Dopo aver pensato e … viaggiato, cerco di darti una risposta.
Ovviamente è positiva; perciò mi cimenterò in un ruolo per me inusuale: il contradditorio costruttivo!
Vorrei partire, per questa volta, onde avere un vantaggio discorsivo, dal tuo ultimo testo “Il ritorno.”.
Tu, Kärl, non sei un personalista e neppure un individualista: sei indefinibile e senza punti precisi di riferimento, fuori dalle comuni dimensioni geometriche e temporali.
Ciononostante esponi problematiche che si rifanno al personalismo, quindi basando il tuo discorso (nel post) sulla preminenza della Persona sullo Stato e pertanto, di riflesso, anche sull’autoritarismo, che non è necessariamente identificabile con la sua degenerazione, cioè il totalitarismo.
Non ho mai apprezzato molto il personalismo, perché questo, come ben sai (e non lo dico per insegnartelo – me ne guarderei bene) è nato in un momento buio della storia, ed esattamente proprio in concomitanza alla grande recessione del ’29. Era la risposta del pensiero cattolico, ancora incompleto, ai fascismi.
Ne parlo appunto perché tu inquadri il discorso sulla situazione attuale, legandola alla crisi di valori e principi e sottolineando che “Dobbiamo operare per costruire una nuova società e non sulle regole, ma sulla comprensione etica che il rispetto delle stesse è fondamentale per procedere.
Per fare ciò abbisogna non tanto cambiare i principi e i valori che i nostri avi ci hanno tramandato, bensì il recuperare la loro essenza in consonanza agli impegni che stiamo vivendo.
I valori e i principi sono, infatti, universali, pur dovendo essere adattati ai tempi.”.
Tutto ciò, credo, porta alla filosofia del personalismo, prettamente cattolica, tant’è che sia Wojtyla che Ratzinger possono essere catalogati come papi personalisti, anche se fenomenologici e con diversità importanti tra loro.
So, tuttavia, che il tuo pensare non è da credente, ma unicamente da multiculturale, traendo il meglio dalla capacità universale di comprendere appieno le culture nel legame con le esigenze.
In via teorica posso condividere l’impostazione del tuo pensiero, ma non le sfaccettature dominanti che la contraddistinguono.
Una cultura, come tu affermavi anni fa (cito a memoria parafrasando, e mi scuso se sarò imperfetto nella terminologia), non può mai essere vincolata e veicolata al contingente, perché questo la imprigiona in una struttura che la riduce a necessità sillogistica. Essa è universale nei principi, ma non nei valori che sono diversi nel relazionarsi ad ogni civiltà.
Il personalismo, in verità, trae la sua origine come diramazione esistenziale fideista della fenomenologia hegeliana e già Marx e Kierkegaard sono personalisti, anche se vanno su strade diverse.
Il vero personalismo, a mio parere, nasce tuttavia nella centralità platonica, quindi nella dialettica greca. I Dialoghi di Socrate, scritti da Platone, si basano sul “conosci te stesso”, perciò sulla centralità dell’essenza di persona rispetto al circostante. La conoscenza interiore necessaria e basilare per comprendere e relazionarsi all’esistente!
Il Cristianesimo[1] porta questa definizione verso l’individualismo egocentrico, ponendo l’uomo come creato dell’Essere supremo, Dio quasi personale che dona la libertà totale anche di peccare.
Ovviamente riconosco la peculiarità della persona libera e creatrice, ma non quella della sua centralità propria del personalismo cristiano e dell’attuale cultura teologica, che la pone come valore assoluto.
Un valore assoluto, infatti, rende il concetto di Uomo/Persona come individualismo egocentrico; ed è appunto in parte una negazione escatologica e ontologica dell’Essere, vincolandolo al creatore che è solo teorico e indimostrabile, dipendendo dal concetto di fede.
In pratica viene a mancare la logica del sillogismo, come Häbsburg[2] dimostrò perfettamente demolendo il divenire hegeliano dell’Essente, collegato all’A = A e derivazioni.
E. Mounier, a proposito, afferma:
“Il personalismo … svolge un ruolo preciso contrapponendosi a tutto ciò che si oppone alla realizzazione del compito personale. Si caratterizza … come “anti-ideologia”. L’ideologia è la controfigura della persona … il personalismo è … un’aspirazione speculativa, una direzione intenzionale del pensiero fortemente connessa con l’attività pratica e a spiccato rilievo esistenziale”.[3]
Considerato tutto ciò preferisco il personalismo socratico/aristotelico a quello cristiano, perché considera l’uomo una monade[4] sociale che deve relazionarsi agli altri monadi/persone nel rispetto della libertà di una legge basata sì su valori universali, ma appunto per questo democratici e contingenti alla cultura e all’esigenza.
L’uomo, pertanto, non ha la libertà di peccare, perché questa libertà è una degenerazione sia del suo essere persona sia della società.
Il concetto che si pecca contro Dio è relativo, giacché non si pecca mai contro un’ipotesi esistenziale escatologica, ma solo contro il creato, altrimenti il tutto può essere condotto al nichilismo massimalista e giustificando il totalitarismo come necessario all’uguaglianza. E a nulla vale l’esistenza della Bontà/Misericordia divina che perdona nel suo grande amore, perché ciò crea un conflitto con la giustizia.
Il detto luterano “pecca fortius, ama fortiter” è il personalismo individualista egocentrico esasperato per eccellenza, perciò la negazione stessa sia dell’uomo, sia di Dio.
La società, e pure la Chiesa, si basa su regole, quindi su leggi che si ispirano a Principi e Valori che sono universali solo se catalogati in una determinata cultura, quindi ideologia. Devono essere recepiti, compresi e condivisi per esserlo.
Lo stesso Cristianesimo è un’ideologia del vivere sociale e questo è il primo grande limite non del personalismo socratico/aristotelico, ma di quello cristiano di Mounier e Maritain. Si rischia di ridurre tutto al fenomenologico e all’egocentrismo individuale puro.
La società è un insieme di Persone che dovrebbero essere in teoria paritetiche, anche se nella realtà non lo sono per differenze sostanziali di stato, capacità e potenza.
Non può esistere un’anti-ideologia, perché o questa è la negazione dell’ideologia, quindi il suo contrario, oppure è un’ideologia essa stessa.
Il pensiero di Mounier è, pertanto, viziato all’origine e un controsenso esistenziale, proprio perché pone nella centralità dell’uomo un’ideologia specifica. È un sillogismo logico apparente che contrasta, nel suo errore d’impostazione, con la logica del sillogismo.
I Principi e Valori sono universali relativi; diventano assoluti se inglobati in uno specifico mondo.
Ne consegue che l’uguaglianza del diritto alla centralità della Persona rispetto allo Stato deriva dal fatto che lo Stato è un insieme di persone, le quali, nel rapportarsi volontariamente, creano unione, quindi forza. E questa forza dà ad un essente giuridico – lo Stato – il valore di persona giuridica, appunto perché scaturisce da una legge che si basa su un valore, che è pure un principio, di necistà organizzativa ed esistenziale.
Mi pare di comprendere appieno il tuo discorso se inquadrato in questo modo.
Allora “Il diritto non è un bene inalienabile, bensì la conseguenza del dovere: il diritto nasce dal dovere del rispetto reciproco.” assurge a quella realtà di Principio condiviso, perciò di Valore universale che nel “recuperare la loro essenza in consonanza agli impegni che stiamo vivendo” si richiama alla continuità dei concetti, pur nella correzione sistematica del nostro intenderli.
La nostra è una società basata su una cultura cristiana; ma la degenerazione del rapportarsi sociale ha affossato i principi e i valori condivisi in una corsa al benessere dettato dal consumismo.
La “ricchezza”[5] la si gode e la si percepisce appieno solo se la si condivide con altri, altrimenti diventa un’ossessione personale che ci rende oggetti di un concetto astratto.
Ed è proprio su questo principio che si instaura l’uguaglianza nella diversità, tramite il relazionarsi nella condivisione ideologica.
Ed è su questo, se ho ben interpretato il tuo pensiero, che bisogna lavorare per costruire una società che non è vittima della recessione, ma solo di sé stessa e di quel personalismo esasperato che è diventato individualismo egocentrico.
4 commenti:
Il commento non è una risposta, né il prosieguo del discorso.
È solo l’epidermica riflessione alla lettura del tuo profondo articolo, sicuramente da simbiologo che si incarna nel filosofo.
Mi piace!
La prima cosa che mi ha colpito è il collegamento, che non ritengo casuale, tra la recessione del ’29 con lo svilupparsi del “personalismo”.
La seconda, maggiormente importante e che affossa il personalismo, è la tua citazione di una mia frase, parafrasando la quale costruisci la differenza sostanziale tra il Principio e il Valore.
Li dividi amplificandone il significato, ma nello stesso tempo li colleghi alla civiltà della cultura nella correlazione dell’ideologia.
Condivido il tuo giudizio/idea sul personalismo e, pur sottaciuto nel discorso, trovo in questo la decadenza non solo del cattolicesimo, ma anche della società.
Ti raccordi alla dialettica socratica/aristotelica cogliendo nell’origine la potenzialità, ma pure l’eventuale degenerazione futura del pensiero basato tutto sull’uomo, il quale, nel procedere, crea entità astratte che poi sono in grado di strumentalizzarlo.
Benvenuto Sam!
Il “Ritorno” sia proficuo per entrambi.
Kärl Fϋnfte
Aspetto con gioia le analisi di Karl e quelle di Sam. Il ritorno è già molto interessante. Personalmente preferisco modalità diverse e più dirette di incontro culturale. Il rapporto Sam Karl mi risulta complesso da percepire e quindi da accettare. Io purtroppo non sono tra coloro che potranno capire tutto ciò che Karl o Sam elaboreranno e non credo nemmeno di rientrare nel loro target comunicativo. Tuttavia spero di poter accedere e comprendere almeno quello che può illuminare il cammino anche di chi non è sul crinale del mondo ma sul belvedere, più in basso, tuttavia davanti ad un panorama che rischia di diventare confuso. Un nebbione fatto di troppe cose offusca la vista.
In altre parole mi auguro di avere lumi come Karl e Sam sanno dare specie se in pariglia, su molte cose. E’ importante: pochi, oggi, pensano e sanno vedere. Se si trovano occorre seguirli con passione.
Grazie.
Ho fatto molto fatica a recepire l’articolo nella giusta impostazione, forse perché la filosofia non è il mio forte e i concetti, nelle frasi, sono spesso stringati.
Personalmente credevo che il personalismo fosse una corrente di pensiero positiva, ma il suo procedere nella distinzione tra i vari personalismi, specie tra quello del fedele e della gerarchia, mi hanno spiazzata.
Ho cercato di approfondire la materia e intendo il suo discorso, anche se vedo in parte lontano.
Grazie, Sam, per offrirci spesso analisi e procedimenti inglobati nel periodo storico con una modalità non … alla moda del pensare conformista d’oggi, ma tanto significative che poi uno si dice: ma era tanto semplice che …
Gradirei, e di sicuro molti altri lettori, un approfondimento ulteriore.
Leggendo non mi sono meravigliato affatto della sua analisi e relative conclusioni.
Sicuramente non condanna il personalismo, bensì ne mette in risalto le possibili e sicure degenerazioni tanto nel fedele che nella gerarchia. Ha messo il dito nella piaga!
Credo che questo articolo, oltre che critiche, le produrrà qualche malumore … lontano, anche se lei non se ne curerà affatto.
Ho notato che sta creando un binomio interessante con Kärl Fϋnfte e attendo con curiosità l’evolversi del discorso tra voi due.
Vorrei solo ricordare un breve ma intenso trattato teologico di Kärl, che varrebbe la pena di leggere anche se scritto in tedesco. È degli anni novanta, credo; ma già allora metteva in risalto il contrasto tra la dottrina teologica storica della chiesa con la corrente di pensiero e l’impostazione attuale.
In “Patristisch und Personismus” così Kärl concludeva:
“Es erscheint deshalb der unheilbare Widerstand zwischen die Dogmatik von das patristischen und die philosophische Strömung des aktuellen personismus klar.“
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