaneo della persona coinvolta, perciò soccombente.

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