venerdì 25 dicembre 2020

Non abbandonarci alla tentazione.

Tempo fa venne in visita da me Sesac; e mi consegnò questo racconto che pubblico, come sempre, assai volentieri. Lo aveva composto lo scorso anno e facendomi visita prenatalizia era intenzionato a darmelo; ma per puro accidente gli rimase nella borsa. Sicché, avendomelo riportato, lo pubblico ora.  Tratta, come consuetudine, della vita degli animali della foresta e dei fatti di un tempo che fu.

Colgo l’occasione, in particolar modo per questa festività bersagliata dal Covid-19, per porgere a tutti i lettori i miei più sinceri auguri di

 

Buon Natale e felice Capodanno!

 

Sam Cardell

Tratto da “i Dialoghi” di Sesac

Non abbandonarci alla tentazione.

 

 

La notte era già calata da tempo, favorita in ciò dal solstizio invernale.

S’era alla vigilia di Natale. Di uno di quei natali che si rincorrono periodicamente quasi alla fine d’ogni anno solare. Un tempo per la gioia interiore di grandi e piccini; ora, quasi per la sola felicità di molti stomaci e degli affari di innumerevoli aziende, anche se la crisi mordeva il portafoglio di tutti.

 

Leone aveva avuto una di quelle sue mitiche giornate che ormai lo prostravano nel fisico, ma lo ringalluzzivano nella mente, rendendolo partecipe d’essere una persona anomala: molto atipica, e sfuggente a ogni comune considerazione.

Da tempo, infatti, stava eseguendo lavori in casa propria; che benché per lui fosse una piccola badia, per gli altri era un grande appartamento di oltre 200 mq calpestabili.

Da oltre un anno procedeva nei lavori, intramezzati da lunghe pause per via degli acciacchi fisici che da oltre un lustro lo avevano colpito. Colpito, ma non prostrato o ridotto a miti consigli.

Di ciò spesso la Leonessa ‘rompeva’, in ogni senso: sia per la casa ch’era un cantiere, sia per l’impegno fisico cui Leone si sottoponeva, nonostante il suo stato. Anche se Leone rammentava in sé pure il mugugnare di lei, quando gli aveva ribaltato un paio d’anni prima la casa etrusca; tanto che quella temette seriamente d’essere … rimasta senza dimora. Salvo poi riprendersi quando se la vide rinascere … totalmente nuova. Ripresasi sì, ma comunque scioccata dal pericolo … corso. Perché, in sostanza, la Leonessa ignorava, come Tommaso, le capacità reali di Leone: non ci credeva finché non ci sbatteva il naso. E pure anche dopo.

Era tuttavia lontana, anche se ormai prossima all’arrivo.

Leone aveva due massime, di cui la seconda era sequenziale alla prima: a) la casa dev’essere al mio servizio e non io schiavo a questa; b) in qualsiasi stato questa sia, se uno vuole vi entra, se non gli sta bene se ne stia pure fuori.

Per la Leonessa, invece, era più importante il decoro. Quel decoro fine agli altri e non a sé stessi, perciò all’apparire diversi da quel che si è.

 

Fuori il borgo era un brusio di gente che andava e veniva per il presepio vivente, bighellonante come solo i beoti in attesa della novità fantasmagorica sanno fare.

In giornata, molte persone indaffarate avevano impiastricciato alla carlona le antiche vie, rendendole quasi un … cesso di paccottiglia. Un kitsch miserevole che però inorgogliva il druido burino, convinto, come il pollo del Mugello, che il solo correre e fare fosse di per sé già una … perfezione degna del paradiso.

Costui, tuttavia, da quando Leone gli aveva rifilato una propedeutica e metaforica tirata d’orecchie, s’era ammansito assai, migliorando e affinando il suo modo di essere, tanto comportamentale che verbale.

Leone, uscendo per commissioni in mattinata, non aveva potuto che rilevare che tra gli addobbatori molti ‘bestemmiatori’ di professione erano all’opera; non si sa se per invocare il bambinello o se colpiti, come Paolo di Tarso, sulla via di Damasco. Gente che, per inciso, vedeva l’interno della pieve al massimo un paio di volte l’anno; oppure in quel paio, o poco più, di rade occasioni in tutta la vita nelle quali gli occhi sono ancora per lo più chiusi: battesimo (barlume di conoscenza), matrimonio (occhi velati dai sensi) e funerale (occhi chiusi nella pace eterna).

 

In giornata Leone s’era dedicato all’atrio.

Per tutti gli altri sarebbe già stato finito, ma non per lui. Lo stava, infatti, perfezionando con bordini e battiscopa pregiati in rovere massello, con quella sua meticolosa e pignolesca cura dei particolari che differenziano sempre il lavoro comune da un’opera d’arte. La sua massima in proposito era: un professionista non deve mai eseguire un lavoro allo stesso modo due volte, ma dall’esperienza del fare deve sempre trarre lo spunto per migliorare.

Perciò era stanco e tutto un dolo.

Assiso sulla sua poltrona, dopo cena, stava rivedendo sul monitor alcune foto della cascina, che da tempo lo vedeva assente. Non che questa gli mancasse, ma lassù gli pareva di respirare un’aria diversa. La natura, infatti, non è mai effimera come molti mortali.

Fu così che, nel tepore di casa, Morfeo sopraggiungesse e che lo screensaver abbuiasse il monitor.

 

Sonnecchiando, Leone era come se fosse in vetta allo Sparavento. Il suo guardo planava a sud sul freddo mare nebbioso della piana, per poi virare ad est sugli scintillanti e tersi laghi, per puntare infine a nord sulle candide e raggianti creste solive innevate dell’Alpe.

Come quasi sempre, Leone faceva due cose simultaneamente. Infatti, pure quando dormiva, era solito svolgere alcune delle sue lectio magistralis filosofiche o scientifiche che in passato lo avevano reso famoso in importanti tavole rotonde, in conferenze di livello o in rinomati atenei del globo.

Perciò, dormendo, gli parve di sentire come bussare. Non alla porta di casa, ma dall’interno del monitor sullo schermo. Questo, pur senza l’uso del mouse, s’illuminò e un bambinello splendente e raggiante di gioia cominciò a dialogare con lui, che tuttavia continuò a dormire.

Dormiva; ma comunque Leone lo vedeva dentro di sé.

 

D: Scusa Leo, ti disturbo?

L: Nient’affatto! Basta che non mi svegli. Come sai, Buon Dio Bambinello, ho bisogno di recuperare. Solo in casi estremi faccio ricorso alla chimica; nella normalità preferisco il metodo naturale.

D: Sai, non vedendoti nella pieve alla Mia Natività, ho pensato bene di lasciare ai loro oremus i Miei fedeli e di venire a visitarti, per stare un po’ con te. Tanto loro, che Io ci sia o non ci sia, manco se ne accorgono. A loro basta un’effige o una statua. Tutto il resto è superfluo.

L: Quanto onore Buon Dio! Dimmi: non vorrai forse imitare Maometto?

D: Capisco che intendi, secondo il detto: se la montagna non va a Maometto, allora Maometto andrà alla montagna.

L: Già; proprio così. Il miracolo ha sempre le due facce della medaglia.

D: Vero. Però devi anche tener presente che Io sono in ogni luogo. Io sono l’Immenso.

L: Beh, se la metti così allora Ti dirò: io, invece sono il tuo contrario. Infatti sto qua e non anche nella Tua pieve.

Però, dimmi: quante volte mi hai visto nella pieve alla Tua Natività?

D: Leo, oggi è la Mia festa. Perciò non accetto provocazioni.

L: Capisco. Allora riformulo la domanda: sei appena nato e parli meglio di quando predicavi. Sei un portento di precocità, considerato che hai appena emesso il primo vagito. Hai già sorbito pure il colostro dalla vergine? Sai, quello è pesante e molti infanti poi lo vomitano.

D: Tranquillo, Leo. Vedo che sei sempre uno scanzonato mattacchione. Non ti insozzerò la tavola, stanne certo.

Tuttavia sono venuto per un’altra questione, essendo molto che non ti vedo lassù a dialogare con me.

L: Non sarai venuto a sincerarti se fossi schiattato? Infatti, discolo come sono, mica sono destinato al Tuo Regno.

D: Questo non si sa. Solo il Padre lo sa. Al Figlio non è dato saperlo.

L: Vero, secondo i Tuoi teologi. Però non essere così modesto, che poi la Tua Onniscienza va a ramengo. Vai, comunque al sodo e non divagare troppo.

D: Ricordi la nostra ultima discussione sulla Redenzione(La redenzione.)  Ebbene, mi ha sconvolto! Ovviamente in senso positivo.

Pure il Padre, poi, è rimasto … perplesso. Ho avuto l’impressione che pensasse che gli sia sfuggito, allora, l’essenzialità della cosa. L’ho visto molto pensoso e a tratti accigliato, come se ce l’avesse con sé stesso. Un po’ come quando tu fai un errore e ti maledici dandoti del rimbambito e del rincoglionito mille volte.

L: Meno male che hai specificato. Da quanto dicevi m’era venuto il dubbio che si fosse assai incavolato con me.

Non mi dire così, però! Che poi va a finire che devo riformulare i Vostri trattati teologici. Non ho alcuna voglia di cimentarmi in un’opera così titanica e … inutile.

D: Non credo, Leo. Tu, se del caso, non faresti teologia, bensì vera teosofia.

L: Capisco che sia la Tua festa, capisco che sia pure Natale, capisco pure che Tu oggi possa essere ‘più buono’ del solito; tuttavia non vorrei poi darTi il lecchino d’oro per tale esternazione di stima.

D: Burlone!

Che ti scrisse quel Mio eminente alto prelato e monsignore dopo aver letto l’articolo: lei mi ha sconvolto in senso positivo. Lei mi ha proiettato in un mondo teologico nuovo che non avevo mai neppure ipotizzato.

E l’altro, sempre di pari rango, che ti disse dopo aver letto il tuo ‘E non ci indurre in tentazione’?(E non ci indurre in tentazione.)

Ricordo bene che così ti si espresse: mi sa che qualcuno lo ha stampato e portato al Papa da leggere.

L: Troppa grazia, Sant’Antonio. A pensarci bene non ho mai preso in considerazione il fatto d’essere tanto importante e influente. Credo che dovrò rivedere il mio status, già alto, sul mio valore. Diventerò un … vanesio: vanitas vanitatum et omnia vanitas! ( Ecc 1,2; 12,8-12; Ro 8,20-22)

D: Già. Non per nulla varcasti per ben due volte i legni di Damaso.

Però, al di là delle nostre supposizioni, avrai visto che ora han deciso di cambiare la parte incriminata. Ti piace la nuova dizione?

L: Ti dirò: a me non pare che abbiano fatto i Tuoi sommi druidi molto progresso, promuovendo come nuova dizione e non abbandonarci alla tentazione. E quando lo dicono in latino, cosa diranno?

D: Spiegati, Leo. Personalmente mi sembrava una buona cosa. Per il latino è ancora tutto top secret. O, meglio: a questo non hanno mai pensato.

L: E ti pareva? Scusa, ma Tu lo Pneuma non lo hai dato loro in zucca?

Sai, Divino Bambinello, cosa mi verrebbe voglia di dirTi dopo questa Tua prolifica esternazione?

D: Dimmi, Leo, senza trattenerti.

L: Ok: va là, pivello. Si vede che sei appena nato per dire così.

D: Dai, Leo, non essere così drastico. Elucubra invece sulla nuova dizione.

L: Vediamo se pur ancora “piccolo” riesci a seguirmi. Seguirò il metodo socratico.

D: Bene, vai che provo a seguirti.

L: Ipotizziamo d’essere in montagna. Io e Te andiamo ognuno per i fatti nostri. Essendo io più esperto, Tu, che non sei con me, decidi di seguire le mie orme per non trovarTi nei guai.

D: L’esempio è calzante e mi piace. Per una volta accetterò d’esserti dietro.

L: Ok. Mentre si ascende su ghiaccio io affronto un percorso tecnicamente impegnativo. Tu, a distanza, cerchi di imitarmi, ignorando le Tue capacità, con il bel risultato di trovarTi nei pasticci e incrodato.

D: E allora? Che c’entra questo esempio con la nuova dizione del Pater noster?

L: Aspetta, Piccoletto. Non ti agitare troppo che poi è peggio e magari … precipiti.

Tu sai che decenni fa fui insignito con la Croce di S. Giorgio del C.I.S.M.

Ebbene, a questo punto, io che sto andando per i fatti miei, mi accorgo che, molto più in giù, Tu sei incrodato e in grande difficoltà.

Le scelte che ho, allora, sono due: a) faccio finta di niente e proseguo per la mia strada; b) torno indietro, Ti assicuro e Ti calo fino al pianoro. Tirarti su con me, infatti, calcolando le Tue carenze tecniche, significherebbe mettere in pericolo Tu e me simultaneamente.

Tu che dici che dovrei fare?

D: Beh, Leo, mi pare lapalissiano. Tu porti la Croce di S. Giorgio; perciò hai l’obbligo morale di soccorrermi e salvarmi.

Diversamente, se precipito e muoio, tu sei responsabile della Mia morte, sia per la Legge divina che umana.

Ma lo sarebbe pure se tu la Croce di S. Giorgio non ce l’avessi.

Mi hai fatto un esempio di vita vissuto; come quando sulla Via dei seracchi salvasti quegli alpinisti incauti che avevano pensato bene di seguirti a distanza.

L: Bravo, Piccoletto. Sei perspicace e intelligente. Pare quasi che lo Pneuma sia in Te.

Ora, dimmi: se facessi invece finta di niente e andassi per i fatti miei lasciandoTi nei guai, cosa avrei fatto?

D: Mi avresti abbandonato!

L: Ecco, appunto: abbandonato. Proprio come nella nuova dizione proposta: non abbandonarci alla tentazione!

D: Scusa, Leo, ma non ti capisco. I miei fedeli mi pregano appunto perché non li abbandoni alla tentazione. Dove sta il problema?

L: Te lo dico io dove sta il problema tecnico: pivello due volte, Tu e i Tuoi sommi druidi.

D: Spiega, Leo, perché qualcosa a Me e ai Miei, secondo te dev’esserci sfuggito.

L: Infatti!

Ora, dimmi: a Te risulta forse che nonostante tutte le loro invocazioni i Tuoi fedeli non soccombano spesso alla tentazione?

D: Certo, Leo. Tuttavia poi si pentono ed Io li perdono e li riaccolgo nella Mia Grazia.

L: Già, su questo non discuto.

Il problema reale è: o non hai accolto la loro invocazione, perciò li hai abbandonati, oppure non hai potere su ciò.

Nel primo caso sei responsabile dei loro peccati, come io lo sarei della Tua morte se non tornassi sui miei passi, pur rischiando, per salvarTi.

Nel secondo caso saresti un Dio fasullo, un Dio di cartapesta, un Dio che teologicamente può, ma in effetti nulla può. In pratica un Dio inesistente e solo teorico.

 D: Sai, Leo, credo che tu abbia ragione. Quasi mi dà fastidio dartela, perché ciò significa dar torto ai Miei illuminati druidi, che a dire il vero proprio tanto illuminati non devono proprio essere.

 L: Beh, Bambinello, se lo dici Tu, io che dovrei dire?

Sai, facci sopra una bella risata, che tanto il mondo andrà avanti comunque allo stesso modo sia che dicano ‘e non ci indurre’ sia che dicano ‘non abbandonarci’ o altro.

D: Dimmi, Leo: ma secondo te quale sarebbe la dizione migliore?

L: Credo che quella che usano i Valdesi sia migliore di quella cattolica, anche se non eccelsa: non esporci alla tentazione. Tuttavia c’è l’imbarazzo della scelta: proteggici, salvaci, difendici, preservaci … Questi vocaboli sarebbero anche migliori della dizione valdese, perché non necessitando del ‘non’, escludono una Tua responsabilità diretta nell’azione, sollecitando solo un Tuo aiuto o collaborazione.

D: Senti Leo, dato che ci siamo: che ne pensi della nuova dizione nel Gloria ‘Pace in terra agli uomini, amati dal Signore’?

L: Ti risponderò indirettamente così: e a quelli non amati che gli fai?

D: Ho capito! Grazie di tutto, Leo. Ora torno tra i Miei. Mi staranno invocando su ciò.

Buon Natale!!!

L: Buon Natale pure a Te, Piccoletto. E cerca di crescere bene in Sapienza e Saggezza. Ciao.

D: Ok, Leo. Ti prometto che cercherò di  fare del Mio meglio. Su ciò c’è già il Padre che mi sprona assai.

L: Che vuoi, Piccoletto? Lui sta lassù e Tu, ora, quaggiù. Per il resto sono cavoli Tuoi, mica Suoi.

È un po’ come il Tuo tunghina bianca, quando dice: E non dimenticatevi di pregare per me. Buona domenica e buon pranzo. Poi, che succede? Che lui se la trova pronta a S. Marta, mentre il povero disgraziato se non ne ha si arrangia.

D: Leo, sei peggio del demonio. Mi turbi sempre il cervello. Fortuna che tra di noi ci sono due millenni. Diversamente mi avresti dato filo da torcere assai. Ora vado. Ciao.

 

Billyno, che stava lì accanto sulla sua sedia, con un balzo saltò in grembo a Leone per farsi coccolare, facendolo svegliare.

Leone aprì gli occhi, vide il monitor acceso e un bimbo luminoso che vi si smaterializzava. Quello stesso bimbo che vedeva dentro di sé, dormendo.

Come quasi d’incanto gli altoparlanti stereo del suo potente server fecero sentire delle voci. Le riconobbe come quelle dei fedeli della pieve che, guidati dalla voce metallica del druido burino, così declamavano: e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Amen

Amen! Disse Leone, alzandosi per andare in bagno, prima di coricarsi.


Sesac


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