Osservando
la storia dell’ultimo mezzo secolo si nota che ognuna delle quattro ondate di
accumulo del Debito pubblico ha prodotto sempre una crisi mondiale.
Ora
siamo alla quinta ondata, che è iniziata ufficialmente nel 2010 e mai terminata,
molto più imponente e complessa delle precedenti. È tuttora in corso e il Coronavirus la sta facendo deflagrare ovunque. Non vi è nazione che ne sia
indenne.
Incolpare
il virus (Covid-19) è tanto
semplicistico quanto inetto. Appunto perché la crisi non è nata ora, ma si
protrae da vario tempo. È una crisi di liquidità: negli stati, nelle imprese,
nelle famiglie.
La crisi
attuale trae le sue origini dal fallimento della Lehman Brothers che nel settembre 2008, avvalendosi del Chapter 11 (procedura
fallimentare Usa), dichiarava che i suoi debiti erano così composti in milioni
di $: bancari 613, obbligazionari 155, di attività 639.
Creando,
di fatto, la più imponente bancarotta nella storia sia degli Usa sia del globo.
Innescando un effetto domino su tutte le banche del pianeta.
Che
erano le ‘attività’? Per
lo più subprime: i mutui concessi (allegramente) ai privati a basso rating
(interesse).
La crisi
dei subprime nasce ovviamente prima e trae la sua origine dalle manovre espansive
monetarie Usa - poi copiate dagli altri stati - per il rilancio dell’economia
degli anni ’90. In quel credere che per rilanciare l’economia basti inondare di
soldi, con mutui e fidi, il sistema, compresi quei soggetti che non possono accedere
ai tassi d’interesse di mercato, perché hanno avuto problemi pregressi nella
loro storia di debitori.
I
subprime, in sostanza, sono dei Npl, perciò crediti per lo più inesigibili. Uno dei tanti Npl che
gravano su tutte le banche del pianeta. La cui esigibilità imporrebbe il
fallimento del soggetto, con conseguente perdita e fallimento quasi sicuro
della società erogatrice.
La
storia insegna che un debito è sostenibile in rapporto al Pil prodotto, sia
questo individuale, societario o nazionale. Appunto, però, perché legato al Pil
il rischio è precario, poiché il Pil è certo al momento (retribuzione o
ricavi), ma solo ipotizzabile in prospettiva.
Ecco
perché il virus, con il necessario lockdown, ha accentuato l’attuale lunga
crisi: sono aumentate le spese e diminuiti gli introiti. In pratica ha fatto
saltare tutte le linee economiche programmate.
Secondo
il lif (Istituto di finanza internazionale) il debito globale nel 2019
era del 322% del Pil globale (+ 40% sul 2008), per un ammontare complessivo di
255 mld $ e così composto: 74mila delle aziende non finanziarie, 70mila dei
governi, 63mila delle società finanziarie e 48mila delle famiglie.
Con la
sottolineatura che il debito dei governi vale l’80% del Pil globale. Stati
Uniti al primo posto.
E se il
Pil crolla?
A marzo
2020 le emissioni di titoli di Stato nel mondo sono ammontate a 2.100 mld,
altro record e livello più che doppio rispetto alla media degli ultimi tre
anni.
In base
a ciò il lif prevede che il debito mondiale quest’anno possa salire di 20
punti, dal 322 al 342% del Pil; per superare nel 2022, per la prima volta nella
storia, il 100%.
Gran
parte del debito arriverà dalle economie avanzate.
Stando
alle previsioni ante virus, gli Usa chiuderanno l’anno con un deficit di 4mila
mld $, il Giappone di mille $, l’Ue di 942 mld €. Mentre il debito pubblico
complessivo degli Stati della moneta unica salirà da 10.250 a 11.440 mld €.
Le stime
del Fondo monetario internazionale sul rapporto debito/Pil 2020 di molti Paesi
del G7 sono stupefacenti:
131% gli Stati Uniti, 251% il Giappone, 155% l’Italia, 115% la Francia. Cifre
da capogiro!
Sempre
secondo il fondo, tuttavia, l’aspetto positivo per le economie ‘avanzate’ è che
tutto questo debito è attualmente ‘sostenibile’ alle ‘condizioni
attuali’.
Che
significa? Che a tassi quasi allo zero il conto interessi per ogni singolo
debito sovrano è sostenibile. Infatti, per tutti i paesi ‘ricchi’, Italia
compresa, pur avendo aumentato di molto il rispettivo debito pubblico, la spesa
per pagare gli interessi in rapporto al Pil è oggi inferiore a quanto fosse nel
2007, alla vigilia della grande crisi. Questo nonostante il rapporto debito/Pil
sia in molti casi aumentato di almeno 40 punti percentuali.
Non per
nulla tutte le banche centrali stanno iniettando nel sistema migliaia di mld a
tassi prossimi o uguali a zero.
Ponendo
un esempio: se vi è una massa monetaria in circolazione di mille mld il costo
dei prodotti e servizi ipotizziamolo a 1. Se la portiamo a 2mila, il relativo
costo, a parità di prodotti, salirà a 2. In pratica creerà un’inflazione del
100%.
Perché,
ovviamente, il costo di ogni immissione di denaro non sarà a costo zero, anche
se il tasso per i Debiti sovrani sarà anche nominalmente quasi, uguale a zero o
addirittura negativo. È la massa monetaria circolante che crea inflazione, perché
il suo costo sistemico effettivo va rapportato ai vari prodotti.
Da cosa
lo si evince? Dai tassi negativi imposti dalle banche centrali alle rispettive
banche sui depositi.
Non per
nulla tutti i correntisti pagano, da alcuni anni, costi elevati sulla gestione
dei propri conti correnti. Conseguenza indiretta di questa imposta.
Presso
la banca centrale (Bce) vi sono due tipi di
deposito. Il primo, obbligatorio, rappresenta l’1% dei depositi della clientela
e non è gravato da tassi; il secondo è relativo alla liquidità in eccesso che
le banche hanno.
Il primo
è di circa 130 mld €.
Il
secondo è superiore ai 1.700 mld € e in costante e notevole aumento dal 2014,
per lo più generato dalle varie misure monetarie espansive messe in atto dalla
Bce: Ltro (long term refinancing operation – prestito
agevolato alle banche per 4 anni a tasso zero), T-Ltro targered (prestito elargito a tasso
quasi zero in funzione di successiva erogazione di parte di questi all’economia
reale), vari lanci di Qe (quantitative
easing – per acquisto di titoli soprattutto governativi, ma pure societari). Su
questo deposito le banche pagano il tasso negativo dello -0,40%.
Le banche centrali che attualmente praticano tassi
negativi sono, oltre alla Bce di cui si è appena detto sopra: Bns (Svizzera)
-0,75%, Boj (Giappone) -0,1%, Bnd (Danimarca) -0,65%, Bcs (Svezia) -0,25%.
Ciò sta dimostrando che l’immissione costante di
liquidità nel sistema non raggiunge lo scopo proposto di alimentare e sostenere
l’economia se non in minima parte; creando, di conseguenza, una liquidità
eccessiva che ha, con i tassi negativi imposti, un costo che ricade poi su
tutti più o meno indirettamente. Diversamente non ci sarebbe recessione, né un
eccessivo deposito di liquidità presso la Bce, specie dai paesi Core.
Ne consegue che le politiche monetarie delle banche
centrali sono fallimentari e aleatorie: tamponi provvisori a stati di emergenza
o a situazioni degenerate che si protraggono da qualche tempo.
Non è, infatti, con l’assistenzialismo finanziario e
pubblico che si risolveranno i problemi di una società intenta a spendere
(sprecare) da decenni più di quanto produce e più di quanto potrebbe
permettersi. Perché l’attuale assistenzialismo sfrenato è destinato solo a
incancrenire una situazione economica già complessa.
Pure per i paesi emergenti il debito è in costante e
rapida crescita, anche se più sostenibile nei tassi rispetto al passato e per
lo più in valuta estera (8.300 mld $ - nuovo picco storico, più che raddoppiato
in soli 10 anni), favorito da tassi bassi e dollaro debole.
Si calcola che abbia superato i 72mila mld $, di cui
5.300 mld nel 2019 e con 730 mld in scadenza nel 2020. Buona parte di questi
ultimi è a rischio default: Argentina (già 8 default all’attivo), Libano ed
Ecuador (che han già mancato i pagamenti), Zambia, Gabon, Mozambico, Congo, Suriname
e altri ancora.
Mentre per altri il costo interessi e ormai
insopportabile, perciò superiore al 20% delle loro entrate: Gibuti 60%, Libano
40%, mentre Sri Lanka, Angola e Montenegro sono oltre il 30%.
Nel complesso il debito dei Paesi emergenti, escluso
il settore finanziario, ha raggiunto il 187% del Pil con l’incredibile punta di
Hong Kong del 365%.
Su tutti questi debiti aleggia il rischio tapering, qualora gli Usa volessero precedere in
futuro alla normalizzazione (aumento) dei tassi.
Nel 2020 sono in scadenza bonds del Debito pubblico da
rifinanziare per un controvalore di 19mila mld $, di cui il 30% nell’area dei
Paesi emergenti (soprattutto Cina, India e Brasile). Nei mercati ‘maturi’, i
Paesi che saranno chiamati al più ampio rollover (rifinanziamento) del debito
sono Usa, Giappone e Germania.
Pure il debito delle famiglie sta esplodendo,
raggiungendo nuovi record in Belgio, Finlandia, Francia, Libano, Nuova Zelanda,
Nigeria, Norvegia, Svezia e Svizzera. Mentre in Canada, Francia, Singapore, Svezia,
Svizzera e Stati Uniti si registrano nuovi picchi storici per il debito delle
società non finanziarie.
Il mondo galleggia su un oceano di debiti. Un oceano
che tutti cercano di ignorare, fingendo che tutti questi debiti siano ancora
esigibili. In realtà sono veri e propri Npl che prima o poi inabisseranno tutti
e tutto, senza distinzione: paesi ricchi e poveri, aziende sane o fallimentari.
Tutti saranno chiamati a pagare i costi di questo lieto e incauto incedere,
anche se i vari Stati non dichiareranno default formale.
In Ue, Bce e Commissione Ue lanciano centinaia e
centinaia di mld sul mercato, per lo più destinati a sostenere (acquistando
bonds) l’incremento incontrollato dei debiti sovrani. Con l’Italia che in
questi giorni lancia bond continui da decine e centinaia di mld sul mercato per
arginare rinnovi, maggiori spese e minori entrate fiscali.
Finanziamenti che secondo l’autorevole governatore Visco non saranno mai a costo zero e che
prima o poi saranno da rendere.
Si vaneggia sui recovery bonds o sul Mes, che saranno accessibili anche per una cifra complessiva di 500 mld.
Cifra che, all’incirca, equivale al 30% del Pil nostrano.
Qualcuno a posto di mente è in grado di dire quando
si potranno rendere? Tra mille anni forse, andando tutto a gonfie vele.
Pure il governo Conte garantisce finanziamenti immediati (che pochi hanno visto finora) a
persone, famiglie e imprese per ben 400 mld, dimenticando che ciò, in caso di
mancata restituzione, ricadrà sui conti del garante.
Come mette in bilancio decine e decine di miliardi
per reddito di cittadinanza, reddito di emergenza o bonus vari per incentivare
i consumi, spesso e volentieri per beni voluttuari come ad esempio i
monopattini o le vacanze. Questo, infatti, è il costo da pagare per aver
smantellato l’industria ed aver incrementato il terziario.
Il coronavirus non ha minato solo la salute di molti
e creato decine di migliaia di morti, ma ha alterato la lucidità dei
governanti, semmai l’abbiano avuta prima.
Si è passati in un attimo dall’austerità al monetarismo
e all’assistenzialismo sfrenato.
Si è passati dall’assoluta mancata prevenzione
(sacra, nella difesa dei diritti costituzionali, per alcuni ministri) alla
restrizione totale degli stessi diritti costituzionali, con il lungo lockdown.
Sarebbe interessante chiedersi come mai in altri
stati non si siano mai chiuse le scuole, oppure perché dopo poche settimane
siano state riaperte. Mentre in Italia non esiste ancora alcun progetto
definito per la riapertura di settembre.
Forse - è la Speme di Foscolo - il virus starà
mutando e sarà sempre meno aggressivo grazie all’immunità naturale di gregge,
rendendo inutili pure i vari vaccini, che non si sa quando potranno essere
disponibili.
Forse l’economia e i mercati ripartiranno di slancio
recuperando il tempo perduto e tornando ai livelli ante virus.
Forse assisteremo a un nuovo boom economico, come
quello del dopoguerra, basato sul produrre per consumare e spendere. Che però
ci ha portato alla situazione economica e finanziaria attuale.
Forse la globalizzazione sarà drasticamente
ridimensionata, annullando la delocalizzazione che ha ridotto notevolmente gli
assets industriali dei paesi occidentali.
Forse lo Pneuma, oltre al tempio del corpo umano
(Bergoglio), prenderà casa anche nell’economia, smentendo il Papa stesso.
Sta di certo che i debiti fatti in questo periodo
verranno prima o poi al pettine, alimentando la quinta crisi attuale mondiale;
oppure generandone una sesta.
Perché, in sostanza, la storia insegna che le cinque
crisi attuali si sono succedute in modo sempre più virulento, traendo la loro
singola origine dalle precedenti. Sopite ma mai risolte.
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