Oggi, venne in visita da me Sesac; e mi consegnò questo racconto che pubblico, come sempre, assai volentieri.
Tratta, come consuetudine, della vita degli animali della foresta
e dei fatti di un tempo che fu.
Ogni accostamento del racconto a eventuali simili fatti della
realtà è puramente casuale.
Sam Cardell
Tratto da “i
Dialoghi” di Sesac
Lettera aperta a un sindaco di paese.
La primavera era
tornata inondando di fiori orti, campi e giardini. Pure la carnosa bergenia
aveva già impreziosito coi suo grappoli rosa la piccola aiola della corte.
Un infido virus, venuto da lontano, serpeggiava dall’inverno
per le vie sempre più deserte del borgo.
Lemme lemme s’era
insediato anche tra i vecchi muri screpolati del centro storico, reso ancora
più deserto non solo dalla penuria di abitanti, ma soprattutto dal timore del
contagio.
Talora, durante la
giornata, i lugubri rintocchi cadenzati delle campane a morto della pieve
rompevano il silenzio che regnava ovunque, annunciando che qualcun altro se
n’era andato.
Capitava, allora, che
una finestra si aprisse e che un’altra, poco discosta e della casa vicina,
facesse altrettanto, mostrando l’effigie di due stagionate timorose comari che,
da lungi, si chiedevano vicendevolmente: chi el?
Per la verità il
nuovo defunto era già stato sottratto ai suoi da tempo dai nuovi monatti,
strappato agli affetti più cari all’insorgere della malattia. Portato spesso
lontano in qualche lazzaretto che restava blindato a tutti. Messo intubato in
terapia intensiva e in coma farmacologico in pratica era già come se fosse
morto, considerato che da quei tristi luoghi di sofferenza dopo lunghi giorni
di calvario erano più quelli che ne uscivano in una bara che quelli che si
salvavano.
I parenti angosciati
temevano che il telefono di casa squillasse per annunciare il tragico trapasso,
sobbalzando al trillo più innocente, magari di qualche parente o amico che
bramava ottenere una speranzosa notizia.
Solo dopo molti
giorni dalla dipartita le ceneri del povero disgraziato, soprattutto anziano,
venivano riconsegnate ai suoi cari in una piccola anonima urna, per essere
subito tumulate nel cimitero del borgo senza alcuna cerimonia e pubblico
saluto. Anche le pievi, infatti, erano state sigillate al culto.
Alcuni parenti di
Leone se n’erano già iti, così come diversi conoscenti ed amici.
Pure l’Osvi -
il dottore, come lo chiamavano tutti per via della sua professione – se n’era
andato in silenzio, quasi alla chetichella. Grato a Dio per averlo tolto dalla
Geenna e liberato da quelle spoglie mortali che lo avevano incatenato da tempo
in un letto di dolore. Dipartito per patologie pregresse, avrebbero detto i
cianciatori.
Tra i molti anche
l’amico pittore lo aveva seguito, abbandonando in modo frettoloso e imprevisto
pennelli e impasti, portando seco solo la folta barba selvaggia ormai
incanutita dal tempo, oltre che dalla candida farina.
Leone da molto tempo stava seguendo l’evolversi del virus, da quando
era comparso là, molto lontano, dove sorge il sole. Non si fidava, infatti, di
quelli che lui chiamava con benevola ironia “i soliti idioti”, intenti più che
altro ad occupare poltrone senza saper spesso, ahimè, nulla fare.
Così soleva dire. Forse
perché nella sua vita ne aveva conosciuti troppi di questa ‘brava’ gente,
fenomenali in ciance e carenti in opere. Non di piccolo cabotaggio, ovviamente.
Riteneva, considerato
l’andazzo e l’andirivieni continuo senza alcuna prevenzione da quel luogo
infetto, che il bubbone prima o poi sarebbe esploso pure da noi. Infatti, non
ebbe torto.
Perciò, mentre il
virus era ancora lontano, aveva provveduto a blindare la casa a tutti, compresi
i parenti stretti, per proteggere non tanto sé, che non temeva affatto la
morte, ma l’anziana centenaria Madame dal possibile contagio.
Pure Billyno aveva percepito la gravità
della situazione e usciva malvolentieri; e solo brevemente nella corte.
Leone, inoltre, s’era
studiato le varie patologie pandemiche e le possibili cure, perché riteneva che
il miglior medico esistente è colui che sa curare perfettamente sé stesso.
Or avvenne che nel
barbaro ma opulento Land di Ermengarda vi fosse l'urgente necessità di nuove
strutture ricettive e alcuni amici lo contattarono per ottenere la sua
disponibilità.
Leone rispose che non
lo poteva fare materialmente, ma che da lungi, in smart-working gratuito,
avrebbe potuto dare il suo contributo. Pretendeva solo la riservatezza assoluta,
in quanto la mano sx non deve sapere cosa fa la sua dx. (Mt 6,3-4)
Così avvenne e la
macchina organizzativa iniziò a progettare, senza fermarsi neppure quando uno
dei soliti idioti disse che no, non si poteva fare perché non c’era il
personale, facendo perdere settimane preziose.
Lavorò sodo, con un
andirivieni telematico di dati che lo portò a consumare in traffico più di 100
Gbs in un solo mese.
Poco prima che tutto
fosse finito, dopo aver provveduto a mettere in sicurezza Madame, fece pure con
i colleghi del team un sopralluogo materiale per gli ultimi dettagli. Fu
soddisfatto del lavoro svolto.
In quelle settimane,
pur lavorando ugualmente, non era stato molto bene e l’intenso lavoro l’aveva
prostrato. Si sentiva stanco e aveva, pure, trascurato molte delle sue cose,
compreso l’orto. Perciò, con molta cautela, iniziò a lavorarci, potando alberi
da frutto, togliendo l’erba che aveva invaso tutto e facendo le prime vangate.
Fu così che dopo
averci lavorato un po’ e sentendosi stanco, decise ch’era l’ora, per quel
giorno, di piantare il chiodo e di
riposare.
Scese dall’orto e
vide che nella cassetta della posta v’era il giornale. Togliendolo vi trovò
pure un foglio con l’intestazione del comune, senza busta e ripiegato in tre
parti, a lui direttamente intestato.
Guardò sommariamente
e senza approfondire disse a Billyno che gli trottava accanto:
Sai chi sono questi
Billyno? I furbi del villaggio di Asterix e Obelix. Vedremo di dare poi una
risposta appropriata pure a loro.
Ecco l’inizio:
Gentile Cittadino. Dimmi, Billyno, il sostantivo ti ricorda qualcosa?
Billyno alzò il suo
bel musetto, sgranò meravigliato gli occhioni neri, drizzò le orecchie per
l’intensità dello sforzo intellettivo e dopo alcuni istanti rispose sicuro: Marat, Danton e
Robespierre!
Bravo, gli disse Leone,
dandogli un buffetto sulle guance.
La missiva diceva
testualmente:
“Oggetto: Mancato ritiro della fornitura 2020 dei sacchi per
l’immondizia
Gentile Cittadino,
da un controllo effettuato dai competenti Uffici comunali
risulta cha la S.V. non ha ancora provveduto al ritiro della fornitura
contingentata dei sacchi da utilizzare nel corrente anno per la raccolta dei
rifiuti.
Nell’invitarLa a provvedere quanto prima al ritiro, Le ricordo
che l’inosservanza delle norme inerenti la raccolta e lo smaltimento dei
rifiuti domestici e/o industriali integra un illecito amministrativo e, nei
casi più gravi, anche la responsabilità penale.
Infine, Le chiedo cortesemente di specificare per iscritto, con
comunicazione da inviare al sopra intestato Comune entro e non oltre 30 giorni
dal ricevimento della presente, i motivi per i quali non ha ancora ritirato la
fornitura in oggetto e le modalità con cui, nel frattempo, ha smaltito i
rifiuti.
In mancanza di quanto sopra, l’Amministrazione Comunale sarà
costretta, suo malgrado, ad aprire un’attività istruttoria per le verifiche del
caso, con conseguente irrorazione di sanzioni qualora dovessero ravvisarsi
irregolarità e/o violazioni delle
vigenti norme in materia.
Certo della Sua collaborazione, porgo distinti saluti.
Il Sindaco”
Leone aveva diverse
cose molto più importanti da fare che dall’interessarsi delle baruffe ciosote.
Perciò accantonò il foglio, tanto inutile quanto assurdo sia nella richiesta
che nel contenuto.
Perché, in base alla
comunicazione avuta, per l’Amministrazione era prioritario ritirare i sacchi
contingentati della spazzatura che lo smaltimento corretto dei rifiuti.
Quest’ultimo passava in secondo piano. Se avevi ritirato i sacchi tu eri già
beato in … paradiso! E nessuno avrebbe avuto nulla da ridire.
Aveva sempre pensato
che la politica fosse compartecipazione, perciò quella sinergia diretta tra
cittadino e amministratore che fa funzionare bene la società.
Spesso, invece,
accadeva che gli amministratori intendessero per democrazia il suffragio
elettivo diretto, dimenticando poi tutto il resto. Amministrando spesso con
grida manzoniane, come se comandassero un popolo beota di zulù.
L’istruire il
cittadino e l’essere istruito da questo, in modo vicendevole per comprendere
perfettamente istanze e necessità della macchina amministrativa e farla
funzionare al meglio, non era nelle priorità dell’amministratore, intento per
lo più a seguire il suo istinto di capobranco, che tutto può e che tutto vuole.
Perché
l’amministrare, nei secoli, era diventato via via un modo non di servire la
comunità, ma di praticare il potere. Questo era bramato pure dai cattolici, che
si incensavano da sé con la frase sia di Paolo VI che del Vaticano Secondo, per
i quali la
politica è l’atto più nobile della carità cristiana (Apostolicam
actuositatem). Carità solo, però, se ben … retribuita!
Considerato ciò,
pensò che una semplice risposta non sarebbe servita a dare un segnale forte di
discontinuità operativa. Ci voleva qualcosa di dettagliato e di prorompente,
capace di scuotere la fallace sicurezza dell’amministratore; un j’accuse informale
che lo facesse riflettere. Possibilmente farcito con alcuni inserti
subliminali.
Dopo diversi giorni
riprese il foglio in mano, si armò di carta e penna e così scrisse.
“Gentile Sindaco di
questo paese,
Lei
conoscerà sicuramente il detto primum vivere,
deinde philosophari, sia nel suo intrinseco significato letterale che in
quello lato. Che sarebbe: visti i fatti, ragioniamoci sopra.
Premetto
che non la conosco e che, se mi capitasse di incontrarla, non saprei neppure
chi lei sia. Credo - presumibilmente, anche se non ne sono certo - che la
stessa cosa possa valere per lei nei miei riguardi. Ne consegue che possiamo
essere considerati dei ‘numeri’ di un’organizzazione sociale.
So
di occuparle in questa lettura del tempo prezioso; pur se, è bene specificare,
che pure io ne ho già impegnato nel leggere la sua missiva e nel redigere,
civicamente, questa risposta. Che, spero, le sia completa ed esaustiva,
risolutiva a ogni suo quesito.
L’occasione
mi è favorevole sia per risalire in cattedra ancora una volta, sia per
riprendere carta, penna e calamaio in mano, sia per scrivere un nuovo articolo
pubblico sulla questione. Quindi è molto probabile che, quando lei leggerà
queste righe, molte persone ne siano già a conoscenza; perché l’invio di questa
lettera tramite Pec – per cui dovrà essere protocollata e restare agli atti –
sarà contestuale alla pubblicazione dell’articolo stesso.
A
essere sincero la sua missiva mi ha un po’ meravigliato, non tanto per la
motivazione che l’ha generata, ma per il modo – corretto nella forma, ma
vessatorio e intimidatorio nel contenuto – con cui è stata redatta. Almeno l’ho
intesa, da analista e da cittadino, così.
Ovviamente,
al suo posto, mi sarei ben guardato di inviare un tal testo sulla problematica
in oggetto, con tal esposizione più adatta a un podestà che a un sindaco. Non
perché i podestà abbiano avuto un ruolo negativo, ma perché prodotti da una
forma di potere discutibile, dove dietro il formale amministrare spesso era
celata la protervia e la iattanza del potere. Non a caso tale lemma è l’esatto
anagramma di un altro sostantivo, più antico e dal quale deriva, non molto
rassicurante.
Purtroppo
talora, come si sa, la politica è un’ecolalia ridondante del passato.
Non
l’ha redatta lei, ma un solerte impiegato? Tutto è possibile, anche se il solo
firmarla equivale a farla propria.
Vede,
la sua adespota missiva (firmata, con intestazione comunale e senza data, in foglio
ripiegato in tre parti, senza busta e quindi alla mercé di qualsiasi eventuale
curioso pur se personale) l’avrei potuta benissimo cestinare e ignorare senza
alcuna conseguenza, per il semplice motivo che, pur se eventualmente da voi protocollata,
visto il contenuto e le richieste (impositive) fattemi non mi è stata fatta pervenire
né tramite R/R o Pec, né dal messo comunale che ne abbia raccolta la firma di
avvenuta consegna.
In
sostanza il suo essere ‘carta straccia’ è nobilitata dallo scrivente, che
dichiara civilmente e cortesemente di averla vista, di averla letta e di darne
risposta.
Premesso
tutto ciò, passiamo al contenuto.
Essendo
magnanimo (eufemismo) le dirò che il suo invito (categorico e imperativo) a
specificare per iscritto entro e non oltre 30
giorni (sintatticamente: basta ‘non oltre’) le modalità, da me praticate, di smaltimento
rifiuti, lo voglio considerare benevolmente come un sondaggio a campione per
eventualmente praticare migliorie o consigli agli utenti sulla raccolta
differenziata.
Aggiungo,
inoltre, che non ho ritirato la fornitura
contingentata per il semplice fatto che non faccio il collezionista dei
sacchi della spazzatura, avendone ancora parecchi di riserva degli anni scorsi.
Come non li devo immagazzinare per poi rivenderli. Sono, infatti, solito
acquistare e procurarmi solo ciò che mi serve.
E,
vedendo gli altri sacchi nel punto di raccolta in piazza, mi pare proprio che
siano perfettamente uguali a quelli dello scorso anno e che sto utilizzando.
Accetto, in proposito, sue correzioni di merito se in errore.
Perciò,
considerato che vivo da solo con una centenaria, ben si capisce che usando (non
riempiendo) un sacchetto il mese ne ho a iosa per non so quanto tempo. In
compenso pago centinaia di euro per conferire meno di mezzo quintale di
differenziata l’anno. Per la serie: quanto costa al quintale la spazzatura?
Inoltre
se è obbligatorio conferire i rifiuti in appositi e specifici sacchi o
contenitori – come da regolamento – non mi consta che, avendone in abbondanza
di scorta, sia obbligatorio ritirarne di nuovi se gli stessi sono identici a
quelli dell’anno prima. Per che farne? Semplice: inserire i rotoli in eccesso
in un apposito sacco della spazzatura!
Però,
al giorno d’oggi e visto l’andazzo politico, non mi meraviglierei affatto se
questo vostro comune avesse deliberato sui sacchetti anche in tal senso. Oppure
se ogni anno, sempre con apposita delibera, si decidesse che i sacchi
precedenti non siano più validi all’uso.
Ne
consegue che, con assai meno sicumera, bastava dire che è tassativamente
obbligatorio ritirarli per non infrangere la legge. Oppure che i sacchi sono
stati cambiati con delibera e che gli altri non sono più validi.
Dopotutto
siamo in un mondo consumistico, dove il produrre è commisurato non alle
necessità, ma assai spesso solo e unicamente al business, perciò al produrre
per guadagnare e spendere. E ciò vale anche per tutte quelle miriadi di
compartecipate pubbliche che più che dare un servizio specifico sono diventate
– puta caso – uno stipendificio, dove piazzare di norma gli amici degli amici,
preferibilmente a livello dirigenziale. Così va il mondo, caro sindaco.
E
non importa neppure se queste aziende diventano poi dei pozzi di San Patrizio,
capaci di ingoiare per il loro mantenimento cifre mostruose e spaventose dai
bilanci dei comuni e, con conseguenza diretta, dalle tasche dei cittadini.
Relativamente
allo smaltimento rifiuti da me praticato, elucubrerò su ogni aspetto dei
singoli rifiuti.
Rifiuti corporali.
Una
volta vi era il cesso nella corte (lei forse no, ma se chiede ai suoi genitori e
nonni lo sapranno) dove si facevano i propri bisogni corporali e dove il
mattino si conferiva ciò che nella notte, per comodità, era stato messo nel
pitale. Il cesso aveva una fossa detta pozzo nero, maleodorante specie in
estate, che di solito in primavera era svuotata. I liquami da lì prelevati,
preferibilmente in giornata piovosa, erano conferiti come letame o negli orti o
nei campi. Non c’erano, infatti, le condotte fognarie oggi esistenti.
Oggi
ogni abitazione è dotata di bagno e di acqua corrente. Ne consegue che i
rifiuti corporali si depositino nel water e che poi, tramite lo sciacquone, siano
riversati nella fossa biologica – dove esistente – oppure direttamente nelle
condotte fognarie.
La
mia abitazione già da molti decenni è dotata di servizi igienici e di fossa
biologica. Il tutto collegato alla rete fognaria pubblica.
Diverso
è il discorso se si è fuori a praticare sport o tempo libero.
In
passato – prima della malattia e alla doverosa assistenza alla centenaria – ho
praticato, oltre ad altro, per decenni l’alpinismo ad alti livelli, sia sulle
Alpi sia extra. E pure allora, se era necessario effettuare il proprio
bisognino, ebbi la massima cura di allontanarmi dal sentiero, o via battuta, e
di riversare in luogo idoneo e appartato. Indi coprivo con terriccio, con sassi
o con neve i miei bisogni.
Non
solo: avendo guidato spesso dei gruppi avevo cura, sempre, di raccomandare a
tutti di fare altrettanto, se notavo che ciò non avveniva.
Frazione umida.
Da
decenni coltivo nel tempo libero l’orto; ne consegue che tutte le frattaglie e
gli scarti siano posti in una ciotola e ogni giorno portati nell’orto dietro
casa in apposita buca per farne humus.
Ho
pure cura di risciacquare ogni volta la ciotola.
Frazione secca.
È
depositata in un secchio e quando ve n’è sufficienza per farne un sacchetto si
versa nell’apposito sacco che, dopo essere stato chiuso, è posto nella
convenzionale area pubblica destinata alla raccolta.
Come
già accennato ciò avviene circa una volta il mese.
Carta e cartone.
Ogni
giorno mi giunge per posta il giornale e periodicamente alcune riviste. Come
pure si è inondati da vario materiale pubblicitario che non guardo neppure mai.
Vi
sono pure i tetrapak per alimenti, che dopo averli debitamente risciacquati e
scolati ho il vezzo di comprimere e di riporre in apposita cassetta.
Molto
saltuariamente, quando la cassetta è piena e nel giorno stabilito, la deposito
in fondo alla stradina privata di accesso alla mia proprietà, dove gli
incaricati la raccolgono.
Ho
pure cura di non metterla in caso di pioggia, per non farla infradiciare.
Vetro e lattine.
I
vasetti e le bottiglie per alimenti li pongo – sempre dopo averli ben
risciacquati e scolati – in un secchio in plastica da 30 l.
La
stessa cosa faccio per le lattine degli alimenti, che, pulite e asciutte, sono
sistemate in un altro secchio.
Quando
uno dei secchi ne contiene una certa quantità si pone, nel giorno stabilito,
sulla mia proprietà nello stesso posto dove in altri giorni si deposita pure la
carta.
Plastica.
Analogo
è il discorso per la plastica, sia questa derivante da contenitori di alimenti
o di imballaggi vari. Sempre pulita è accantonata; infine riposta nell’apposito
sacco solo il giorno del programmato ritiro. Sempre compressa per evitare
inutili volumi per il trasporto.
Materiale ingombrante.
In
tutti questi anni mi è capitato di dover smaltire solo due volte del materiale
ingombrante, che dopo aver caricato in auto ho portato alla piazzola ecologica
comunale; e depositato perfettamente dove gli addetti mi hanno indicato.
Erano:
un piccolo elettrodomestico e un materasso usurato.
Lei
si potrebbe chiedere perché mai abbia cura di pulire ogni oggetto da conferire
nella differenziata prima di riporlo.
Le
risponderò pure su questo: per doveroso senso civico. Per non generare batteri
e, come minima conseguenza diretta, sgradevoli maleodoranze sia nel cortile
coperto dove ho cura di riporli prima di conferirli, sia durante il trasporto e
l’accatastamento ante distruzione o riciclaggio.
Affronto
ora la mia considerazione personale sull’ultimo suo ‘sibillino’ paragrafo.
Vede,
io ritengo che lei possa fare tutto quello che ritiene opportuno per verificare
la veridicità di quanto ho dichiarato, sia facendomi visita di persona, sia
mandando dei suoi incaricati.
Perché,
in sostanza, il cittadino che si sente perfettamente e civicamente ligio alle
regole civili, più che ai freddi regolamenti, non ha nulla da temere da
eventuali controlli. Gli fanno, semplicemente, un baffo!
Semmai
ha tutto da guadagnare e magari qualcosa pure da … insegnare.
Per
paradosso specifico che non mi aspetto per questo una medaglia o d’essere per
ciò nominato Cavaliere o Commendatore della Repubblica. Sono allergico alle
onorificenze e, quando mi furono assegnate, le ho sempre rispedite al mittente;
non solo in patria.
Mi
basta e avanza essere in pace con la mia coscienza e con l’essere cittadino non
di questo ‘suo’ paese, ma apolide del mondo. Infatti, pur avendo sempre
mantenuto la stessa residenza, per il maggior tempo della mia esistenza sono
stato per lo più altrove.
La
mia casa, pur nella sua modestia, è
sempre stata aperta a tutti quelli che per varie ragioni l’hanno voluta
visitare: sia per fare quattro chiacchiere, sia per avere delle informazioni,
sia per chiedere un parere, sia per ottenere, eventualmente, qualche aiuto. È
aperta anche a tutte le possibili ispezioni di questo mondo, nel rispetto della
legge in materia.
Mi
permetta, infine, un piccolo quesito sulle sue attività istruttorie. Ben più
importante, a mio parere, dell’indagare sul mancato ritiro dei sacchi
dell’immondizia.
Ne
ha poi aperta una sul pasticciaccio Imu per verificare chi ne siano i
responsabili? Perché, pur tralasciando il riferimento agli innumerevoli casi
che si sono verificati in questo comune, la mia famiglia è stata invitata con
tanto di penale, interessi e sopratassa a versare ciò che già da molto aveva
correttamente e nei termini di legge versato.
Pure
allora, gentile Sindaco, dovetti recuperare dall’archivio elettronico le
quietanze degli F24 incriminati, indi recarmi in comune per sentirmi dire dalla
responsabile, dopo oltre due ore di paziente fila, che sì, a lei risultava
tutto perfettamente e puntualmente pagato. Che poi mi sarebbe giunta una
comunicazione relativa alla cancellazione della somma erroneamente richiesta.
Comunicazione finora mai pervenuta.
Sa,
non vorrei che tra altri anni ce ne giungesse un’altra sempre relativa allo
stesso caso, con somme e penali aggiuntive. Se, nel frattempo, non sarò già
passato a miglior vita.
Vede,
chi ha sbagliato è stato sicuramente retribuito. Il cittadino è stato solo …
mazziato e … demonizzato.
Ma
così va il mondo. Nella pubblica amministrazione il colpevole è spesso
sconosciuto e, come in questo caso specifico, è stato individuato nel ‘sistema
informatico’. Che, è bene precisare, non emette nuove cartelle esattoriali se
qualcuno non gli dà l’apposito comando; anche perché è una macchina con
intelligenza artificiale alla quale risulta e risultava che l’imposta era stata
perfettamente evasa. Non ha vuoti amnesici!
Il
tutto detto da chi ha iniziato ad usare i sistemi informatici già negli anni
settanta frequentando il Politecnico.
La
tempistica sulla questione, pur entro i canonici cinque anni massimi prescritti
dalla legge (N.d.R.: come saprà K.
Habsburg definì la legge umana il frutto
dell’incapacità e dell’imbecillità umana nell’agire) mi lascia basito,
considerato che il Comune non naviga nell’oro.
Ne
consegue che gli opportuni controlli si sarebbero dovuti espletare molto prima.
Come pure, se l’errore di calcolo è stato fatto o da un professionista o dal
comune stesso, non è ammissibile che dopo anni sia richiesto in conguaglio al
cittadino che ha versato quanto richiestogli. Sarebbe come a dire che,
acquistato un prodotto, dopo cinque anni il venditore richiede un supplemento,
perché ha sbagliato a conteggiare … il prezzo. Non so se ha ben compreso la
sequenza logica del philosophari nei sillogismi.
Potrei
aggiungere molte altre cose; ma non voglio abusare del suo prezioso tempo
d’amministratore, pur se retribuito dal cittadino. Diciamo che ha ben altro da
fare che leggere le mie considerazioni e precisazioni.
Chiudo,
pertanto, salutandola cordialmente.
Nella
speranza di non averle causato una diaclasi … interiore.”
Leone firmò la lettera e dopo
averla convertita in Pdf la spedì per via telematica.
Sesac
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