lunedì 25 marzo 2019

La tentazione storica e speculativa.

Oggi, venne in visita da me Sesac; e mi consegnò questo racconto che pubblico, come sempre, assai volentieri.
Tratta, come consuetudine, della vita degli animali della foresta e dei fatti di un tempo che fu.
Ogni accostamento a fatti realmente avvenuti è puramente casuale.

Sam Cardell
Tratto da “i Dialoghi” di Sesac
La tentazione storica e speculativa.


Leone non era al meglio da diverso tempo. Un continuo e diffuso tremore gli scuoteva il corpo.
Perciò, dopo aver rigovernato il pranzo, si sentì afflosciare: un pesante torpore lo colse, come se non dormisse da molti giorni, e le forze svanivano.
Decise pertanto di piantare il chiodo ai suoi impegni giornalieri e di coricarsi. Si addormentò quasi all’istante; mentre Billyno, che bramava andare assieme nell’orto, lo osservava sconsolato e deluso dalla sua poltrona, sgranando desolato gli occhioni neri.

Leone difficilmente sognava. Perlopiù, dormendo, il suo cervello lavorava preparando relazioni o discorsi che gli sarebbero poi serviti più avanti, oppure elaborando concezioni filosofiche, sociologiche o economiche.
Questa volta, invece, ebbe un sogno, che tuttavia non lo turbò per niente, lasciandolo indifferente.
La visione lo proiettò a nove lustri addietro: si rivide giovane nella sua casa attuale, mentre una donna gli faceva una visita inaspettata. La donna era Mary Grace.
Pure costei appariva giovane. Con sé aveva una culla con una bambina di pochi mesi e un uomo che la accompagnava, giovane pure lui. Leone non indagò su chi fosse costui, perché proprio non gli interessava affatto appurarlo: consorte, parente o semplice amico.
La donna gli mostrò la bimba, appoggiando la culla sulla tavola, facendogli un discorso pieno di sottintesi. In pratica che sua figlia, cui aveva dato il nome di Alejandra, se le cose in precedenza fossero andate a lei diversamente, avrebbe potuto avere come padre Leone.
Leone ebbe la sensazione che costei gli sollecitasse in modo sottinteso un contributo. Al che gli rispose, licenziandola subito: No tengo dinero. Me despido.
Il sogno, su questa sua affermazione, svanì.

Negli anni ’70, Leone, dopo aver frequentato il Decio Celeri in quel di Lovere, era andato nella città del Taurus per proseguire gli studi presso il Taurus Institute of Technology.
Là, lavorando e studiando simultaneamente – infatti non erano anni di vacche grasse per lui – conobbe per le sue mansioni di lavoro una splendida e intelligente rossina, segretaria alla Osram. Tra i due sbocciò subito una particolare e reciproca simpatia affettiva; perciò cominciarono a frequentarsi, e con l’andar del tempo a programmare seriamente il loro futuro, appena Leone avesse completato l’università.
Dopo oltre un paio d’anni di studi, però, Leone, nonostante l’ancor giovane età per quel ruolo, fu chiamato (quasi obbligato per scelta) a ricoprire un incarico dirigenziale presso il SIC (strategic investigation centre), venendo dirottato subito all’Accademia, dove in breve completò gli studi, intraprendendone pure altri.
Data la delicatezza del ruolo e il rischio che ciò comportava, Leone, dopo aver soppesato per bene i pro e i contro, addivenne in cuor suo alla conclusione che per il momento era meglio rinunciare a metter su famiglia. Ne parlò con l’amata rossina e si stabilì che ci si sarebbe pensato più avanti a impegno concluso, sciogliendo così la relazione con molto rincrescimento.
E fu proprio in quel periodo che gli giunse una missiva di un’ex compagna di classe, che gli voleva parlare.
Accettò, fissando l’appuntamento al suo primo periodico rientro al borgo natio, cioè per l’Immacolata.

Mary Grace, da tutti e in famiglia chiamata semplicemente Grace, era una ragazza normale, ultima d’una numerosa nidiata: non molto alta, non bella ma comunque gradevole, mora, capelli lisci e ondulati, mingherlina col naso aquilino, ginocchia sghimbesciate, tristerella e di rado sorridente, moderatamente intelligente. Sapeva, volendo, essere simpatica con chi entrava in sintonia. Era del segno della Vergine, nata subito dopo la Natività di Maria.
Era, al Decio Celeri, compagna di classe di Leone. Tra i due, nel tempo, era sorta una certa simpatia: quell’infatuazione affettiva propria dei giovani della loro età.
Grace, secondo le teorie di Leone, che già allora in materia non era un micco, era una che aveva degli evidenti complessi, dovuti alla sua situazione familiare. Era, infatti, orfana di madre da diversi anni.
La sua fobia più evidente era il terrore per gli animali morti, specie se appartenenti a quella specie di molluschi marini cefalopodi come le seppie. Temeva il laboratorio di biologia; tanto che Leone, un giorno, per farle superare l’impatto la costrinse di forza a stargli accanto mentre ne dissezionava una. Cosa che, almeno per quello, gli tolse il complesso.
Il padre era un tipo scorbutico e già anziano: alto, longilineo, stempiato, sciancato, asciutto, tetro e scontroso di carattere.
Leone lo aveva visto una volta, facendo una fugace visita a Grace con altri compagni di classe dopo una gita in montagna. Nonostante il saluto rivoltogli dalla compagnia, costui se ne stette accigliato sulla sua sdraio senza proferire parola, mentre questi sorbivano il tè che Grace aveva offerto loro.
Era un collega di mastro Geppetto; ma, a differenza di questi, si era industrializzato, sfornando ben sei pinocchi e, alla fine, pure due pinocchiette. Nulla di strano, perciò, se la moglie se n’era andata … a miglior vita.
Sicché, oltre a lavorare il legno, doveva essere particolarmente portato a ciurlare … col manico.
La famiglia apparteneva al clan dei mariuoli, che traeva, secondo la nomea popolare, la propria origine dalla deportazione di quei condannati spagnoli ai lavori forzati, confinati secoli prima in Valcamonica a lavorare nelle fucine di ferro, numerose nella valle, specie a Bienno e dintorni.
Abitavano nel centro storico di Esine, borgo sgarrupato a quel tempo, dove pure il sole faticava a entrarci d’estate. Pareva un accumulo disordinato di masi, addossati l’un l’altro e serviti da strette viuzze, spesso sormontate da bui archi e porticati, sotto i quali apparivano ancora alcune concimaie.
I locali chiamavano in dialetto camuno il borgo Éden, anche se l’accostamento a quello della Genesi era una spropositata diaclasi linguistica.

Leone, col frutto del suo lavoro, prima aveva aiutato la propria famiglia e poi s’era comprato in primavera una bella e potente auto: una Ford Mexico Ghia 1.750 blu con doppio carburatore, tetto in vinile, naso di Knudsen, consolle in radica, fornita di tutti quei confort che allora erano disponibili per una vettura di rango.
Perciò, un sabato, con quella si recò all’appuntamento, imboccando a fatica, intorno alle quattordici, a dx la viuzza che precedeva la piazza del paese, passandoci a stento.
Grace lo stava già aspettando, bardata e agghindata di tutto punto. E mentre lui con diverse manovre girava l’auto in uno spiazzo angusto, lei scese e salì in auto.
Su richiesta di Leone, Grace manifestò il desiderio di risalire la valle. Leone, puntò quindi verso il Tonale, dove avrebbero preso un caffè prima di rientrare.
Mentre guidava Leone osservava Grace e si chiedeva il cui prodest, subodorando una sorpresa.
S’era messa un elegante tailleur nero con sotto una fine camicetta bianca in pizzo, sbottonata in alto in modo di esaltare con l’apparente scollatura il piccolo seno. Con capelli appena fatti e con vezzosi riccioli finali che lambivano il collo e le spalle. Profumata, ben truccata e con aspetto sorridente e giulivo, proprio di chi intende ottenere qualcosa. Si comportava e parlava come se fossero una coppia da tempo affiatata. Mai a Leone era capitato di vederla così.
Cominciò a dire che in casa aveva un grosso problema: il padre s’era accasato da poco con un’insegnante in pensione conosciuta a un soggiorno marino; donna che, ovviamente, intendeva comandarla a tutto spiano. Perciò, pure lei, voleva accasarsi velocemente, perché tra loro non vi era feeling, ma solo astio reciproco. Disse pure ch’era disposta a lasciare il borgo anche per una grande città, dove avrebbe potuto continuare gli studi universitari in economia o intraprenderne altri, visto che la scelta fatta non la soddisfaceva.
Dal discorso fatto e dalle allusioni Leone capì in fretta che il candidato era lui, ma finse di non capire più di tanto. Tuttavia si domandava dove mai fosse finito il rapporto di Grace col suo moroso storico, figlio d’una tabaccaia vedova.

Leone, molto esperto di psicologia già al liceo, era stato spesso il confidente, il confessore e il consigliere di varie ragazze della sua classe, che s’erano rivolte a lui per superare certe loro problematiche giovanili, sia sentimentali che familiari. Ovviamente nella massima discrezione.
Forte di quel ruolo che Grace conosceva, ma di cui non s’era mai avvalsa, Leone decise di rivestire ancora quei panni, ignorando, di fatto, l’esplicita richiesta che costei gli avanzava.
Leone, infatti, spesso evitava l’ostacolo che gli si parava davanti, in pratica disconoscendolo. Era come se non capisse, ma in realtà andava oltre per vedere come e per quanto, ancora, il soggetto si sarebbe spinto.
Consigliò, pertanto, a Grace pazienza nei rapporti familiari, che forse si sarebbero appianati. Inoltre che a intraprendere la vita coniugale così d’acchito poteva essere un surrogato momentaneo, magari capace di generare in seguito problematiche maggiori.

La giornata era piovosa, ma fuori la temperatura era prossima allo zero.
Grace disse di sentire caldo in auto. Perciò si tolse la giacca del tailleur, sistemandola sul sedile posteriore, continuando con fervore a sostenere la propria idea.
La camicetta trasparente di pizzo le fasciava bene il corpo, esaltandone le forme e valorizzando le braccia e tutta la pelle. Sotto, infatti, portava il solo reggiseno.
Giunti nei pressi di Edolo, a Leone parve che cominciasse a innervosirsi, considerato che il suo progetto non faceva molti passi avanti. Leone, infatti, la scrutava attentamente solo con la coda dell’occhio senza che costei se n’avvedesse, tenendo gli occhi ben fissi sulla strada.
Decise perciò di procedere in altro modo, temendo che un discorso palese fosse rifiutato e desiderando che la guardasse bene mentre gli parlava.
Perciò chiese a Leone se intendesse guidare tutto il pomeriggio e se non fosse il caso di fermarsi un po’ a riposare. Leone rispose che gli pareva che la meta fosse il Tonale per un caffè. Comunque, se lo gradiva, non aveva nulla in contrario a fermarsi.
Là dove il torrente Rabbia confluisce nell’Oglio, le piene alluvionali avevano depositato molta ghiaia, che l’Anas provvedeva sistematicamente a usare come sbarramento per proteggere la strada, creando anche un ampio spiazzo da poter usare come parcheggio. Proprio là Leone accostò, posizionandosi discosto dalla strada e con il muso dell’auto rivolto verso la foce del Rabbia.
Fuori faceva freddo; ne conseguì che senza la ventilazione del moto i vetri termici dell’auto in breve si appannassero, oscurandosi come se vi fossero state messe delle tendine.
Grace continuava nella sua perorazione guardando bene in faccia Leone, che in cuor suo la osservava divertito pur restando col viso imperturbabile, come se la cosa non lo riguardasse.
Poi, quasi stremata, si acquietò, guardando il fiume per alcuni istanti. Fu proprio allora che Leone ebbe la certezza che avrebbe messo in atto il suo ultimo tentativo, l’unico che le era rimasto. L’arma atomica di Eva: la seduzione.
Ruppe il silenzio girandosi verso Leone, chiedendogli se l’auto aveva i sedili reclinabili. Cosa non scontata per le auto, pure di classe superiore a quel tempo.
Leone affermò di sì; e senza aspettare la sua richiesta le disse che sul lato esterno del sedile vi era una leva. Bastava tirarla leggermente verso l’alto e poi inclinare il sedile nella posizione desiderata.
Grace armeggiò per un po’, ma non vi riuscì, chiedendo, indi, aiuto a Leone. Lui allungò il braccio dietro il sedile passeggero, onde evitare di doverle passare davanti e sfiorarla. Tuttavia non ci riuscì perché la manovra era difficoltosa in quel modo. Perciò, scese dall’auto, vi girò attorno, aprì la portiera del passeggero e sbloccò la leva, ripetendo poi il percorso inverso per risalirci.
Grace distese il sedile, vi si adagiò e stette in silenzio per un po’ con lo sguardo fisso al soffitto dell’auto; mentre Leone, divertito e imperturbabile nello stesso tempo, la scrutava.
Si girò infine verso di lui, aprì ulteriormente la camicetta con movimento lento e con lo sguardo e la mimica lo invitò a piegarsi su di lei per abbracciarla e baciarla.
Leone, imperturbabile e in silenzio continuò a fissarla negli occhi, finché costei ebbe un gesto di stizza. Si eresse di scatto e in modo concitato e rabbioso così lo apostrofò: ¿Me has tomado quizás por una puta? ¿Pero tú, no te dejas nunca ir?
No! - rispose seccamente ma in modo fermo Leone - Per il resto hai detto tutto tu, io non ho detto nulla. Credo che tu ora voglia tornare a casa.
Grace non aggiunse nulla, raddrizzò il sedile, abbottonò la camicetta, indi prese la giacca del tailleur e se la mise.
Leone aspettò che si fosse sistemata. Quindi accese il motore e partì per riportarla a casa.
Tre mesi dopo Grace fu per una settimana in viaggio di nozze nel paese dove si producono i Cucù. Ne approfittò per inviargli una cartolina al giorno. Non si sa se per rivalsa,  per dirgli addio o per fargli … cucù.

Appena il sogno svanì, Leone elaborò subito il fatto collegandolo al passato, dicendosi, mentre dormiva: ma guarda cosa oggi vado a sognare. Devo proprio essere rimbischerito con l’età.
Non aveva neppure finito di dirselo che, continuando a dormire, sentì una voce familiare, iniziando con questa un colloquio.

D: Ciao Leo. Dimmi, ti è garbato rivedere Mary Grace?
L: Senti,  Buon Dio, questo, sicuramente, è stato un Tuo scherzo da … prete.
D: Ma no, Leo. È il maligno che ti tenta, proprio come un tempo tentò il Mio fedele Giobbe.
L: Sicuramente accenni a Giob. 1,7-12.  Beh, sai che Ti dico? Che se le cose stanno così, scusami l’espressione, Tu e il maligno siete come culo e camicia.
D: Dai, Leo, non essere così drastico. Dopotutto non abboccasti anni fa e non ti sei scomposto pure ora.
L: In effetti sai benissimo che neppure Tu saresti in grado di farmi fare ciò che non voglio.
D: Purtroppo lo so. Tu hai il vizio di leggere solo sul tuo libro, perciò ti comporti di conseguenza e segui imperterrito la tua strada. Lo dice sempre pure la Leonessa.
L: Senti chi parla. Tu, scusa, su quale libro leggi: sul mio, sul Tuo o su quello di Pincopallino? Poi, in ciò, la Leonessa non fa testo. Questo è poco ma sicuro.
D: Senti, vorrei parlare un po’ con te della tentazione. Credo che tu sia qualificato a farlo, considerati i tuoi trascorsi in materia.
L: Beh, mi pare sia inesatto. Credo che più che essere tentato io sia stato spettatore di ciò.
D: Non sempre Leo; almeno una volta sei stato coinvolto con pulsioni incontrollate, anche se per pochi istanti. Sai, ti scrutavo da lassù quando Nassi, ufficiale russo aggregata al tuo gruppo per l’occasione,  ti si propose senza veli nella tua suite. Ti ricordi di lei su nell’Essex,  quando ti disse “Je suis prête!”.
L: Certo che me la ricordo, e pure con piacere. Era una splendida donna e amabile walchiria. Come lei ne ho viste poche in giro. Al suo confronto Grace apparirebbe come uno sgorbio di natura.
Ma Tu, che fai lassù? Il guardone?
D: Vedo che mi hai … pagato.
Su, procediamo. Ora parlami della tentazione: quella di un tempo e quella del sogno, perché mi paiono in connessione.
L: Certo che lo sono. Se non ci fosse stata la prima, la seconda non sarebbe esistita.
Innanzitutto credo che la storia del maligno che tenta l’uomo sia assai discutibile. Personalmente la lascio al Tuo tunghina bianca che lo cita a ogni piè sospinto. Beato lui che ci crede.
Io ritengo che la tentazione sia lo stimolo e la reazione, nello stesso tempo, che avviene nella testa dell’uomo. È generata da aspettative, da problematiche e da progetti.
Prendiamo il caso di Grace.
Io da poco avevo lasciato la bella e amata rossina, costretto dai possibili rischi che la mia nuova mansione comportava. Perché l’amore implica anche l’evitare ad altri i propri rischi.
E che avviene? Che Grace, ignorando tutto ciò, ha un suo progetto da realizzare, più o meno forzata dagli eventi. Perciò si guarda in giro per trovare la scelta migliore. In ciò non trovo nulla di disdicevole; semmai di discutibile.
Ti ricordi di quel tale, meticcio arabo, soprannominato Ar Mandù la faina? Ebbene, quello adocchiava ragazze, come molti altri, magari anche seriamente. Una di queste non lo degnava affatto, perché tutta intenta col curato. Poi succede che resta incinta e allora che ti fa visto che il prete non la può sposare? Fa dei sorrisini all’Ar Mandù e accetta il suo invito. Gli si concede e dal petting si arriva al coito.
Quello si esalta e si sente un dongiovanni; ma pochi giorni dopo la tipa gli comunica che è rimasta incinta. Dal curato? No di certo: da lui. Risultato: matrimonio frettoloso e padre … putativo.
E questa sarebbe la tentazione storica che è diversa dalla tentazione speculativa. Un po’ come avviene col venerdì storico e col venerdì speculativo.
D: Credo di capire ciò che intendi dire: che, ad esempio, tu e Ar Mandù abbiate avuto una tentazione storica, generata da una tentazione speculativa.
L: Bravo! Hai capito benissimo.
Per essere più esplicito: se la mia esperienza con Grace è una tentazione storica, il sogno che ho ora avuto è una tentazione speculativa.
Nella prima c’è l’evento storico, nella seconda il possibile risultato, quindi il fine. In pratica il sogno mi fa vedere il possibile fine all’esecuzione del primo: l’avere dei figli e una famiglia. Un’aspettativa umana comprensibile.
D: Dalla quale, però, tu ti sei sempre astenuto, sposandoti tardi.
L: Ti dirò, col senno di poi, che in effetti oggi il non avere figli è una grazia di dio – concedimi l’espressione – con tutte le problematiche oggi esistenti.
Non so se fu bene o male per me. Di certo fu che i fatti della vita mi portarono a fare determinate scelte, di cui sono appagato. Magari sarebbe stato molto meglio se mi fossi sposato presto, ma con i se e con i ma non si fa la storia.
D: Già. Infatti la possibilità è un’eventualità e non una realtà. L’atto speculativo non sempre dà i risultati voluti, anche se ci si mette tutto l’impegno possibile. Troppe varianti interagiscono poi. Non c’è forse il proverbio che tra il dire (progettare) e il fare (realizzare) c’è di mezzo il mare?
L: Infatti è così.
La sessualità può essere una delle tentazioni, ma ogni cosa nella vita può essere considerata tentazione. Diventa tale quando non  si fa analisi speculativa.
Ti faccio un esempio: vedo una fetta di salame e la bocca mi crea acquolina. Subisco la tentazione se la mangio, soddisfacendo le aspettative della bocca. Ci resisto se faccio analisi speculativa e se considero che non tutto ciò che è gradito alla bocca è benaccetto pure allo stomaco.
Subisco la tentazione speculativa quando, ideato un progetto, lo perseguo per il fine primario che mi sono proposto, pensando che ciò porti alla realizzazione di me stesso.
D: Sai, Leo, non mi è troppo chiaro. Elucubra meglio.
L: Scusa, ma Tu stai ancora sul pinnacolo del tempio?
D: Perché mi fai questa domanda. Certo che no!
L: Per collegarmi alle Tue tentazioni: Mt. 4,1-11; Mc. 1,12-13; Lc. 4,1-13.
Tu, come le hai superate?
D: Mi pare semplice: facendo analisi speculativa, perciò anteponendo il risultato reale all’aspettativa immediata prospettatami. In questo siamo molto simili, Leo.
L: Bene. A questo punto torniamo all’esempio di Grace, facendo analisi speculativa; perciò analizzando sia la tentazione storica sia la tentazione speculativa.
Ipotizzando che fosse in buona fede il risultato dell’analisi è questo: in primis Grace vuole iniziare un rapporto affettivo, nonostante che tra noi non ci sia mai stato un candido bacio o un semplice abbraccio. In secundis che nell’offrirsi vuole provare piacere e goderne. In terzis che per superare le sue problematiche in famiglia vuole crearsene una propria.
D: Vero. Il ragionamento mi pare azzeccato. Procedi.
L: Ora, sempre analizzando il suo tentare ed esserne simultaneamente tentata – perché è chiaro che la sua sia una premeditazione di superare le tre problematiche in essere: primis, secundis, terzis – pur considerando l’impellenza degli eventi (i problemi con la matrigna e anche con il padre), è il quid delle scelte che può arrecare molta perplessità,  forse troppa, anche se non conosco la procedura che l’ha portata a formulare ciò.
In sostanza: questa era l’unica possibilità che aveva per superare il problema? Perché, poi, tanta fretta? Qual era la causale del puntare innanzitutto su me, visto che poi a breve si coniugò con un altro?
D: Beh, mi pare logico che i dubbi fossero palesi e molto evidenti.
L: Dopo aver considerato l’analisi in buona fede, proviamo a vedere quella dell’eventuale malafede.
Qua abbiamo un racconto sugli eventi del padre che non quadrano molto, anche se possono essere stati reali.
Il padre, secondo me, era uno scorbutico. In pratica uno a cui è meglio stargli alla larga. L’eventuale nuova moglie, specie se ex insegnante, aveva sicuramente una pensione decorosa. Chi glielo faceva fare di sposarsi con uno così, che tra l’altro non era un adone, per andare a vivere in una realtà sgarrupata? O forse era una con poco cervello, morta di fame e ancora in calore?
Altro quesito: vi era una motivazione celata da coprire dietro la decisione di Grace, da imporgli tanta fretta? Alejandra?
D: Dimmi Leo: per uno come te, specie allora, sarebbe stato uno scherzo appurare la verità. Lo hai mai fatto?
L: No, Buon Dio, e per un motivo molto preciso.
D: Cioè?
L: Mi pare semplice: le mie scelte erano molto diverse dalle aspettative di Grace. Infatti, mentre mi parlava, io mi sentivo molto lontano dal suo modo di essere, dal suo mondo e dai suoi problemi, totalmente indifferente. Il mio non era un mondo migliore, uguale o peggiore del suo; era solo un mondo estremamente diverso, non però contrapposto. Era semplicemente un altro modo di vedere e di vivere la vita, sia nel costruirla sia nel programmarla.
Riducendo tutto a un nocciolo: non si costruisce una famiglia in quel modo, se non vuoi poi naufragare interiormente e subirne le conseguenze, anche se ti va comunque da … culo.
D: Questo mi è sempre stato chiaro. Capisco che Grace, in quel modo, si giocò tutte le sue già scarse possibilità d’avere successo con te.
Di sicuro tu non dai mai nulla per scontato, sia che lo veda sia che ti sia detto. Analizzi sempre tutto.
L: Mi pare il minimo che uno possa fare. Ricordi ol Paulì? Quand’ero giovincello e lo accompagnavo in montagna mi diceva spesso: “Ragazzo, ascolta me: credi sempre a metà di quel che vedi e a nulla di quel che senti!”
D: Il vecchio Paulì era un saggio, questo è poco ma sicuro.
Ma come hai vissuto la tentazione?
L: Da spettatore, Buon Dio. Sicuramente né come attore, né come comparsa.
Ora lasciami dormire. Ne ho bisogno.

Dopo molto Leone si svegliò. Erano già le diciassette.
Aprì gli occhi e vide che vi era luce nella stanza; poi guardò oltre la porta e vide altra luce venire dalla veranda. Pensò d’acchito che Madame si fosse alzata prima di lui.
Infine si rammentò che s’era coricato dopo pranzo, pertanto ch’era sera e non mattino. Perciò si disse: Leo, sei proprio tutto fuso!
Si alzò e Billyno gli corse incontro. Leone capì che voleva, perciò salì per un po’ nell’orto con lui.

Sesac





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